Recensioni e commenti di saggi

a cura di PierLuigi Albini

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Cristianesimo e libertà   

Lorenzo Bedeschi - Cristianesimo e libertà
Il discorso di Romolo Murri

Editore QuattroVenti (San Marino 1902)
Collana Ricuperi. Fondazione Romolo Murri
Anno 1999
156 pagine

Lorenzo Bedeschi, Cristianesimo e libertà. Il discorso di Romolo Murri (San Marino 1902), Urbino, QuattroVenti, 1999, pp.153
Don Romolo Murri è poco conosciuto al di fuori della cerchia degli storici, eppure, la prima formulazione, il primo progetto italiano per la formazione di una democrazia cristiana nascono principalmente da lui. Discendono dal suo pensiero alcune delle più robuste radici del cattolicesimo democratico, in particolare di quello che riesce a distinguere la sfera religiosa da quella politica. Murri si proclamava infatti anticlericale, ossia oppositore della pratica e della teoria (i clericali, appunto) di non riconoscere ai credenti un'autonomia di azione e di giudizio nella sfera civile.
Lorenzo Bedeschi premette al discorso di San Marino di Murri un documentato e penetrante saggio. Del resto egli è il presidente della Fondazione Romolo Murri che, appoggiata all'Università di Urbino, conserva gli archivi del personaggio e edita alcune collane che si interessano in particolare del modernismo cattolico dei primi anni del Ventesimo secolo.
La vicenda di Murri non finì bene. Combattuto aspramente dai conservatori cattolici e dagli integralisti, poi sospeso a divinis, fu infine scomunicato da Pio X. Tuttavia, morì riconciliandosi con la Chiesa, senza per questo rinunciare alle sue idee politiche. Idee che, nell'essenziale, nel frattempo avevano fatto strada, prima attraverso il Partito popolare di Luigi Sturzo e poi con De Gasperi. E nello stesso atteggiamento del Vaticano e, poi, del Concilio Vaticano II.
La democrazia cristiana di Murri, infatti, ponendosi come un'alternativa storica di fronte al movimento socialista, assumeva però le rivendicazioni popolari come base del proprio operato, adottando senza riserve (che persistettero fino ai nostri giorni in molti ambienti vaticani) il metodo democratico. Tutto ciò tracciava le linee di un partito aconfessionale, aperto al mondo e impegnato a smantellare la mentalità cattolica arcaica, ereditata dalla pratica del potere temporale e da un rifiuto radicale di misurarsi con le novità della scienza e dell'industrializzazione.
Non che la biografia intellettuale e politica di don Romolo Murri non sia stata attraversata da molte contraddizioni, ma egli fu decisamente uomo di azione - un organizzatore - oltre che un teorico e, quali che siano state le sue oscillazioni, la sua testimonianza rimane una pagina fondamentale della storia nazionale. Testimonianza che oggi, mi pare, torna di attualità.

Storia del popolo americano    

Howard Zinn - Storia del popolo americano
Dal 1492 a oggi

Editore Il Saggiatore
Collana Nuovi saggi
Anno 2005
510 pagine

La lettura di questo libro dell’anziano storico radicale americano, autore di diversi libri, anche tradotti in italiano (tra i quali Disobbedienza e democrazia e Non in nostro nome. Gli Stati Uniti e la guerra), invita ad una riflessione sui fondamenti della Costituzione americana. In particolare sul suo impianto censitario: “La Costituzione fu un compromesso fra gli interessi schiavistici del sud e quelli finanziari del nord”. (p.73) Questa affermazione non è una novità nel panorama del pensiero democratico americano, almeno in quello più radicalmente conseguente ai principi contenuti nella Costituzione stessa.
Ciò che veramente interessa nel testo non però tanto il tentativo di interpretare la nascita e lo sviluppo della potenza americana come il frutto di una combinazione nuova tra il mondo dell’economia (l’imprenditoria, le grandi corporations e così via) e i principi democratici, generando un concetto di nazione, comprensivo dei suoi lavoratori, come soggetto che “sfrutta il mondo” (p.251). Quanto il fatto che Zinn espone la storia degli Stati Uniti dal punto di vista degli esclusi (nativi, minoranze di colore, immigrati, donne e, in una prima lunga fase, gli stessi lavoratori). Mostra, attraverso una lunga documentazione di fatti e di testimonianze, il ruolo endemico della violenza nel sistema di vita americano. A cominciare dalla scoperta di Cristoforo Colombo, la cui esaltazione non coincide ovviamente con il punto di vista dei nativi dell’intero continente americano.
Certo, anche quest’ultima chiave di lettura non è una novità nella storiografia, ma ciò che colpisce, assieme ad una felice leggibilità del testo (e della traduzione), è la compatta perseveranza nel tempo della violenza istituzionale e privata americana.
C’è un punto, però, che a mio parere solleva qualche perplessità. Durante tutto il racconto sono riportate le testimonianze dei protagonisti sulla inutilità del voto e del suo esercizio da parte del popolo degli esclusi. Ma, arrivato all’ultimo scorcio del Ventesimo secolo, l’autore sostiene che i due maggiori partiti (il democratico e il repubblicano), non sono alternativi, in quanto assai simili e afferenti agli stessi potentati economici. E aggiunge un fatto risaputo e cioè che al voto va una minoranza di americani e che tutti i presidenti sono stati perciò eletti da una minoranza della minoranza. Mi sembra una palese contraddizione rispetto alle reiterate dichiarazioni (certo non direttamente sue, ma in qualche modo accreditate) sulla inutilità del voto. Anche se Zinn vuole dimostrare che il principio di maggioranza, di fatto, negli Stati Uniti non è praticato, è pur sempre lecito domandarsi: cosa succederebbe se almeno il 70-80% degli americani andasse a votare?

Il segreto svelato   

David Hockney - Il segreto svelato
Tecniche e capolavori dei maestri antichi

Editore Electa Mondadori
Collana Arte e cultura
Anno 2002
236 pagine

L’artista inglese che scrive è molto celebre e durante la sua vita artistica si è cimentato con diverse tecniche di rappresentazione, compresa la fotografia. Come autore di questo volume riccamente illustrato, Hockney ricostruisce parte della storia dell’arte moderna da un particolare punto di vista: quello del rapporto tra pittura, ottica e strumenti di riproduzione.
La sua tesi affascinante è il risultato di lunghe ricerche e sperimentazioni, facilitate dall’esperienza acquisita nel campo della fotografia. In buona sostanza, Hockney sostiene che l’estremo realismo dei maestri rinascimentali (in particolare i fiamminghi), già a partire dai primi anni del Quattrocento, fosse dovuto all’uso della camera ottica, ossia di uno specchio concavo, che è in grado di proiettare immagini su una tela. Conoscenza delle leggi ottiche e uso di nuovi strumenti sarebbero dunque all’origine di una delle più grandiose rivoluzioni artistiche e della straordinaria capacità di riprodurre i più minuti dettagli della realtà. Quasi una fotografia. Naturalmente, si sapeva già che l’uso della prospettiva, ad esempio, è il risultato dell’applicazione di principi geometrico-matematici alla pittura. Ma Hockney si spinge ben oltre nel tentare di stabilire un rapporto stretto tra stili pittorici e uso di nuove strumentazioni scientifiche, a partire dal famoso quadro di Jan van Eych I coniugi Arnolfini del 1434.
Per dimostrare la sua teoria l’artista si serve anche di numerose comparazioni, che arrivano fin quasi ai giorni nostri. Ma David G. Stork, professore di ingegneria elettrica alla Stanford University, ha dimostrato in via sperimentale che specchi come quelli descritti da Hockney furono al di là delle capacità costruttive per almeno altri 250 anni (Le Scienze, 438, 2005). E che quelli utilizzabili non erano in grado di restituire immagini così dettagliate. La rivoluzione pittorica del tempo sarebbe dovuta ad altri fattori, anche tecnici, come l’adozione dei colori ad olio, oltre che culturali. Forse, secondo altri, l’ottica c’entra in qualche modo, ma si trattò dell’uso più diffuso degli occhiali, che permettevano al pittore di vedere più nitidamente i particolari sulla tela.
Quello di Hockney rimane, però, un libro molto interessante: lo sforzo analitico che vi è contenuto aiuta il lettore a cogliere aspetti e confronti della tecnica pittorica che sfuggono spesso ad uno sguardo non attrezzato. Inoltre, nonostante l’insostenibilità della tesi difesa dall’autore, rimane vero che nelle storia dell’arte è sempre esistito uno stretto rapporto tra l’apparizione di nuove tecnologie e il mutamento degli stili.

L'azzardo del 1915   

Gian Enrico Rusconi - L'azzardo del 1915
Come l'Italia decide la sua guerra

Editore Il Mulino
Collana Intersezioni
Anno 2005
199 pagine

Il pregio di questo libro è di fornire una dettagliata, documentata e tuttavia agile ricostruzione delle motivazioni e dell’accidentato percorso politico e diplomatico che portarono l’Italia ad entrare nella Grande guerra a fianco dell’Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia) invece che degli Imperi centrali (Germania e Austria-Ungheria), rompendo un’alleanza politico-militare che durava da tre decenni. Ma ha anche il pregio, spogliando la ricostruzione dalle incrostazioni patriottiche e dai giudizi comunque contrari alla guerra, di mettere nella nuda evidenza i limiti politici, militari e anche culturali di quello che giustamente definisce un azzardo.
All'azzardo, come si sa, contribuirono diversi fattori che l’autore ripercorre solo in parte, limitando volutamente l’analisi al ruolo giocato dalle istituzioni (partiti, governo, monarchia e militari) e al rapporto con gli altri attori europei della tragedia. In sostanza, Rusconi mette a fuoco come il Potere si comportò nella vicenda, quali calcoli politici ed economici e quali ambiguità portarono i gruppi dirigenti del tempo a decidere di passare dalla neutralità alla belligeranza, quali erano le condizioni reali dell’esercito e i limiti di una preparazione strategico-economica che appesantirono il bilancio degli errori (e delle vittime).
Il punto di vista che l’autore assume è quello di considerare, di fatto e comunque, la Grande guerra come una rifondazione nazionale, ivi compresa la crisi del liberalismo e la nascita del fascismo. Prescindendo dai giudizi di valore, dal punto di vista storiografico non c’è dubbio che sia stato così e che l’Italia uscì dalla Grande guerra (e dalla seconda guerra mondiale) profondamente cambiata. C’è anche un evidente e lodevole sforzo di valutare quanto è accaduto dal punto di vista europeo, anche invitando gli storici di altri paesi, per esempio tedeschi, a non ripetere, consciamente o inconsciamente, interpretazioni di origine nazionalistica.
In ogni caso, quel che emerge confermato dall’intera vicenda, anche grazie alla sintetica ma significativa documentazione contenuta nel testo, fu la superficialità, l’approssimazione, l’azzardo appunto, e i motivi altri - che poco avevano a che fare con le motivazioni ufficiali – con cui i gruppi dirigenti del tempo fecero entrare in guerra il nostro paese. Ma al lettore non potrà sfuggire nemmeno una conclusione malinconica e cioè di quanto poco sia cambiata la mentalità di un certo tipo di Italia, osservando come in un riflesso i comportamenti, le contraddizioni e le incertezze della politica estera del nostro paese.

La visione dall'interno   

Semir Zeki - La visione dall'interno
Arte e cervello

Editore Bollati Boringhieri
Collana Nuova cultura
Anno 2003
269 pagine

Il testo è un caposaldo della nascente neuroestetica, la disciplina che associa le ricerche neurobiologiche sulla visione al tentativo di capire le modificazioni e le reazioni che avvengono nel nostro cervello quando osserviamo un’opera d’arte. Attraverso la Tomografia ad emissione di positroni (PET) è infatti possibile individuare le aree cerebrali che reagiscono ai vari stimoli luminosi, al movimento e alle forme. Va detto che, seppure in non modo esclusivo, l’indagine neuroestetica trova una più felice applicazione nei confronti dell’arte contemporanea, per ragioni che sarebbe troppo lungo discutere qui.
L'ambizione di Zeki e di altri è quella di fondare una teoria estetica a base biologica, le cui prime linee sono riassunte nel libro, ricco di esempi e di illustrazioni che facilitano la comprensione di una materia che comunque richiede un po' di applicazione e di passione. Ma chi è interessato all’arte, al termine della lettura si accorgerà di averne un’idea nuova e affascinante, avendo capito meglio come mai, di fronte ad un quadro, prova certe emozioni. Si sorprenderà anche a visitare una galleria d’arte in modo diverso dal passato. Il suo punto di vista sarà cambiato, perché non potrà fare a meno di collegare le sue impressioni a ciò che ora sa che avviene nel proprio cervello. E questo lo porterà a valutare quel particolare colore, quella forma, quell’organizzazione spaziale del dipinto in modo più consapevole. Lo porterà a capire meglio le intenzioni dell’artista, anche quelle che non erano perfettamente chiare a lui stesso. C’è un’espressione felice che Zeki usa a proposito delle infinite sperimentazioni artistiche avvenute nel Novecento, in particolare per quanto riguarda le avanguardie. Parla degli artisti come di neurologi inconsapevoli, ossia di persone che hanno lucidamente tentato – pur non avendone le cognizioni scientifiche – di coinvolgere in modo non tradizionale le nostre aree cerebrali.
Certo, la neuroestetica non potrà mai sostituire la sensibilità estetica personale ma, in futuro, dovrà per forza entrare a far parte della cassetta degli attrezzi dei critici d’arte.
Semir Zeki dirige il Laboratorio di neurologia di Londra e Berkley e - assieme a Richard Gregory, professore di neuropsicologia a Bristol e a Vilayanur S. Ramachandran - rappresenta una delle punte avanzate della costruzione delle nuove mappe del funzionamento del cervello. Anche in Italia la neurostetica ha iniziato ad avere dei cultori: per una panoramica generale si veda neuroscienze.net.

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