7 Cultura & Società
Bertolt Brecht
Vita di Galileo
articolo di Giovanna Corchia

Brecht Bertolt Brecht
Vita di Galileo (Leben des Galilei)
Einaudi
Anno 2005
257 Pagine

(24 ottobre 2007, Vita di Galileo – Teatro Stehler)

Vita di Galileo è una delle opere fondamentali del Novecento contrassegnato da due guerre mondiali e dalla lotta dei popoli contro i totalitarismi, il colonialismo, il neocapitalismo...
L’opera è frutto di più stesure: la prima versione è del 1938/39, scritta durante l’esilio di Brecht in Danimarca; la seconda è del 1943/45, rivista durante l’esilio negli Stati Uniti; l’ultima, nella forma definitiva, data dall’autore a Berlino.
Gli avvenimenti tragici della seconda guerra mondiale, l’orrore della bomba lanciata su Hiroshima il 6 agosto del 1945 e, tre giorni dopo, su Nagasaki, portarono l’autore a dare una nuova chiave di lettura all’abiura di Galilei: non più un eroe - vittima sacrificale di un tempo non ancora pronto ad accogliere le sue idee innovative, ma un eroe negativo, simbolo dell’uomo che non sa resistere al potere, quel potere che per affermare se stesso è pronto a calpestare l’umanità intera.
L’opera è costituita da quindici scene. Gli avvenimenti si svolgono a Padova, Firenze, Roma e, infine, ancora a Firenze.
Alcune parole chiave proprie del linguaggio scientifico: pensiero, cervello, ragione, dubbio, curiosità, vista, ipotesi, argomenti, prove, fatti, conoscenza).

Breve riassunto
Galileo è con Andrea Sarti, curioso, sempre pronto a fare domande, figlio della sua governante, che incarna il buon senso contro le astruserie delle ricerche del padrone che possono creargli solo guai.
È a lui che Galileo annuncia che si sta per entrare in una nuova era, abbandonando, finalmente, un mondo pieno di superstizioni, come quella secondo cui la terra è immobile al centro dell’universo, riverita da tutto quanto le gira attorno. Nulla nell’universo è immobile e la terra si muove e con lei tutto il suo carico di preti, mercanti, pescivendole... scolaretti, ma anche cardinali, papa, principi...
Entra in scena Ludovico Marsili, un giovane di buona famiglia appena rientrato dall’Olanda: chiede qualche nozione di matematica perché le scienze sono di moda. Nel discorrere con Galileo parla di un’invenzione formata da un tubo e delle lenti che permette d’ingigantire gli oggetti lontani. Galileo costruisce subito questo cannone ottico, perché ne intuisce la portata: è il suo telescopio, attraverso il quale vedrà i movimenti della terra, le lune di Giove, la necessità di preparare nuove carte per una navigazione sicura. Quasi cieco per questo suo continuo scrutare il cielo, lo vedremo nella parabola conclusiva della sua vita, privo non solo della vista ma, soprattutto della libertà.
Lo scienziato è vicino alla prova della verità delle teorie di Copernico, quelle stesse teorie che Giordano Bruno aveva affermato essere vere, per semplice intuizione e, proprio per questo, era stato condannato dall’Inquisizione e mandato al rogo.
Ma Galileo non ha alcuna paura, solo reclama un salario più consistente, domanda insistente rivolta al procuratore Priuli, funzionario pagatore dello Studio patavino: mangiare bene, bere del buon vino è una sua debolezza, uno dei motivi, tra l’altro, per cui cede alle pressioni dell’Inquisizione.
Ancora all’inizio, cerca di essere cauto e di frenare gli ardori del giovane Andrea facendogli capire che la verità della scienza si oppone a quella della Chiesa, aggiungendo anche che si tratta ancora d’ipotesi, da verificare con prove, fatti.
Anche l’amico Sagredo è coinvolto in queste sue scoperte ed è Sagredo che gli ricorda la condanna di Giordano Bruno e gli raccomanda perciò una grande cautela.


Apro una piccola parentesi su Giordano Bruno e, soprattutto, con dei versi che confermano le idee di Brecht:

La filosofia a teatro - Il Candelaio di Bruno (NdR: vedi articolo E.Ventura in questa biblioteca)

Roma 17 Febbraio 1600 un angolo di Campo de' fiori è lo scenario di un dramma a tristo fine.
Un frate domenicano "piccolo, scarno, con un po' di barba nera" tale Filippo Giordano della famiglia dei Bruni, viene condotto dal braccio secolare nudo con la mordacchia affinché non pronunciasse altre parole eretiche. Giordano Bruno "frate apostata da Nola di Regno, eretico impenitente fu condotto in campo dè fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu brusciato vivo", morto senza pentirsi e distogliendo lo sguardo dal crocefisso. Il fumo del rogo con l'afrore delle carni e del grasso liquefatto, qualche filamento di tessuto che sale con il calore, particelle o atomi: "Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s'annichila; è uno solo che non può mutarsi, uno solo è eterno, e può perseverare eternamente uno, simile e medesmo".

D'ogni legge nemico e d'ogni fede - Ezra Pound

"Se un uomo non è disposto a correre
qualche rischio per le sue idee, o le sue idee
non valgono niente o non vale niente lui"


Ritorno alla narrazione interrotta

Il telescopio ha persino un risvolto commerciale, viene offerto in pompa magna, portato su un cuscino di velluto dalla figlia Virginia, al Doge di Venezia e tutti intravedono gli affari che si potranno fare con quello strumento, ma, purtroppo stanno per arrivare a Venezia tante altre copie di quell’oggetto dall’Olanda, quindi la sua invenzione non è che una truffa.
Poco importa questo risvolto, Galileo sa di avere abolito il cielo, quella sfera di cristallo al cui centro la filosofia antica ha messo la Terra, quella Terra che in realtà non è che un puntino nell’immensità dell’universo in cui vi sono infiniti altri mondi, quei mondi che Giordano Bruno aveva solo presentito. Sagredo è sempre là a ricordargli la prudenza ma lo scienziato ha fiducia nell’uomo, è convinto che più che alle superstizioni è nella ragione che l’uomo fonda la sua dignità.
Galileo decide così di lasciare Padova per Firenze, per mettersi sotto la protezione del Granduca Cosimo de’ Medici, ancora fanciullo, onorandolo col chiamare i satelliti scoperti di Giove "stelle medicee". Arrivato a Firenze si scontra però con la chiusura dei cosiddetti filosofi e matematici della corte dei Medici: nessuno si avvicina al telescopio, prestar fede ai loro occhi, impossibile; cercare di aprirli, una richiesta assurda; per la curiosità, non sentono alcun fremito. A poco serve che Galileo cerchi di scuoterli dalla loro fede, che poggia sull’errore, sostenendo che la verità è figlia del tempo e non dell’autorità. Per quegli illustri personaggi ciò che non serve a confermare quanto stabilito una volta per tutte è inutile.
Scoppia la peste a Firenze, Galileo decide di restare pur potendo mettersi in salvo: gli studi che sta conducendo sono più importanti, anche se sarà attanagliato dalla fame.
Intanto il Collegio Romano, Istituto Pontificio di ricerche scientifiche, non può che confermare la fondatezza delle scoperte di Galileo, anche se i prelati riunitisi in attesa di questa decisione ribadiscono che non è affatto necessario che l’uomo capisca tutto, anzi è proprio meglio lasciarlo nella sua ignoranza.
Più volte, durante gli scontri con chi respinge la verità dei fatti, Galileo confuta l’ignoranza di costoro in modo provocatorio: fa cadere un sassolino e chinandosi per raccoglierlo, sostiene che gli è caduto in aria: è il rovesciamento dell’evidenza, la sottolineatura dell’assenza di ogni dubbio, curiosità , il rifiuto di pensare.
Intanto l’Inquisizione ha messo all’indice la teoria di Copernico come folle, assurda, eretica. In casa del Cardinale Bellarmino, a Roma, in occasione di una festa, Galileo discorre a lungo con il padrone di casa e con il cardinale Barberini, insigne matematico.
Vi è una ragione - è quello che gli viene detto - che giustifica il sostegno pieno delle teorie elaborate dai Padri della Chiesa: in un mondo definito abominevole e con grosse ingiustizie quelle teorie servono a garantire l’ordine. Ai diseredati, ai deboli è data la certezza che su tutto veglia un Essere Supremo che saprà ricompensare tutti sulla base delle prove che sapranno dare. E i fatti che provano il contrario? Ma per la Chiesa i fatti non sono che dettagli, a nessuno è dato conoscere la verità, anche se non è vietato cercarla. Impossibile affermarla, ci si deve fermare alla semplice formulazione d’ipotesi. Il conformismo è d’obbligo, pur continuando in segreto a far ricerche, per mantenere una certa libertà. Impossibile per il Cardinale Inquisitore, che cerca d’impressionare la giovane figlia di Galileo, pensare che gli uomini non sono che formiche, per cui l’Onnipotente potrebbe finire per perdere di vista persino il Papa!
Interessante, per cogliere le ragioni del rigetto delle teorie copernicane sostenute dalle prove di Galileo, è il dialogo tra il maestro e Fulgenzio, un giovane monaco suo discepolo. Fulgenzio, figlio di umile gente, non riesce a conciliare quanto ha visto al telescopio con le antiche teorie che sono sì false ma che rendono possibile l’accettazione di ogni miseria da parte degli ultimi della terra, dando loro uno scopo nella vita. Essi credono che l’occhio di Dio li segua, pronto a ricompensarli per il loro comportamento, recitando ciascuno la sua piccola, grande parte... Fulgenzio rivolge questa domanda: Quella Sacra Scrittura che tutto spiega e di tutto mostra la necessità: il sudore, la pazienza, la fame, l’oppressione, a che potrebbe ancora servire se scoprissero che è piena di errori?
Tacere serve quindi a garantire la pace spirituale degli oppressi. E se tacesse anche lui, Galileo? Avrebbe anche lui assicurata la pace sociale, del buon cibo, del buon vino e, soprattutto, la pace spirituale, propria di chi è privato della curiosità, della facoltà di nutrire dubbi, di pensare, di ribellarsi all’ingiustizia.
Con l’avvento al trono pontificio del Cardinal Barberini, appassionato delle scienze, Galileo riprende a sperare, ma la fama delle sue scoperte si è diffusa dappertutto tra la misera gente: il martedì grasso del 1632 la sua teoria diventa oggetto di uno spettacolo nelle strade da parte di una compagnia di saltimbanchi. Perciò urge chiudere la bocca a Galileo.
Così è convocato a Roma per essere sottoposto al tribunale dell’Inquisizione. I suoi discepoli attendono trepidanti il risultato, per farsi coraggio credono ardentemente che Galileo rifiuti il verdetto, non rinunci alla scienza. Da parte sua, il tribunale è sicuro che Galileo abiurerà per l’amore che porta alle comodità della vita. Inoltre se non lo si condannasse, il popolo, così duramente provato dalla peste e dalle miserie di ogni giorno, finirebbe col perdere la fede se si rivolgesse solo alla ragione. Per il Papa si correrebbe un grosso rischio se lo si condannasse: quale sarebbe infatti il giudizio in Europa? Si direbbe che la Chiesa è diventata un ricettacolo di pregiudizi. Messo alla prova, Galileo fa atto di abiura il 22 giugno 1633.
È una giornata di lutto per i suoi discepoli. Andrea così si esprime davanti al suo idolo decaduto:
Sventurata la terra che non produce eroi. Solo gli eroi, per Andrea, possono riscattare l’umanità umiliata...
Così, invece, si esprime Galileo:
No. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi.
La chiave di lettura è amara: in una società in cui la scienza ha lo spazio necessario per la diffusione del sapere, delle conoscenze per il bene collettivo, non c’è alcun bisogno di eroi. Se ciò non avviene la scienza non è libera, il sapere è soffocato, sottomesso...
Negli ultimi anni della sua vita, quasi cieco per il suo lungo guardare il cielo con il telescopio, Galileo trascorre monotonamente il tempo nei pressi di Firenze in compagnia della figlia e sotto la sorveglianza dell’Inquisizione. Andrea viene a salutarlo prima di partire per l’Olanda, paese libero che dà spazio alla ricerca. Galileo gli consegna il manoscritto, nascosto in un mappamondo, del suo lavoro I Discorsi sulle scienze nuove. Andrea vorrebbe allora consolarlo affermando che l’abiura ha reso possibile la scrittura dei Discorsi, opera fondamentale. Ma Galileo aggiunge, amaramente, che non è così, che hanno vinto gli altri, che un’opera scientifica non può essere scritta in solitudine, da un uomo solo. E poi sembra dar ragione alle parole di Andrea pronunciate subito dopo la bruciante delusione della abiura: la pratica della scienza non può essere disgiunta dal coraggio e continua: Se io avessi resistito, i naturalisti avrebbero potuto sviluppare qualcosa di simile a ciò che per i medici è il giuramento d’Ippocrate: il voto solenne di far uso della scienza ad esclusivo vantaggio dell’umanità.
Ma Galileo non ha avuto quel coraggio e, se lo scienziato cede, il massimo che si possa sperare è una progenie di gnomi inventivi, pronti a farsi assoldare per qualsiasi scopo... anche per sganciare una bomba, la prima bomba atomica, quella mattina del 6 agosto 1945, su una città inerme, Hiroshima, scelta perché il cielo era limpido quel giorno e il bersaglio facile.
È questa la chiave di lettura che Bertolt Brecht dà alla sua ultima stesura di Vita di Galileo.
Non saprei, a questo punto, se far mio il detto di Andrea:
Sventurata la terra che non produce eroi.
O quello di Galileo:
Sventurata la terra che ha bisogno di eroi.
Certo non è facile essere eroi, però la scienza non può prescindere da uno scopo fondamentale: essere ad esclusivo vantaggio dell’umanità.

Due poesie di Bertolt Brecht

Nella prima penso sia espressa chiaramente la chiave di lettura di Brecht scrittore, il suo insegnamento attraverso le parole. La seconda, da Vita di Galileo, è un ulteriore aiuto per avvicinarci all’opera, per cogliere la critica di Brecht al potere della Chiesa e alla violenza dell’Inquisizione.

Non ho bisogno di una lapide
Non ho bisogno di una lapide, ma
Se voi avete bisogno di una per me
Vorrei che ci fosse scritto:
Ha fatto delle proposte. Noi
Le abbiamo accettate.
Con una tale incisione saremmo
Onorati tutti quanti
.

Insegnamento di Galilei
Quando il Signore pronunciò il suo fiat,
volle il sole perché ad un cenno suo
recasse un lume intorno al nostro mondo,
come un’ancella, in ordinato cerchio,
desiderando che ogni creatura
si volga intorno a più eletta natura.
Quindi intorno agli importanti cominciarono i minori
a ruotare, e agli eminenti gli inferiori,
come in cielo così in terra.

E intorno al Papa circolano i cardinali.
E intorno ai cardinali circolano i vescovi.
E intorno ai vescovi circolano i segretari.
E intorno ai segretari circolano i bussolanti.
E intorno ai bussolanti circolano gli artigiani.
E intorno agli artigiani circolano i servi.
E intorno ai servi circolano i cani, i polli e i mendicanti
.

Ho seguito la spettacolo Vita di Galileo con la regia di Calenda e uno straordinario Branciaroli nei panni di Galileo: ho ritrovato la stessa forza che l’autore ha messo nel suo testo. Penso che regista e attori abbiano accettato le proposte di Brecht e con lui ne siano stati onorati, come in Non ho bisogno di una lapide.

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