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1. Meccanica della fantasia:
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Gortina (Creta), il codice delle leggi inciso nell'Odeon"Meccanica della fantasia" si chiama questa rubrica, con riferimento al fatto che la fantasia si esercita spesso in letteratura e in arte inventando meccanismi, oppure mediante strutture formali che funzionano meccanicamente (come nel caso di certa letteratura potenziale o di certi allestimenti scenici). Come la tecnologia si insinui nell'invenzione artistica è un tema che affascina, ma la fantasia meccanica non potrebbe esercitarsi se non ci fossero anche strumenti adatti, se non esistessero supporti che al mondo meccanico alludono. Se inizio il mio viaggio dalla letteratura, non posso ad esempio fare a meno di notare che l'invenzione letteraria è da sempre collocata, al fine di assicurarne un appagamento estetico e funzionale, su una speciale intelaiatura: ciò che oggi chiamiamo genericamente "libro". è un supporto che potremmo anche considerare alla stregua di una macchina, che ovviamente manca di uno dei suoi caratteri fondanti, il movimento autonomo, e tuttavia macchina che funziona, secondo modi meccanicamente ripetitivi e mediante una manipolazione dalle norme abbastanza rigide.
Come ogni macchina, quel che oggi maneggiamo in un libro non è che il modello ultimo di un'evoluzione lunga e articolata, e il cui inizio possiamo ragionevolmente individuare – riferendoci a quel crogiolo mediterraneo che dà origine all'Occidente – in un oggetto semplice, ma macchina esso stesso: il volumen, vale a dire l'antico rotolo di papiro che supportava la scrittura. Dopo l'elementare incisione su pietra, tavolette di legno, pelle d'animale e piombo, il materiale scrittorio più largamente usato, fin dal VII secolo a.C., diventò infatti il papiro, detto bìblos, da cui discende tutta una intuitiva linea etimologica. Per ottenere dei fogli bisognava appiccicare bande filamentose l'una all'altra e a queste sovrapporre ad angolo retto un altro strato di filamenti. I fogli ottenuti erano alti 25-30 cm e larghi attorno ai 20-25: venivano incollati 1'uno all'altro fino a ottenere un rotolo.
Costituito da una ventina di fogli, che nel complesso formavano una banda lunga fino a 10 metri, il rotolo era scritto su colonne indipendenti disposte perpendicolarmente alla lunghezza (erano un po' le "pagine" del papiro), a partire dall'estremità sinistra, punto da cui si cominciava ad avvolgere il papiro attorno al bastoncino detto omphalòs, "ombelico". Su una strisciolina detta syllabos, attaccata all'ultimo foglio del rotolo, e sporgente in modo da poter essere letta quando il rotolo era chiuso e collocato sugli scaffali, era indicato il titolo dell'opera.
La lettura di un rotolo di papiro richiedeva un alto grado di padronanza tecnica. Veniva maneggiato come due cilindri tenuti da ambo le mani: si prendeva il rotolo nella mano destra e lo si svolgeva progressivamente con la sinistra, che dunque tratteneva la parte già letta: una volta ultimata la lettura, il rotolo era completamente avvolto nella mano sinistra. Era possibile variare liberamente l'apertura del rotolo, in modo da scorrere una o più colonne di scrittura: il lettore aveva così sott'occhio varie colonne, e poteva agevolmente passare dall'una all'altra, il che determinava ciò che è stato definito the panoramic aspect della lettura. Per leggere ci si poteva appoggiare a un leggio di legno, si poteva montare il rotolo su una colonna di supporto che lo sosteneva, oppure, se il lettore era seduto, lo poteva tenere appoggiato in grembo. Il libro come oggi lo intendiamo giunge dalla scrittura sulle tavolette cerate, che per comodità erano incernierate tra loro su un lato, formando ciò che in latino si chiamava codex, "codice". La sua comodità rispetto al volumen fu un fattore essenziale del rapido tramonto del rotolo, anche se va messa in conto la maggiore capacità di accumulo di dati del codex: con la sua disposizione a strati, esso genera un deposito ottimizzato cui si può accedere mediante l'indice, che consente lo sguardo d'insieme e il ricorso mirato a singoli passi.
La lettura del codex era parecchio diversa da quella del rotolo: per orientarsi al suo interno e individuare determinati passi era necessario sfogliarlo. Il codice determinò pertanto una maniera nuova di leggere: la parte dello scritto che si offriva al lettore era predeterminata dalla misura conclusa della pagina e impediva una visione d'insieme. Questo favoriva la lettura frazionata, pagina dopo pagina, per segmenti di testo, cosa che rendeva più chiaro il senso al lettore. Se il rotolo aveva concesso anche una lettura oziosa, grazie al panoramic aspect della sua fruizione visiva, ora il codice trasfigurava la lettura e la rendeva attenta e concentrata.
La configurazione particolare di ogni pagina, con i suoi caratteri grafici e spaziali, consentiva anche il formarsi di una memoria visiva di determinati luoghi. La forma stessa con cui era ideata la pagina permetteva di esercitare, mediante pause e richiami, la pratica della mnemotecnica, erogando la sensazione di una libera individualità del processo di lettura (la stessa impressione di parziale soggettività che ha l'addetto a una macchina utensile).
Inoltre, poiché richiedeva il sostegno di una sola mano, lo strumento concedeva una lettura ben più agile. Ciò non si avverava quando il codex era di dimensioni imponenti e dunque di uso disagevole, da consultare più che da leggere. In generale, il disimpegno di una mano permetteva all'altra di scrivere, e quindi di apporre note sui margini del codice e non solo: anche sulle parti vuote, sulle carte di guardia, sui piatti interni della legatura: tutto poteva accogliere note e commentari. Il codice annotato imponeva una lettura coordinata tra testo principale e testi accessori, una lettura fortemente impegnativa e riservata a pochi. Come a dire: governare una macchina complessa implica un rodaggio.
1932. Tullio d'Albisola e Filippo Tommaso Marinetti, Litolatta.
dal sito di Tullio d'AlbisolaTutte queste operazioni (srotolare, sfogliare, osservare, annotare ecc.) provano che il libro è una sorta di macchinario, uno strumento da fruire comunque con metodica macchinale, e che il passaggio dal volumen al codex è quello da una macchina all'altra. Il futurismo ha sottolineato la questione quando ha trasformato il libro in un oggetto di metallo che allude a parti di una costruzione meccanica: succede col famoso volume imbullonato Depero futurista del 1927, e succede anche con la "lito-latta", il libro litografato su lamiera di cui esistono due straordinari esempi (Parole in libertà futuriste olfattive tattili termiche di Marinetti, del 1932, e L'anguria lirica di Tullio d'Albisola, del 1934). Detto così per i fogli metallici e per la rilegatura che consiste in due grossi bulloni con dadi, il volume imbullonato è un oggetto eterodosso, non collocabile accanto ad altri: non a caso una nota suggerisce che «imbullonato come un motore pericoloso può costituire un'arma-proiettile inclassificabile non si può collocare in libreria e neppure sugli altri mobili che potrebbe scalfire».
Guardando al libro come a un macchinario, notiamo che il papiro implica uno srotolamento e una lettura su colonne, il libro uno sfogliamento e una lettura da sinistra a destra, per riga e per facciata; se poi è lito-latta o volume imbullonato, lo sfogliamento dovrà anche essere compiuto con la delicatezza necessaria a evitare un infortunio, proprio come quando si maneggia per lavoro una macchina utensile. In ogni caso, vuoi col volumen vuoi col codex, l'operatore acquisisce lungo l'esistenza l'abilità per aumentare la velocità del lavoro, proprio come succede nell'uso delle macchine.
Oggi il modo di leggere – cioè di far funzionare la macchina – comporta positure e tecniche diverse dal passato. Si può leggere distesi per terra, appoggiati al muro, seduti a un banco di consultazione, con i piedi poggiati sul tavolo. I normali supporti dell'operazione (tavolo, banco, scrittoio) sono adoperati in modo improprio, come appoggi per corpo e arti, più che per il libro aperto. Si va imponendo un nuovo modo di leggere (cioè di usare la macchina-libro) che implica sempre più un rapporto fisico con la macchina passiva, un abbraccio diretto e anche intenso: il libro è oggi manipolato, forzato, fatto proprio mediante un uso intensivo che lo spiegazza, lo rovina. L'uso odierno della macchina è insomma gravato da rapida usura, ma invece di rendere obsoleto il supporto, il deterioramento ne concede un possesso personalizzato, come se il moderno lettore fosse una sorta di luddista che mira a rifondare il valore dello strumento artigianale, da usare nel modo più libero possibile.
Una volta entrati nell'idea che leggere un libro sia atto meccanico attuato dall'uomo-macchina, sarà facile comprendere l'inclinazione a fare della stessa scrittura d'invenzione qualcosa che allude al mondo meccanico. In fondo la fantasia meccanica – fenomeno moderno per eccellenza – è un ritorno all'attinenza meccanica del supporto. A partire dal momento in cui lo si comprende (e molto dobbiamo alla sensibilità delle avanguardie), la fantasia concede ampio sfogo alla sua meccanica. Ciò è stato storicamente possibile proprio grazie all'aura di "macchina" del libro.
The Espresso Book Machine (EBM)
Macchina per stampare un libro rilegato su ordinazioneTorna in biblioteca