Mia moglie si è trovata un nuovo compagno, che abita nella via parallela alla mia. Da due settimane, ci abita anche lei. Rincasando, mi capita spesso di intravederla, lei e il suo nuovo compagno, o anche solo lei; non mi saluta, ma si ferma a guardarmi per qualche istante. Io abbasso gli occhi, e vado per la mia strada.
Guardo mio figlio e vedo lei; non tutta lei, ma in particolare ciò che detesto di lei. Che mi accorgo essere anche ciò che più mi manca, ironicamente. Neanche lui, mio figlio, mi parla; emette parole, questo sì, ma non parla.
Dev'essere l'età, mi dicono, e mi dico. Dev'essere che non abbiamo proprio nulla da dirci.
Il lavoro procede bene, tranquillo: non avrò la promozione che, fino a qualche tempo fa, pareva assicurata, ma non è un grosso rammarico. Mi piacerebbe solo che i colleghi provassero a parlarmi; io sono troppo orgoglioso, e probabilmente troppo debole, per farlo. Che si tengano pure l'idea che io sia un poveraccio, un creatura indifesa e inutile; io non sono così, e l'importante è che io lo sappia. E che me lo ripeta, giorno per giorno.
Ho anche una fidanzata, da qualche tempo. Com'è ormai ovvio, nemmeno con lei parlo; il concetto è sempre quello: loquacità finche si vuole, mai oralità.
In fin dei conti, non abbiamo nulla in comune, a parte la passione per il teatro, dove appunto ci siamo conosciuti. Non la amo nemmeno, e sospetto che lei lo sappia benissimo. Mi rimane insieme per lo stesso motivo per cui io rimango assieme a lei: noia, semplicemente.
Ieri ho ucciso una persona, nel pomeriggio tardi. Anche qua, credo, la noia è stata un fattore determinante. Strano a dirsi, non sono animato da insormontabili sensi di colpa: si trattava di un vecchio vagabondo, rimbecillito dalla miseria e dal vino, che non aveva neanche più la forza di chiedere l'elemosina. Non l'ha avuta nemmeno per urlare, quando gli ho ficcato il coltello nel petto; un mormorio lieve, forse anche un ringraziamento, chissà. Dubito che mi troveranno: sono stato abbastanza accorto, e soprattutto penso che si stancheranno presto di cercare.
L'ho detto alla mia fidanzata, Anna, ed è scoppiata a ridere; di certo non mi ha creduto. Non me ne crede all'altezza, e la posso capire.
L'ho detto anche a mio figlio, Giovanni: lui non ha nemmeno risposto, perché era di fretta. Lui è sempre di fretta. Io, invece, mi sento sempre più lento e sfumato, sempre più prossimo alla morte. Uccidere il vecchio vagabondo non mi ha dato il sollievo che speravo; ora, sono annoiato come prima, ma non credo che ucciderò altra gente. Per pigrizia, più che altro.
Credo invece che farò un viaggio; devo solo radunare l'energia necessaria per decidere definitivamente, più che per partire. Non so bene quale sarà la meta: non troppo lontano, immagino, perché non vi è bisogno di andare molto lontano. Non vi è nemmeno bisogno di andare, per dirla fino in fondo, ma è l'ultimo capriccio che desidero togliermi. L'entusiasmo di abbandonare tutto è molto limitato: appunto perché è il tutto ad essere molto limitato. Come anche la speranza di avere nuove e inindovinabili esperienze. Se andrò, sarà perché, qui o dall'altra parte del mondo, la situazione sarà identica. Ma almeno potrò starmene zitto davvero, senza dover recitare con i colleghi, mio figlio, Anna, gli occhi della mia ex moglie. Ecco, starmene in silenzio tutto il tempo: mi fingerei muto. Se qualche altro verrebbe poi a ficcarmi il suo coltello nel petto, nemmeno io urlerei.
Per il momento, però, rimango a casa. Un passo in avanti l'ho fatto scrivendo la lettera di dimissioni; ma è ancora lì sul tavolo, intoccata da una settimana, e bisogna trovare la voglia di spedirla. O di buttarla via. Anna certo l'avrà vista, e avrà riso di me. Giovanni no, lui è di fretta: non gli auguro di trovare quello che cerca, né m'interesso di scoprire che cosa sia. Tanto, prima o poi lo capirà anche lui quanta vanità lo circonda, di qualunque entità sia l'oggetto di tutto questo suo agitarsi.
Già, la vanità è l'unica cosa che riesco a vedere, ormai. Guardando me, in prima persona: io che svolgo le pratiche in ufficio, io che raccomando a Giovanni di tornare presto, io che faccio l'amore con Anna. Anche io che uccido il vagabondo, perché no. L'ultimo mio amico, l'ultimo ad esser abbandonato, mi ha detto che dovrei farmi vedere da qualche medico, o qualcosa del genere; per un semplice consulto, s'intende. Ma non mi servono grandi cervelli per sapere che sto morendo. Non entro breve tempo, ma lentamente, lentamente mi sto corrodendo, l'anima soprattutto. È già piena di polvere, e nebbia. Mi dispiace solo che, alla morte, avrò da consegnare solo la mia noia.


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