Lupo della SteppaLogo del Lupo della Steppa
www.steppa.net
 

Quarto Labirinto: Golem e/o chimere: l'uomo mutante

Terzo percorso

L'idea della macchina pensante e dell'uomo artificiale (non solo meccanico) sono molto vecchie. Si tratta di un'antica aspirazione umana, fin qui risolta per mezzo della letteratura o di tentativi pseudoscientifici o con la fabbricazione di miti. Quasi sempre essa si è sposata con una rappresentazione del mostro. Anche questa tradizione influenza l'immaginario contemporaneo, nonostante le differenze intervenute con l'età industriale, come vedremo. Essa rafforza il disagio che si avverte nei confronti di possibili sperimentazioni genetiche che producano chimere o che comunque modifichino le nostre idee consolidate su ciò che è naturale e su ciò che non lo è. Forse, una sia pure parzialissima ricognizione delle figure mostruose che da millenni hanno occupato i terrori infantili e le credenze popolari potrebbe essere utile. Che cos'è il mostruoso e che cosa differenzia il passato dal presente in questo campo?

Mostri. Protagonisti dell'immaginario Il Medioevo fantastico

Una delle tante definizioni correnti di mostro, al di là della sua radice latina, è che esso è la personificazione delle forze cosmiche, sociali o spirituali non ancora imbrigliate all'interno di un ordinamento razionale; oppure che è ciò che irrompe dall'esterno, dall'alterità nell'ordine umano, e che perciò si presenta con fattezze ultraumane o subumane. Esso è comunque una minaccia, un sovvertimento, anche se non sempre, nella tradizione orale o letteraria, connotato negativamente (esistono anche mostri benigni o che trascolorano nel meraviglioso). Da un altro punto di vista, il mostro rappresenta l'invasione dello spazio intermedio che separa l'umano dall'ultraterreno-divino e dall'animalità: il mostro è il superamento di questi due confini.
Ciò che è comune a tutti questi concetti è che il mostro viene comunque concepito come una rottura dell'ordinamento supposto naturale, quello stabilmente dato e perciò in qualche modo conoscibile e controllabile. Angoscia, terrore e ribrezzo accompagnano la nostra reazione a questa rottura, assieme all'attrazione e persino a una seduzione estetica. Anche perché esso rappresenta spesso uno spazio simbolico, oltre che una dimensione interiore incontrollabile e inquietante: un mondo rovesciato, un'attrazione onirica del vuoto. Ciò che unifica la serie delle mostruosità immaginate e sedimentate nella nostra fantasia nel corso dei secoli da queste proiezioni psicologiche è insomma il mondo dell'inconscio che reagisce all'eterna paura dell'altro, alla paura del non conosciuto. Tradizionalmente il mostruoso riguarda l'informe, il deforme, l'ibrido e la chimera.
Un bel libro di Fabio Giovannini ci offre uno scenario completo di ciò che la fantasia dell'ultimo secolo ha prodotto a proposito di mostri. L'autore tenta di percorrere un'analisi sociale del mostro, perché "con i mostri ottocenteschi [...] si percepisce che il mostro e la società sono strettamente intrecciati: il mostro è una parte della società, si annida in essa, è contro di essa. E, soprattutto, "solo l'intervento umano, spesso maldestro e spinto dal desiderio del profitto, risveglia il pericolo del mostro." [Mostri. Protagonisti dell'immaginario del Novecento da Frankenstein a Godzilla, da Dracula ai cyborg, Roma, Castelvecchi, 1999, pp. 255] Con il corredo della produzione contemporanea di mostri, dalla tradizione popolare alla letteratura, al cinema, alla televisione al fumetto, Giovannini delimita intanto la differenza intervenuta rispetto a tutte le epoche precedenti. Nella contemporaneità, ovvero a partire dalla espansione della civiltà industriale e postindustriale, il mostro è generato anche dall'uomo, non è più solo il prodotto di una rottura dell'ordine naturale proveniente da un altrove come era stato nell'antichità, nel Medioevo e fino alle soglie dell'Ottocento. Per quanto, anche allora, fossero immaginati alcuni parti delle attività magico-alchimistiche dell'uomo (mi riferisco al Golem e alla fabbricazione dell'homunculus che si perdono nell'antichità caldea e egizia). Questo scarto radicale nelle cause della mostruosità, da un lato ci fa apparire davvero ingenua, quasi un artigianato della fantasia, la serie interminabile dei mostri di un tempo; dall'altro perpetua la continuità di un immaginario che risponde a meccanismi mentali che affondano le radici nell'arcaismo più remoto dell'umanità.
Comunque è vero che mentre il Medioevo eredita e arricchisce le tradizioni di mostruosità mitico-religiose greco-romane, nell'età nostra c'è un cambio di prospettiva. Un'assai parziale tabella, un abbozzo non omogeneo di inventario delle sequenze mostruose che si sono susseguite nella storia dell'immaginario collettivo occidentale, ci può aiutare a rendercene conto.

  Mitico-religiosa
Antichità
Magico-alchemica
Medioevo-Rinascimento
Scientifico-romantica
Sette-Ottocento
Scientifica
Contemporaneità
Superanimali Draghi, fenici, idre, Leviatano, Pegaso, Scilla e Cariddi, stinfalidi, tori alati, unicorni Basilischi, draghi, fenici, gargole salamandre, sagittari, unicorni   Godzilla, King Kong
Ibridi animali Cerbero, chimere, ippogrifi , Ortro Grifoni e bestiari Vampiri Vampiri
Ibridi animale-uomo- pianta Arpie, centauri, cinocefali, Gerione, Graie, echidne, sfingi, gorgoni, Kampe, manticore, Minotauro, satiri, sirene, Tifeo, uomini-lupo Sirene, Falchetto, cinocefali, manticore, uomini cornuti, lupi mannari, Melusina, teste con gambe, uomini-piante Licantropi Mostri, trasformazioni
Subumani o devianti Acefali o blemmi, androgini, antipodi, astomi ermafroditi, sciapodi Acefali, monocoli, ermafroditi, Berte dai grandi piedi, androgini, sciapodi Quasimodo Freaks, Zombie
Titanici Argo, ciclopi, Nembro, orchi Homunculus, orchi, Golem, Gargantua, ciclopi, Margotte, Morgante, streghe Frankenstein, homunculus, orchi, streghe Androidi, cyborg, Golem, robot, umanoidi, Yeti

Dall'inventario sono escluse parecchie mostruosità (come gli ultraumani ed extraterrestri: giganti, divinità, spaziali), mentre le due ultime colonne di destra sono meno folte non perché sia venuta improvvisamente a mancare la fantasia umana, ma perché è meglio, per il lettore, documentarsi direttamente sulla dettagliata ricognizione fatta da Giovannini.
Le classificazioni dei mostri che incontriamo nei numerosi studi pubblicati sui bestiari dell'antichità e del Medioevo o sulla rappresentazione di ciò che comunque è meraviglioso li catalogano da diversi punti di vista. Nella tabella la matrice di sinistra è concepita nell'ottica delle preoccupazioni attuali descritte nei due primi itinerari di questo quarto Labirinto, dove il risultato della dominante è il ruolo svolto da una tecnica, che si rivela però inferiore alle attese o fallace, producendo così dei mostri. Ma si può rivelare anche efficiente, con il risultato di mettere l'umanità di fronte ad un'altra umanità, talvolta superiore Anzi, in alcuni casi l'intervento umano possiede le caratteristiche titaniche di una nuova creazione, perché - come scrive Giovannini, a proposito dell'età contemporanea: "Quando la macchina si innesta nell'uomo anche il corpo viene emendato dalla sua animalità e diventa pulito, perché artificiale, perché pulito come l'acciaio." In sostanza, l'immaginario mostruoso contemporaneo non fa che richiamarci continuamente ai rischi della scienza, come molti filoni filosofici e religiosi.
Una ricognizione più ampia, che si estende al mondo antico e cataloga diverse forme espressive delle mostruosità leggendarie è contenuta in linguaggioglobale.com.
Un saggio di Kalikst Morawski, frutto di una conferenza tenuta all'Accademia polacca delle scienze, ormai rintracciabile solo nelle biblioteche [Aspetti teoretici della letteratura fantastica, Varsavia, Ossolineum, 1971, pp. 41], ci aiuta a collocare la specifica questione dei mostri nello scenario dell'immaginazione fantastica. C'è ancora incertezza sul significato della nozione, tutta riferita all'aspetto letterario: meraviglioso, fantasmagorico, incantevole, magico. Quanto ai generi, c'è quello che si riferisce ai mostri veri e propri (vampiri, spettri, lupi mannari, demoni, esseri dall'aspetto insolito e così via); poi troviamo il fantastico: fantascienza, favole, leggende, miti, poliziesco, utopie e così via. La grande differenza tra questa letteratura moderna e quella medievale è che, in genere, la gente oggi non ci crede.
Le descrizioni di Dante per gli ascoltatori erano verosimiglianti, mentre già in Ariosto si conveniva che si trattasse di una dimensione fantastica. Non è che nel Medioevo si fosse più ingenui quanto, come dire, di un giudizio sospensivo legato all'interpretazione teologica: se i mostri esistono hanno un'anima? sono anch'essi figli di Dio? Valeva ancora a quel tempo (e varrà ben oltre la fine del Medioevo) l'impostazione di una filosofia della storia come quella di Agostino di Ippona, secondo la quale se i mostri esistono non possono che essere l'espressione della volontà di Dio, ossia fanno anch'essi parte della creazione. Ma, si badi bene, si tratta della creazione divina non di una inammissibile interferenza umana, che Agostino non prende nemmeno in considerazione.
Se si vuole avere una sintetica idea dell'immaginario mostruoso nel Medioevo conviene vedere la ricognizione iconografica di Jurgis Baltrušaitis che, oltre a fornire un vasto campionario di creature straordinarie, estende la ricerca anche all'Estremo Oriente, luogo abitato da animali fantastici, da genti mostruose, e dove avvenivano fenomeni naturali straordinari. [Il Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell'arte gotica, Milano, Adelphi, 1993, pp. 376]
Si potrebbe risalire nel tempo, fino all'antichità, ma le indicazioni di cose da leggere sarebbero troppe. Sarebbe necessario cominciare dall'Odissea omerica e procedere per frammenti (come nel caso di Ctesia di Cnido), oppure leggere le epiche meravigliose o tragiche (da Apollonio Rodio a Valerio Flacco). Ma una delle fonti principali delle meraviglie antiche rimane la Storia naturale di Plinio, i cui capitoli centrali (VII Antropologia, VIII-XI Zoologia, XII-XIX Botanica) contengono indicazioni per noi interessanti, ma che è troppo vasta per essere qui proposta.

Frankenstein Faust Golem

Invece, per l'età moderna e contemporanea scegliamo tre esempi.
Con il caso del Frankenstein di Mary Wollstonecraft Shelley (pubblicato nel 1818) cominciamo ad entrare nella reazione romantica all'Illuminismo e nell'accezione moderna della produzione del mostruoso. [Frankenstein o il Prometeo moderno, Roma, Fanucci, 2004, pp. 246] Il sogno su cui si basa il Frankenstein è simile a quello che subito dopo vedremo nel Faust di Goethe, ma in Mary Shelley il divino è scomparso, non c'è nessun patto con il diavolo ma una ricerca di laboratorio compiuta dal protagonista, sia pure con una regressione nell'alchimia. Dichiara Victor Frankenstein: "...con una confusione di idee, giustificata solo dalla mia estrema giovinezza e dalla mancanza di una guida in tali materie, avevo percorso a ritroso gli scalini della conoscenza lungo i sentieri del tempo, e avevo sostituito alle scoperte dei ricercatori moderni i sogni alchimistici dimenticati." Il mostro creato da Frankenstein cerca di essere accettato, è mite e intelligente. Diventa malvagio proprio a causa del rifiuto da parte degli umani ed è qui che il romanzo si riallaccia alla tradizione antica: l'uomo non riesce ad uguagliare la creazione. Se tenta di farlo ne scaturiscono mostri: le copie sono "schifose", rese "ancora più orride dalla stessa somiglianza".
La seconda parte del Faust di J. Wolfgang Goethe (pubblicata postuma nel 1832), in cui l'ex assistente di Faust, Wagner, dà corpo all'homunculus attraverso tecniche alchemiche, si ricongiunge ad una tradizione ancora più antica: "Ecco! La massa assume chiara tinta, / l'anima mia è più che mai convinta / Il mister che in natura si ammirava / noi per via razionale osiam tentare / e ciò che in organismo essa formava / noi nel cristal facciam depositare"........"Vibra il cristal con armonia potente / s'intorbida, schiarisce: deve riuscire! / Nella fiala un omino ecco gestire, / pieno di grazia assai garbatamente". [Faust, Milano, Rizzoli, 2005, pp. 1062] L'homunculus è un essere superiore il cui potere è di penetrare i sogni e le visioni, di leggere il pensiero, di predire il futuro, vuole insomma penetrare l'esistenza. Anche in questo caso, nonostante l'atmosfera mistico-alchemica, siamo già nella sfera della cultura scientifica moderna. C'è il tentativo di un uso razionale dei mezzi disponibili - nonostante nella vicenda ci sia di mezzo tutta la coda del diavolo - per produrre quello che, comunque, rimane nell'immaginario una mostruosità.
Anche il terzo modello di mostro moderno affonda le radici nella remota antichità, pur essendo stato scritto nell'inoltrato Novecento. Il Golem di Gustav Meyrink [Il Golem, Milano, Bompiani, 2000, pp. 268], arrivato a noi attraverso la tradizione talmudica, appartiene al filone rabbinico nato nel II e III secolo e, nel corso del tempo, ha subito diverse trasformazioni. Anche qui, in ogni caso, si tratta della creazione di una creatura da parte dell'uomo, ma senza alcun impiego di mezzi parascientifici, rifacendosi all'esoterismo della cabala. Anche qui il Golem diventa pericoloso per i suoi poteri sovraumani. Perciò conviene distruggerlo cancellando le scritte che ha sulla fronte, tanto più che non ha un'anima: è semplice materia vivente. Cosa sono quelle scritte che permettono alla materia bruta di animarsi? Sono le lettere sacre dell'alfabeto ebraico che debbono essere connesse in una precisa e ripetitiva configurazione. Gli amanti del fantastico potrebbero scorgervi una premonizione delle quattro lettere con cui viene contrassegnata la combinazione di base del DNA (ATGC) e la tripletta che dà origine alla sintesi di una proteina.
In conclusione, se riconducibili all'azione umana, gran parte dei mostri moderni dell'immaginario occidentale rappresentano l'hybris del pensiero greco, ossia qualcosa che è "ingiustizia, prevaricazione". Nel senso di uno stravolgimento di ciò che è armonicamente stabilito per mantenere in equilibrio l'universo. E questo equilibrio, come abbiamo detto, comporta una divisione netta tra sfera umana e sfera animale, un po' meno netta tra sfere umana e divina, alla quale ultima l'uomo aspira ad innalzarsi. Il pericolo vero dell'hybris è quello della degradazione dell'uomo verso l'animalità, verso una contaminazione che può trascinarlo nella ferinità, da dove inconsciamente sospetta di provenire.
"D'altro canto - scrive il già citato Marchesini - è evidente come lo spauracchio del peccato di hybris contro la natura violata nasconda ben altre preoccupazioni. Sono i fantasmi teriosferici [ossia della mostruosità animale] non completamente sopiti nell'uomo del Neolitico e ampiamente presenti nella tradizione culturale, che di colpo prendono forma sotto le spoglie macchiniche e spaventano a morte l'uomo". E aggiunge che "il postumanesimo cambia completamente l'orientamento nei confronti dell'hybris che da rischio, pericolo, peccato, diventa motore di coniugazione dell'uomo con il mondo".
Ci sarebbe da continuare per riallacciare lo spavento dell'umanità per il mostruoso, per ciò che eccede l'umanità, al mito dei Titani e, in particolare a quello di Prometeo. Mito non a caso ricorrente in molte delle correnti filosofiche nichiliste del Novecento. Ho anzi il sospetto che tutti i cantori contemporanei dell'ultraumano siano i figli diretti dei deliri sul superuomo del primo Novecento e che ora, impossibilitati a ripetersi a causa della responsabilità culturali che hanno avuto per le tragedie del secolo scorso, non trovino di meglio da fare che trasferirsi al sogno di una transumanità. Operazione del tutto speculare, come abbiamo visto nella seconda parte di questo quarto Labirinto, a quelli che per reazione accusano la tecnologia di tendenze prometeiche, di essere portatrici di una moderna hybris che rompe l'ordine naturale del mondo, finendo per travolgere l'umanità.

Quarto percorso

Un quarto percorso degli itinerari di questo quarto Labirinto è necessario. Ovviamente, sono troppe le indicazioni e gli aspetti rimasti fuori da un'esplorazione che non può non essere accidentata e che per definizione appare contraddittoria e non conclusiva. Del resto, quando mai un labirinto è lineare? Quando, per di più, stiamo parlando di qualcosa che mette in questione un'etica millenaria? È chiaro che la maggior parte degli interrogativi sollevati nei precedenti itinerari hanno sullo sfondo il problema del rapporto tra tecnologia e società, da un lato, e tecnologia ed etica, dall'altro. Termini separabili, peraltro, solo in via astratta.

La mente etica L'anima della tecnica Dal mondo del pressappoco

Per chi volesse approfondire ulteriormente la questione, suggerisco l'estesa bibliografia di Leone Montagnini su Innovazione e Responsabilità nella Information Society, che affronta una parte di questi temi. È contenuta nel sito della Fondazione Bassetti [cercare con la parola chiave bibliografia]. Si tratta di un sito assai interessante, interamente dedicato al problema dei rapporti tra tecnologia e società. La rassegna sceglie un modello di riferimento preciso, quello delle Information technologies. Il paragrafo riguardante La società del Golem cita tutti autori tecnofobi, sulla scia di Heidegger. Certo, è assolutamente necessario confrontarsi con quegli autori, soprattutto - a mio parere - con Gunther Anders, forse meno noto al largo pubblico, il quale solleva interrogativi inquietanti e interessanti. L'insieme delle indicazioni ha comunque il pregio di collocare la questione tecnologica nel più vasto e dirimente alveo della struttura socio-economica contemporanea.
Tuttavia, il complesso delle domande sollevate in questi itinerari ne sottolinea la problematicità soprattutto per quanto riguarda la genetica, piuttosto che per l'informatica, anche se i due campi sono destinati a convergere. Si può pensare che il nostro orizzonte etico sia messo molto meno in crisi dall'ipotesi dell'intelligenza artificiale, di quanto non ci solleciti ad una riflessione più attenta il tema della biologia genetica. Del resto, se c'è un campo in cui più radicale si va facendo la sottrazione di materiale e di competenze ad argomenti per il passato trattati solo dalla teologia, dalla filosofia e, in generale, dalla generica cultura umanistica, questo è proprio quello della biologia.
Un recentissimo testo di Edoardo Boncinelli [L'anima della tecnica, Milano, Rizzoli, pp.173] si dispone sul versante del postumanesimo, anche se non so quanto il valente biologo e divulgatore accetterebbe questa collocazione. Si tratta di un piccolo e singolare libro; singolare per la sua semplicità espositiva, che riesce a nascondere assai bene lo sforzo di sintesi compiuto nel disegnare un panorama completo del rapporto umanità-tecnologia, anche dal punto di vista storico. Ma ho idea che l'autore si sia anche divertito a scriverlo. Un'operazione didattica di grande valore che sarebbe bene leggere anche nelle scuole.
Boncinelli affronta la questione della diffusività della tecnologia (e della tendenza moderna all'esattezza) riprendendo, tra l'altro, le osservazioni di Alexandre Koyré, uno dei maggiori epistemologi del Novecento [Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione, Torino, Einaudi, 2000, pp. 134]. Anche questo è un "piccolo" libro che bisognerebbe leggere. Boncinelli parte da lui per proporre un'analogia tra la scrittura e la tecnologia. "Quando [la scrittura] non esisteva non esisteva, ma da quando esiste e laddove esiste si presenta come un fenomeno universale. Ci può anche essere qualcuno che è analfabeta, ma costui o costei, sa che rifiuta qualcosa di reale e di socialmente diffuso."
Tutto ci riporta, insomma, non alla tecnologia in sé ma alla struttura sociale e produttiva. Di fronte alla complessità raggiunta dalle società moderne e all'assoluta complicazione dei rapporti di causa ed effetto che legano tutte le sue parti, è molto facile - aggiunge l'autore - accusare una di esse, più facilmente le macchine, la tecnica. In fondo - osservo - la tecnologia è qualcosa di impersonale e si corrono meno rischi a condannarla che a prendersela direttamente con gli uomini in carne e ossa. Questo atteggiamento continua la tradizione umanistica ereditata dai greci nella quale la macchina era praticamente considerata un inganno, un trucco per aggirare la natura le cui proprietà non erano affatto chiare e confinavano con l'illusionismo. "L'utile e il pratico insomma rimanevano abbondantemente fuori del regno del buono, del vero e del bello" - scrive Boncinelli. Le arti meccaniche rimanevano vili, il che mi ricorda che in certi ambienti culturali odierni non si esita a denotare la parola meccanico con una sfumatura non poi tanto nascosta di spregio. Ciò che sembra importante è l'astrazione, il liberarsi dalla vile materia per ascendere non si sa dove, piuttosto che il fare. Come se la realtà si potesse conoscere per via speculativa e non smontandola e rimontandola. Eppure, la riappacificazione, l'alleanza tra pensiero astratto e meccanica in senso lato rappresenta il cuore del mondo moderno e contemporaneo. Rappresenta la nascita della scienza. Perciò, quello che era comprensibile in una fase della civiltà umana come quella di duemila e più anni fa, oggi - meglio, da due o tre secoli - diventa francamente puerile. Persino nella individuazione della vita si richiede un approccio meccanico, nel senso della comprensione del funzionamento delle sue diverse parti, a tutti i livelli. "Il lato comico della questione è rappresentato dal fatto che molti di coloro che biasimano una visione del corpo basata su meccanismi, vanno poi vantando l'esistenza di altri specifici meccanismi psicologici e sociali delle più diverse nature, per i quali non esiste alcuna evidenza" - sorride Boncinelli. Peraltro, il funzionamento delle macchine esterne, ci ha aiutato non poco a comprendere quello della macchina interna, anche dal punto di vista biologico.
Insomma, è il fare unito alla capacità di astrazione il nocciolo della conoscenza, e non l'astrazione da sola. Solo così possiamo sapere ciò che la natura ci permette di fare e quello che ci nega in quanto contrario alle sue leggi. Come scrisse Galileo Galilei, "i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta". L'unica eccezione ammissibile riguarda la matematica, sul cui statuto ancora si discute. Boncinelli fa l'esempio, tra tanti altri, delle nanotecnologie, di cui compie una rassegna. Tutto il mondo organico possiede una nanostruttura e, a quel livello, la materia assume comportamenti nuovi e sorprendenti. Tanto che "la sperimentazione condotta sui materiali più diversi al livello della loro nanostruttura, ci sta facendo scoprire fenomeni che erano veramente difficili da prevedere rimanendo su un piano puramente teorico."
Affrontata la questione generale, per così dire meccanica (ma Boncinelli rifiuta il meccanicismo rozzo), nella seconda parte del lavoro l'autore passa ad esaminare più da vicino il tema della biologia e della genetica. In particolare del funzionamento in parallelo del sistema nervoso cerebrale e dell'impiego della cosiddetta logica fuzzy, ossia sfumata, nella quale - oltre al e al no - è ammesso il forse. Anche il cervello si organizza con una logica a spanne che, per un essere vivente può essere "molto più efficace di una rigida e flessibile". Il punto chiave è però costituito dagli effetti, dai rapporti delle tecnologie, soprattutto informatiche, con il nostro cervello. Qui si colloca anche il problema del rapporto con l'arte, laddove all'ambiguo e all'indistinto propri dell'arte corrisponde la nostra naturale propensione verso l'imprecisione, dovuta proprio all'alto grado di parallelismo del nostro sistema nervoso. Senza il quale, peraltro, non saremmo nemmeno nati come specie. Forse è anche in questa dimensione che si collocano l'inconscio e - aggiungo - l'intuizione e la creatività. È qui che, per Boncinelli, risiede la profonda differenza tra un computer e un cervello organico, nel quale esiste "un intrinseco, alto livello di parallelismo che caratterizza tutto l'operato della nostra mente precosciente." Per quanto riguarda il futuro, ossia l'adozione di un approccio evolutivo o genetico nella costruzione dei circuiti dei computer, "staremo a vedere" - conclude l'autore. Ma se mettiamo in campo un processo di apprendimento ed evolutivo per futuri robot, allora dobbiamo sapere che i risultati non saranno robot tutti uguali. Una possibile risposta, intanto, potrebbe risiedere nell'adozione per i computer delle reti neurali (reti neuro-fuzzy), sul modello di quelle esistenti nel cervello umano. Ma esse non potranno funzionare secondo gli schemi organici, e non solo a causa della densità e della complessità enormi del cervello umano: 30.000 geni, 10.000 proteine, 100 miliardi di neuroni, 100.000 miliardi di connessioni. Occorre anche fare i conti con la straordinaria plasticità del cervello, che dura tutta la vita.
Il libro si conclude con un capitolo intitolato Centauri, cyborg e ippogrifi, né terrificante né mirabolante, dal momento che se "il nostro corpo sembra sempre più vicino ad essere popolato da congegni elettromeccanici mirati, magari piccoli o piccolissimi", "chi non capisce o finge di non capire tutto questo [ossia, la reale natura della rivoluzione scientifica] se la prende con la tecnica, il capro espiatorio delle nostre miserie oltre che il vanto della nostra operatività."
Forse, i problemi sollevati in questi itinerari potrebbero essere meglio messi a fuoco guardando a quanto sta accadendo, piuttosto che ad una prospettiva futuribile. Specialmente per quanto riguarda il ruolo della biologia genetica e, in particolare, della neurobiologia. Se ne occupa Michael S. Gazzaniga, un neurofisiologo genetista che fa molto discutere, il quale tenta un'incursione (non è la prima volta che lo fa) in quella che definisce la neuroetica, con un libro pubblicato nel 2005, ora tradotto in italiano e in corso di distribuzione nelle librerie [La mente etica, Torino, Codice edizioni, 2006, pp.177] Sull'etica, l'autore sa di cosa parla, perché dal 2001 è membro del President's Council on Bioethics degli Stati Uniti.
Si tratta di un testo così ricco di stimoli da costringere a citare solo alcuni degli spunti in esso contenuti. Rappresenta uno sfondo molto circostanziato per ripensare agli interrogativi sorti lungo i nostri precedenti itinerari, anzi, per rimettere i piedi a terra. Tra l'altro, il suo pregio è non solo quello di fornire informazioni fresche e attendibili sulle frontiere attuali della neurobiologia, ma di entrare nel merito del rapporto tra interventi genetici possibili e credenze (dove il termine credenza sta per qualsiasi categoria o convinzione che assumiamo per giudicare ciò che accade nel mondo). Proprio i meccanismi cerebrali di formazione delle credenze sono stati oggetto di indagine neurologica da parte dell'autore, anche a proposito dei processi automatici che avvengono nel cervello. Il che ci costringe a riflettere sulle idee consolidate che abbiamo circa il libero arbitrio. Gazzaniga ne ha parlato anche qualche giorno fa nel corso del Festival delle scienze SconfinatamenteMente tenutosi all'Auditorium di Roma. La sua impostazione è di ammettere sia l'importanza dei geni, sia dell'ambiente, sia della casualità nella formazione della nostra personalità, ma con una propensione a sottolineare il ruolo del fattore genetico e il funzionamento in una certa misura deterministico del cervello. Il che potrebbe persino avere un riflesso giuridico nei comportamenti criminali, spostando giocoforza l'attenzione dalla responsabilità oggettiva all'intenzionalità del soggetto. È il problema del rapporto tra automatismi cerebrali e coscienza: siamo dotati di libero arbitrio o solo di libero veto, come sostiene Vilaynur Ramachandran? Il punto è che la formazione delle decisioni e della volontà è un processo assai complesso che parte dalle risposte automatiche, predeterminate dal confronto evolutivo con il mondo esterno, fin dal livello di singoli neuroni, e arriverebbe alla nostra coscienza solo a decisione, per così dire, preformata. La conclusione dell'autore, dopo un'interessante comparazione di dati sperimentali e clinici è che "in termini cerebrali, il cervello è predeterminato, ma la persona è libera [...] la nostra libertà si trova nell'interazione sociale." La responsabilità è insomma un costrutto culturale necessario; fa parte dell'evoluzione culturale. L'analisi neurale non può dire nulla di più su questo punto.
Gazzaniga, poi, al contrario di Boncinelli sostiene la possibilità di completare l'individuazione dei geni implicati nell'intelligenza, o almeno, nei suoi meccanismi, e quindi di intervenire o per via farmacologia o con altri mezzi. Ma non ne fa una dramma, anzi: "aumentare le dimensioni del bacino di persone intelligenti non cambierà i nostri valori né li metterà in crisi". Però, si sta ancora discutendo su cosa sia l'intelligenza, per cui qui si parla semplicemente della possibilità di acuire alcune capacità mentali e/o fisiche, senza avere gli effetti delle droghe e danni collaterali. Un bel problema visto la massiccia somministrazione di Ritalin (un farmaco del sistema nervoso che deprime la sfera emotiva e comportamentale ed esalta la concentrazione) ai bambini statunitensi, pratica che comincia sciaguratamente a diffondersi anche in Europa, come ha denunciato nella stessa conferenza il neurobiologo Steven Rose. Per il resto, è abbastanza sicuro che la prossima società, più che nel passato, sarà una società delle pasticche. Riemergono qui le preoccupazioni per un controllo sociale di massa attraverso la somministrazione di farmaci, magari senza imposizione diretta, ma attraverso il circuito molecolare produzione-pressione sociale-consumo, come sta già avvenendo, appunto, nel caso del Ritalin.
Le questioni riguardanti la memoria - molto più soggettiva e plasmabile (e perciò artefatta) di quanto siamo abituati a credere - e l'uso di tecniche neurologiche per prevenire comportamenti asociali, sono altri due capitoli affrontati da Gazzaniga. Per quanto riguarda il secondo, ciò che potrebbe essere in pericolo è lo scardinamento della nostra privacy cognitiva attraverso tecniche di Brain imaging ulteriormente perfezionate, molto al di là dell'attuale approssimazione della macchina della verità. Può darsi - asserisce l'autore - che le prove neurologiche (la verità cerebrale) siano in futuro ammesse nei tribunali, come è accaduto per il DNA e le impronte digitali. Naturalmente ciò che viene subito in mente è il film Minority Report con Tom Cruise, dove le persone venivano arrestate immediatamente prima di commettere un delitto. Solo che là si ricorreva all'artificio fantascientifico di sensitivi che segnalavano il caso attraverso una ricostruzione video di ciò che percepivano. Qui si tratta di test già in corso da tempo, nonché di un monitoraggio dei risultati e di un finanziamento continui da parte delle forze militari e di sicurezza, visto che le aree cerebrali implicate nella bugia sono ben individuate.
Infine, molto interessante (per la verità è il capitolo iniziale) è la discussione sullo status etico dell'embrione. Un tema di forte attualità ovunque. Al di là delle convinzioni scientifiche ed etiche di Gazzaniga (favorevoli alla sperimentazione, con l'ovvio sbarramento del quattordicesimo giorno dal concepimento), c'è un argomento da lui presentato che ci fa cogliere quanto credenze etiche e convinzioni siano oggi disarticolate. L'autore fa l'esempio della donazione degli organi, laddove si è universalmente d'accordo sul concetto di morte cerebrale, dopo di che si può procedere all'espianto. Ma, osserva, noi consideriamo pienamente vita quella di un neonato al secondo o terzo trimestre, quando vi alberga all'incirca la stessa vita mentale di chi consideriamo cerebralmente morto. Che dire allora nei confronti di uno stato biologico di molto anteriore come quello dell'embrione?
Debbo poi dire che una delle finestre più interessanti del lavoro di Gazzaniga riguarda la domanda se possa esistere una morale universale e se le neuroscienze ci possono aiutare a costruirla. L'autore è ottimista. Per quanto mi riguarda sono solo speranzoso.
Per concludere, per riassumere il senso di questo lungo Labirinto debbo sottolineare che non si è affatto inteso sostenere che non debba esercitarsi una funzione critica nei confronti della tecnologia: tale pratica è infatti assolutamente necessaria, anche per addomesticarla. Si è voluto solo sottolineare che mentre discutiamo dobbiamo continuare a sperimentare, a far avanzare comunque la conoscenza. E anche richiamare l'attenzione sul fatto che non essendo la tecnologia qualcosa di neutrale, di autonomo, essa rinvia a qualcosa d'altro. È su questo altro che dovremmo concentrare il nostro interesse principale: sui fattori che ne orientano le scelte e sulle condizioni e i rapporti di potere che ne consentono l'utilizzazione e la diffusione. Ma qui entreremmo in un labirinto assai diverso.

Torna al primo e secondo percorso di questo labirinto
Torna all'indice dei labirinti
Torna in biblioteca

IndietroAvantiHome PageCerca nel sitoContattaci