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Il titolo è volutamente provocatorio e, come tale, riduttivo, ma nasconde una complessità, di cui dò alcuni aspetti per scontati e noti a tutti. Essi sono i seguenti:
Non cercherò di coprire queste premesse di carattere generale, per motivi teorici, non essendo io di formazione strettamente umanistica, e per motivi pratici, non essendo questo lo scopo di questo testo.
II corpo femminile come contenitore
L'uomo è la misura di tutte le cose. È questa un'affermazione (un'assunzione, un
presupposto?) che appare quantomeno discutibile, ma che è, purtroppo, riconoscibile nell'evoluzione di
molti saperi e che non è stata mai veramente abbandonata, malgrado l'avanzamento delle conoscenze.
Basti dire che persino alla fine degli anni ‘80, negli Stati Uniti, è stata fatta una ricerca
epidemiologica sugli effetti dell'aspirina nelle malattie cardiovascolari, prendendo a campione 22.000
individui esclusivamente di sesso maschile, quando era ormai noto che esse si manifestano e si sviluppano in
modi diversi nei due sessi.
Essendo il genere maschile assunto a riferimento universale, non meraviglia che la donna e il suo corpo siano
stati descritti per differenza, ovviamente negativa rispetto all'uomo, come forma imperfetta di questo.
La connotazione del femminile per differenza-imperfezione appare particolarmente esaltata nel corpo femminile,
inteso come contenitore rispetto alle sue funzioni riproduttive.
Secondo Galeno, gli organi genitali delle donne non sono che una forma mutilata e imperfetta di quelli
maschili, che infatti sarebbero nella donna introversi, e, per questo, malamente sviluppati. Galeno, con i
suoi principi della fisiologia (teoria degli umori) influenzerà tutta la medicina fino al Seicento: le
donne imperfette, con i loro organi interni umidi e freddi, possono anche guastare la semenza prolifica
dell'uomo. La sterilità è una malattia femminile e si conoscono molti santi a cui votarsi contro
questa disgrazia. Non ne esistono, ovviamente, per la sterilità maschile, visto che questa non è
nemmeno ritenuta possibile.
Ma se la donna è un essere tanto imperfetto come giustificarne la creazione? È nel XVI secolo che i medici cominciano ad avvertire le implicazioni eretiche di un imperfezione femminile,
proclamata fino all'estremo. È per questo che André Du Laurens (1646) ritiene opportuno scrivere
che: "il sesso della femmina non esprime la perfezione della specie meno di quello del maschio, e la donna non
deve essere definita animale occasionato, come dicono i barbari, ma creatura necessaria, istituita in primo
dalla natura".
Bisogna però trovare un sostegno a questa affermazione nella natura stessa della donna: quale dunque
può essere l'organo principe della sua specificità, che ne legittima il ruolo insostituibile nella
natura, se non l'utero, poiché esso è il ricettacolo in cui si forma "una piccola creatura di
Dio"?
Il corpo e la fisiologia della donna, dunque, si affrancano dalla immagine di imperfezione e incompiutezza
ereditata dai peripatetici, per assumere l'immagine dilatata e onnicomprensiva di questo organo. La donna
è madre-matrice (secondo Paracelso, che gioca sulla radice comune delle due parole), non è niente
altro che questo mondo concluso: questo organo è la ragione del suo esistere.
Ma può questa creatura-organo essere considerata creatura umana?
Tale domanda ha circolato a lungo in Europa e fa pensare che sia vera la storia di un certo concilio tenuto a
Macon nel 1585 in cui un vescovo avrebbe preteso che le donne non fossero comprese sotto il nome di Uomo
(inteso come neutro universale: umanità).
Per quel che riguarda il corpo contenitore, non ho bisogno di ricordare che il corpo femminile, per lungo
tempo, è stato presentato come puro ricettacolo, nicchia, culla, nutrimento, nella funzione vitale della
riproduzione. Il contributo della donna alla formazione di un nuovo essere è stato per lungo tempo
considerato esclusivamente di supporto e mantenimento, senza alcun ruolo diretto. Nonostante gli studi di de
Graff e la teoria dell'ovismo (1672) e l'individuazione delle tube di Falloppio, ancora nel 1750
Gautier-Dagoty pubblica un libro in cui sostiene, con l'aiuto delle sacre scritture, della legge salica e
della morale, che solo il padre contribuisce attivamente alla creazione della prole.
L'utero assume un valore totalizzante e - significato potente misterioso di un simbolo - dal Cinquecento al
Novecento la metafora sostituisce spesso la terminologia scientifica. La donna-uterina abita ancora il nostro
linguaggio contemporaneo. D'altra parte per secoli l'utero (matrice-madre) viene anche considerato l'origine,
di tutti mali femminili: medici, moralisti, re, teologi si incontrano su questo terreno.
Il matrimonio è una delle cure. Ma la matrice è anche responsabile delle anomalie genetiche, delle
malformazioni dello sviluppo e persino della nascita di una femmina, dovuta alla cattiva qualità del
sangue mestruale o alla cattiva temperatura della matrice.
Tuttavia la scienza fa i suoi passi in avanti e nel Seicento famosi ostetrici difendono la loro arte e le
conoscenze acquisite, contro la giustificazione teologica della sofferenza. L. Guyon (1625) ammette
esplicitamente l'aborto terapeutico e offre i mezzi per praticarlo.
Nel Settecento, però, la questione della prevalenza della vita del bambino su quella della madre viene
nettamente proclamata dalla chiesa, sulla base proprio delle nuove conoscenze acquisite. Un gesuita si
rifà infatti alla tecnica del parto cesareo praticato su donne ancora in vita, secondo quanto sostenuto
in un trattato da F. Rousset (1581), per sostenere la necessità di questo intervento. Gli stessi medici
che avevano sperimentato la tecnica di Rousset e che l'avevano abbandonata vista l'alta mortalità delle
donne, si vedono costretti a smentire la validità di essa (che invece verrà ampiamente dimostrata
con 1'avvento degli antibiotici e dell'anestesia). Uno di essi,dichiara: "ignoro che sia mai esistita una
legge cristiana o civile che ordini di martirizzare e di uccidere la madre per salvare il figlio".
Proprio in quegli anni appare il testo di embriologia sacra a cura dell'abate Cangiamila (1762).
La mente imperfetta
L'uomo come misura di tutte le cose si riflette in tutti gli studi di fisiologia e
medicina. Gli studi sullo scheletro umano hanno riprodotto almeno fino al 1726 (studi di Alexander Monro) uno
scheletro maschile. Monro ha descritto per primo le parti di uno scheletro femminile, come incompleto e
deviante rispetto a quello maschile. Le differenze venivano spiegate in base alla debole costituzione, alla
vita sedentaria e alla funzione procreativa della donna. Ma, ahimè, la visione più sessista dello
scheletro della donna lo dobbiamo ad una donna, Marie Thiroux d'Arconville (1759), un'anatomista che per prima
ha messo a confronto gli scheletri dei due sessi e ha ritenuto opportuno marcare le differenze, esagerandole.
È per questo che il primo scheletro femminile, accuratamente riprodotto, appare con delle ossa pelviche
abbondantemente ampie ed un cranio ridicolmente piccolo (ecco di nuovo il problema del contenitore). Inutile
dire che questa studiosa pubblica col nome del suo maestro!
Il primo disegno corretto di uno scheletro femminile appare solo nel 1796 grazie al tedesco von Soemmerring.
Esso viene però ignorato dalla scienza ufficiale che continua ad apprezzare le differenze femminili in
termini di imperfezioni, non completo sviluppo, e considerare le meglio sviluppate ossa pelviche come una
contropartita al maggiore volume cranico maschile, viste le diverse funzioni a cui sono assegnati i due
soggetti.
Non meraviglia che questo cranio più piccolo contenga una mente imperfetta. Aristotele, che potrebbe
apparire troppo lontano nel tempo, ma che pure ha influenzato ampiamente il pensiero filosofico dei secoli a
venire, a proposito dell'anima, diceva ne La politica: "tutti posseggono le varie parti dell'anima,
ma la posseggono in maniera diversa; negli schiavi non è sviluppata per nulla la parte deliberativa, la
donna ce l'ha ma senza una piena autorità, mentre i bambini l'hanno in maniera incompiuta". Forse
colpisce di più E. Kant, un campione dell'illuminismo, che affermava come il "meraviglioso" (bontà
sua!) modo di comprendere della donne non sia fondato sulla ragione, ma sul sentimento.
Infine vale la pena di citare, per venire a tempi recentissimi, una lettera di M. Fraccaro alla rivista
Nature. In essa, con riferimento al dibattito sulla controversa questione della trasmissione per via materna
dei geni del linguaggio, si esprime la sorpresa che un' idea così ovviamente errata possa tornare a
galla, dopo che era stata già autorevolmente seppellita nel 1305 da Dante nel suo "De vulgari
eloquentia", il quale affermava che benché le sacre scritture sostenessero che 1a prima a parlare
fosse stata una donna, era più logico pensare che fosse stato un uomo, dal momento che è impensabile
che una funzione umana così rilevante possa essere derivata da una donna.
Se poi aggiungiamo a questo tipo di argomentazioni, tutte queste teorie che attribuiscono alla matrice (utero)
la secrezione di fluidi venefici che, arrivando al cervello, ne determinano instabilità e alterazioni,
capiamo come questa mente imperfetta non sia in grado di governare processi più grandi di lei e come
tutti, ma proprio tutti, pensino di dovere dire alla donna cosa fare e come condursi nel mondo. La sua
funzione è quella riproduttiva, la sua saggezza è quella di sapersi governare per svolgere i compiti
di sposa e di madre.
Inutile dire che tracce di queste teorie sono presenti nella cultura contemporanea e contribuiscono a
perpetuare la presenza di stereotipi anche negli ambienti scientifici, per cui le donne sarebbero meno
"adatte" a certe discipline, in particolare a quelle che prevedono l'elaborazione di astrazioni complesse, o
più semplicemente a quelle più strettamente tecnologiche.
L'anima tardiva
San Tommaso sosteneva nella Summa Teologica che l'animazione avveniva in tre stadi, che si
completavano in circa quaranta giorni dopo il concepimento, nel caso di maschi, o in novanta giorni nel caso
di femmine.
Appare dunque ovvio che, da parte di molti laici, la posizione di S.Tommaso sia stata ricordata a proposito
del dibattito sull'embrione umano, riproposto nell'ambito delle nuove tecnologie riproduttive.
L'importanze dell'affermazione di una non coincidenza dell'animazione col concepimento, sta infatti nel
riconoscimento di una gradualità nella formazione dell'embrione, che la Chiesa contemporanea non vuole
ammettere. La posizione della Chiesa cattolica, risulta in questo campo, ancora più riduzionista di
quella scientifica, essendo la persona umana individuata all'atto della fecondazione: il nuovo individuo, il
suo essere persona (abolendo ogni differenza fra questi due termini, con grave sofferenza anche dei filosofi)
viene identificato con la sua identità cellulare, se non addirittura molecolare (i due DNA che si
fondono!).
Persino a noi laici occorre parlare dell'anima per dire che non si tratta di DNA, che cellule umane, vive, non
sono persone.
La scienza, facendo il suo mestiere, dice si, che il nuovo essere ha inevitabilmente inizio con l'incontro di
uno spermatozoo con un ovocita, ma che il suo destino è estremamente labile almeno fino a che non si
verifichino alcuni eventi, in una successione estremamente accurata.
Il grottesco su questo terreno, però, non ci viene risparmiato, in un dibattito senza esclusione di
colpi. Riduzionismo per riduzionismo, alcuni scienziati hanno obiettato che il DNA maschile in genere non
viene trascritto fino a settantadue ore dopo la fecondazione: dovrebbe essere questa attività funzionale
a decidere dell'inizio del programma del nuovo individuo. Oppure: nelle prime divisioni dello zigote a formare
la morula, esiste la possibilità che di fatto le cellule si separino completamente a dare origine a due o
più gemelli: in questo caso l'anima che fa? Si divide anch'essa, come lo zigote in cui era calata al
momento della fecondazione? E ancora, siccome l'85% delle blastocisti, secondo stime considerate valide dagli
esperti, viene perso naturalmente prima dell'impianto nella parete uterina, dopo ogni rapporto non protetto e
non seguito da gravidanza dovremmo adottare il lutto? Infine, siccome la blastocisti è costituita almeno
al 90% da cellule che daranno origine agli annessi embrionali, non dovrebbe essere chiamata embrione, ma
piuttosto pro-embrione, o addirittura annesso embrionale?
Persona è invece quella donna che dell'embrione deve farsi carico, una volta impiantato naturalmente o
artificialmente nel suo utero. Fisiologia e psiche di questa donna saranno coinvolte profondamente in questo
evento e tutta la sua vita ne può essere segnata. Ma di nuovo questo non conta: essa è un utero
contenitore e in quanto tale deve assolvere la sua funzione, far sviluppare un embrione. La sua anima non vale
nulla a fronte di quella caduta dal cielo all'atto del concepimento o aiutata dal medico nel caso della
fecondazione in vitro. Sembra che ci si debba di nuovo chiedere se la donna rientri nel genere umano! Non vi
è traccia di rispetto per questa persona umana, a meno che non assolva il suo compito di incubatrice! La
schiera dei cattolici, che così furiosamente si è opposta alla fecondazione eterologa e alle madri
surrogate, propone che si adottino gli embrioni congelati, il che significa appunto operare una fecondazione
eterologa e per di più in una madre surrogata: l'ipocrisia del non detto raggiunge qui vette eccelse.
Inoltre, la Chiesa farebbe bene a non sottovalutare il senso comune della gente e il valore
simbolico che i suoi messaggi possono assumere nella cultura diffusa. Appare difficile che cellule e molecole
possano essere comunemente riconosciute come persone, mentre invece è molto più facile che, per il
nostro immaginario, diventino oggetto di simpatia (se non di emulazione) le figure delle madri surrogate, dal
momento che la Madonna ci viene continuamente proposta in questa veste, che fa di essa addirittura una beata
fra le donne. La sua è, per di più, una fecondazione eterologa, e la sua gravidanza è quella di
un clone, come ci ha spiegato recentemente nei dettagli un cardinale colombiano, in quanto nessuno dei
cromosomi di Gesü sarebbe della Madonna (di Giuseppe già si sapeva che non aveva nulla a che fare con la
nascita del Cristo).
Questa non vuole essere una provocazione blasfema ma la segnalazione di una lettura possibile del messaggio
ecclesiastico, da parte di una cultura semplice che a simboli e miti affida le sue identità: non si
meravigli dunque la Chiesa se sono molte le donne cattoliche che ricorrono alla maternità a tutti costi,
nella convinzione di non violare dogmi e sacramenti.
Conclusioni: problemi posti dalla posizione della Chiesa
La conoscenza é uno degli strumenti con cui interagiamo col mondo e con gli altri. Il
terreno della ragione è solo una delle sedi di confronto, ma emozioni, sentimenti e sogni sono parte del
nostro vivere e prodotto di quelle stesse funzioni superiori che caratterizzano il cervello/mente umana: non
vanno ignorate. Con queste sfere di fatto confliggono non tanto le asserzioni in quanto tali (siano esse
razionali o metafisiche) ma il significato simbolico che acquistano. Per questo la scienza non può essere
posta a fondamento dell'etica.
In un'epoca in cui ci si affanna. da più parti. a recuperare uno spessore della vita che tecnologia e
consumismo ci hanno sottratto; in un'epoca in cui sempre più forte è la richiesta di essere
sottratti ad algidi programmatori e freddi calcoli economici; in un'epoca in cui credevamo di dover fare
sentire la nostra voce, il bisogno di sogni, di spazi per le emozioni, a scienziati ed esperti di
costi/benefici, ecco che persino a chi si occupa di fede e di anime ci tocca dire che non siamo, non vogliamo
essere cellule e molecole, ma vogliamo esistere in una vita realmente data, in questo mondo, che faccia salva
la nostra dignità, il nostro sentire, il nostro pensare.
Sembra, invece, che la Chiesa non solo insista in una predicazione fondamentalmente misogina, ma che, con
l'avvento della scienza contemporanea, pervicacemente la persegua anche a costo di fabbricare mostruosità
dogmatiche e pericolosissime semplificazioni in un'epoca che mi pare particolarmente carente di spessore
spirituale, se così vogliamo chiamarlo, per farci capire.
La Madonna, così come ci viene continuamente proposta da questo papa, attraverso anche l'esaltazione di
tutti quei santi e sante che al suo culto sono legati, è solo un tentativo maldestro di rivalutazione
della figura femminile. In realtà la condizione umana della donna non può essere riscattata, se non
le si riconosce il ruolo di persona, al di là di quello di madre, se non le si riconosce la vita di un
corpo proprio, al di là di quella che potrebbe concepire. Non riceverà mai il rispetto dovuto e
l'attenzione ai suoi diritti, se la sua vita non viene considerata un valore in sé.
Ma vi è un problema più serio: il riduzionismo della Chiesa rappresenta una pericolosa via di non
ritorno: essa ha abdicato al suo ruolo di soggetto morale, affidando la spiritualità a molecole e
cellule.
La voluta ignoranza della complessità del significato di persona umana, che porta implicitamente in
sé il concetto di relazioni complesse e non solo materiali, in favore di definizioni fondate su reazioni
chimiche, apre definitivamente le porte a quella irresponsabilità verso gli individui dati, che vediamo
imperversare intorno a noi.
Quello che conta è la vita (mi piacerebbe averne una definizione che non sia "un dono di Dio":
molecolare, cellulare, fisiologica, teleologica?). Come, quando, dove, con chi, con che cosa si vive: queste
sono domande che vengono dopo.
Garantire l'instaurarsi di una vita: questo rischia di essere l'inizio e la fine delle responsabilità. Si
tratta infatti di una responsabilità poco impegnativa, tranne che per le donne interessate, in quanto
basta fare delle leggi che tutelino gli embrioni. È interessante, a questo proposito, notare che la
Chiesa non si fida più del suo dettato dottrinale non crede di poter contare sull'obbedienza dei suoi
stessi fedeli: vuole delle leggi, come molti al giorno d'oggi. È dunque autoritaria e non più
ecumenica.
Il richiamo, invece, alla complessità della persona umana, implica un confronto con la vita data, reale
delle persone, e questo richiederebbe la condanna (almeno con la stessa severità ed insistenza con cui si
condanna l'aborto e l'uso di embrioni umani) di delitti e affronti collettivi e individuali, che investono
quotidianamente la vita di milioni di persone.
Viene da pensare che la semplificazione operata dalla Chiesa non sia solo dettata dall'ansia di arginare
avanzamenti della conoscenza che rischiano di essere ingovernabili per la Chiesa stessa, e che non sia nemmeno
dettata dalla difficoltà o dal rischio di impopolarità implicito nella condanna dei problemi seri
del nostro tempo (non vogliamo certo l'ingerenza della Chiesa nelle leggi dello Stato, ma si è mai
sentito di un'aspra battaglia tra cattolici e non sulle leggi contro la mafia, per fare un esempio?). Viene
da pensare che anche la Chiesa fatichi, in tempi di individualismo spinto a volare alto sulle cose del mondo,
a scuotere le coscienze nel profondo. In un mondo che vive di sufficienti paure, non potendo giocare sulla
ragione e nemmeno sulla speranza terrena (al paradiso non crede quasi più nessuno) ha deciso di opporre
mostruosità a mostruosità, in un irresponsabile gioco al massacro.
Indicazioni bibliografiche
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