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9. Bioetica Donne & Scienza:
La post-modernità e l'uomo tecnologico
parte secondaTornate all'indice degli articoli
Tornate alla sala saggisticaProcediamo nella riflessione già avviata sulla post modernità e, riferendoci al testo di Gunter Anders, L'uomo è antiquato, cerchiamo di capire ancora meglio cosa è successo in questa nostra epoca, di esplorare quel salto sociale, culturale ed antropologico, sulla cui traiettoria siamo ancora in bilico.
Anders scriveva, sempre negli anni settanta (anche se il suo libro è stato pubblicato solo nel decennio successivo), di una rivoluzione industriale (già avvenuta), di una rivoluzione dei consumi (in corso) e di una seconda rivoluzione industriale (ai suoi inizi) che avrebbe spiazzato l'homo sapiens, lo avrebbe spostato nei ripostigli della storia. Le nuove tecnologie irrompenti nello scenario della storia, lo avrebbe privato del suo ruolo di entità sociale e morale ed avrebbero limitato autonomie e libertà di scelta. I poteri forti, infatti, avrebbero usato queste stesse tecnologie per esercitare il controllo sulle masse in maniera più pervasiva e profonda.
Ritorniamo alla scienza: si è detto che essa non fornisce più certezze, ma soprattutto è ormai chiaro che conoscere di più non equivale a maggiore controllo della realtà, naturale e non, in cui viviamo. La tecnologia ha dilatato gli spazi, anche oltre i confini del mondo, e ridotto il tempo a quello reale. L'individuo, collocato in queste nuove dimensioni, non può che galleggiare in superficie (il surfacing di Bauman): il futuro è frammentato e pieno di incertezze, la complessità dei problemi rende problematica ogni previsione. Inoltre, un'altra considerazione appare inevitabile: le conquiste del sapere non hanno impedito il ritorno alla barbarie, anzi!
Infatti, non solo la tecnologia fornisce nuovi strumenti, ma legittima nuovi profili di comportamento, assetti istituzionali, processi culturali che non vengono sottoposti al vaglio di legittimità, in quanto "neutri" prodotti della ragione. L'oggettività del sapere tecnico ha acquisito uno status di verità tale da espungere altre forme dell'esperire umano: si tende ad oggettivare anche i saperi umanistici, sterilizzandoli rispetto a quegli aspetti che si sottraggono alla quantificazione o presentano le caratteristiche impalpabili di sensazioni, emozioni, passioni.
L'assunzione del sapere tecnologico a verità e paradigma costitutivo della cultura post-moderna è ardita, bisogna ammetterlo, ma ha avuto successo: basti pensare come anche la Chiesa si appella ai dati scientifici per difendere valori di carattere teologico.
In assenza di utopie, le visoni tecniche del futuro rendono impossibile e dissolvono ogni sapere sociale. L'esperienza, da cui il sapere sociale deriva, non è più un dato, un patrimonio a cui attingere, ma un percorso da fare.
La tecnologia produce anche una sorta di de-corporeizzazione dell'esperienza, la costringe in astrazioni matematiche, neutralizzando le emozioni e le ragioni che ne fanno parte essenziale. Anche Walter Benjamin aveva previsto che nell'era moderna l'esperienza sarebbe stata condannata all'atrofia, in quanto si sarebbe affidata alla mediazione tecnologica delle macchine e dei relativi assetti organizzativi. La nostra società sarebbe diventata una società astratta, essendo il contingente umano e corporeo, estromesso.
Non a caso, ci si trova anche privi di un linguaggio adeguato: esistono dei veri e propri vuoti concettuali nella rappresentazione della realtà, che rendono difficile la comunicazione e quindi la costruzione di un sapere sociale. La merce virtuale, a cui il mercato si affida in gran parte, non ha linguaggio che la rappresenti efficacemente. Baudrillard nel 1970 aveva avvertito che lo scambio di segni invece che di oggetti avrebbe modificato il mercato e vanificato le teorie sul capitale di Karl Marx, dei bisogni di Agnès Heller e così via: il principio di simulazione avrebbe preso il posto del principio di realtà.
L'arte contemporanea trova in questo contesto la sua nuova forma: essa non risponde più al canone del bello, ma rappresenta e si fa interprete della realtà. L'aspetto estetico è dismesso in nome di un aspetto semantico immediato e talvolta esasperato, che mira a farci cogliere la nuda essenza di quello che ci sta intorno.
Che ne è dunque dell'individuo in questa società? Diventa ricorrente il richiamo ad Aristotele e al suo concetto di phronesis, inteso come venire a patti con la realtà ,o in una versione più estetica, come arte del vivere.
Nella dimensione individuale, sul rapporto tra il sé e l'azione scelta, predomina l'importanza di una decisione veloce, il soggetto dunque si confronta con la responsabilità come dimensione non separabile dall'azione. I conflitti morali trovano, dunque, collocazione all'interno al sé morale. In questo non lo soccorre, come abbiamo detto, l'esperienza, ma nemmeno risorse sociali o culturali per costruire scelte morali. La modernità ha, infatti, segnato anche la lontananza della vita sociale dal dominio del dovere (Gilles Lipovetsky, Le crepuscule du devoir).L'imperativo categorico cade: anche Kant è antiquato! Ma, a livello individuale, lo è anche la razionalità funzionale e l'appiattimento della responsabilità morale sulla tecnica (Max Weber).
Pur tuttavia alla moralità si offre, nell'incertezza e nell'ambivalenza del mondo tecnologico, un'occasione irripetibile di declinare la responsabilità individuale: se tutto fosse regolato non avrei spazio di decisione autonoma, non potrei essere consapevolmente soggetto morale ed esercitare pienamente la mia libertà. Ma il significato di autonomia individuale va ri-concettualizzato rispetto ai legami sociali. E qui entra in gioco l'Altro: l'incontro ravvicinato con l'Altro è l'occasione per la nascita di sentimenti morali. La giustizia nella società moderna è spogliata di ogni illusione utopica, ci si presenta come un processo, piuttosto che come una condizione realizzabile. Le pratiche etiche possono nascere dal vivere di tutti i giorni a contatto con persone in carne ed ossa: è questo il solo modo per contrastare la de-corporeizzazione dell'esperienza prodotta dalla tecnologia.
Nell'incontro con l'Altro si misura anche quel differenziale di responsabilità che deriva ad ognuno di noi dalla posizione che occupa nella società: più margini di libertà e autonomia si godono, maggiori sono le nostre responsabilità.
Ovviamente, al posto della certezza e della fiducia (i fondamentalismi si aggrappano disperatamente ancora ad esse) si devono riscoprire il coraggio e la speranza.
Sul tema affrontato in questo articolo si può fare riferimento ai seguenti suggerimenti di lettura:
- G. Anders, L'uomo è antiquato, Torino, Bollati e Boringhieri, vol. I [Considerazioni sull'anima nell'epoca della seconda rivoluzione industriale]; vol. II [Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale], 2007, pp. 322, 434
- G. Lipovetsky, Le crespuscule du devoir, Parigi, Gallimard, 2000, pp. 366
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