2 Cultura & Società
L'incrocio delle culture: quale approccio?
L'identità, termine ambiguo ma non inoffensivo
articolo di Giovanna CorchiaLa Terra è una stoffa
che ci cuce una sola volta
con l'ago della vita
(Stoffe, da Quando il delfino si addormenta di Gulula Nouri, scrittrice irachena)Il n'est rien de plus naturel que de réduire les autres à ce qu'ils offrent de bizarre à nos yeux.
Rien, par exemple, ne nous est plus malaisé à concevoir que la limitation dans les volontés de l'esprit et que la modération dans l'usage de la puissance matérielle.Non vi è niente di più naturale del ridurre gli altri a ciò che offrono di più bizzarro ai nostri occhi.
Niente, ad esempio, ci è più difficile da concepire della limitazione delle volontà della mente e della moderazione nell'uso del potere materiale.
(Regards sur le monde actuel et autres essais – Paul Valéry)Vivere la vita che ci è data senza lacerazioni, ferite, strappi alla delicata stoffa di cui è fatta la nostra casa comune non può essere relegato a un sogno, un'utopia.
Ho ripreso poi le altre due citazioni da Regards sur le monde actuel et autres essais di Paul Valéry (1871-1945), grande poeta e pensatore francese, per sottolineare come sia sempre stata una pretesa dell'Occidente sentirsi superiore, giudicare l'altro, nella migliore delle ipotesi, bizzarro, cioè di poco conto, buffo, ridicolo, colui che non può insegnare niente a questa parte del mondo, dove per caso siamo nati, perché non è nostra abitudine concepire limiti o moderazione.Chiusa questa breve parentesi, passo a presentare alcune delle riflessioni del sociologo Zygmunt Bauman sul tema dell'identità oggi. Il libro oggetto di studio è Zygmunt Bauman, Intervista sull'identità (a cura di Benedetto Vecchi), Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 144. Nella sintesi iniziale il giornalista Benedetto Vecchi, redattore delle pagine culturali del quotidiano "il manifesto", mette in luce ciò che costituisce il nucleo delle riflessioni di Bauman: l'ambiguità della parola "identità", soprattutto oggi nella "modernità liquida" (un concetto che via via sarà chiarito), in cui siamo immersi e nel conseguente senso di ansia che ci prende , perché manchiamo di punti di riferimento certi. Con l'aiuto di Bauman dovremmo giungere a fare nostra la tesi che le relazioni e non la chiusura in noi stessi possono rappresentare una difesa della vita, ricordando che la stoffa di cui è fatta ci è cucita una sola volta.
Chi è Bauman
Zygmunt Bauman è nato nel 1925 in Polonia da una famiglia ebrea. Fuggito in Unione Sovietica all'inizio della Seconda guerra mondiale, ha fatto parte dell'esercito polacco che ha combattuto contro i nazisti al fianco dell'Armata Rossa. Ritornato a Varsavia si è laureato in sociologia sotto la guida di maestri che gli hanno insegnato a "guardare in faccia il mondo" senza far leva su ideologie precostituite. Proprio per questo ha preso parte nel 1956 a quel forte movimento riformatore polacco che contestava la sottomissione del suo paese al volere di Mosca. In quegli anni ha viaggiato molto, ospite delle più prestigiose università, tra cui la London School of Economics. Nel 1968 ha solidarizzato con il movimento studentesco e perciò è stato messo all'indice dal partito comunista al potere, che ha fatto ricorso a una forte repressione del dissenso servendosi, come spesso è accaduto, dell'antisemitismo per colpire tutti i dissidenti che chiedevano libertà, giustizia, uguaglianza. Non potendo più insegnare in Polonia Bauman si è trasferito in Inghilterra dove tutt'ora vive. La permanenza nel paese ha coinciso con una forte produzione intellettuale. Tra i temi trattati il sociologo ha anche preso in esame il fenomeno della globalizzazione, non solo dal punto di vista economico ma anche per le sue ripercussioni sulla vita quotidiana. Da questo assunto Bauman è partito alla scoperta del "nuovo mondo" scaturito dalla crescente interdipendenza del pianeta Terra.«Chi cerca un'identità si trova invariabilmente di fronte allo scoraggiante compito di "far quadrare il cerchio"»
Quando si parla d'identità si fa riferimento alla comunità di appartenenza come entità che la definisce. Vi sono due tipi di comunità:
- Comunità di vita e destino i cui membri vivono insieme in attaccamento indissolubile.
- Comunità saldate insieme da idee o vari principi.
Le comunità del primo tipo sono difficilmente osservabili e a molti sono anche negate nel momento in cui sono costretti a partire per fuggire da situazioni di persecuzione, guerre, fame... Perciò è soprattutto al secondo tipo che ci si rifà quando si affronta il tema dell'identità ed è qui che si capisce come sia difficile definire, delimitare l'identità di ognuno, proprio perché sono numerose le idee che creano e tengono insieme le comunità fondate su idee e principi.
L'appartenenza e l'identità non sono scolpite nella roccia: sono, in larga misura, negoziabili e revocabili, purché, naturalmente, non si faccia parte del mondo degli esclusi da ogni forma di comunità.
A chi è dato di arricchirsi in esperienze diverse è più facile acquisire le difficili competenze necessarie per cavarsela nelle situazioni più variegate e mutevoli. In alcuni casi ci si può persino sentire dappertutto chez soi, ma al prezzo che in nessun posto ci si sentirà pienamente e veramente a casa.Il concetto d'identità e la nascita dello Stato-nazione
Il concetto d'identità viene identificato con la comunità di "nascita" nel momento della formazione dello Stato-nazione. Come tenere infatti insieme individui diversi e rafforzare la sovranità dello Stato, se non attraverso la finzione che la comunità di "nascita" è il fondamento della nazione? Al fine di garantire la propria durata lo Stato moderno ha infatti investito le sue forze nel consolidamento della coesione interna, irrigidendo e sorvegliando il confine tra noi e loro: la minaccia dell'esclusione serviva a tenere insieme le tante diversità. Se solo guardiamo al nostro paese, soprattutto oggi, minacciati come ci si sente da una globalizzazione che dobbiamo imparare a governare, vediamo frantumazioni e localismi: si è ben lontani dal sentirsi parte di un'unica comunità.
Di fronte alla frantumazione della società e al suo divenire società di massa che cosa ha sostituito la Famiglia, lo Stato, la Chiesa, nuclei che avevano un peso importante un tempo? Bauman conferma la perdita sempre più evidente della capacità d'interagire spontaneamente con la gente reale, mentre si ha l'illusione d'inseguire "comunità virtuali". Nei luoghi pubblici come aeroporti, stazioni o altro, gli individui circolano con telefoni cellulari, auricolari, gesticolano e parlano come schizofrenici, incuranti di ciò che sta intorno. Incapaci d'introspezione e di relazioni reali, nei momenti di solitudine, molti continuano a manipolare il cellulare alla ricerca di messaggi che li facciano sentire meno soli.
Noi, abitanti della "modernità liquida", cangiante, sottoposta a mode, a richieste di breve durata, cerchiamo, nel disorientamento generale, d'isolarci dalla massa andandocene in giro con cuffie auricolari. Ma... e poi? Dove trovare un altro rifugio rassicurante? I vecchi schemi di riferimento hanno perso tutta la loro attrazione: "le identità vecchio stile, non negoziabili, sono semplicemente inadatte". Un manifesto apparso sui muri di Berlino nel 1994 mette chiaramente in evidenza la globalizzazione in cui siamo immersi e, al tempo stesso, la perdita dei vecchi ancoraggi: «Il tuo Cristo è un ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero». C'è inoltre una forte carica ironica in questo manifesto: l'uomo globalizzato ignora il proprio vicino, diffida di lui, ne ha paura. Non è forse questo un segno della difficoltà d'interazione, necessaria per vivere in questo villaggio globale che non ha niente del villaggio di un tempo?
Lo Stato non ha più il potere o la volontà per "mantenere inespugnabile il suo matrimonio con la società": i diritti economici non sono più controllati, governati dallo Stato, i diritti politici sono anch'essi limitati dalle disponibilità economiche, dall'accesso o meno all'economia di mercato sempre più senza regole e i diritti sociali sono sempre più sostituiti dalle possibilità dell'individuo di soddisfare i propri bisogni, dal dovere di provvedere a se stesso."È necessario che i nostri bambini imparino, e presto, a non vedere le ineguaglianze tra la loro sorte e quella di altri bambini come la volontà di Dio né come il prezzo necessario per l'efficienza economica, ma come una tragedia evitabile"
In un mondo simile mancano ancoraggi, persino il lavoro in larga parte flessibile e poco duraturo non rappresenta uno strumento di coesione. Chi può entra ed esce da comunità diverse, spogliandosi di un abito per indossarne un altro, costituendo delle comunità guardaroba che durano lo spazio di uno spettacolo, in cui per caso si è entrati. Finito lo spettacolo si dovranno ancora affrontare i problemi di sempre: in quale comunità entrerò? Quanto durerà la mia permanenza? Lo scontento sociale si è disperso in un numero infinito di rimostranze di gruppo o di categoria, ognuna alla ricerca di un porto in cui sentirsi al sicuro. E, nelle grandi disparità che caratterizzano il nostro mondo, si sono acuite le guerre di riconoscimento tra chi è dentro e chi è fuori e l'idea di una società migliore, con una più equa distribuzione della ricchezza, è stata relegata allo stato di rivendicazione contingente di gruppi sparsi. Riprendo la citazione scritta in grassetto, che Bauman deve a Richard Rorty di Philosophy and social hope [Londra, Penguin Books, 1999], completandola: "Dovremmo fare in modo che i nostri bambini si preoccupino del fatto che i paesi che si sono industrializzati per primi siano cento volte più ricchi di quelli che non si sono industrializzati. È necessario che i nostri bambini imparino, e presto, a non vedere le ineguaglianze tra la loro sorte e quella di altri bambini come la volontà di Dio né come il prezzo necessario per l'efficienza economica, ma come una tragedia evitabile". E poi Bauman aggiunge: "Vorrei far notare che anche l'identificazione è un potente fattore di stratificazione, uno di quelli che creano le maggiori divisioni e differenze. A un'estremità dell'emergente gerarchia globale stanno coloro che possono comporre e decomporre le loro identità più o meno a piacimento, attingendo dall'immenso pozzo di offerte planetario. All'altra estremità stanno affollati coloro che si vedono sbarrare l'accesso alle identità di loro scelta, che non hanno voce in capitolo per decidere le proprie preferenze, e che si vedono infine affibbiare da altri identità che trovano offensive ma che non sono autorizzati a togliersi di dosso: identità stereotipanti, umilianti, disumanizzanti, stigmatizzanti..."
Per capire meglio la portata d'identità imposte da altri, spesso umilianti, disumanizzanti, stigmatizzanti riprendo quanto esposto a Mantova, in occasione del Festivaletteratura, nel settembre del 2005, da Fatos Lubonja, scrittore albanese impegnato a denunciare gli abusi del potere, in qualsiasi loro forma, e, per diciassette anni, dal 1974 al 1991, in carcere, compresi i lavori forzati in miniera: agli italiani che gli chiedevano la sua nazionalità rispondeva di venire dal paese con una peggiore fama nel nostro, ricevendo così la risposta, anche se con un'alternativa,albanese o marocchino. Fatos ha poi anche aggiunto che è difficile essere albanesi in Italia per la presenza di chi infrange le regole.
Certo, per capire a fondo, i fenomeni di criminalità che coinvolgono immigrati, bisognerebbe conoscere bene le tante variabili che entrano in gioco. Si dovrebbe sempre evitare l'errore, che si fa spesso, di associare aspetti che riguardano lo stesso individuo, ma che non sono interdipendenti: essere nato in Albania, ad esempio, ed aver compiuto un crimine.Gli esclusi
In ogni società, anche le più avanzate, sono in tanti a non avere accesso a nessuna identità, i sottoclasse, relegati più in fondo del fondo perché mendicanti, tossicodipendenti, anche se non lo sono più, o comunque gli appartenenti ad una categoria non riconosciuta, che non figura nell'elenco delle identità degne di considerazione. A costoro si aggiungono i profughi, i senza Stato, i sans papiers, i non territoriali in un mondo di sovranità basata sul territorio.
Un fenomeno legato all'espansione planetaria dell'occidente è la produzione di scarti umani o, in modo più brutale, di umani scartati, perché non più necessari al completamento del ciclo economico e così non più stimabili all'interno della struttura sociale che fa da riflesso all'economia capitalistica. Si assiste inoltre ad un restringimento delle garanzie sociali in caso di bisogno, come disoccupazione, malattia, vecchiaia. In questa situazione di estrema insicurezza gli uomini e le donne che non dispongono di risorse e sono continuamente minacciati di esclusione finiscono facilmente preda di fondamentalismi, che danno l'illusione a chi vi entra di rinascere in una casa calda e sicura: il male è fuori!L'identità puzzle
Le identità che ci caratterizzano sono come un puzzle difettoso, le varie parti non sono facilmente componibili in un tutto armonico, perché manca uno scopo in funzione del quale assemblare i vari pezzi: chi sono, dove vado, quali sono i miei progetti, come mi è dato realizzarli, come riesco a nuotare in una modernità che mi richiede di assumere sempre nuove forme come un nuovo zelig?Apro qui una parentesi per riprendere un passaggio di un libro di Guido Barbujani, professore di Genetica all'Università di Ferrara L'invenzione delle razze, Capire la biodiversità umana [Milano, Bompiani, 2006, pp. 177], "Alexander Langer diceva che i confini, quando non possiamo abolirli, dobbiamo almeno cercare di renderli il più possibile permeabili. Al contrario, e con particolare forza nell'ultimo decennio, sta prevalendo la tendenza a inventarne sempre di nuovi, spesso arbitrari e sempre discutibili, intorno a nuove identità che ne risultano cementate, e dunque più facili da contrapporre ad altre. Tutto questo, ci dicono, si giustificherebbe con un legame inscindibile fra suolo e sangue, fra un territorio e coloro che, abitandovi da sempre, ne sarebbero gli unici, legittimi occupanti. Siamo, ci dicono, profondamente differenti, e le nostre identità, le cui radici sono nei nostri geni, possono essere difese solo difendendo il nostro territorio contro l'invasione dei portatori d'identità diverse [...] Oggi sappiamo di essere «tutti parenti e tutti differenti». Sei miliardi di persone discendono da pochi antenati comuni". Per continuare la riflessione sulle conseguenze dell'innalzarsi di sempre nuove barriere e confini, assistiamo oggi all'indebolimento del pensiero universalistico, perciò perde forza l'idea di un mondo migliore o viene relegata allo stato di rivendicazione contingente, utopistica... Sono in tanti a muoversi in cerca di un riconoscimento, ma nel mondo in cui viviamo, non c'è riconoscimento se non si considera il peso che i soldi giocano a questo fine. Sono molti gli esclusi anche nelle nostre realtà di paesi ricchi: le violenze scoppiate nelle banlieues parigine, a partire da un grave fatto di cronaca: la morte accidentale di due minorenni magrebini, di seconda o terza generazione, rifugiatisi in una cabina elettrica per sfuggire all'inseguimento della polizia nell'ottobre 2005, gli episodi di rigetto a Torino, Padova... Le periferie meriterebbero un lavoro profondo di conoscenza al fine di prevenire violenze senza sbocco di chi si sente escluso, è alla ricerca di un'identità negata.
In questo mondo fluido, in cui lo Stato nazione ha perso molto della sua forza perché le scelte che contano si fanno al di fuori dei suoi confini, in un mondo globalizzato per il quale non è così facile trovare regole che siano al servizio dei molti e non di pochi privilegiati, ciò che più avidamente si desidera è scavare trincee invalicabili.Il particolare e l'universale
Come superare il particolare, la chiusura, l'esclusione per dare spazio all'universale unificazione dell'umanità di cui parlava Kant? Per il filosofo l'idea forte era un'identità inclusiva perché era ciò che la Natura aveva in serbo per noi, avendoci messi tutti su un pianeta sferico, la Terra. L'immagine della sfericità suggerisce il calore di un grande ventre materno che ci protegge tutti, come quella stoffa delicata che ci è cucita con l'ago della vita. Ma, a differenza di molte altre identità concorrenti, l'umanità appare fragile, perché non dispone di strumenti che ne favoriscano la coesione. Sono infatti sotto i nostri occhi i limiti delle strutture mondiali esistenti.Il melting pot o la mescolanza di etnie diverse è una soluzione?
La mescolanza di gruppi diversi negli Stati Uniti, scelti come esempio, non è stata una vera soluzione alla convivenza pacifica, nell'interesse di tutti. Per renderla possibile si sono ridotte all'essenziale le regole di diritto unificanti, che tutti sono tenuti a rispettare, perché americani. Con ciò è venuto a mancare un modello di socialità condiviso, perché i valori comuni che fanno da cemento della società sono pochi. L'American way of life di cui i politici parlano in continuazione non è che l'assenza di un qualsiasi "way of life" condiviso e universalmente praticato che non sia il consenso di lasciare a ciascuno il compito di scegliere, se c'è la possibilità di scelta, il proprio "way of life". È mancata e manca una reale integrazione, che è scambio, dare e prendere, arricchirsi reciprocamente, condividendo diritti e doveri.Il mondo, un grande magazzino con scaffali colmi delle offerte più svariate: per chi?
Una parte minoritaria ha accesso al mercato globale e si muove senza limiti nei vari piani e sceglie, sceglie non certo saperi, ma beni materiali. E i tanti altri senza accesso come devono fare? Quali le scelte possibili? Le risposte sono di due tipi:
- Ripiegamento su se stessi, localismi, chiusure, spazi protetti o che si ritengono tali, come i fenomeni delle leghe dimostrano.
- Ricerca di soluzioni globali a problemi globali.
Solo la scelta della seconda via può fornire soluzioni nell'interesse di tutti, se si vuole dare un senso alla vita di ognuno. Bauman scrive: "I problemi globali possono essere risolti soltanto (sempre che possano essere risolti) con azioni globali. Cercare salvezza dai perniciosi effetti di una globalizzazione sfrenata e incontrollata ritirandosi nell'accogliente familiarità del proprio circondario, sbarrando i cancelli e serrando le finestre, non fa altro che perpetuare le condizioni di assenza di regole da Far West, da Terra di frontiera, perpetuare le strategie alla chi può si arrangi, l'ineguaglianza rampante e la vulnerabilità universale. Le incontrollate e distruttive forze globali prosperano nella frantumazione dello scenario politico e sullo spezzettamento di una politica potenzialmente globale in un insieme di egoismi locali perennemente in lotta, impegnati a contrattare una porzione più larga delle briciole che cadono dalla tavola imbandita dei baroni predoni globali. Chiunque proponga le identità locali come antidoto ai misfatti dei globalizzatori, non fa altro che fare il loro gioco e portare acqua al loro mulino.
La globalizzazione ha raggiunto ormai il punto di non ritorno. Ora dipendiamo tutti gli uni dagli altri, e la sola scelta che abbiamo è tra l'assicurarsi reciprocamente la vulnerabilità di ognuno rispetto a ognuno e l'assicurarci reciprocamente la nostra sicurezza condivisa. Detto brutalmente: nuotare insieme o annegare insieme. Credo che per la prima volta nella storia dell'uomo l'interesse personale e i principi etici di rispetto e di aiuto reciproco puntino nella stessa direzione, la globalizzazione può perfino trasformarsi in una benedizione: l'«umanità» non ha mai avuto un'occasione migliore! Se ciò accadrà effettivamente e si riuscirà a cogliere l'occasione prima che vada perduta, è una questione ancora aperta. La risposta dipende da noi".All'invito di Bauman a nuotare insieme per sperare in un mondo migliore, vorrei aggiungere alcune considerazioni di Amartya Sen nel prologo al suo recente libro Identità e violenza [Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 221: "Gli eventi violenti e le atrocità degli ultimi anni hanno portato un periodo di terribile confusione e spaventosi conflitti. La politica dello scontro globale è spesso vista come un corollario delle divisioni religiose o culturali esistenti nel mondo. Il mondo, anzi, è visto sempre di più, quanto meno implicitamente, come una federazione di religioni o di civiltà, ignorando così tutti gli altri modi in cui gli esseri umani considerano se stessi. All'origine di questa idea sta la curiosa supposizione che l'unico modo per suddividere in categorie gli abitanti del pianeta sia sulla base di qualche sistema unico e sovrastante. [...] L'approccio solitarista può essere un buon metodo per interpretare in modo sbagliato praticamente qualsiasi abitante del pianeta. Nella nostra vita quotidiana noi ci consideriamo membri di una serie di gruppi: facciamo parte di tutti questi gruppi. La stessa persona può essere , senza la minima contraddizione, di cittadinanza americana, di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, donna, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista, eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis, musicista di jazz e profondamente convinta che esistano altri esseri intelligenti nello spazio con cui dobbiamo cercare di comunicare al più presto (preferibilmente in inglese) [...] Trascurare la pluralità delle nostre affiliazioni e la necessità di una scelta razionale rende più cupo il mondo in cui viviamo. Ci spinge nella direzione delle terrificanti prospettive dipinte da Matthew Arnold in Dover Beach:
And we are here as on a darkly plain
Swept with confused alarms of struggle and flight,
Where ignorant armies clash by nightE siamo qui, come in una distesa sempre più buia
spazzati da allarmi confusi di lotte e di fuga,
dove eserciti ignoranti si affrontano nella notte."Possiamo fare meglio di così", ecco la conclusione di Amartya Sen.
Ma per poter far meglio, dobbiamo imparare a riempire meglio il nostro tempo, a privilegiare le relazioni interpersonali, che richiedono tempo, dobbiamo ricordare l'insegnamento della volpe al piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe [Milano, Fabbri, 2005, pp. 123]:
"- Si conoscono solo le cose che si addomesticano, disse la volpe. Gli uomini non hanno più il tempo di conoscere niente. Comperano le cose belle e pronte dai mercanti. Ma siccome non ci sono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se vuoi un amico, addomesticami!
- Che cosa bisogna fare, disse il piccolo principe.
- Bisogna essere molto paziente, rispose la volpe. Ti siederai dapprima un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai niente. Il linguaggio è fonte di malintesi. Ma, ogni giorno, potrai sederti un po' più vicino...
Se sapremo essere pazienti, incontrare l'altro, non ci sentiremo più esseri senza qualità e i luoghi in cui ci muoveremo non saranno più non luoghi o tante salles des pas perdus."
Leggendo in Bauman un riferimento a Erich Fromm de L'arte di amare, di cui riprende un passo: "La soddisfazione nell'amore individuale non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà fede e coraggio.[...] /Ma in / una cultura in cui queste qualità scarseggiano, il raggiungimento della capacità di amare è destinato a rimanere una conquista rara", mi è venuto in mente un altro insegnamento simile, trasmesso nelle pagine di un libro La peste di Albert Camus [Milano, Bompiani, 200, pp. 397], dal personaggio-giornalista parigino Rambert, che è a Oran, la città algerina in cui scoppierà la peste, per condurre un'indagine sulle condizioni di vita degli arabi.Le porte della città sono chiuse per evitare la propagazione del flagello, un'allegoria della guerra, e Rambert non potrà più raggiungere la donna amata. Cerca perciò con tutte le sue forze una via d'evasione, rivolgendosi anche al dottor Rieux, un medico speciale, ma Rieux non può rilasciargli un certificato che lo autorizzi ad abbandonare Oran, e nel rifiutarlo, aggiunge che lui, Rambert, non è il solo ad essere isolato dai propri cari. Il giornalista non accetta questa giustificazione, sottolineando la sua estraneità alla città: Je ne suis pas d'ici/ Non sono di qui. Ma, quando finalmente riesce a trovare un modo per uscire dalla città appestata – nell'attesa ha, però, aiutato l'équipe sanitaria che si batte contro il male – chiede d'incontrare il dott Rieux. Ecco le sue parole: "Docteur, je ne pars pas et je veux rester avec vous", a Rieux che desidera aiutarlo a scegliere di partire, dicendo che non ci si deve vergognare di preferire la felicità, Rambert risponde: "Sì, ma si può provare vergogna a essere felici da soli", e poi ancora: "Ho sempre pensato di essere straniero in questa città, di non aver niente da spartire con voi. Ma ora che ho visto ciò che ho visto, so che sono di qui, che lo voglia o no. Questa storia riguarda tutti noi", e in quelle parole tutti noi è racchiusa l'umanità intera.
Seguire questi esempi che scrittori del mondo ci suggeriscono è difficile, molto difficile, però "questa storia riguarda tutti noi", "è la stoffa di cui è fatta la nostra vita".E i fondamentalismi?
Da sempre l'uomo che si pone domande si è confrontato con l'interrogativo "Chi sono io?". È questo il nocciolo duro dell'identità, ma qualsiasi risposta credibile non può prescindere dai legami tra l'io e gli altri e dalla presunzione di affidabilità e di stabilità nel tempo di tali legami. Se per affermarci come persone abbiamo bisogno di credere nelle relazioni con gli altri come dobbiamo, dovremmo affrontare tutte le forme di fanatismo, di fondamentalismo religioso che creano spaccature incolmabili? Tali fenomeni riguardano tutte e tre le grandi religioni monoteistiche: Ebraismo, Cristianesimo, Islam. Le cause sono di due ordini:
- 1. Lo sfaldamento, l'erosione o la minaccia di erosione del nocciolo duro, il canone che tiene insieme le comunità dei fedeli. Gli uomini sembrano, anzi, sono sempre più distratti da preoccupazioni che li trascendono, immersi in un presente sfuggente, liquido, che dà maggiore peso a scelte materiali. Perciò il canone della fede che si sente minacciato deve essere difeso con le unghie e con i denti.
- 2. La religione-porto contro le insicurezze. Il fondamentalismo non solo religioso instilla una sensazione di certezza e offre un codice di comportamento semplice. Il caos della vita è relegato fuori.
Oggi i fanatismi, i fondamentalismi, il bianco e il nero, il bene e il male, le varie forme di manicheismo, hanno acquisito nuova forza per vari ordini di ragioni, tra cui, molto importante e tale da richiedere un altrettanto importante lavoro di conoscenza, la scandalosa ineguaglianza globale e la sfrenata ingiustizia che regna nello spazio globale.
Conclusione del viaggio nella parola identità
Per concludere la riflessione sulla parola identità e il nostro viaggio nell'incrocio delle culture, riprendo le proposte illuminanti dell'economista Giogio Ruffolo esposte a conclusione del suo libro Lo specchio del diavolo. La storia dell'economia dal paradiso terrestre all'inferno della finanza [Torino, Einaudi, 2005, pp. 136] – come da me riassunte, mettendo l'accento sul capitalismo e sulle regole per governarlo.
Il capitalismo esercita il suo potere sulla politica in tre direzioni:
- 1. la rivoluzione tecnologica, per cui si cerca di aumentare la produttività attraverso innovazioni senza aumentare l'occupazione; inoltre, al lavoro organizzato e alla produzione in serie del periodo fordista subentra una frammentazione della produzione e una grande flessibilità dell'organizzazione del lavoro. La flessibilità si accompagna ad una rilevante instabilità lavorativa perché tutto dipende dai mutamenti capricciosi della domanda;
- 2. la liberazione dei movimenti di capitale che si accompagna a un forte potere di ricatto sulle scelte politiche: non è certo indolore l'immediato spostamento di somme ingenti;
- 3. la controrivoluzione culturale che scardina il compromesso socialdemocratico d'intervento dello Stato per riequilibrare la distribuzione delle ricchezze. Si afferma infatti il pensiero neoliberista che respinge l'interferenza dello Stato , in quanto ci si deve affidare al libero mercato e alla sua presunta capacità di autoregolazione.
Quali le conseguenze di questa controffensiva capitalistica?
- 1. Una società mondiale molto più instabile; il conseguente sradicamento delle economie nazionali e per questo l'impossibilità di esercitare un controllo.
- 2. Una società molto più diseguale con un piccolo gruppo di ricchissimi che gestiscono il 40% delle risorse; i gruppi intermedi con grandi differenze tra loro, dai quadri superiori sino ai lavoratori precari; infine il grosso gruppo dei paria, sempre più distaccato dagli altri. Le distanze sociali aumentano sempre di più e la società è sempre meno democratica.
- 3. Si assiste inoltre ad una degradazione dei beni sociali. Sono infatti cambiate le priorità sociali: i beni pubblici (educazione, salute, cultura...) sono diventati costi da minimizzare mentre si punta sull'aumento senza freni dei consumi privati e si ricorre alla pubblicità come strumento di persuasione. Eppure i bisogni sociali sono sensibilmente aumentati a causa di una interdipendenza sempre più forte della società. Chi difenderà l'ambiente dalle molteplici aggressioni? Chi garantirà una reale sicurezza delle infrastrutture? Chi promuoverà la cultura, strumento indispensabile per il funzionamento della democrazia?
Il far denaro è forse già diventato una delle turpi patologie dell'anima, come sosteneva l'economista Keynes? L'assenza di regole è diventata la caratteristica del mercato globale. Che fare?
Le società umane sono diventate sempre più interdipendenti e ciò crea un livello sempre più alto d'indeterminatezza e, conseguentemente, d'imprevedibilità. Quel che ci resta è ricorrere alla volontà al fine di decidere in tempo. Il rischio è che non ci sia più, senza una presa di posizione immediata, libertà di scelta: la potenza dell'economia finirà per fagocitare ogni autonomia della Politica.
Perciò dovremmo essere capaci d'immaginare un organo internazionale come l'ONU in grado di assolvere, su richiesta inderogabile della comunità mondiale, i seguenti compiti strategici:
- Il governo delle grandi perturbazioni ecologiche
- La lotta contro la povertà
- La repressione della criminalità organizzata su base internazionale.
Poi bisognerebbe alimentare il sogno europeo. L'Europa unita ha già fatto grandi passi: la sua moneta, l'euro, è più forte del dollaro. Se si sfruttasse questa forza, la moneta europea potrebbe diventare una moneta mondiale di riserva e attirare sempre più capitali in Europa, con un conseguente riequilibrio della distribuzione della ricchezza .
Come mai, c'è da chiedersi, questo non avviene? La risposta: gli Europei si sentono ancora Francesi, Inglesi, Tedeschi, Italiani... e molto poco cittadini europei. Siamo ancora lontani da un sentimento di condivisione psicologica, culturale, politica europea, eppure l'Europa potrebbe realmente svolgere un ruolo di equilibrio sul piano geopolitico. L'intelligenza politica e non il sonno della ragione genera sviluppo in un mondo socialmente più equilibrato e giusto.
Di fronte alle sfide mondiali si sente il bisogno di politici capaci di leggere il mondo e di economisti "eretici", capaci di far capire l'importanza delle regole, in un mondo senza regole e in un mercato che non è certo dotato di capacità di autoregolazione.Infine, ecco il pensiero di Enzo Bianchi, priore di Bose, ben evidenziato sulla copertina del suo libro La differenza cristiana [Torino, Einaudi, 2006, pp. 117]: "La laicità come spazio etico in cui tutte le religioni possano essere capite e rispettate. L'ascolto dello straniero come premessa per immaginare la pace. Costruire un mondo differente da quello della sorda intolleranza richiede un lungo cammino. È necessario partire ora."
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