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"Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue diverse forze, originariamente trasfuse in poche forme o in una sola forma; e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l'immutabile legge della gravità, da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e continuano ad evolversi." Così riporta Darwin nell'ultimo paragrafo del suo libro Sull'origine delle specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita, pubblicato a Londra il 24 novembre del 1859. In poche righe si rimanda a una geniale intuizione della vita, colta nella sua progressiva trasformazione, e si fa nuova luce su un dibattere antico in cui le esistenze terrene intrecciano i loro destini ai significanti prefissati per l'Universo. È una storia che rinvia all'immagine di Aristotele e di Platone, uno con l'indice puntato verso terra e l'altro a indicare il cielo, così come Raffaello li ha voluti rappresentare nella Stanza della Segnatura, figure antitetiche e complementari immaginate in un edificio classico ideale, la Scuola di Atene, al centro del punto di fuga prospettico tra i maggiori filosofi dell'antichità.
Nella frase di Darwin si avverte anche l'eco del pensiero di Keplero, di Galileo e soprattutto di Newton. Il graduale cambiamento degli organismi è esaltato dalla contrapposizione a qualcos'altro che non muta, un Universo che non si modifica ma che permette al suo interno l'evoluzione della vita.
Da una parte c'è il tempo che fluisce, cioè il divenire, e in esso gli individui che a ogni generazione passano al vaglio della selezione naturale, dall'altra il tempo assoluto della meccanica newtoniana, il corso del tempo che irreversibilmente non cambia mai il suo modo di rinnovare l'istante presente e che scorre identico in qualunque luogo. Nell'Universo di Newton i corpi celesti si spostano in uno spazio immodificabile, governati soltanto dalla loro reciproca attrazione fondata sulla forza di gravità, con un moto scandito da una dimensione temporale senza legami con la realtà materiale.
Questa distinzione tra il divenire del mondo e il corso del tempo nell'intero
Universo ha permesso di postulare l'esistenza di leggi immodificabili che disciplinano ogni processo di
cambiamento. Nella frase di Darwin si conciliano così le "innumerevoli forme, bellissime e
meravigliose, che si sono evolute e continuano ad evolversi mentre il nostro pianeta ha
continuato a ruotare secondo l'immutabile legge della gravità". La concatenazione degli
avvenimenti, con riferimento alla possibilità di spiegarli nella loro successione temporale, fa
riferimento comunque alla percezione di un ordine del tempo che connette, per il principio di
causalità, un effetto a una causa; tale condizione è necessaria perché gli animali a
maggiore complessità neurologica, pur con differenti specificità, acquisiscano una conoscenza
empirica dei fenomeni. Nell'uomo i linguaggi molto simbolici che accompagnano la percezione di un
fatto, rendono più articolata la nozione del corso del tempo e della sua durata, per cui oltre ad
un tempo misurabile con strumenti fisici ci sono molteplici altri tempi, come quello geologico,
generazionale o storico, ciascuno caratterizzato da una propria velocità secondo apparenze di
ordine psicologico.
Il principio di causalità rimanda a una "causa prima" ma Darwin evita di incagliarsi in questioni
connesse all'origine della vita indirizzando al contrario l'interesse verso le innumerevoli
forme che si sono evolute e continuano ad evolversi originariamente trasfuse in poche forme o in
una sola forma. L'attenzione è volutamente posta sull'aumento della diversità biologica
quasi a rimarcare l'impossibilità di attribuire una direzione univoca a ogni mutamento biologico
poiché già da quando erano presenti poche forme, esso ha potuto muoversi differentemente
nella direzione dell'incremento o della semplificazione della complessità. Non è l'origine
delle specie che Darwin pone al centro del suo interesse ma la loro diversificazione; egli toglie loro
l'essenza e le consegna al fluire del tempo.
La stessa specie umana, non solo nei corpi ma anche nelle menti dei suoi soggetti, è defenestrata
dalla sua pretesa centralità, è una tra le tante fronde di un albero che continuamente si
ramifica. Darwin anticipa così una rivoluzione del pensiero che nel giro di due secoli avrebbe
portato a immaginare la struttura dell'Universo secondo criteri evolutivi. L'idea di evoluzione
può tuttavia dare motivo d'interpretazioni fuorvianti. Un sentire molto diffuso, infatti, la
connette a un principio di miglioramento che presuppone un progetto. Tuttavia, l'evoluzione biologica
descritta da Darwin e soggetta alla selezione naturale, non va immaginata come sospinta da un afflato
verso una condizione di perfezione, impossibile da precisare se tutto scivola nel tempo.
Innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, cioè la diversità biologica e il senso
estetico, colti entrambi non nella loro dimensione assoluta ma nel loro scorrere storico, sono gli
elementi che Darwin pone in evidenza, connettendoli alla selezione naturale e a quella sessuale. È
aperta così una breccia nel muro delle essenze proprio nel punto più guarnito, quello che
negava alle specie la capacità di diversificarsi e che per questo non contraddiceva l'idea di
vedere l'uomo al centro dell'Universo, a immagine e somiglianza di un'Entità Creatrice. Darwin fa
da battistrada, dunque, a un processo che non si limiterà a conferire una storia naturale alla
specie umana. Nell'arco di un secolo essa sarà estesa a tutti gli esseri e agli oggetti
dell'Universo, considerato un immenso opificio in evoluzione. La storia non riguarda più soltanto
lo scorrere dell'esistente, ma anche il suo contenitore cioè il corso del tempo non più
irreversibilmente uguale a ogni istante successivo ma soggetto a contrarsi o dilatarsi in un Universo
in espansione. Perché si è giunti a questo sentire?
In chi ha indirizzato l'interesse scientifico verso il tema delle origini, si è sempre più
rafforzata, dopo Darwin, la considerazione che ogni cosa esistente, sia animata sia inerte, è
partecipe di una continua trasformazione. Si è ormai fortemente radicata l'idea che l'Universo
primordiale sia stato profondamente diverso da quello attuale, che nelle galassie, compresa la Via
Lattea, esistano tuttora zone d'intensa formazione di stelle, che la Terra non sia sempre esistita e
gli organismi che vi vivono si siano succeduti nel tempo, e lo stesso uomo l'ha popolata in tempi
recenti.
Ciò che gli uomini, alzando lo sguardo al cielo, hanno sempre visto senza l'impiego di strumenti
ottici, è costituito da stelle della Via Lattea cui si aggiunge Andromeda, l'unica galassia
osservabile a occhio nudo, una volta considerata una tra le tante altre stelle oltre le quali si
pensava che vi fosse una distesa infinita di spazio vuoto. L'idea che ora si ha dell'Universo, è
molto diversa. Si considera che l'orizzonte cosmico si situi a ben 13,7 miliardi di anni luce; tale
margine comunque dovrebbe essere ancora più lontano giacché esso ha continuato a espandersi
durante tutto il tempo impiegato dalla luce a raggiungere la Terra da tali presunti confini cosmici. Si
suppone che circa un terzo dell'energia dell'Universo sia presente sotto forma di enormi nubi
turbolente di materia oscura, forse costituita da particelle elementari elettricamente neutre che non
diffondono né assorbono la luce, e da materia ordinaria ammassata in almeno cento miliardi di
galassie, che se da una parte tendono ad aggregarsi in supergalassie a causa dell'attrazione
gravitazionale, dall'altra vedono dilatarsi la loro distanza reciproca per effetto dell'espansione
dell'Universo.
Secondo alcuni astrofisici la fase espansiva avrebbe subito negli ultimi cinque miliardi di anni
un'accelerazione per influenza dell'energia oscura, che costituirebbe ormai i restanti due terzi
dell'energia totale dell'Universo e che sarebbe dotata di effetto gravitazionale repulsivo, con un
riferimento alla costante cosmologica di Einstein. Il Cosmo è descritto da alcune teorie come
stazionario, isotropo e omogeneo, la cui perdita di densità a causa della sua espansione è
controbilanciata dalla continua produzione di nuova materia. Altri vi contrappongono un modello
inflazionistico in cui il Big Bang ha coinciso con il momento della creazione dal nulla e dell'inizio
del tempo; è seguita una spettacolare e improvvisa espansione, detta fase inflazionaria,
realizzatasi in una frazione infinitesima di secondo, pari a 10-30. Con il prevalere dell'energia
oscura, l'Universo, secondo tale modello, è destinato a una perenne espansione che porterà
ogni galassia a distanze infinitamente maggiori di adesso mentre lo spazio somiglierà sempre di
più a un vuoto quasi assoluto. C'è poi un modello in cui è ipotizzata una serie ciclica
e infinita di big bang, che quindi non segnano l'inizio del tempo e cui periodicamente segue la
formazione di materia oscura e ordinaria.
Di là dalle possibili interpretazioni sull'origine e sul destino dell'Universo, rimane la
considerazione che il concetto stesso di tempo e di spazio è profondamente mutato da quando Darwin
formulò il suo pensiero sull'origine della diversità biologica. Per la teoria della
relatività ristretta ciascun osservatore che possiede una massa, è dotato di un proprio tempo
e non esiste un orologio universale che segni la stessa ora in ogni angolo dell'Universo; in rapporto
alla specifica condizione di quiete o di moto, eventi simultanei per certi osservatori non lo sono per
altri. Qualsiasi cosa, sia essa vivente o inerte, viaggia continuamente nell'Universo alla
velocità della luce, secondo le variabili a quattro dimensioni dello spazio-tempo. Per questa
ragione tutti gli oggetti in quiete rispetto a un osservatore invecchiano alla stessa velocità
perché viaggiano in una sola dimensione, quella temporale; al contrario i corpi che sono in
movimento rispetto a chi li osserva trasferiscono nelle tre dimensioni spaziali un poco del loro moto
nel tempo e quindi esso trascorrerà per loro più lentamente. Teoricamente un corpo che si
muovesse come la luce, avendo trasferito nelle dimensioni spaziali tutta la velocità possibile,
non vedrebbe trascorrere il tempo, proprio come succede alla luce; inoltre, poiché l'energia di un
corpo cresce in proporzione diretta alla sua velocità, quando questa si approssima a quella della
luce, la massa diviene talmente pesante da richiedere una quantità di energia infinita per
sostenere tale condizione di moto, che è quindi irraggiungibile! Per la teoria della
relatività generale anche l'idea di gravitazione è sottoposta ad ampia revisione rispetto
all'impostazione data da Newton che aveva fatto dipendere la forza di gravità esercitata da un
corpo su un altro soltanto dalle masse e dalla distanza reciproca, indipendentemente dal tempo.
Ciò implica che qualsiasi cambiamento della massa in uno dei due corpi determina un'istantanea
variazione della forza gravitazionale esercitata sull'altro, con un'informazione che si trasmette a una
velocità maggiore di quella della luce, in contraddizione col principio della relatività
ristretta.
La gravità è oggi intesa non come una forza misteriosa che tiene legati i pianeti intorno a
una stella o che tiene ancorati i corpi al suolo ma come la trama stessa del cosmo che è distorta,
cioè incurvata insieme al tempo, in ragione proporzionale alla massa dei corpi. È questa una
concezione difficile da percepire. Per certe assonanze rimanda a un'analoga difficoltà che Darwin,
convinto assertore del fatto che il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l'immutabile
legge della gravità di Newton, dovette già incontrare quando cercò di fare
comprendere il significato della selezione naturale. Anch'essa non è una forza che interviene
dall'esterno ma, come la gravità della relatività generale, è insita nelle pieghe stesse
del processo evolutivo, lungo il suo realizzarsi nel tempo e nello spazio. L'interpretazione equivoca
nasce dal fatto che la selezione artificiale, quella attuata per produrre specifiche varietà o
nuove cultivar, avviene esercitando una forza selettiva secondo un piano progettuale che implica la
mente del selezionatore. La selezione naturale invece, pur potendosi leggere per qualche tratto
temporale come stabilizzante, divergente o direzionale, é il cambiamento delle frequenze geniche
che si realizza a ogni tappa generazionale senza bisogno di alcun progetto. È la nostra lettura
storica che conferisce una presunta direzionalità al cammino evolutivo; esso può essere
ricostruito privilegiando l'individuazione dei diversi antenati comuni che si sono succeduti a ritroso
nel tempo. Sarebbe, infatti, del tutto erroneo fissare le tappe di tale percorso prendendo a
riferimento gli organismi oggi viventi riguardo alla loro complessità o al loro grado di
adattamento specifico. Così non si può correttamente dire che l'uomo discende dallo
scimpanzé ma che entrambi hanno un antenato comune vissuto tra gli otto e i sei milioni di anni fa
da cui si sono divaricate due strade di cui una ha portato agli uomini e l'altra agli scimpanzé. A
chi dei due era più simile il loro antenato comune? La stessa domanda potrebbe essere posta, per
esempio, per rane e uccelli, il cui progenitore comune dovrebbe essere vissuto probabilmente tra i
duecentocinquanta e i duecento milioni di anni fa! Era più somigliante a una rana o a un uccello?
È difficile dare delle risposte a tale genere di domande giacché talora, in modo ingannevole,
si tende ad attribuire all'antenato comune le sembianze o le caratteristiche apparentemente meno
complesse, rilevabili in una delle due specie messe a confronto. Per esempio, se si considerano l'uomo
e il cavallo, il loro progenitore comune è vissuto circa ottantacinque milioni di anni fa. Si
potrebbe immaginarlo con un dito solo, condizione mantenuta nella linea filogenetica degli equidi, che
hanno un unico dito, il medio, la cui unghia si è trasformata in zoccolo; l'altro percorso
evolutivo avrebbe portato all'arto a cinque dita dell'uomo e di tutti gli altri animali appartenenti ad
una presunta stessa linea filetica. In realtà, si sa che tale condizione è molto più
ancestrale e ha preceduto quella riduzione delle dita che si è realizzata nei cavalli nel lasso
che li separa dal loro antenato comune, dotato di arti a cinque dita. Per questo carattere dunque il
cambiamento evolutivo per l'uomo è stato più conservativo di quello che ha riguardato il
cavallo. Si potrebbero riportare molti altri esempi, ma quello su cui va posto l'accento è come
ogni carattere ha nel tempo tassi di cambiamento differenti. Una specie pertanto non si evolve mai come
unità ma come somma delle sue parti; questo rende impossibile considerarla più evoluta di
altre a meno di non prendere in modo arbitrario l'uomo come punto di riferimento ma questo rimanderebbe
a una concezione dell'evoluzione precedente a Darwin.
Molteplici e complessi sono i parametri utili a valutare la velocità del cambiamento evolutivo
giacché essa varia sensibilmente, nel corso del tempo, non solo tra specie diverse ma anche
all'interno di una stessa. In maniera molto sommaria si potrebbe ritenere che tale velocità sia
correlata a un fattore temporale e a uno spaziale. Per il primo un utile riferimento è il tempo
generazionale, cioè l'età cui si raggiunge la capacità riproduttiva; ogni specie ha un
suo tempo che, per esempio, nei batteri è di un paio d'ore, nel moscerino dell'aceto di circa
tredici giorni, nell'elefante supera i dodici anni. Ciò comporta che nell'arco di cento anni un
ceppo di batteri è sottoposto alla selezione naturale almeno 438.000 mila volte, una popolazione
di moscerini 2.807 e una di elefanti 8,3!
L'altro fattore importante che condiziona la velocità del cambiamento evolutivo è dato dallo
spazio, in ragione del suo grado di deformazione operato dall'azione di eventi geologici o atmosferici,
e dalle attività degli stessi organismi biologici. È soprattutto importante la rapidità
con cui l'habitat si modifica e soprattutto l'eventuale periodicità o l'irregolarità
temporale di tali cambiamenti, perché la loro imprevedibilità può influenzare fortemente
i processi selettivi. Alla deformazione della trama spaziale corrisponde una variazione della pressione
selettiva naturale e un processo di adeguamento delle nicchie ecologiche. La pressione sarà
più efficace quanto più sarà grande il grado di variabilità presente nelle varie
popolazioni; tra queste un particolare significato acquista il loro essere generaliste o specialiste
con un maggiore rischio di estinzione da parte di queste ultime. Infine un ruolo essenziale è dato
dal tipo di riproduzione che caratterizza ogni popolazione: là dove sono presenti i sessi, il
processo di selezione sessuale mette per così dire le ali ai cambiamenti evolutivi, accelerandoli
fortemente.
"[....] Da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono
evolute e continuano ad evolversi": ciascuna popolazione persegue nel tempo, a ritmi generazionali
specifici, i possibili adattamenti a uno spazio soggetto continuamente a deformarsi. Darwin non avrebbe
immaginato che una consonanza riguardante la deformazione dello spazio e del tempo sarebbe stata
prospettata anche per l'Universo in evoluzione !
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