13 Cultura & Società
Giorgio Ruffolo
Lo specchio del diavolo
La storia dell'economia dal Paradiso terrestre
all'inferno della finanza
articolo di Giovanna Corchia

Ruffolo    Giorgio Ruffolo
Lo specchio del diavolo. La storia dell'economia dal Paradiso terrestre all'inferno della finanza
Editore Einaudi
Anno 2006
136 Pagine

Dobbiamo rassegnarci ad un'economia del segno e all'oscurità del suo disegno?
È l'economia che serve agli uomini o gli uomini all'economia? "È stato un grande speculatore filantropo e progressista (un ossimoro bello e buono), George Soros, a dire che il capitalismo moderno è diventato un gioco di specchi. "Al punto che non si riesce a distinguere la realtà dalla sua immagine. [...] Dobbiamo rassegnarci ad un'economia del segno e all'oscurità del suo disegno?"
È importante per tutti noi che viviamo in una realtà in cui l'economia svolge il ruolo di prima donna nel nostro quotidiano, indipendentemente, a volte, dalle nostre intenzioni e dal nostro stile di vita, vederci un po' più chiaro, in questo gioco di specchi.

[Dal 6 febbraio al 5 marzo 2006 al Teatro Stabile di Torino è stato rappresentato Lo specchio del diavolo, un testo che l'economista Giorgio Ruffolo ha scritto su richiesta e ispirazione di Luca Ronconi, che ne ha curato la regia. Tre i quadri che componevano lo spettacolo:

  1. Primo quadro Come l'uomo usa le risorse del suo ambiente: rapporto tra economia, tecnologia,ecologia.
  2. Secondo quadro Come si svolgono gli scambi: il mercato e il ruolo della moneta.
    Terzo quadro Rapporti tra la potenza dell'economia e il potere della democrazia oggi e domani, partendo dal passato.

Primo quadro

L'economia e la tecnica
A cosa serve l'economia? Serve a indirizzare le scelte di cosa produrre, sì che a una domanda corrisponda un'offerta. Si può parlare di cinismo dell'economia, in quanto si continuerà a produrre per soddisfare la domanda, senza tener conto delle risorse che si possono usare. Giustamente, bisogna sottolineare "risorse che si possono usare", in quanto la possibilità investe più campi: tecnico, giuridico, morale, religioso.
In economia si ha a che fare con paradossi a prima vista sottovalutati, ad esempio un diamante è molto meno utile (potremmo dire che è inutile) dell'acqua, eppure il suo prezzo non è confrontabile a quello dell'acqua. Bene, se l'acqua scarseggiasse, una realtà già presente in molti posti della terra, l'acqua diventerebbe un bene raro di incommensurabile valore.

Le economie primitive
Il decollo dell'umanità ha avuto i suoi albori quando l'uomo ha smesso di vivere dei frutti della Natura e si è posto nei suoi confronti nelle vesti di socio se non ancora di padrone.
Ecco un immaginario scontro tra Edward, un progenitore sceso dagli alberi per iniziare a servirsi trasformandole delle risorse naturali, ricorrendo al fuoco per risolvere i suoi molteplici problemi, e lo zio Vania, che lo rimprovera aspramente perché mette a serio rischio la sua stessa vita, distruggendo le risorse della natura.
Lo zio Vania non aveva tutti i torti: grazie al suo cervello, tra tutte le creature, l'uomo si dimostra il più capace di turbare l'universo attraverso le sue attività.
La prima grande invenzione con cui l'uomo ha iniziato a turbare quest'ordine è stata la rivoluzione agricola, diciamo dopo la cacciata di Adamo ed Eva dall'Eden.
L'inizio dello sfruttamento agricolo potrebbe essere situato nella Mesopotamia, grazie alla naturale fertilità dei luoghi per la ricchezza di acqua. Fu però necessario fare opera di drenaggio e di canalizzazione; fiorirono così allevamento, agricoltura: la società era formata da coltivatori-contadini e allevatori-pastori, c'erano poi i guerrieri per la sicurezza del territorio. Le loro armi erano fabbricate da artigiani e erano oggetto di scambi, nella forma di baratti. Nel tempio si radunavano i sacerdoti, che erano gli intellettuali del tempo, coloro che avevano strumenti per insegnare agli altri.
Una parentesi: perché in quelle società primitive l'uomo ha avuto il sopravvento sulla donna? Ciò si spiega non per un fattore economico ma per il monopolio delle armi che esercitavano gli uomini, per la loro specializzazione nella caccia, un monopolio mai più mollato.
La crescita della produzione di cibo portò ad un incremento notevole della popolazione con un conseguente sfruttamento intensivo delle terre coltivate. L'eccessiva irrigazione provocò un'alterazione dei minerali contenuti nel terreno e, perciò, un'eccessiva quantità di sale e l'infertilità dei luoghi. A ciò seguirono epidemie e decimazione della popolazione. I disastri ecologici, come si può constatare, sono conosciuti anche in passato, sempre perché l'uomo non ha saputo servirsi al meglio del cervello di cui, si dice, sia dotato.
Il più grande risultato di questa prima grande rivoluzione è stata la consapevolezza dell'uomo dei propri limiti, della sua stessa morte: essere cosciente della propria fragilità nel momento in cui si comincia a violentare la natura, per renderla più docile .

La rivoluzione industriale
I millenni si susseguono sino ad arrivare a tempi più vicini a noi. Siamo da tempo nella storia e in un processo sempre più evidente di crescita economica. Ci si può chiedere perché il fenomeno si sia manifestato essenzialmente in Occidente. Nel DNA dell'Occidente europeo hanno, più che altrove, fermentato i geni dell'inquietudine, della critica, dell'irriverenza. L'uomo Ulisse, avido di sapere, ne è un esempio. Il gene della libertà politica permise agli occidentali greci di aver ragione sugli orientali persiani. Non ultimo è da segnalare il gene dell'avidità, all'origine del capitalismo moderno, gene che si accompagna ad un desiderio inappagabile di espansione.
Il progresso tecnologico maturato in Europa tra il XIV e il XVIII secolo, sfociato nella successiva rivoluzione industriale del XIX secolo non è la conseguenza di un divario di intelligenza tra gli uomini, ma di un diverso modo di investirla: priorità assegnata alla ricerca scientifica applicata alla tecnica piuttosto che al raffinamento dello spirito.
In economia il salto si compie con la mercificazione del lavoro: la massa dei lavoratori concentrata e diretta razionalmente diventa un efficace strumento di crescita della ricchezza delle nazioni. Ecco quindi che le due rivoluzioni, agricola e industriale, e la conseguente mercificazione della terra e del lavoro, sono all'origine del capitalismo maturo.
Un'inquietudine dovrebbe prenderci se considerassimo che tale processo inarrestabile non si basa sull'uso degli interessi di ciò che si produce, ma sul consumo del capitale per produrli, sul consumo cioè delle risorse. Che fare dunque quando avremo esaurito tutte le risorse disponibili?
Il professor Georgescu–Roegen, un economista eretico, matematico e statistico di grande spessore, dopo essere sfuggito a varie dittature, la prima del suo paese, la Romania, approdò con la moglie negli Stati Uniti e là dimostrò il suo genio, applicando le sue conoscenze al campo dell'economia politica, dimostrandone le fondamenta epistemologiche, cioè la mancanza assoluta di regole. Ovviamente ciò gli costò il Nobel e l'oscuramento delle sue analisi, in cui si chiarivano limiti e rischi di un capitalismo senza regole. Ecco quindi perché è nel novero degli eretici, inascoltati il più delle volte. O sempre?
"Non è vero che più si produce più si crea benessere. Infatti da una parte si distruggono risorse. Dall'altra si distruggono utilità" Gli economisti eretici sono impegnati nella critica del PIL ( prodotto interno lordo), considerato come prioritaria misurazione della ricchezza di un paese, essi sostengono che il benessere di un paese non può dipendere unicamente dalla quantità indifferenziata di beni prodotti da massimizzare, ma da un migliore equilibrio da raggiungere nella distribuzione delle risorse.

L'americano Herman Daly è l'autore di una formula composta algebricamente da tre flussi.

  1. le risorse che si utilizzano nella produzione (input)
  2. i loro prodotti materiali (throughput)
  3. le utilità che se ne ricavano (output)

La scala ottimale sarebbe raggiunta se si minimizzasse il primo termine, si stabilizzasse il secondo e si massimizzasse il terzo. Ciò permetterebbe lo sviluppo di un'economia qualitativamente rinnovabile, ecologicamente compatibile, infine,socialmente sostenibile.

Il raggiungimento di questo difficile obiettivo richiederebbe la messa in atto delle seguenti strategie:

  1. la stabilizzazione della popolazione dei paesi poveri
  2. il riorentamento energetico, rientrando nel ciclo delle energie rinnovabili (l'energia solare ad esempio)
  3. la smaterializzazione dei processi produttivi: dall'energia all'informazione, accelerando le innovazioni, anche quando non producono un rendimento immediato (in economia il lungo termine si considera troppo poco, forse mai).
  4. il riorientamento: dal consumismo distruttivo alle attività costruttive, come quelle cooperative, culturali. Consumare più cultura è un grande arricchimento della persona, senza spreco di risorse...
    Bello l'aforisma che così recita: se ci scambiamo un dollaro la nostra ricchezza non aumenta, ciascuno di noi resta con un dollaro in mano. Se invece ci scambiamo un'idea, siamo ricchi di due.

Secondo quadro

L'economia e la moneta
Lo scambio è un fenomeno prettamente umano: si è mai visto, si domandava Adam Smith, un cane scambiare un osso con un altro cane? Dal baratto, merce contro merce, si è passati a uno strumento di scambio per eccellenza, la moneta, e, in particolare, alla carta moneta.
La moneta è una merce come le altre, solo che è scelta convenzionalmente come misura di tutte le altre. Il prezzo di una merce è fissato dal punto di incontro tra domanda e offerta e si raggiunge da sé, se le contrattazioni sono numerose trasparenti e libere.
Se la quantità di moneta aumenta rispetto a quella delle merci si parla di inflazione. In questo caso i prezzi aumentano e sono favoriti i debitori, per esempio gli investitori che hanno contratto debiti per investire a un valore che sarà ridotto dall'aumento dei prezzi; si ha invece deflazione se la quantità di moneta diminuisce rispetto alla quantità di merci; in questo caso sono favoriti i risparmiatori perché ricevono a rimborso somme di valore reale più alto.
Il prezzo della moneta si chiama tasso d'interesse. Se l'offerta di moneta eccede rispetto alla domanda il tasso d'interesse scende e sono favoriti gli investitori; se invece la domanda preme sull'offerta il tasso sale e sono i risparmiatori a trarne vantaggio.
Al fine di regolare il flusso di moneta deve esserci un'entità che ha questo potere: lo Stato, che diventa così il regolatore della politica monetaria.

Il credito, le bolle, il dominio della finanza
La moneta non è solo quella coniata dallo Stato. C'è anche la moneta di credito prodotta dalle banche.
Vediamo come si sono prodotte le grandi bolle speculative del XVIII secolo. L'esempio più eclatante di avventuriero della finanza è stato lo scozzese John Law. Nel 1715 alla morte di Luigi XIV, sotto la reggenza di Filippo d'Orléans, lo Stato francese è allo stremo: le campagne militari per il potere ne hanno dissanguato le casse, il debito ammonta a due miliardi di livres. In quell'occasione Law, grande amico del reggente, è autorizzato a fondare una banca (la Banque Royale) con un capitale di sei milioni di livres e a emettere banconote, che sarebbero state prestate allo Stato per pagare i suoi creditori. Ovviamente la copertura di questa operazione è inesistente, anche se viene assicurato il rimborso dei biglietti, a richiesta, in oro, al loro valore nominale.
La seconda operazione dell'avventuriero fu quella di fondare la Compagnia del Mississipi, poi dell'Occidente, di cui ottenne il monopolio con il favoleggiamento di ricchezze da sfruttare in quelle terre lontane. Furono emesse azioni che andarono a ruba, ma ben presto la bolla speculativa scoppiò: la Louisiana non era che una bufala, così le fortune di molti andarono in fumo... Altre speculazioni ci sono state in seguito e continueranno ad esserci, perché la credulità della gente, insieme alla terra, al lavoro, al capitale è un fattore fondamentale e inesauribile di crescita dell'economia.

Proprio per evitare rischi dalle conseguenze molto gravi si sono imposte due esigenze d'intervento politico:

  1. sottoporre ad una rigorosa regolazione l'emissione di banconote e la creazione di moneta bancaria (certificati di deposito, assegni...). Sono così nate le Banche centrali con questo compito di controllo;
  2. disciplinare la proliferazione di emissione di azioni

A tal fine sono nati tre Istituti fondamentali: le Banche di affari per il finanziamento degli investimenti a lungo termine; le Società per azioni e le Borse.
Nel suo romanzo L'argent Émile Zola offre un documento di primo piano del mondo degli affari sotto Napoleone III. Il ruolo di protagonista è interpretato da un capitalismo selvaggio che ha nella Borsa il suo Tempio e il suo luogo sacrificale.

Proprio in questi giorni, e, precisamente il 30 aprile 2006, è morto il grande economista John Galbraith, definito dall'autore de Lo specchio del diavolo, in un editoriale su la Repubblica di lunedì primo maggio 2007, "il genio che non amava le élites". Ed è il libro di Galbraith, The great crash, che viene richiamato se ci si vuole addentrare in un'analisi spietata e brillante del tornado che aveva investito Wall Street nell'ottobre del 1929: l'esplosione di una grande bolla. A questo punto ci si deve chiedere perché si verifica sempre quello che Giorgio Ruffolo chiama dissonanza cognitiva, cioè la rimozione della memoria di disastri passati, una specie di censura inconscia a ciò che dovrebbe aiutare a evitare gli errori già commessi, per abbandonarsi, invece, ad una fantasia collettiva euforica. Forse a ciò contribuiscono economisti rassicuranti che camuffano, consapevolmente, la realtà. Un esempio è Irving Fisher che, pochi mesi prima del grande crollo del '29, assicurò che il prezzo delle azioni non correva alcun rischio perché ormai installato su un altopiano rassicurante.
Il generale ottimismo, la credulità, che non manca mai, spinsero molti a ipotecare il futuro, attraverso i futures, il miraggio di incrementi insperati delle azioni. In questo modo si acquistavano azioni future e ci si indebitava per accedere al banchetto. Perché allora stupirsi se lo scoppio della bolla portò a molti suicidi?
Il capitalismo oggi è sempre più imprevedibile, sfuggente, cangiante. Un economista sostenitore del Presidente degli USA Richard Nixon, Milton Friedman, sostiene una forma estremista e fortemente ideologizzata del liberalismo (liberismo): il mercato ha in sé la capacità di autoregolarsi, perciò lo Stato non ha l'obbligo d'intervenire, a lui spetta solo assicurare la quantità di moneta necessaria allo svolgimento delle transazioni. Naturalmente non è quello che si verifica.

Due economisti a confronto
Dal confronto tra Harry White e John Maynard Keynes, negli anni quaranta, sono scaturite le massime istituzioni dell'ordine monetario del dopoguerra: il Fondo monetario e la Banca mondiale.
Incaricati dai rispettivi paesi, l'americano White e l'inglese Keynes convennero che fosse necessario istituire un sistema di scambi multilaterali e di cambi stabili, regolato da un pivot stabilizzatore. Si giunse così agli accordi di Bretton Woods del 22 luglio 1944, secondo i quali si sostituiva all'antica rigidità del sistema aureo un meccanismo flessibile, nell'ambito però di un'oscillazione non superiore al 10% rispetto alla parità fissata e, comunque, con carattere di eccezionalità, obbligando il paese interessato all'oscillazione a adattare la propria economia interna alle mutate condizioni. Si trattava di regole finalizzate a prevedere e ad evitare rischi speculativi. Gli Stati Uniti affermavano la loro supremazia e, al tempo stesso, contribuivano alla ricostruzione economica dei paesi che la guerra aveva devastato.
Si arriva così agli anni sessanta e ai primi cedimenti degli accordi di Bretton Woods dei cambi stabili. Ciò avviene con la presidenza Lyndon Johnson distintasi per due ragioni di senso contrario:
1. nel bene: una politica sociale importante a favore delle classi più svantaggiate e a sostegno dei diritti civili;
2. nel male: la guerra in Vietnam
Il dollaro si trova a fronteggiare un periodo di fragilità, a causa soprattutto della lunga guerra. Si sarebbe dovuto svalutare, ma non fu fatto perché si trattava pur sempre degli Stati Uniti. Il Presidente francese Charles De Gaulle si oppose per primo a questa situazione, minacciando di convertire in oro le proprie riserve in dollari. Nixon reagì a modo suo, sganciando unilateralmente il dollaro dall'oro. Bene, chi non avesse più voluto avere dollari sganciati ne avrebbe dovuto fare a meno, ma era chiaro che l'operazione non avrebbe portato alcun vantaggio, anzi! È così che ha termine il periodo dei cambi stabili.
Segue un periodo di sregolatezza dei cambi a cui si accompagna la deregolazione dei movimenti di capitale. C'era chi credeva, sulla base delle teorie monetariste dell'economista Friedman, che fosse venuto il momento di smantellare il vecchio castello delle regole che ostacolavano la libera circolazione dei capitali. Questa deregolazione avrebbe portato, si sosteneva, prosperità, si parlava persino di speculazione stabilizzante, un altro ossimoro bello e buono.
È così che i capitali si muovevano senza ostacoli, alla ricerca d'investimenti proficui.
A conclusione del secolo scorso è ormai saltata qualsiasi proporzione tra scambi di beni e servizi da una parte e transazioni finanziarie e valutarie dall'altra. Queste ultime sono nettamente dominanti. Ecco l'aspetto cruciale della nuova globalizzazione.
La superiorità dell'economia americana faceva di Wall Street una Disneyland per adulti, una grande calamita per speculazioni di ogni genere. Personaggi strani, eccentrici frequentavano quel luogo negli anni ottanta come all'inizio del duemila. Molti somigliavano al businessman del Piccolo Principe di Saint-Exupéry, un personaggio che continua a immagazzinare stelle senza mai godere dello spettacolo di un cielo stellato sopra di lui.
Ciò che contava e conta è la leva finanziaria: la capacità di moltiplicare il capitale con il debito, grazie alla fiducia dei risparmiatori (il caso Parmalat potrebbe insegnare qualcosa e non è il solo).
La differenza tra la crisi del 29 e le recenti del 1987 e del 1998 è che in queste ultime la liquidità è stata generosamente fornita dallo Stato e dalla Banca centrale: veniva così a cadere la tesi di un mercato capace di autoregolarsi senza l'intervento pubblico e la conseguente socializzazione delle perdite.
L'avidità sembra l'unica dominatrice di un mondo senza regole e quanto prima saranno cancellati dalla memoria collettiva i recenti scandali Enron, Worldcom e compagnia, che pure non hanno mancato di fare scalpore (ricordiamo la dissonanza cognitiva, la capacità di rimozione di ciò che pure sappiamo per averlo già sperimentato). Coscienza morale o coscienza immorale della società?

Chi ha denaro fa le regole, ma quali?
Non c'è più un ordine internazionale contraddistinto da una relativa stabilità monetaria e dalla sovranità economica degli Stati nazionali che disponevano un tempo di larghi margini di manovra.
La sfida del dollaro e i liberi movimenti dei capitali senza alcun controllo hanno alterato profondamente il quadro. Inoltre gli Stati Uniti, disponendo di un formidabile attivo nella bilancia dei capitali, possono permettersi di sostenere un non indifferente passivo nella bilancia corrente delle merci e dei servizi e, quindi, di assicurare ai consumatori americani di vivere ben al di sopra delle risorse prodotte.
Se questa è la realtà, non si hanno più le vecchie classi sociali radicate nello spazio e nel tempo: è sorta una nuova categoria di plutocrati, senza radici, senza cultura, senza scopi trascendenti, con il solo obiettivo di fare quattrini.
Però qualcosa è venuto a rompere lo scenario presentato: la nascita dell'euro. Mai era successo prima che un numero così elevato di paesi aderisse ad una moneta unica, rinunciando ad una parte così rilevante di sovranità. Si tratta di uno scandalo non previsto e, sostanzialmente, non desiderato. Ma l'euro ha già prodotto la nascita della BCE (Banca Centrale Europea), il cui scopo è quello di assicurare la stabilità monetaria, uno scudo contro ogni forma di speculazione che metterebbe in crisi l'Unione Europea. Inoltre, se il dollaro continuasse a svalutarsi, l'euro potrebbe diventare per il risparmio mondiale un'alternativa valida.

Un intermezzo prima di affrontare il terzo quadro
Due dialoghi sono presentati per illustrare due posizioni antitetiche : l'estremismo ecologista rappresentato da zio Vania, lo scimmione del Pleistocene che rifiuta di scendere dagli alberi; l'estremismo produttivista, rappresentato da Mefistofele, sconvolgente sostenitore di imprese contro natura .
A intervistare i due è un personaggio del Pantagruel di François Rabelais, Panurge: si tratta di un modello negativo di uomo, il contrario de l'homme honnête. Panurge accusa zio Vania di rifiutare la tecnica, quest'ultimo lo sorprende per le sue conoscenze letterarie e gli dimostra che vive bene come vive: va a caccia, gioca con i figli, fa filosofia, mentre lui, Panurge, non è che un uomo ad una dimensione. Inoltre come si può pensare che sia un progresso la specializzazione di cui parla il suo interlocutore? E lui, che ama la poesia, non è certo un rozzo, un primitivo. Al contrario è Panurge il folle perché pensa che sia un progresso aver ereditato il peccato di Adamo, non quello del pomo, ma un certo Adam Smith, quello che credeva che fabbricare spilli per tutta la vita fosse un progresso. Una bella critica alla disumanizzazione del lavoro ripetitivo e monotono!
E passiamo al dialogo tra Panurge e Mefistofele: Mefistofele comunica a Panurge che sta lavorando a comprimere Mozart, perché non si può sprecare tanto tempo per eseguire un suo quartetto: c'è ben altro da fare e poi con quel che costano gli orchestrali! Mefistofele può richiamare alla memoria il mercante di pillole per calmare la sete al fine di risparmiare tempo, così infatti questo strano personaggio precisa al Piccolo Principe. Come Mefistofele, anche il mercante di pillole vuole comprimere la poesia, la bellezza di avvicinarsi lentamente ad una fontana, far scorrere l'acqua nella gola assetata. Panurge chiede a cosa serve risparmiare il tempo e Mefistofele gli risponde con un esempio speciale: lo stenoparto che permette di mettere al mondo degli omuncoli che dovrebbero permettere agli uomini di impegnare tutte le energie per inventare altri modi per risparmiare tempo. L'uomo corre, corre sempre alla ricerca di qualcosa non per vivere meglio, né per ascoltare musica, poesia: incapace di fermarsi a pensare.

Terzo quadro

L'economia e la politica
Il mercato e la moneta sono gli strumenti attraverso i quali l'economia esercita la sua potenza nei rapporti tra gli uomini; si serve invece della tecnologia per schiacciare la natura. Vale la pena di riprendere brevemente una storiella sugli unici due sopravvissuti ad un disastro nucleare universale: Dio, vedendoli, pensa siano Adamo ed Eva e, quando Pietro l'informa della loro identità, allora aggiunge, quasi a porre rimedio allo sbaglio della loro creazione: Tutto per quella storia della mela. Ma io avevo scherzato.
Come analizzare il rapporto tra economia e politica? L'Economia regola i rapporti tra gli uomini attraverso lo scambio, la Politica si fonda invece sull'autorità. La prima differenza tra le due sfere avviene con la rivoluzione agricola perché i contadini destinati a lavorare sono separati dalle classi dirigenti (sacerdoti, guerrieri, principi) nelle cui mani è il potere politico. Però si può realmente parlare di economia quando appare la prima forma di scambio con la conseguente nascita del mercato. Ciò avviene solo all'inizio del secondo millennio dopo Cristo.
Ci si può chiedere come mai gli scambi organizzati e con essi la nascita del capitalismo siano una prerogativa dell'Occidente. Il crollo delle strutture imperiali, il gene greco della sfida all'autorità, della curiosità, della libertà sono all'origine di un'economia sempre più organizzata e di un potere politico che porterà all'affermarsi della democrazia.
Si rafforzano a poca a poco gli Stati nazionali e i mercati interni. Si giunge così alle soglie del XX secolo con un potenziamento dei nazionalismi ed un capitalismo senza freni. Le conseguenze di tutto questo ci sono ben note.
Passate le catastrofi delle due guerre con milioni di morti si ricorre al compromesso socialdemocratico al fine di riequilibrare le grosse sperequazioni esistenti tra le classi sociali: lo Stato assicura all'economia capitalista un livello di domanda corrispondente alla piena occupazione ma svolge, al tempo stesso, una funzione di riequilibrio attraverso una redistribuzione della ricchezza al fine di proteggere i cittadini.
Negli anni '70 del secolo scorso gli Stati Uniti si sottrassero al rispetto degli accordi di Bretton Woods, liberalizzando i cambi e dando così uno stimolo ulteriore all'espansione capitalistica. Ovviamente tale espansione considera un ostacolo ogni forma di protezione sociale e ciò mette in crisi lo Stato sociale e il conseguente ruolo della politica.

Il capitalismo esercita il suo potere sulla politica in tre direzioni:

  1. la rivoluzione tecnologica, per cui si cerca di aumentare la produttività attraverso innovazioni senza aumentare l'occupazione; inoltre, al lavoro organizzato e alla produzione in serie del periodo fordista subentra una frammentazione della produzione e una grande flessibilità dell'organizzazione del lavoro. La flessibilità si accompagna ad una rilevante instabilità lavorativa perché tutto dipende dai mutamenti capricciosi della domanda;
  2. la liberazione dei movimenti di capitale che si accompagna a un forte potere di ricatto sulle scelte politiche: non è certo indolore l'immediato spostamento di somme ingenti;
  3. la controrivoluzione culturale che scardina il compromesso socialdemocratico d'intervento dello Stato per riequilibrare la distribuzione delle ricchezze. Si afferma infatti il pensiero neoliberista che respinge l'interferenza dello Stato , in quanto ci si deve affidare al libero mercato e alla sua presunta capacità di autoregolazione.

Quali le conseguenze di questa controffensiva capitalistica?

  1. Una società mondiale molto più instabile; il conseguente sradicamento delle economie nazionali e per questo l'impossibilità di esercitare un controllo.
  2. Una società molto più diseguale con un piccolo gruppo di ricchissimi che gestiscono il 40% delle risorse; i gruppi intermedi con grandi differenze tra loro, dai quadri superiori sino ai lavoratori precari; infine il grosso gruppo dei paria, sempre più distaccato dagli altri. Le distanze sociali aumentano sempre di più e la società è sempre meno democratica.
  3. Si assiste inoltre a una degradazione dei beni sociali. Sono infatti cambiate le priorità sociali: i beni pubblici (educazione, salute, cultura...) sono diventati costi da minimizzare mentre si punta sull'aumento senza freni dei consumi privati e si ricorre alla pubblicità come strumento di persuasione. Eppure, i bisogni sociali sono sensibilmente aumentati a causa di una interdipendenza sempre più forte della società. Chi difenderà l'ambiente dalle molteplici aggressioni? Chi garantirà una reale sicurezza delle infrastrutture? Chi promuoverà la cultura, strumento indispensabile per il funzionamento della democrazia?

Il far denaro è forse già diventato una delle turpi patologie dell'anima, come sosteneva l'economista Keynes? L'assenza di regole è diventata la caratteristica del mercato globale. Che fare?
Le società umane sono diventate sempre più interdipendenti e ciò crea un livello sempre più alto d'indeterminatezza e, conseguentemente, d'imprevedibilità. Quel che ci resta è ricorrere alla volontà, al fine di decidere in tempo. Il rischio è che non ci sia più, senza una presa di posizione immediata, libertà di scelta: la potenza dell'economia finirà per fagocitare ogni autonomia della Politica.

Perciò dovremmo essere capaci d'immaginare un organo internazionale come l'ONU in grado di assolvere, su richiesta inderogabile della comunità mondiale, i seguenti compiti strategici:

Poi bisognerebbe alimentare il sogno europeo. L'Europa unita ha già fatto grandi passi: la sua moneta, l'euro, è più forte del dollaro. Se si sfruttasse questa forza, la moneta europea potrebbe diventare una moneta mondiale di riserva e attirare sempre più capitali in Europa, con un conseguente riequilibrio della distribuzione della ricchezza .
Come mai, c'è da chiedersi, questo non avviene? La risposta: gli Europei si sentono ancora Francesi, Inglesi, Tedeschi, Italiani... e molto poco cittadini europei. Siamo ancora lontani da un sentimento di condivisione psicologica, culturale, politica europea, eppure l'Europa potrebbe realmente svolgere un ruolo di equilibrio sul piano geopolitico. L'intelligenza politica e non il sonno della ragione genera sviluppo in un mondo socialmente più equilibrato e giusto.
Di fronte alle sfide mondiali si sente il bisogno di politici capaci di leggere il mondo e di economisti "eretici", capaci di far capire l'importanza delle regole, in un mondo senza regole e in un mercato che non è certo dotato di capacità di autoregolazione.
Un economista come John Galbraith che univa in sé genio e politica manca, proprio oggi, in cui l'orizzonte degli ideali si è ristretto. Saremo capaci di capire il suo insegnamento?

Torna in biblioteca
Torna agli articoli