Era un omettino alto sى e no un metro e mezzo, e aveva miti occhi celesti nel viso rugoso e bruciato dal sole: i percorsi della luce avevano increspato la sua pelle come la buccia di una mela secca, e anche il suo odore era quello della frutta messa a maturare sulla paglia.
Aveva fatto il contadino tutta la vita, zappando le pietraie del suo pezzo di montagna, e ora stava fermo, rigirandosi il berretto tra le mani callose, davanti al giovane funzionario: - Così mi date quei soldi? - Chiese ancora incredulo.
- Certo: ti spettano. Qui risulta che hai sessantacinque anni e che sei un coltivatore. Hai regolarmente versato i contributi, e questa è la pensione a cui hai diritto.
L'omettino sorrise. Un sorriso largo e felice, e il suo viso sembrava davvero una mela vizza: - Allora grazie, figliolo. Ora me ne torno a casa.
- Devi dare da mangiare ai conigli?
- No. Non ai conigli. - Rispose l'omettino. E qualcosa nel suo tono spinse il funzionario a chiedergli: - E allora, chi ti aspetta a casa?
L'omettino esitò, come per superare un residuio di diffidenza. Poi sorrise più apertamente e sussurrò: - Ci sono le fate, su da me, e non le ho mai lasciate sole per molto tempo. Ho paura che se ne vadano.

Il funzionario incassò la risposta e prese rapidamente una decisione: - Prima di tornare a casa, però, devi farti visitare dal nostro medico.
- Perché?
- Dobbiamo vedere per quanto tempo ti dovremo dare la pensione. - Scherzò l'uomo, e con una pacca sulla schiena lo spinse nel corridoio: - Bussa a quella porta laggiù, e dì al dottore che ti ho mandato io.
Poi rientrò in ufficio e telefonò al medico: - Devi fargli una visita particolarmente accurata. Pover'uomo, ha le allucinazioni, e si capisce anche perché: sempre solo, da un anno all'altro.
Il medico scoprì che l'omettino aveva una particolare forma di daltonismo, non vedeva il grigio.
- Prendi queste gocce - disse il dottore, contandole in un bicchiere - e vedrai che dopo starai meglio.
L'omettino bevve docilmente e domandò se poteva sedersi: - Ho come un velo davanti agli occhi - Spiegò passandosi sulla faccia una grande mano callosa.
- Sì, è normale. Tra poco sarà passato, e tu vedrai un colore che non hai mai visto.
Dopo cinque minuti il velo davanti agli occhi dell'omettino si squarciò, e lui scoprì con indeciso stupore bave grigie sui vetri e macchie grigiastre sulle

piastrelle del pavimento, che rendevano squallido l'ambiente.
Uscì dalla stanza rattristato, dopo un rispettoso saluto al dottore, e fuori notò altre cose spiacevoli: fango grigio sporcava i marciapiedi, c'era una nebbia grigia, e tutti sembravano grige marionette senza gioia.
Corse verso la sua montagna, cercando di non guardare nulla e nessuno, atterrito da quel mondo che non conosceva. E intanto pensava alla sua casa come un antidoto a ciò che lo circondava: la sua casa in mezzo al rosso-marrone degli alberi, in quel novembre infuocato, con il grande camino pieno di faville; la sua casa dove, con lievi fruscii, un niente leggiadro faceva muovere la tendina consumata che copriva l'acquaio, spostava briciole di pane, mordicchiava le pere da inverno adagiate con cura nella paglia.
Fate e gnomi lo aspettavano. Al diavolo il paese grigio, l'autunno aveva coperto la montagna di foglie scarlatte e dorate: scaglie d'oro nel cuore della sua montagna, bastava non muoversi da lì, e avrebbe dimenticato l'angoscia che gli aveva stretto il cuore.
Ecco che spuntava il tetto del suo castello incantato, pieno di folletti.
Socchiuse piano la porta pregustando lo scalpiccio

leggero delle fate, la loro tiepida presenza invisibile.
- Topi... - mormorò smarrito.

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Titolo: L'uomo che non vedeva il grigio
Autore: Daniela Piegai
Inviate il vostro commentoInvio: 14/10/2008
Copyright: © Daniela Piegai