Dino Campana, il Mat
di Emiliano Ventura

A Stefania

"Perché su tutto chiamo distruzione"
Dino Campana

"Sostenere l'irrealtà del mondo
È un gran peso di cui son voce
Voi mi dite pazzo, io poeta!"
Pasquinata

Come spesso succede il caso regola e comanda le minime cose dell'esistenza, come "minimo" è questo breve scritto che mi si impone. Il caso, si diceva, ha voluto che ritrovassi l'articolo che Mario Luzi pubblicò sul Corriere della sera nel 1971, in occasione del ritrovamento del manoscritto perduto "Il più lungo giorno" di Dino Campana ad opera della figlia di Soffici. Involontariamenete mi sono ritrovato avvinto, ancora una volta, dalla vicenda e dalla poesia del poeta di Marradi, il "mat" come lo chiamavano i compaesani.
Dino Campana è il "mat", il folle, il recluso in manicomio della poesia del novecento. Leggendarie le sue stravaganze, hanno fatto cronaca urla e sfuriate; le fughe ripetute da Marradi, gli arresti e le notti in cella, l'aver tirato un cane ad una signora al caffè "Giubbe Rosse", la relazione a dir poco movimentata, per entrambi, con Sibilla Aleramo, fino al silenzio dell'internamento a Castel Pulci nel 1918. Spesso la verità ha subito il colore che la narrazione orale attribuisce ad alcuni fatti. In molti hanno colto una similitudine con il destino drammatico di Torquato Tasso, con la sua reclusione a Sant'Anna, i suoi venneggiamenti, la sottrazione del poema "La Gerusalemme liberata" pubblicata da alcuni editori senza il suo consenso, senza la sua revisione che la uniformasse alle norme della controriforma.

canti_newton Canti orfici
Dino Campana
Anno 2002, 136 pagine
Curatore M. Lunetta
Editore Newton & Compton
collana Grandi tascabili economici
canti_einaudi Canti orfici Dino Campana
Editore Einaudi
collana Einaudi tascabili - Poesia

Dino Campana è il suo libro, l'unico, "I Canti Orfici", si adatta bene al caso il detto di W. Whitman "Chi tocca questo libro tocca un uomo". Tutta la vita drammatica e tempestosa di Campana si "giustifica" nella sua poesia, lui senza la sua poesia non è più reale, non esiste, scompare nella vaghezza del sogno di qualcuno, nenache fosse il personaggio del racconto di Borges. Nelle lettere che verranno poi pubblicate è il poeta stesso a darci conto dell'importanza della poesia, di come senza di essa si sentisse "non vivo", la poesia è la dimostrazione tangibile della sua esistenza. Esempio noto e ormai leggendario è lo smarrimento del manoscritto originale "Il più lungo giorno", il prototesto che diverrà "I Canti Orfici". La leggenda chiede di essere esposta per intero. Volendo pubblicare alcune poesie su la rivista "Lacerba" di Soffici e Papini, Dino consegna loro il quaderno originale con tutte le poesie. I due letterati pur trovando interessante alcune cose, due o tre diranno, non sono così interessati nè al quaderno nè tanto meno a Campana che si presenta a loro vestito più da pastore che da cittadino, provocando commenti divertiti e coloriti dei due "professinisti delle lettere". Dirà Campana in seguito "preferisco essere l'ultimo poeta della Papuasia, che avere simili colleghi". Per tutta la sua vita sarà fortemente critico con tutta la Cultura letteraria italiana e con i suoi rappresentanti; dei futuristi dirà che "facevano le puttane a teatro", mentre lui, scuattrinato, girovaga senza meta in città (Firenze). Altro capitolo della leggenda campaniana vuole che vendendo le copie del suo libro tra i tavoli dei caffè, ne abbia venduta una copia a Marinetti, ritenendolo non in grado di apprezzare la sua poesia abbia strappato il libro e lasciato a Marinetti la sola copertina dei Canti Orfici.
Intanto Soffici e Papini si passano il manoscritto che finisce in qualche cassetto delle dimenticanze. Campana dopo un po' comincia a chiedere la restituzione, quando si accorge che i due non rispondo o lo fanno con evasiva sufficienza inizia a minacciarli per lettera, arriva a formulare una minaccia di morte. Arresosi all'evidenza della perdita, che per lui è un fatto drammatico, si rifugia tra i monti intorno a Marradi, è lì che riscrive a memoria le prose e le poesie perdute che diventeranno così "I Canti Orfici". Il testo è un "prosimetro" (insieme di poesie e prose), vi è narrato un viaggio iniziatico (da qui l'appellativo di Orfico) dove è rintracciabile l'influsso sul poeta di Dante e della Commedia. Il percorso è circolare, s'inizia con la Notte e si approda alla luce solare della poesia Genova, l'iniziazione è compiuta, è ri-nato l'uomo che ha attraversato la conoscenza, la sapienza e il dolore, la palingenesi è avvenuta. Una forte carica misterico-esoterica pervade tutto il libro che non lo rende di facile comprensione ma lo consegna ad una tradizione secolare. L'influsso di Nietzsche e del suo Zaratrusta traspare dalle prose e dalle liriche; l'esergo del libro che è dedicato all'imperatore Guglielmo II del popolo germano; questa dedica, durante la prima guerra mondiale, provocherà diversi problemi con la polizia al poeta stesso ritenuto filo austriaco, quindi una possibile spia.

canti_garzanti Canti orfici e altre poesie
Dino Campana
Anno 2004, XXXIII-177 pagine
Curatore N. Bonifazi
Editore Garzanti Libri
collana I grandi libri
canti_bur Un po' del mio sangue. Canti Orfici, Poesie sparse,
Canto proletario italo-francese, Lettere (190-1931)

Dino Campana
Anno 2005, 298 pagine
Curatore S. Vassalli
Editore BUR Biblioteca Universale Rizzoli
collana Scrittori contemporanei

Dino Campana era approdato alle tematiche orfiche grazie al libro dello Schurè "I Grandi Iniziati", un testo di capitale importanza per surrealisti e avanguardie. La sua cultura è da autodidatta appassionato e disordinato, arriverà a conoscere cinque lingue ma non sarà mai pienamente padrone delle regole della sintassi; potrà espremirsi con relativa sicurezza usando spesso frasi che aveva appreso, e memorizzato, dai libri che leggeva in lingua. È sulle pagine de "I Grandi iniziati" che apprende il mito di Orfeo, quel mitico primo poeta che insegna all'uomo il canto e che poi viene sbranato dalle baccanti, rimane la sola testa che tra i flutti continua a cantare. Orfeo è il "tragos", il capro sacrificato dalla comunità proprio per aver donato la poesia all'uomo. Inoltre è sceso negli inferi, come Enea o Odisseo e più tardi Dante, ha visto il mondo che è celato ai vivi, è portatore di una conoscenza unica. È evidente come Campana sentisse una certa affinità proprio con questo mitico poeta; in fondo anche lui sente di portare una poesia nuova nel panorama letterario del novecento, una poesia che ha poco in comune anche con le avanguardie. Il poeta di Marradi rimarrà sempre ai margini della cultura, in una terra di nessuno dove si perderà fino all'internamento in manicomio. Il suo temperamento lo porterà sempre ad oscillare tra un forte impulso di fiera indipendenza e ostilità verso il mondo delle lettere e un desiderio di essere accettato; lo dimostra il fatto che dopo aver minacciato Soffici per lo smarrimento del quaderno dedica una poesia a un suo quadro, il tutto a poco tempo di distanza. Stesso percorso mentale lo porta ad essere un viaggiatore irrequieto e apolide, oscillando tra le americhe e l'europa, per poi tornare in Italia con l'intento di arruolarsi volontario per il fronte: dirà "Due cose ho chiesto all'Italia, il passaporto e di partecipare alla guerra, mi sono state negate tutte e due". Nello stesso periodo altri apolidi come Apollinaire o Alberto Savinio si arruolano proprio per "costruirsi" una patria. La grande forza di Campana è l'aver messo tutto sè stesso nella poesia, senza la poesia lui perde consistenza, e questa è anche la sua debolezza, il suo malessere psichico dalle cause complesse e molteplici. I Canti Orfici sono un unicum nel panorama poetico italiano dei primi due decenni del novecento, ma anche dopo; il futurismo è l'avanguardia che accoglie gli apocalittici distruttori della parola e non solo (uccidiamo il chiaro di luna); le atmosfere nostalgiche e malate appartengono al crepuscolarismo. Senza dimenticare che D'Annunzio è il vate della poesia e dell'Italia con la sua prosa aulica e decadente. La poesia di Campana si presenta come un punto di rottura, con le sue alliterazioni, la mancanza di un referente riconoscibile, le prose di viaggio ricche di colore; ricordo che la poesia "Chimera" viene ancora considerata "difficile" per i suoi richiami al mito. Anche Ungaretti e la poetica ermetica subiranno il fascino della poesia di Campana. Il testo vedrà una pubblicazione "ufficiale" solo nel 1928 grazie a Vallecchi, prima di allora c'era il testo che aveva stampato a sue spese il poeta (mille copie) presso la tipografia Ravagli: erano queste le copie che andava vendendo personalmente tra i passanti e i tavoli dei caffè.
Pochi personaggi nel panorama culturale italiano hanno la portata drammatica di questa esistenza che si conclude in un manicomio, subirà trattamenti di elettroschoc, fino alla morte nel 1932 per un'infezione di setticemia. Si è citato Tasso come esperienza drammatica similare al poeta, ma anche Giordano Bruno, l'eretico par exellance, o Antoni Artoud suo coevo; non è improprio assimilare l'esperienza della poesia e del vissuto di Campana all'eresia, che è e rimane una scelta non ortodossa, una voce fuori dal coro. Lo si potrebbe definire con la definizione che usa Bruno per sé: "Accademico di nulla Accademia"; ma quello più appropriato è "nato virtualmente rovinato" come Guy de Bourd. Dino Campana con la sua carica di personale eresia è un "rifiuto", essere rifiutato è una condizione che lo ha accompagnato per tutta la vita; rifiutato, dai compaesani, dai letterati e dallo stato, viene "eliminato" come fosse una "scoria" radioattiva, isolato quindi perchè pericolso. A noi "resta" il suo libro, la sua unica parola poetica, il dono della sua diasperatissima vitalità.

Libri su Dino Campana:
Dino Campana. "Una poesia europea musicale colorita"
Anno 2007, 324 pagine
Curatore M.Verdenelli
Editore Eum