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2. Bioculture:
L'evoluzione biologica e culturaleTornate all'indice degli articoli
Tornate alla sala saggisticaCamminando per Venezia, può capitare di passare per Campo Santa Margherita; la vista, che è calibrata sulle strette calli che ad intervalli regolari si inarcano su rii talora maleodoranti, improvvisamente trasborda nell'ampio Campo dove casette, portici, palazzoni, alberi fanno da cornice in continuità alle panchine, a qualche fontanella, ai chioschi, ai monumenti. Al mattino il ricco mercato rionale arricchisce di colori, suoni e odori un ambiente che già di per sé è generoso di luci; in fondo al Campo l'attenzione è indirizzata ad un fitto volteggiare di uccelli, che istintivamente diresti essere piccioni ma che ad un più attento sguardo si rivelano per gabbiani. Il pesce, stipato in cassette, ravvivato dall'acqua ghiacciata, è la principale fonte dei loro interessi, e loro si capitombolano dai tetti al selciato, sperando in qualche gesto generoso dei pescivendoli, e comunque negli avanzi che non tarderanno ad arrivare.
Molto lontano da lì, tra i flutti spumeggianti dell'oceano, a ridosso di scogliere assolate, altri gabbiani rasentano l'acqua, attenti che un guizzo riveli la presenza di un branco di pesci di cui poter banchettare.
Ecco dunque due distinte popolazioni di uccelli, appartenenti alla stessa specie, che sono oggetto di differenti pressioni selettive. Al mercatino, la selezione naturale favorirà quegli individui che sapranno meglio scrutare i gesti umani di chi dispone di tanta abbondanza di pesci, cogliendo i momenti opportuni per carpirne alcuni tra quelli che più stanno distanti dagli occhi vigili del guardiano. Non servono particolari doti di forza e di resistenza, né occorre schivare le onde inseguendo le prede in veloci immersioni. Nell'ambito di ciascuna popolazione gli individui meglio adattati alle specifiche situazioni ambientali (il mercato o la scogliera, nell'esempio prima riportato), lasceranno più progenie: col tempo, e ad ogni generazione, la selezione continuerà ad operare, ottimizzando così la capacità degli individui selezionati di appropriarsi al meglio delle risorse disponibili; questo processo avverrà pescando all'interno di quella variabilità genetica che le popolazioni numerose e ben distribuite nel paesaggio ecologico normalmente possiedono. Se ora supponiamo che tra le due popolazioni di gabbiani non vi siano possibilità di incontro, in assenza cioè di flusso genetico, si potrà avviare per tale strada la formazione di due nuove specie, in situazione di allopatria, cioè con isolamento geografico: un tale processo comporta nel tempo un accumulo di varianti genetiche che, sotto la spinta di pressioni selettive differenti e continue, renderanno gli individui di una popolazione non in grado di accoppiarsi con quella dell'altra anche se le distanze geografiche si annullassero, vuoi perché avendo ormai assunto comportamenti diversi non si riconosceranno (isolamento etologico), vuoi perché differenze fisiologiche o anatomiche impediranno gli accoppiamenti tra i membri dei due gruppi. I processi adattativi, veicolati dalla selezione naturale, si attuano quindi in presenza di una variazione genetica ereditaria e di una pressione selettiva, che tenderà a differenziare gli individui sulla base delle loro possibilità di sopravvivenza e di riproduzione, rispetto al contesto ambientale in cui si trovano.
Nel linguaggio corrente le tappe che caratterizzano i processi di adattamento vengono descritti conferendo ad essi intenzionalità e direzionalità. Così si afferma che un gruppo di gabbiani col tempo si appropria di comportamenti in grado di farli meglio interagire con gli uomini o con alcune loro attività, mentre altri soggetti raffinano le loro prestazioni fisiche in funzione dell'attività di predazione in mare. Con linguaggio più appropriato, si dovrebbe invece dire che nell'ambito della variazione genetica presente all'interno delle due popolazioni di gabbiani, frutto di alterazioni genetiche che si sono manifestate casualmente nelle loro cellule germinali (mutazioni), saranno selezionati nel tempo, attraverso un processo graduale e continuo, quei soggetti che, essendo portatori della combinazione genetica relativamente migliore in funzione di quel determinato contesto ambientale, avranno maggiore possibilità di lasciare più prole e di trasmettere tali caratteri alle generazioni successive.
Se immaginiamo che per circostanze particolari il livello dei mari dovesse crescere travolgendo le terre e rendendo possibile la vita solo agli organismi che in qualche modo si adattassero a questo ambiente, possiamo immaginare che la pressione selettiva favorirà tutti quei mutanti che conferiranno mani o zampe palmate, buona capacità di apnea o quant'altro rappresenti un vantaggio per chi si trova a vivere in acqua; nel giro di qualche tempo le popolazioni acquisterebbero nuove caratteristiche o si estinguerebbero, a seconda del grado e del tipo di variabilità genetica presente. Occorre sottolineare che la variabilità genetica viene alimentata da eventi mutazionali, da alterazioni cioè casuali del materiale genetico; la loro casualità va intesa non nel senso che esse non possono essere descritte ed individuate, ma perché esse si manifestano indipendentemente dai bisogni dell'individuo che li subisce.
L'evoluzione non avviene dunque secondo un progetto predefinito ma per tentativi successivi, in cui casualità e selezione giocano una partita paritaria. Ma se questo fatto sembra abbastanza consolidato nell'ambito del mondo biologico, come interpretare il progredire della cultura e il suo evolversi verso un ampliamento delle conoscenze? Se ammettiamo che queste ultime progrediscono solo attraverso propri meccanismi specifici, differenti da quelli che caratterizzano la selezione naturale, allora riaffermiamo che tra cultura e mondo biologico vi è una netta dicotomia: da una parte c'è l'uomo con i suoi processi intenzionali e responsabili, dall'altra il resto dei viventi governati da comportamenti stereotipati. Si può allora parlare di evoluzione culturale nel senso letterale del termine, intendendo che anch'essa sia sottoposta a processi selettivi casuali e non direzionali?
Negli ultimi anni si è andata tuttavia rafforzando la convinzione che anche la cultura sia soggetta ad un processo evolutivo fondato sul modello darwiniano.
Solo a posteriori le ricostruzioni storiche dei vari saperi assumerebbero l'aspetto di una progressione verso una conoscenza sempre più vicina ad una verità oggettiva; in realtà le varie conoscenze si muoverebbero in gran parte attraverso l'acquisizione casuale di particelle culturali aventi lo stesso ruolo delle mutazioni, con la loro comparsa improvvisa al di fuori delle logiche e dei modelli culturali consolidati. Ogni evento conoscitivo avente tali caratteristiche, come può essere stato ad esempio il ritrovamento di un fossile che ha rivelato l'esistenza di una linea filogenetica diversa da quelle conosciute, oppure la scoperta di un modo differente di rappresentare gli oggetti nello spazio secondo nuove regole prospettiche, e tanti altri analoghi esempi, può innestare un nuovo processo culturale. L'elemento necessario perché ciò si realizzi è che esistano le condizioni ambientali che permettano alle nuove particelle culturali di adattarsi alle menti, trasferendosi da una all'altra attraverso il linguaggio scritto o parlato. Una mutazione culturale non si afferma dunque solitamente sulla base del contenuto logico che essa sottende, ma del successo che le deriva dal semplice fatto di essere accettata da molte altre menti. Si può tra l'altro ipotizzare che anche l'individuo che è portatore dell'idea nuova, così come tutti coloro che se ne fanno trasmettitori, possa godere di un vantaggio in termini di fitness, in quanto veicola su di sé, come mente attraente, delle preferenze connesse alla scelta sessuale.
L'evoluzione culturale e biologica utilizzerebbero mutanti la cui sopravvivenza è decisa dalla selezione che di per sé non aspira a cogliere alcuna verità nascosta; l'uomo dunque, sia culturalmente sia biologicamente, non è il termine di un processo direzionale ed intenzionale ma il frutto di un accidente storico: se si potesse riavvolgere il nastro delle vita e lo si facesse ripartire, esso difficilmente ci ricondurrebbe nuovamente all'uomo ed alla sua cultura! Per quest'ultima è ancora forte la sensazione che il suo progredire si realizzi sulla base di acquisizioni razionali successive, all'interno di modelli che trovano il loro fondamento e la loro verifica sulla base o di regole dettate dalle scienze esatte o da una tradizione, fatta di costumi, linguaggi, riti, rigida e consolidata. In questa ottica si ripropone una concezione puramente culturale del rapporto tra l'uomo e la natura, e si rinuncia ad una visione unitaria che vede l'uomo riconnettersi completamente al mondo naturale sia nei suoi aspetti biologici sia culturali. Un poema, un dipinto, una lirica si affermano non tanto sul piano della loro ricostruzione storica quanto su quello dell'immediatezza con cui sono colti da più menti, indipendentemente dal momento temporale in cui sono state concepiti: li possiamo pensare come eventi mutazionali passati al vaglio della selezione e affermatesi, parafrasando, per la loro maggiore capacità di sopravvivenza e riproduzione.
Analogamente un'opera di ingegneria antica o moderna si selezionano per la loro capacità di utilizzare al meglio i materiali disponibili e le tecnologie specifiche: la costruzione delle piramidi suscitano interesse ed ammirazione nelle nostre menti, così come siamo colpiti dalle attuali tecnologie dei computer o degli strumenti di comunicazione audiovisiva; si tratta di saperi a sé stanti che una ricostruzione storica antropocentrica ha inserito in una visione progressiva e direzionale, ma che probabilmente, come molti altri, sono spesso il frutto di mutazioni culturali che si sono affermate per una serie di circostanze contingenti (in analogia con la deriva genica) o per una loro maggiore capacità di adattamento.
Questo articolo suggerisce alcuni spunti che in sintonia con quelli espressi recentemente da altri autori potrebbero avere le caratteristiche di mutazioni culturali; il suo destino è affidato alla possibilità di incontrare il favore dei lettori. Se ciò avverrà, qualche idea in esso contenuta, unendosi con altri mutanti culturali, contribuirà a diffondere una diversa consapevolezza nel rapporto tra uomo e natura; in caso contrario esso è destinato ad essere dimenticato, indipendentemente dal suo valore, piccolo o grande che sia.
Sui diversi temi affrontati in questo articolo si può fare riferimento alle seguenti indicazioni bibliografiche
- Richard Dawkins, Il fenotipo esteso. Il gene come unità di selezione, Bologna, Zanichelli, 1986, pp. 374 [fuori commercio]
- Daniel Dennett, L'idea pericolosa di Darwin. L'evoluzione e i significati della vita, Torino, Bollati Boringbhieri, 1995, pp. 723
- Enrico Bellone, La stella nuova. L'evoluzione e il caso Galilei, Torino, Einaudi, 2003, pp. 164
- Luigi Luca Cavalli Sforza, L'evoluzione della cultura. Proposte concrete per studi futuri, Torino, Codice edizioni, 2004, pp. 145
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