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3. Note critiche:
La terza fase della crisi e l'esercito di Cambise

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Se la grande crisi fosse un videogioco, potremmo dire che siamo arrivati alla terza fase, al terzo livello: nella prima bisognava salvare le banche, nella seconda bisognava salvare le imprese, ora bisogna salvare interi paesi.

La prima fase è incominciata il 15 di settembre del 2008. Quel lunedì la banca d'investimento Lehman Brothers è crollata, provocando una ondata di panico tale da portare l'intero sistema economico a un passo dal collasso.

La seconda fase è cominciata alla fine del 2008 con il lancio di programmi di aiuto straordinari per contrastare il rischio di sprofondare nella recessione. Il sostegno all'economia ha provocato buchi formidabili ai bilanci degli Stati. La risposta alla crisi ha determinato l'esplosione dei deficit pubblici dei principali paesi occidentali, a partire dagli Stati Uniti e Gran Bretagna. Finora si era pensato che per riportare la situazione alla normalità, i governi dovessero mettere a disposizione risorse a sufficienza. Ma l'espansione della liquidità, dovuto al finanziamento dei deficit sta provocando tre conseguenze:

  1. alcuni Paesi stanno finendo le risorse e la crisi continua;
  2. come ripianare i deficit per eliminare le conseguenze delle prime due fasi della crisi? Per riportare il debito pubblico europeo a livelli tollerabili - stima la BCE - ci vorranno interventi per i prossimi venti anni in termini di aumenti delle tasse e di tagli delle spese: in sintesi un riequilibrio dei conti pubblici attraverso politiche restrittive. Per salvare il mondo della finanza si calcola che l'Unione Europea abbia speso finora una somma enorme, pari al 25 per cento del suo Pil.
  3. la terza conseguenza è sotto gli occhi di tutti: l'espansione monetaria, la cosiddetta moneta facile, senza la riforma finanziaria, ha semplicemente reinnescato la speculazione finanziaria, senza effetti significativi sul processo di ripresa.

Emerge sempre più chiaro dunque un altro aspetto tenuto finora in ombra: la politica degli stimoli, degli incentivi, non solo deve fare i conti con la disponibilità delle risorse necessarie, ma prima o dopo incontra la natura vera della crisi: cioè se la crisi è il frutto di semplici squilibri malgovernati, o se invece la crisi è il prodotto di un eccesso di capacità produttiva, di una sovrapproduzione strutturale. Nel secondo caso la politica degli stimoli incontra un limite invalicabile e l'azione di stimolazione degli Stati si riduce soltanto a posticipare la resa dei conti.

La terza fase, il rischio bancarotta di paesi interi, può partire dalla esplosione del caso Grecia; per la prima volta nella sequenza innescata il 15 settembre del 2008, il rischio bancarotta coinvolge uno Stato. La Grecia come la Lehman Brothers. I primi due livelli della crisi hanno posto delle questioni che, anche se riduttivamente, possiamo definire economiche; con il terzo livello, la crisi entra in una fase nuova, specificamente politico-istituzionale. Come intendono collaborare gli Stati, per salvare uno Stato? Come il rischio-bancarotta di uno Stato e la conseguente necessaria politica di salvataggio, può spingere in avanti il passaggio da una integrazione economica ad una integrazione politica di una intera area oppure rovesciarsi nel suo contrario?

Finora,nonostante le enormi risorse messe a disposizione,la macchina stenta a rimettersi in moto.

La sola cosa che cresce a ritmi di record è l'ammontare dei debiti. L'espansione della liquidità dovuto al finanziamento dei deficit fa crescere il debito sul pil velocemente in tutti i paesi, e l'unica attività in vera ripresa è quella della speculazione finanziaria. Altro che keynesismo! Volenti o nolenti, l'unico Roosvelt in circolazione sembra essere Hugintao, che ha affidato alle grandi opere infrastrutturali, la risposta all'irrompere della crisi e al rischio di recessione.

La verità è che abbiamo di fronte una sovrapproduzione strutturale. Molti settori, dal commercio all'edilizia, all'auto, hanno accumulato, nelle fasi di boom, un grande eccesso di capacità produttiva. Marchionne sostiene che nel settore dell'auto la capacità produttiva eccede per il trenta per cento. La crisi allora, come direbbe von Hajek, serve a fare pulizia dei capitali impiegati male, cioè, per stare a noi, di quel 30 per cento di capacità produttiva eccedente accumulata negli anni passati. A mano a mano che si consuma ed usura l'inefficacia della politica degli stimoli e degli incentivi, emerge con chiarezza il volto della crisi da sovrapproduzione: Ma la crisi da sovrapproduzione - bisogna saperlo - propone in maniera inaggirabile sia l'atto di accusa più bruciante al dogma di questi anni, ossia al dio mercato che si autoregola, sia la domanda delle domande: chi deve essere lo stratega del modello dello sviluppo? gli spiriti animali del mercato oppure lo Stato come sintesi della società organizzata? Inoltre, a quale dimensione, in tempi di globalizzazione, è possibile pensare tale funzione strategica?

Ma il rischio bancarotta di paesi interi, ha un effetto persino immediatamente elettorale; esalta e radicalizza infatti ancora di più la contraddizione tra globalizzazione dei mercati e riterritorializzazione degli interessi, disordinando velocemente modi di pensare e di essere anche particolarmente consolidati di intere comunità. Il rischio bancarotta di interi paesi, cioè il terzo livello della crisi, accentua quindi ancora di più il peso del territorio, cioè del fattore spazio nella dinamica del processo politico. Napoleone, che se ne intendeva, sosteneva che la politica in definitiva non era altro che orologio e carta geografica. La verità anche metodologica di tale asserzione è facilmente verificabile: il giudizio assai diverso che si dà sul recente esito elettorale, a seconda che si adotti il metro delle percentuali generalizzate o quello delle cosiddette mappe territoriali. Partendo da quest'ultimo è piuttosto chiaro che allo spazio chiuso proposto dalla Lega - reazione primordiale ma di immediata efficacia – una forza progressista non può contrapporre né gli stessi spazi chiusi né lo spazio aperto, indeterminato. Chi è per una società libera e democratica può contrapporre solo uno spazio aperto ma governabile. Cosa vuol dire?, che sarebbe necessario uno spazio a dimensione continentale, con buona pace dei cantori delle piccole patrie, che rappresentano il terreno ideale di tutte le Vandee. Un progetto politico dotato di un minimo di prospettiva strategica dovrebbe investire il suo futuro in tale direzione, memore dell'errore catastrofico di qualche anno fa, di quando cioè le forze socialiste governavano in Europa nella gran parte degli stati e per miopia strategica assoluta non nemmeno provarono a chiudere la partita della creazione dello Stato Federale Europeo, cioè dell'unica organizzazione di uno spazio politico all'altezza del processo di globalizzazione dei mercati.
La sinistra non può rispondere alla parola d'ordine della Padania-spazio chiuso-con la parola d'ordine del partito del nord, che evoca uno spazio altrettanto chiuso. Al leghismo non si risponde con il paraleghismo.
La terza fase della grande crisi accentua oggi tutte le contraddizioni, ma in speciale modo quella tra la globalizzazione dei mercati e la riterritorializzazione degli interessi. Solo così si spiega il rapido smottamento dei consensi del mondo del lavoro da sinistra a destra, anche in aree dove la sinistra ha radici storiche profonde. La terza fase della crisi spinge anche vorticosamente verso una quarta fase: al possibile passaggio dallo Stato stimolatore allo Stato stratega del modello di sviluppo. Alla crisi da sovrapproduzione, la risposta in avanti non può essere che l'ideazione di un nuovo modello di sviluppo. L'egemonia tra le varie forze inevitabilmente si contenderà su tale terreno.

Wolfgang Schäuble, ministro delle finanze del governo tedesco, di fronte alla crisi greca, ha proposto la costituzione di un Fondo Monetario Europeo, cioè di una nuova istituzione e di nuove regole, specie per la zona euro. Lo sfondo è quello di una sorta di "nucleo europeo", della formazione di una vera "unione politica europea", di "governo unificato" della economia, cioè di una comunità più simile ad uno Stato federale che ad una federazione di Stati. Il cuore del problema, lo snodo di tutte le attuali questioni strategiche. A quando una sinistra, ammaestrata dalle sconfitte e liberata dal gossip imperante, sarà capace di porsi a tale livello, e occupare cosi stabilmente tale posizione strategica da farne un suo carattere distintivo? Il procedere della grande crisi, come sempre dà e toglie. E può persino alzare tempeste di sabbia dove si può essere inghiottiti, come avvenne, si narra, all'esercito di Cambise.

15 aprile 2010

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