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3. Bioetica Donne & Scienza:
Il sorite

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Questa parola esprime un concetto intrigante: il filosofo, che ci ha riflettuto, ha concluso che esprime una cosa che non esiste, perché non può essere definita: ma noi non lo seguiremo su questa strada.
Successore di Euclide alla scuola di Megara, Eubulide di Mileto (IV sec. a.C.) usa il termine greco soros (cumulo) per sviluppare la sua argomentazione contro la molteplicità. La sua filosofia non ammette gradazioni tra gli estremi opposti. Ed ecco l'esempio: "un solo chicco di grano non costituisce un cumulo, si aggiungano allora altri chicchi, uno alla volta; poiché non è possibile determinare con precisione a partire da quale chicco si formi il mucchio, si dovrà concludere che questa nozione è logicamente improponibile (Enciclopedia di filosofia, Le Garzatine, Garzanti Editore, 2005).

Se voi la cercate sul Devoto-Oli, pregevole vocabolario della lingua italiana, non la troverete, come non troverete nessun riferimento a questa parola, quando lo consulterete alla voce "cumulo" o "mucchio".
Eppure sarebbe importante nella nostra epoca impadronirsene. Allora consultate un dizionario filosofico e vi troverete la spiegazione.
Io l'ho scoperta anni fa, leggendo un bell'articolo di Silvana Castignone, docente di bioetica all'Università di Genova.: ci avvertiva che ne avremmo avuto molto bisogno negli anni a venire, per dotarci di una consapevolezza della natura ultima di alcuni problemi di bioetica e per approntare, quindi, gli strumenti adeguati ad affrontarli.

Castiglione

Mi spiego: il concetto di sorite va a braccetto con l'idea del limite: quante volte sentiamo invocare il bisogno di un limite e poi nel momento in cui bisogna definirlo ci perdiamo in un pantano di argomentazioni, che non aiutano risolvere il problema, ma lo complicano, se non addirittura provano a sostenere che non esiste?
Cerchiamo di fare alcuni esempi: quando uno zigote diventa pre-embrione, e questo un embrione è poi un feto? Si tratta di un continuum nello sviluppo di un individuo, come tutti sanno. E questo continuum dello sviluppo procede, dal neonato all'anziano: abbiamo, infatti una serie di definizioni che identificano diverse età (ragazzo, giovane, adulto, anziano, vecchio). Eppure le usiamo per operare delle distinzioni che ci aiutano a mettere a fuoco quello di cui stiamo parlando, e a trasmettere al nostro interlocutore delle immagini e dei concetti che mettono in atto la comunicazione tra persone.
La distinzione serve, ma come definire il limite per cui è legittimo usare un termine piuttosto che un altro? Perché ragazzo e non giovane: stiamo parlando del passaggio dai diciassette ai diciotto anni? Provate a metterla così e vedrete che immediatamente si apre una discussione: vedrete che ognuno ha la sua opinione, che non si esaurisce in un'età, ma ha bisogno di altre caratteristiche a sostegno: la maturità del corpo, quella intellettuale e così via.
Basta chiedersi perché una volta si acquisiva il diritto di voto a ventuno anni ed ora invece a diciotto.
Ma facciamo altri esempi, perché si capisca l'importanza di impadronirsi del sorite. Come pensate che si fissino i limiti delle sostanze tossiche nell'aria, nell'acqua, nei cibi? Certamente sulla base di risultati di prove scientifiche. Ad esempio, si riesce a provare con chiarezza che c'è una differenza di effetti per una data sostanza tra, ad esempio, 0,1 (nessun effetto) e 0,5 (effetto certo) microgrammi/litro. Se ci muoviamo però sulla scala intermedia, sarà difficile individuare il punto critico e quindi il limite: in altri termini è difficile provare la stessa chiara differenza tra, poniamo, 0,258 e 0,320 microgrammi/litro. Questi ambiti, dove i risultati sono meno netti, vengono definiti, non a caso zone grigie. Cosa si fa allora? Ci si mette d'accordo (una convenzione, quindi) e si stabilisce che 0,250 è il limite di riferimento a cui si applica, per ragioni di sicurezza, un fattore di riduzione (dettato a sua volta da altri criteri: diffusione, pericolosità della sostanza e così via). Mettiamo che, nel nostro caso sia di 10, ed ecco che il limite è fissato a 0, 025 microgrammi/litro.
Proviamo ad analizzare un altro tema, in questo caso più di carattere concettuale, ma con valenze politiche ed economiche importantissime: quello della differenza tra naturale ed artificiale. La manipolazione del genoma ha portato alla ribalta un problema, che era abbastanza pacificamente risolto: quello della differenza tra scoperta ed invenzione. La prima, come si intuisce, fa riferimento a oggetti esistenti in natura, la seconda a prodotti della creatività della specie umana, i quali sono tutelati dai brevetti.
In un organismo geneticamente modificato (OGM) le due cose sono molto strettamente intrecciate: se uno scopre un gene umano (che produce una proteina utilissima), lo isola, lo trasporta in un batterio e gli fa produrre quella stessa proteina, con grande vantaggio per coloro che ne hanno bisogno (questo è infatti il caso dell'insulina), quale parte di questo processo è suscettibile di brevetto? Che cos'è scoperta e qual'è invenzione? Dove stanno la natura e dove l'artificio? Non a caso le Direttive Europee sul tema, hanno subito molte revisioni e suscitato grandi conflitti.
Di esempi se ne potrebbero portare altri, ma penso che ci si possa fermare qui, perché sicuramente già ne avete in mente di vostri. L'importante è capire che la filosofia ci può aiutare a seguire il percorso della scienza, in maniera coerente e responsabile, partendo dall'uso di linguaggi appropriati che trasmettano concetti precisi e quindi suscettibili di dibattito trasparente e costruttivo. Non aiuta seguire le orme di Eubulide di Mileto e negare l'esistenza del sorite, aiuta invece accettare la sfida che questo concetto ci pone, e trarne responsabilmente le conseguenze.
Laddove i confini sono sfumati, ma è necessario trovare un limite, si tratta di cercare di raggiungere un accordo, di adottare una convenzione sulla base di una serie di criteri condivisi, avendo la consapevolezza che essi possono cambiare nel tempo, in relazione alle conoscenze e all'esperienze di una società diversa.

Il testo dell’autrice citata nell'articolo.    libri

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