Recensioni e commenti di saggi

a cura di PierLuigi Albini

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Coen   

Ester Coen (a cura di) – Illuminazioni.
Avanguardie a confronto. Italia – Germania - Russia

Electa
Pagine 520
Anno 2009

Il monumentale catalogo della mostra sul Futurismo al Mart di Rovereto rende onore a un'esposizione più esauriente di quella parigina-romana e che non tradisce il suo titolo, seppure risulta un po' sacrificata proprio per quanto riguarda i futuristi (niente Balla, poco Boccioni, più Severini e Soffici). Effetto delle troppo mostre in contemporanea sul Futurismo? Ma l'esposizione si riscatta con un'ampia presenza dell'Espressionismo tedesco e, soprattutto, del Futurismo russo. E se la presenza francese è assai scarsa, ciò è dovuto al fatto che il confronto era appunto orientato verso altre avanguardie. Il catalogo, oltre alla riproduzione delle opere in mostra, consiste in buona sostanza in una vasta selezione di corrispondenza tra futuristi, estimatori, critici, mercanti d'arte e artisti di altre tendenze, suddivisa per paesi, che mette in condizione il lettore paziente e interessato di seguire la trama dei rapporti internazionali che accompagnarono e sostennero la battaglia dei futuristi per un'arte radicalmente nuova. Completa la raccolta un fitto corredo di immagini fotografiche e di opere altre, forse riprodotte un po' troppo in piccolo formato, per cui una lente d'ingrandimento non guasterà. Beh, non si può avere tutto; tuttavia un indice dei nomi citati nelle corrispondenze, un poco più ampio delle note biografiche pubblicate, non avrebbe guastato.
Sono stato piacevolmente colpito dalla presenza di opere di Lyonel Feininger (del tutto assente nella mostra romana), ma soprattutto dalla ricchissima presenza dei futuristi russi, compreso Majakovskij, che al futurismo di Marinetti fu avverso e di cui sono esposti un paio di quadri (niente di che, molto meglio come scrittore). Spiccano le donne - con alcuni comprensibili vuoti di opere -, esponenti non secondarie di una tendenza pittorica che, nonostante l'impenitente maschilismo predominante, vide una fioritura straordinaria di artiste. Una discreta presenza dell'immortale Malevic completa la rassegna dei russi.
Anche la presenza tedesca è di tutto rispetto, compreso il russo-tedesco Kandinskij, pure lui avverso al futurismo marinettiano, ma con tutta evidenza attento a ciò che si muoveva nelle avanguardie dell'epoca. Uno solo qui il pittore di chiara ascendenza futurista, per tutto il resto il timbro autonomo della ricerca espressionista appare chiarissimo.
Poi, visto che vi trovate in quello splendido posto che è Rovereto, potreste anche approfittare per visitare Casa Depero, da poco riaperta dopo un eccellente restauro. Considerato che anche al Mart la mostra sul Futurismo si ferma agli anni della Grande Guerra, un'occhiata a un filone particolare del Secondo Futurismo come quello di Depero dà un'idea un poco più completa dello sviluppo di quel movimento.

Ainis   

Michele Ainis – Chiesa padrona.
Un falso giuridico dai Patti Lateranensi a oggi

Garzanti
Pagine 118
Anno 2009

Il libro inizia con un'utile ricognizione (certamente incompleta) delle provvidenze economiche dirette e indirette stabilite a favore della Chiesa cattolica da leggi nazionali, regionali e dai provvedimenti provinciali e comunali, dai quali si evince che un fiume di denaro esce ogni anno dalle tasche degli italiani (credenti, non credenti e di altre religioni), per una cifra stimata che va dai quattro ai nove miliardi di euro. Per non parlare della lista delle interferenze del Vaticano sulla legislazione italiana, che non può certo registrare quelle occulte. In qualche modo la Chiesa si ritiene autorizzata a pilotare la legislazione italiana, visto che nell'ottobre del 2005 (non secoli fa) Benedetto XVI ha confermato la variante medievale della superiorità della Chiesa sullo Stato affermando che "i diritti fondamentali vengono da Dio, non dallo Stato". Conosco le motivazioni teologiche che hanno ispirato una tale motivazione, ma il risultato finale, molto concreto e terrestre (nel senso del potere secolare), non cambia.
Il cuore delle tesi sostenute dal libro riguarda tuttavia la questione dei Patti Lateranensi (e il loro aggiornamento del 1985), in particolare il conflitto che sorge tra gli articoli 7 e 8 della Costituzione italiana, dove il primo incardina i Patti nella Carta costituzionale e il secondo assicura la libertà religiosa a tutte le confessioni, "in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano". Che, vogliamo ricordarlo, è democratico. Ma i paradossi illustrati dall'autore aumentano nel contesto di altre norme costituzionali.
Per esempio, una legge del 1999 ha depenalizzato il reato di offesa a capo di Stato straniero, ma il reato, in forza del Concordato rimane nei confronti del pontefice. Vale la pena ricordare che il Concordato (e la Costituzione) stabiliscono che "lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani". Ne consegue, proprio in forza del fatto che la Chiesa è riconosciuta "sovrana", cioè dotata del primo attributo riconosciuto dal diritto internazionale come specifico dello Stato, che essa non può interferire con la sovranità dell'altro Stato contraente, quello italiano. Il paradosso che ne discende, in forza del successivo art. 9 della Costituzione, è che se un "un monaco buddista o un rabbino ebreo possono interferire sulle vicende legislative della Repubblica italiana, non può farlo il governo della Chiesa". Mi pare che è esattamente il contrario di ciò che avviene: il presidente della CEI sembra spesso il capogruppo di maggioranza ufficiosa del Parlamento italiano. Il quale governo vaticano è poi largamente al di fuori dello statuto democratico richiesto alle altre religioni (art. 8), per non parlare della Carta dei diritti umani dell'ONU. In buona sostanza, con l'incardinamento del Concordato nella Costituzione, in essa viene accolto un regime giudico assurdo (anticostituzionale) che non prevede la separazione dei poteri né il suffragio universale; non dà nessuna certezza del diritto (privilegi e dispense del sovrano), né la libertà di culto, né la libertà di manifestazione del pensiero; né tanto meno l'uguaglianza tra i sessi e che delinea un sistema sostanzialmente di casta. Per non parlare delle sentenze vaticane in materia matrimoniale che, annullando il vincolo, lasciano la parte soccombente (un cittadino italiano!) priva di qualsiasi protezione. E che dire del fatto che la struttura gerarchica della Chiesa può licenziare praticamente al di fuori della legislazione italiana un insegnante di religione (italiano) da essa assunto ma pagato dai contribuenti italiani (cosa che è avvenuta)?
La conclusione è che, per come le cose si sono venute sviluppando, mentre la Chiesa conserva integralmente la sua sovranità (qui non è in discussione, ovviamente, la libertà religiosa), lo stesso non è per lo Stato italiano, grazie alla mostruosità giuridica incuneata nella Costituzione. Ma conviene alla stessa religiosità cattolica mantenere un regime di potere di tale genere? Alla religione in quanto tale, certamente no, all'apparato di potere, alla casta vaticana, certamente sì.
Qui, comunque, si può ascoltare un'intervista telefonica dell'autore del libro, a cura di Giancarlo Conti dell'ARIFS (Associazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e Storia).

Dorfles   

Gillo Dorfles – Conformisti. La morte dell'autenticità

Laterza Castelvecchi
Pagine 118
Anno 2008

Tre pecore in copertina danno la cifra di questa raccolta di articoli di un "portatore sano di un sano eclettismo" (come lo definisce il curatore), la cui prima edizione risale al 1997. Ma alla fine di una lettura agile (si tratta in gran parte di articoli pubblicati su quotidiani), il lettore rischia di ritrovarsi al punto di partenza: inevitabile effetto di considerazioni che si basano su una nozione sfuggente come quella di gusto. Non saprei proprio come classificare questo libro dell'antico maestro (ammesso che sia corretta questa mania classificatoria), forse un testo a metà strada tra estetitismo e moralismo (ma non uso questi termini in senso peggiorativo). Forse potremmo definirlo un saggio sulla critica del costume contemporaneo e sulla decadenza del gusto.
Ovvio che la società di massa e i suoi riti (manie e conformismi e anticonformismi addomesticati) siano visti con una certa insofferenza che vira al disprezzo. Sta di fatto che l'intera materia, che l'autore dipana con spirito ora ironico ora graffiante, alla fine rischia di aggomitolarsi. Prendiamo, verso la fine del libro, il tentativo di definire chi non è conformista: "...soltanto chi si ribella alla öffentliche Meinung [opinione pubblica], chi riesce ad agire "con la propria testa"; chi se ne frega del buon senso (pur non disprezzando il common sense, potrà vantarsi di non essere un inveterato conformista". In generale, è una definizione che può andare bene ma, a dimostrazione della necessità di procedere a zig zag in questa materia, non appena si pensa di aver trovato un percorso diritto, osserviamo che, ahi!, proprio quel vantarsi rischia di farci finire nel novero di quel conformismo elitario che l'autore piccona, con buone ragioni, in altra parte del libro. Per esempio, la mania del firmato, delle griffe, spesso esempio più di esibizionismo esteriore che di buon gusto. Mi chiedo, tra l'altro, perché mai la moda di portare su capi di vestiario scritte vistose, spesso riferite alla marca, non comporti che la marca paghi lei l'acquirente per la pubblicità che porta in giro. D'altra parte, se uno non si vantasse, scivolerebbe nella categoria del dandy, la cui caratteristica comportamentale è proprio la nonchalance.
Ora, non sembra dubbio che la capacità di un giudizio autonomo e il possesso di uno spirito critico facciano oggi piuttosto difetto, ma Dorfles dovrebbe pur tenere conto del fatto che gli esseri umani sono degli animali sociali, e di come funziona il loro cervello; cioè del fatto che certi automatismi nel comportamento sono un effetto diretto della nostra organizzazione neuronale. Per esempio, quando osserva che "ogni automatismo mi sembra condannabile, perché equivale ad ammettere che l'uomo (la donna) possa agire anche senza rendersene conto", è lui a non tenere conto del fatto che il suo stesso comportamento (come quello di ciascuno) è invece proprio in gran parte il frutto di automatismi mentali irriflessi, sui quali stendiamo il velo della razionalizzazione a posteriori. E ci mettiamo alcuni nanosecondi. Il che nulla toglie alla condivisibile insofferenza che l'autore esprime nei confronti dei branchi, dei clan, delle tribù e di quant'altri tribalismi imperversano nei comportamenti sociali (e politici).

Darwin   

Autori Vari – Alla scoperta dell'albero della vita di Niles Eldredge. Darwin 1809/2009

Codice Edizioni
Pagine 150, tavv.
Anno 2008

Il titolo principale del catalogo della mostra si riferisce a un testo già edito di Niles Eldridge e ora ripubblicato, preceduto da tre brevi saggi dello stesso Eldredge, di Telmo Pievani e di Ian Tattersall, co-curatori della mostra che si è chiusa a Roma il 3 maggio prossimo. La mostra verrà esposta anche a Milano e a Bari, per cui consiglio davvero di andarla a vedere. Non è sempre scontato che in questo tipo di esposizioni il rigore scientifico sappia associarsi a una godibilità assoluta. Questa mostra è un vero capolavoro, tanto da avermi indotto a visitarla due volte. Non solo il materiale esposto è più ricco dell'originaria mostra tenutasi a New York (c'è una sezione sulla preistoria italiana e una sulla ricezione del darwinismo in Italia), ma l'insieme dei reperti, delle ricostruzioni e degli animali vivi mostrati, il dipanarsi lungo le sale di tabelle e immagini straordinarie e comprensibili degli itinerari di viaggio e mentali attraverso i quali Darwin arrivò a formulare la teoria dell'evoluzione, il confronto tra ciò che Darwin elaborò e le conferme contemporanee della biologia e non ultima - confesso di essermi emozionato - la ricostruzione dello studio-laboratorio in cui quel genio sistematico passò lunghi anni a meditare e scrivere, tutto ciò disegna il senso di una delle più grandi rivoluzioni culturali avvenute nella storia dell'umanità. Una rivoluzione profonda e talmente sconvolgente da registrare milioni di giapponesi che ancora oggi resistono nella foresta della non-ragione, inventandosi inutili divagazioni e ridicole alternative.
Tra le tante cose mostrate, due colpiscono soprattutto l'immaginazione e danno il senso sintetico della realtà dell'evoluzione e dell'unitarietà del fenomeno vita. La prima è una parete in cui sono poste delle sbarre verticali che sorreggono delle sfere in perspex in cui sono alloggiate le riproduzioni degli stadi di sviluppo degli embrioni di diversi animali, compreso l'uomo (delfino, pollo, pesce, tartaruga). Soprattutto il primo stadio è impressionante: non c'è quasi differenza morfologica tra gli embrioni: a mostrare l'unicità del fenomeno vita, prima ancora delle dimostrazioni del molto DNA condiviso (condividiamo il 43% dei nostri geni con la zanzara, per non parlare della scarsa differenza genetica con gli scimpanzé). La seconda è un'altra parete su cui sono fissati, con una distribuzione a cespuglio, i calchi dei crani degli ominidi fino all'apparizione dell'Homo sapiens. Davanti al visitatore c'è un planisfero translucido e una manopola che può scorrere attraverso le epoche. Se si sposta la manopola a seconda dell'età che si sceglie, si illuminano l'area geografica in cui sono stati rinvenuti i resti del cranio e il cranio stesso. Così diventa di evidenza immediata il fatto che l'albero filogenetico umano ha visto per milioni di anni convivere diverse prove di umanità, fino alle due ultime di Homo sapiens e di Neanderthal, il quale ultimo, come sappiamo oggi, era un nostro cugino. Stando ai risultati parziali delle ricerche in corso ci dividono, come differenza di parentela, tra i mille e i duemila aminoacidi.

dal sito della Mostra Darwin 1809-2009
Il libro che recensiamo è non meno importante della mostra, perché si tratta di un saggio che ricostruisce la maturazione delle esperienze e del pensiero di Darwin. Un libro chiaro e leggibile, che fa anche giustizia delle strumentalizzazioni dei creazionisti (ignoranza o malafede?) i quali dichiaravano che se il contributo di Gould e di Eldredge all'approfondimento della teoria evolutiva faceva discutere gli evoluzionisti, allora la teoria non era attendibile. Ma c'è da dire che la mostra sorvola del tutto su queste miserie: non sono una cosa seria.
Novecento   

Autori Vari – Novecento italiano. Gli anni cruciali che hanno dato il volto all'Italia di oggi

Editori Laterza
Pagine 246
Anno 2008

Nove saggi segnano alcuni dei passaggi cruciali che hanno contribuito a disegnare l'Italia così com'è. Ovviamente c'è anche un prima del Novecento che il lettore farebbe bene a non ignorare, altrimenti riuscirebbe difficile capire come l'ingresso del nostro paese nella modernità (il Novecento, appunto) sia avvenuto, da un lato, seguendo itinerari e modelli spesso presenti anche in altri paesi e, dall'altro, con distorsioni e ritardi di cui paghiamo ancora il prezzo. Come per esempio una mancata, profonda e consolidata rivoluzione democratica. Dall'ingresso nel nuovo secolo, al crocevia fatale (per tutto il Novecento) della Prima guerra mondiale, dal delitto Matteotti all'8 settembre e, poi, dal miracolo economico alla contestazione del Sessantotto, fino al delitto Moro, al grande processo della mafia e a Tangentopoli alcuni dei principali passaggi che hanno scandito la storia italiana vengono descritti e interpretati facendo emergere la trama di una società che ha saputo procedere ad avanzamenti straordinari portandosi appresso un'eredità e un fondo culturale che ne ha spesso piegato l'indirizzo in tragedia.
C'è da dire che il primo saggio di Emilio Gentile sull'alba del Novecento e quello di Mario Isneghi sulle cinque modalità con cui gli intellettuali spinsero l'Italia a entrare nella Grande guerra, formano come l'impronta opaca di un paese sempre in bilico tra cultura civile, scorciatoie velleitarie, furbizie e spirito di sacrificio. Come non inquietarsi ancora, pure a distanza di decenni, per le pulsioni di morte, per l'antiparlamentarismo diffuso a piene mani, per il fascino della decadenza e per l'invocazione di una catastrofe rigeneratrice che accomunarono certo tanta parte dell'Europa, ma che in Italia produssero alla fine la voragine della Grande guerra, lo stato totalitario e il disastro della seconda guerra mondiale? Dietro le prose scintillanti dei letterati anteguerra e le decisioni di un ceto dirigente propenso all'intrigo, alla pavidità, all'opportunismo e alla faciloneria ingannatrice (culminati nell'8 settembre del 1943), c'è un paese che si porta tuttora dietro grandi squilibri territoriali, l'inganno delle doppie morali, un senso approssimativo e spesso solo caritatevole dell'equità e della giustizia sociale, un mancanza di senso dello stato e della collettività che ne fanno una società instabile e difficile da vivere. Una volta si diceva che la gente era migliore dei suoi governanti e questo è stato quasi sicuramente vero fino all'avvento della democrazia. Ma da lì in poi, quando i ceti dirigenti non sono stati capaci di mettere in campo una grande politica e di proporre un progetto per il futuro (il che è avvenuto spesso e avviene soprattutto oggi), dalla società italiana è emerso il peggio del retaggio comunale e localistico, assieme a un senso di responsabilità che non va oltre la cerchia familiare. Da questo punto di vista il libro qui recensito rappresenta, almeno in parte, un'utile introduzione al recente fascicolo monografico di Limes [Rivista italiana di geopolitica, 2/2009] che si chiede e si risponde: Esiste l'Italia? Dipende da noi.

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