- Mi ha detto seicentodieci! - Strilla con voce acuta Paolino, tirando calci a suo fratello.
Io ho la testa che mi si spacca, e il timbro verde acido dei loro urli mi perfora le tempie: - Basta... -
sussurro.
- Seicentodieci! - sibila Giovanni. Paolino si volta verso di me: - Lo senti?! L'ha ridetto!!
- E allora? - tento di calmarlo - è un numero, che vuoi che sia, se te lo dice?
- Mamma! - Paolino allarga gli occhi, quegli occhi incredibili che si ritrova, frangiati da ciglia cosě
folte e scure, che se fosse una ragazza avrebbe il mondo ai suoi piedi - Mamma, non capisci?
E io, no, non capisco: mi capita sempre piů spesso di non capire. So solo che ho mal di testa, e che se non
mi chiudo al buio e in silenzio da qualche parte, non riuscirň a resistere.
- Giovanni, non dirgli seicentodieci, per favore - mormoro andando verso la mia camera e buttandomi
ciecamente sul letto.
- Ma lui lo è - dice Giovanni con tono mortalmente serio, il mio Giovanni che si aspetta sempre il massimo
dalla vita e dagli altri, e che ultimamente ha l'aria offesa e delusa - Lui lo è, esattamente come lo sei
diventata tu.
Ci penserň piů tardi, mi dico mentre mi rincantuccio, col cuscino sulla testa per isolarmi dai loro strilli
di nuovo in crescendo, acuti come un coltello che gratta la porcellana. Non sapevo che la mia vita sarebbe
stata cosě. Non sapevo che avere figli sarebbe stato cosě. Non sapevo che mi sarei ammalata e che avrei
cresciuto al mio interno qualcosa in grado di mordermi cosě forte.
Eoni piů tardi mi trascino fuori dal letto. In cucina trovo il solito caos: piatti luridi con una specie di
muffa in aumento, il frigorifero vuoto, una stanza che sembra la fotocopia di quello che mi sento in testa. I
ragazzi non ci sono e non mi chiedo dove sono finiti, ma c'è un foglio appuntato sulla porta, e c'è un numero
sopra. Lo leggo sillabando faticosamente: seicentodieci, sei uno zero.
I bambini non hanno misericordia.