45 Cultura & Società
Dettagli
articolo di Giovanna Corchia

Noren  

Dettagli o il teatro come terapia
Lars Norén
Piccolo Teatro
Anno 2010
Pagine 37
Dettagli è stato rappresentato al Piccolo Teatro di Milano per la regia di Carmelo Rifici con Francesco Colella, Giovanni Crippa, Gianluigi Fogacci, Elena Ghiauro. “Una commedia in perfetto stile Norén - ha spiegato Luca Ronconi. L’interessante è che di un certo ambiente sociale e culturale siamo abituati a scorgere solamente l’aspetto esteriore, le vite apparentemente perfette e invidiabili. Norén lascia affiorare quello che c’è di malato, di difficile e di crudele”.

"Ti è mai successo di essere seduto solo, completamente solo, nel tuo studio, e di cercare di ridere tanto per provare quello che senti, tanto per ascoltare il suono che fai quando ridi da solo? Breve pausa. Lo hai fatto?"

Ho letto e riletto Dettagli di Lars Norén, fermandomi su ogni parola, perché la forza di Dettagli è soprattutto nelle parole e nei silenzi, sottolineati dalle frequenti didascalie che annunciano pausa, breve pausa. Questo mi ha richiamato alla memoria un testo più volte letto Aspettando Godot di Samuel Beckett, i silenzi tra frammenti di parole scambiate dai due clown, Vladimir e Estragon. Mi sono chiesta quale fosse l’attesa dei personaggi in scena, due coppie, Erik e Ann, Stefan e Emma, che si formano, si disfano e si ricompongono in modo diverso, interscambiabili...
Nel corso dei due atti, formato il primo da diciassette scene, con inizio nel maggio 1989, il secondo da tredici che si conclude nel dicembre 1999, i quattro personaggi scambiano parole che hanno spesso la funzione di riempire un vuoto, di rimuovere sempre più in fondo le loro profonde crisi esistenziali.
Parlano per parlare e, in questo scorrere di scambi verbali, emergono frasi che richiedono un’attenzione particolare, che interrogano il lettore e lo spettatore.
Perché è stato scelto il titolo Dettagli? Una possibile risposta: la vita è un puzzle formato da dettagli su cui si scivola, quasi fossero senza importanza, eppure in ognuno si cela qualcosa di noi che non vogliamo rivelare o che lanciamo all’esterno perché qualcuno sia pronto a coglierlo, ci aiuti.
Il bisogno di maternità, paternità per spinte diverse, a volte egoistiche, per non sentirsi sterili, a volte per dare un senso alla propria vita; le ferite che un genitore, un padre, può aver provocato in un figlio; la follia, una difesa contro il mondo fuori; la scrittura, un rifugio; la realtà con i suoi conflitti senza fine, la Iugoslavia, la Bosnia, Sarajevo, il Kosovo, la guerra del Golfo, Saddam; l’essere ebreo; gli autori preferiti, Céline, Paul Auster, il cinema, il teatro, tutto questo e altro è in Dettagli.

Atto primo

Maggio 1989, in una casa editrice di Stoccolma, Emma, una giovane scrittrice, vorrebbe avere notizie di un suo libro inviato per la pubblicazione. Erik, che la riceve, non sa nulla di quel libro; le confessa brutalmente di non averlo letto. Il titolo Lost and found, un titolo non casuale nel dipanarsi della storia. Si ha, infatti, spesso, la sensazione di una perdita, uno smarrimento di senso, quasi un navigare a vista, senza intravedere nessun porto-rifugio.
Forse la scena finale può rappresentare, almeno per un personaggio, il porto perduto e ri-trovato.
Crisi del matrimonio, divorzi, sono un pane quotidiano. Emma è sposata ma sta per divorziare da Sean, un musicista americano, con una vita di droga e di assenza di legami famigliari.
Dopo la parentesi americana, Emma cerca nuove soluzioni di lavoro, si offre anche come traduttrice, lettrice.
Erik, che le è di fronte, così, inaspettatamente, senza una ragione, le lancia queste parole: "Morirò prima di lei." Parole che cadono nel vuoto. Poi, riemergono in un successivo incontro tra i due. Emma gli chiederà perché le ha dette; Erik non ricorderà di averle dette; se le ha dette ignora perché.
La morte, ecco un dettaglio su cui fermarsi. La paura della morte, anche se si vive una vita di difficile lettura.
Vuota? Forse.
Segue uno zoom su Stefan, lo scrittore di commedie, e Ann, moglie di Erik, medico al Sabbatsberg. Stefan è nell’ambulatorio del pronto soccorso, è giovane ma crede di avere tutti i mali della terra. Tra i mali che denuncia, mali fisici che nascondono altro, vi è anche la crisi dei matrimoni, i divorzi tra i quali il suo, forse per eccessivo lavoro. Lascia però cadere subito il discorso, asserendo che ci sono cose ben più importanti di cui occuparsi, da denunciare: "gente che sta per crepare e che ha bisogno di aiuto". Ann è il medico che si occupa del suo caso.
Stefan sembra un fiume di parole, parla di una sua commedia che sta per andare in scena, ma precisa che è anche giornalista free-lance e che sta conducendo un’inchiesta su come muoiano le persone sole in città, "quelli che nessuno accompagna fino alla tomba, che nessuno sa che esistono". Insiste su dettagli che manifestano un certo gusto per il macabro o, forse, una sua sensibilità per quelli che nessuno sa che esistono. Filo improvvisamente rotto per chiedere al medico sonniferi in grande quantità. Ann gli fa presente che non sono certo un rimedio efficace contro i suoi problemi. Poco importa, i suoi sono insolubili. Perché non prescrivergliene cento in un sol colpo?
Mi ha colpito un qualcosa nel comportamento di Ann, suggerito da una didascalia, il suo sguardo è puntato su Stefan ma senza guardarlo. Leggiamo: Lo guarda fisso, dimenticando di guardarlo. Possiamo chiederci dove si è perso lo sguardo di Ann.
Ritroviamo Erik e Ann a teatro. In scena il lavoro di Stefan. Giudizi vari su quanto visto, perplessità, poi Ann annuncia a Erik che le sono tornate le mestruazioni. Troppo insistito questo dettaglio per non imprimerselo in mente e trovarne una chiave di lettura in seguito. L’episodio sottolinea la fine di un’attesa, l’attesa di una gravidanza, che non verrà mai, né per lei né per Emma, anche lei angosciata da questo bisogno di maternità.
Vuoto da riempire, ricerca di senso, altro?
Erik non dà peso a quanto Ann gli ha appena rivelato, osserva qualcosa che non può non stupirci, il fatto che non servano più la salsa di pomodoro sugli aerei della SAS, o forse non si tratta di aerei ma dei treni... Quella salsa non servita: parlare per non pensare.
Attratto da Emma, Stefan entra nella libreria dove la ragazza lavora, cerca d’intavolare un dialogo, occhiali da prendere nel negozio di fronte, un libro sull’AIDS, poi passa bruscamente al tu per chiederle: "Esci con qualcuno?"; seguono parole in libertà, divagazioni con frequenti pause, infine le chiede che cosa le piaccia. La risposta, eccola:
"Che cosa mi piace... Mi piace... Fuggire."
Una sottolineatura, un dettaglio su cui fermarsi un po’. Fuggire? Da chi? Da che cosa? Forse da se stessa.
Anche Erik si sente attratto da Emma, perciò le ha fissato un appuntamento. Frammenti di conversazione, pause frequenti, tutto senza un filo, forse; quello che è chiaro: Erik desidera vederla. I luoghi, in genere chiusi, cambiano e l’attenzione si sposta ora sull’uno ora sull’altro.
Quali i legami tra Erik e Ann? Con loro vive Daniel, figlio di Erik e di una precedente unione. Questo dettaglio sarà svelato in seguito, non sarà mai Ann a dirlo. Erik sente invece il figlio come una sua proprietà, ma non sembra nutrire per lui un affetto profondo, sincero. Nelle parole che si scambiano il non detto è molto più forte, più esplicito del detto, che, al contrario, serve solo a riempire un vuoto, come il continuo riferimento a un pesto con troppo olio.
Uno zoom su un racconto di Ann: l’uomo che si è dato fuoco nella sala del pronto soccorso, un immigrato e la sua inutile attesa di un permesso di soggiorno, rifiutato inoltre, inascoltato dal sevizio di psichiatria.
Il disagio, la follia che è manifestazione del disagio stesso sono dettagli che lo scrittore mette spesso in rilievo perché siano oggetto di una riflessione.
Dopo queste parentesi si passa subito ad altro, ma in questo caso si continua con il disagio personale, un matrimonio vacillante e il bisogno di fare qualcosa contro un naufragio annunciato. Raramente questi appelli di aiuto sono colti dal destinatario...
Ann vorrebbe studiare la sua rivale, di cui è al corrente. Entra anche lei in libreria con il pretesto di cercare un libro per Erik: Trilogia di New York di Paul Auster, un autore spesso citato, credo amato da Lars Norén. Infine, con un vero salto logico, svela un dettaglio della sua vita con Erik, un viaggio programmato a Roma per dare una svolta, così si esprime, al loro matrimonio.
Anche Erik e Stefan, l’editore e lo scrittore, s’incontrano in una palestra, Stefan racconta le tante ore passate la notte a seguire la CNN in un clima di spasmodica attesa dell’evolversi degli eventi nel Golfo, ci si prepara alla prima guerra contro Saddam.
Il mondo fuori, gli avvenimenti che lo sconvolgono sono una realtà nell’opera. Stefan confessa che non lo interessava tanto quello che si svolgeva sotto i suoi occhi, la guerra non lo interessava, ma si sentiva come interamente soggiogato, ipnotizzato, intossicato dallo strumento televisivo. Un dettaglio su cui riflettere.
Di rimando Erik esprime un giudizio sugli Stati Uniti e la guerra: la guerrra, sì, proprio la guerra, il loro sport preferito. Stefan aggiunge che la guerra non può non scoppiare: il climax, la tensione in un crescendo sempre più forte, non può certo interrompersi, spegnersi, sgonfiandosi... Aggiunge: "Voglio vederli colpire e ripulire il mondo in nome di Dio e della democrazia, non lo vuoi anche tu? È chiaro che lo vuoi. Tutti lo vogliono."
Si ha l’impressione che tutto si trasformi in spettacolo. Forse possiamo ricordare anche noi le immagini di quella guerra: bagliori che si accendevano nel cielo, quasi dei fuochi d’artificio.
Sotto la doccia ascoltiamo un lungo monologo di Stefan, quasi una confessione che illumina un po’ la sua vita: il padre che lo voleva assolutamente campione di tennis, al punto da ricorrere alla violenza quando perdeva; il suo libro preferito Viaggio al termine della notte di Céline; la malattia muscolare del padre quando gli aveva annunciato che non avrebbe più continuato ad allenarsi; infine racconta di essere stato vittima di una violenza del padre la prima volta quando aveva appena cinque anni. Liberatosi della presenza paterna aveva soddisfatto nuovi interessi: Alcool, droga, ragazze, Céline. Ora scrive commedie, ma Erik non ne ha pubblicata nessuna. Presto ritornerà a New York.
Incontriamo Stefan e Emma insieme a New York; incrociano per caso un individuo che Emma conosce bene. È Jim con il suo cane. Jim è eroinomane. Una confessione di Emma che non può essere tralasciata: solo se almeno un lampo di riconoscimento s’intravederà negli occhi di Jim, cattivo ma perché soffre, sarà la prova che lei esiste, che non è solo un’ombra. Molto forte questo dettaglio: essere riconosciuta, anche se non come amica, una prova della propria esistenza; paura di non essere nessuno, di perdersi nell’anonimato di una folla di sconosciuti.
Emma confessa il suo totale disorientamento, non è ancora pronta ad accogliere Stefan al suo fianco; ha bisogno di prendersi una pausa per tentare di rincollare tutto, se mai ci riuscirà.
Per controbilanciare il rifiuto, Stefan spara a raffica i suoi progetti, le commedie che scriverà. Appena sei ore gli bastano per scriverne una.
Stefan ma anche Erik personaggi specchi di Lars Norén, credo.
Frequenti pause creano spazi vuoti negli scambi verbali di Erik e Ann. In questi silenzi, nell’assenza di un filo del discorso s’intravede la crisi, la sgretolamento della loro unione. Vi è un ossessivo riferimento al periodo dell’ovulazione ma non si capisce perché desiderino avere un figlio, se tra loro c’è un vuoto incolmabile.
Lo sguardo del lettore o dello spettatore si sposta in continuazione, entrando in situazioni, al tempo stesso molto simili e molto diverse, delle due coppie: Erik e Ann, Stefan e Emma ma anche Erik e Emma, Stefan e Ann, con la stessa confusione e intercambiabilità che Erik ha confessato in una scena precedente, parlando di sé, di Ann e dei loro più intimi amici. Aveva detto, in quell’ occasione, che si erano frequentati per venti lunghi anni, parlando di tutto per non parlare di quanto succedeva dentro ognuno di loro.
Erik ama Emma, le confessa un giorno l’incubo di una notte:

Erik
"Mi sono svegliato nel cuore della notte, circa alle tre, mi sono messo a sedere e ho detto nel buio – ecco la mia vita va in frantumi." Poi aveva aggiunto: "Voglio avere un figlio con lei, la amo."

La vita in frantumi, un malessere che colpisce un po’ tutti.
Stefan ha ingoiato una gran quantità di barbiturici: tentato suicidio e ricovero in ospedale. È ancora Ann a occuparsi di lui. Chi sono? Chi è? Lo ignora. Smarrimento... Nelle parole confuse che butta fuori riemerge il ricordo di una sua storia in Africa: le ragazzine rinchiuse in piccole baracche-bordello: tante, malate, affamate. Delle macchie. Come le mosche.
Sembra sfiorato dalla pietà, sembra spinto a denunciare l’impotenza delle organizzazioni umanitarie, la sua stessa impotenza. Un dettaglio che fa luce sulle emergenze, le tante ferite che sconvolgono il mondo attuale senza che siano trovate soluzioni efficaci. Il mondo e le sue scandalose diseguaglianze, una realtà.
Mi soffermo su un pensiero di Ann che prende forma con queste parole:

Ann
"Non voglio ascoltare quel che dicono. Non è quel che dicono l’importante."
A Erik che le chiede cosa è l’importante risponde:
"È quel che dicono quando esprimono con atti senza parole ciò che conta".

In Dettagli è una delle chiavi di lettura: andare al di là delle parole per cogliere l’essenziale, un po’ come il lampo negli occhi di chi ti sfiora per capire che ti riconosce, che tu esisti...
Vi è poi in Ann un accenno al fatto che è stata chiamata mamma da Daniel, il figlio di Erik, come Erik non manca di sottolineare, non come dimostrazione di affetto, ma per puro egoismo.
Passiamo ad abbracciare con lo sguardo Emma. Forse nel tentativo di rincollare i frammenti della sua vita, giovane ma già in frantumi, Emma sembra pronta a legarsi a Erik, un Erik ora esitante. Cosa deve fare? Aspettare che esca dall’indecisione? Poi, quasi a sottolineare la sua paura, la sua solitudine, s’immedesima in una certa Edda Nussbaum ricercata dai nazisti.
Il filo della storia degli ebrei riaffiora di tanto in tanto. Ann, ad esempio, è figlia di un ebreo, ma, si sottolinea, la sua ebraicità non è totale perché la madre non era ebrea. Sappiamo anche che una delle più grosse librerie di New York ha un intero piano dedicato all’Olocausto...
Una donna sola anche Ann, lo si coglie spesso nelle sue parole, scelgo una sua replica per sottolineare la sua solitudine, il vuoto che ha dentro:
"Ti è mai successo – si rivolge al marito – di essere seduto solo, completamente solo, nel tuo studio, e di cercare di ridere tanto per provare quello che senti, tanto per ascoltare il suono che fai quando ridi da solo? Breve pausa. Lo hai fatto?"
Non credo sia necessario aggiungere altro a commento...
È lei che mette al corrente Erik del ricovero in psichiatria di... quella ragazza, come si chiama, incontrata a Firenze, Emma?
Il primo atto si chiude con le immagini di due solitudini, Emma e Stefan ricoverati entrambi nello stesso reparto. Sono i più giovani, sono i più fragili ma possiamo chiederci quanta fragilità si manifesti anche in Erik e Ann.
Stefan e Emma cantano, poi:

Stefan Sì, eccoci seduti qui.
Emma Siamo seduti?
Stefan Non dirlo, mi angosci. Ho paura che non sia così quando lo dici. Immagino che potremmo non esserci. Breve pausa Ci siamo?

Stefan annuncia poi il suo progetto: scrivere una commedia sui ricoverati in ospedale psichiatrico. Si chiede:

Stefan
"Per poter scrivere devo sapere com’è? Com’è il cibo? I pazienti possono apparecchiare e servire a tavola? Quanto sono grandi le stanze? Cosa ne fanno dei panni sporchi? Che libri hanno nella biblioteca dell’ospedale? Quanti hanno subito un incesto? Tra di loro c’è un padre che ha violentato suo figlio? Quanti anni aveva il figlio quando è stato violentato la prima volta? La madre era al corrente? I pazienti possono indossare i propri vestiti? C’è una differenza tra infermieri e pazienti, e nel caso ci fosse è nei vestiti, nel comportamento o nell’aspetto fisico? I medici SONO degli immigrati? Di cosa parlano? Come si muovono? Cosa dicono? Cosa dicono quando arrivano a frasi che non hanno parole? Cosa dicono quando le parole non sono più parole? Che tipo di gente si trova qui?

Emma
"Gente come te."

Attraverso le parole del suo personaggio lo scrittore apre lo sguardo su una realtà difficile da immaginare perché tutti noi ci sentiamo sicuri, lontani, vogliamo sentirci così. In queste parole si possono intravedere suggerimenti sui comportamenti da tenere in situazioni di estrema fragilità. Riprendo un solo dettaglio, una domanda: I medici SONO degli immigrati? Perché Stefan si pone questa domanda? Forse perché se i medici fossero degli immigrati, sarebbero più vicini ai loro pazienti, soffrirebbero anche loro di uno stesso spaesamento, sarebbero così, forse, più vicini ai loro assistiti. Sappiamo inoltre che in un ospedale psichiatrico – almeno in quella che era la realtà un tempo – i pazienti non vestono i loro abiti, sono spogliati della loro soggettività per trasformarsi in oggetti, ombre... Pensieri, parole su cui non possiamo scivolare...
In quella situazione, Stefan ha bisogno di parlare, Emma invece non vuole ascoltare, altro si agita in lei ma in modo confuso, opaco.
Con chi può allora parlare Stefan? Perché non con suo padre? Il padre, un’ossessione per lui come le parole che riprendo sottolineano:
"Tra di loro c’è un padre che ha violentato suo figlio? Quanti anni aveva il figlio quando è stato violentato la prima volta? La madre era al corrente?"
Segue affermando che il padre è morto il giorno prima, che lo ha visto morire, che gli piaceva vederlo morire, che gli dispiaceva che morisse.
Conclusione di questa prima successione di dettagli uno zoom su una ragazza chiusa in se stessa, assente e le parole di un padre che cerca di scuoterla, incapace di capire, stanco di accudirla, impotente...

Atto secondo

Lost and found

Erik ha sposato Emma. Si ripete l’inutile tentativo di mettere al mondo un figlio. Ma, se per caso nei loro scambi verbali emerge un particolare che pesa, ecco che si salta subito a qualcosa d’altro, giusto per non pensare, come il desiderio di Erik di una Caesar salad...
Assistiamo a un casuale incontro di Erik e Ann, cercano di parlarsi, ma non sono che due estranei che per caso si trovano vicini.
Un dettaglio su cui mi fermo: una lunga telefonata di Stefan da New York con al centro una sequenza senza fine della CNN di un aspirante suicida sospeso nel vuoto. Stefan è incollato alla televisione, come ipnotizzato. Ultime parole:
Salta. Breve pausa. Salta. Breve pausa. È saltato.
I quattro personaggi si ritrovano, Stefan è isolato con Emma, Erik s’intromette con violenza intimandogli di non osare giocare a tennis con suo figlio e Stefan, a sua volta, gli lancia contro il desiderio di Daniel di cambiare cognome: quel padre non è suo padre.
Emma si chiude in bagno per venirne subito fuori disperata, sanguinante: caduta ogni speranza di futura maternità, anche lei destinata a far parte delle coppie senza figli. Morte dentro.
Passiamo a Stefan e Ann, una coppia, forse? Stefan è decisamente ubriaco, Ann vorrebbe mandarlo all’inferno: ha osato usare violenza su una ragazzina di appena quindici anni... Poi la violenza verbale scema, Stefan chiede ad Ann di lasciarsi andare, di distendersi, di restare calma, farà tutto lui. Le sue parole: "Forse ti metterò incinta".
Un’impossibile gravidanza, ancora un flash su Erik e Emma, sono in un ambulatorio, hanno in mano una provetta con spermatozoi congelati, Emma dovrà sottoporsi ad un’inseminazione artificiale. Scambi di parole ma senza ascolto reciproco. Emma accusa Erik di non ascoltare mai e aggiunge che "non ascoltare l’altro è una delle cause del fallimento di un’unione". Erik pensa l’esatto contrario. Anche questo dettaglio confuso illumina una situazione confusa che non si rasserenerà mai.
Alcune parole da offrire alla riflessione:

Emma
"Non posso pensare soltanto al fatto di non avere bambini. Devo pensare... di diventare qualcosa prima che sia troppo tardi. Non possiamo andare da qualche parte? Soltanto una settimana? A Eilat?"

Le ultime parole quasi a smorzare la gravità di quelle dette prima: diventare qualcosa prima che sia troppo tardi o l’inutile ricerca di dare un senso alla propria vita senza senso.
Ancora altre parole. Non so se Erik le dica perché Emma lo ascolti o per se stesso per sentire l’effetto che fanno a sentirle:

Erik
Sono così felice. Forse non provo alcuna gioia, ma sono così felice. Pausa.
Ritorniamo a Ann, la ritroviamo in un reparto di psichiatria. La sentiremo ripetere a Stefan, quasi per essere rassicurata: "Non sono pazza" e poi nelle sue parole entra la guerra in Kosovo, i ricordi legati al suo essere ebrea, quei ricordi sono presenze, quella del terribile Mengele con i suoi esperimenti sui bambini. Parla di un bambino morente che ha tenuto tra le sue braccia, allucinazioni. Ricorda il sorriso stranamente dolce di quel mostro di Mengele...
Stacchiamoci da questa immagine di grande solitudine e ritorniamo a Erik e Emma. Lei crede di essere incinta ma, inesorabilmente, tornano le mestruazioni. Erik le confessa allora che il medico che doveva fare l’impianto non lo aveva in realtà fatto perché non era stato pagato... Il grido di Emma, un grido nel vuoto. Poi parlano di un tentativo di adozione ma anche questo non è che un fallimento, non è stata pagata la retta che avrebbero dovuto pagare.
Vuoto, sempre più vuoto:

Emma
"Nella nostra vita ci sono molte cose che non sono mai pronte".

Erik
"È anche un modo di vivere".

È fine settembre 1999, sono trascorsi dieci anni della loro vita. Erik e Emma insieme si muovono in uno spazio, un non-luogo, senza un’idea precisa. Li avvicina Stefan, solo e malvestito. Ha bisogno di parlare, parlare con qualcuno, non importa di cosa, parlare per non pensare, per riempire un vuoto – cosa quanto mai ardua – Dice di puzzare. È la sua stessa esistenza che puzza. Poi un lungo monologo sulla commedia che ha scritto, un racconto puntuale della loro, delle loro vicende. Sappiamo che Ann, nella commedia come nella vita, è ritornata in Israele, là dove sono le sue origini, a Tel Aviv, ha una nuova relazione con un anestesista che vuol fare il falegname; lo scrittore della commedia, aggiunge, va in prigione per aver abusato di una minorenne. Uscito dal carcere cerca un rifugio, pensa ai suoi genitori ma scopre che sono morti il giorno prima.
Dettagli non finisce qui, si apre una parentesi su Ann in una situazione di apertura, di luce. Forse la seconda parte di quel romanzo Lost and found scritto e mai pubblicato da Emma si può realizzare, forse qualcuno ha ritrovato se stesso e un senso alla propria vita.

Ann
[...] "Sono relativamente felice. Mi sembra di essere ritornata a casa per la prima volta nella mia vita. Continuo a non dormire, ma perché dormire? Devo essere soddisfatta di avere una vita senza sonno. Anche lui dice di essere ritornato a casa. Dice che gli do un senso di pace. Gli spiego che la nostra vita consiste innanzitutto nel riconoscere chi siamo e a quali cerchi apparteniamo. Come prima cosa c’è il cerchio composto da lui e sua figlia, poi c’è quello di lui e me, poi c’è quello di tutti e tre. Si aprono l’uno all’altro dove c’è comunicazione, e si chiudono dove c’è un ostacolo. Non sogniamo neanche nella stessa lingua. Lui in polacco e io in svedese. Ma è meraviglioso, per una volta, non capire troppo."

E a Daniel che le chiede dove lo metta, risponde:
"Tu mi appartieni. Tu sei la mia famiglia più stretta. Non sono mai stata né tua mamma né tua amica. Sono stata la moglie di tuo padre. Le sue carenze. Il suo desiderio e la sua impotenza. Il suo tradimento, ma tu ed io abbiamo avuto la forza di creare il nostro proprio legame, che è sopravvissuto al divorzio. So delle cose di te che nessun altro sa, e questo vale anche per te nei miei confronti. Ora mi ha colto la tristezza. Ora scoppierò in lacrime. Vieni, andiamo sul terrazzo. Mettiamoci sotto le stelle..."

Poi, per non dimenticare il luogo in cui sono, Ann parla della sua prima giornata in ospedale, chiamata in seguito a un attentato con una bomba, l’attentatore, un palestinese, coperto dalle fiamme, che si era lanciato dritto verso di lei, gli occhi pieni di odio e dolore... e morti e feriti dovunque.

Le sue ultime parole:
Ann
Ero sul punto di abbracciarlo e di stringerlo. Ma è caduto, caduto, caduto. Perché Jacob non è qui? Dovrebbe già essere rientrato.
La vita e le sue ferite, la vita e il bisogno di ognuno di calore, di riconoscimento, una prova che si esiste...

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