Le bruciavano gli occhi a forza di non guardare. Sapeva che era molto pericoloso se si fosse risaputo che vedeva; non glielo avrebbero perdonato, soprattutto perché non potevano capire. Dalla sua finestra poteva spaziare molto lontano, lo sguardo scivolava di casa in casa, dai tetti rosati di vecchie tegole e da muri di pietre che troppe generazioni avevano accolto nel loro seno domestico. Ogni tanto un angolo di verde ritagliato a fatica interrompeva il procedere e un cipresso svettante o un alloro scuro e lucido si opponevano allo sguardo. Poi, superato il piccolo ostacolo, lo sguardo giungeva al piano, si arenava sulle propaggini dei monti e sognava il mare di là da questi. Sentiva che il suo sguardo era come una rondine cui il vento suggeriva una via, ma non di questa sua vista aveva paura. C'era un altro sé più profondo e più forte, orgoglioso quasi di una diversità non manifestabile.
Tutto era iniziato molti anni prima, quando era ancora bambina. Era stato un sogno. Una notte aveva visto le fiamme, aveva sentito grida e lamenti....l'aveva raccontato il giorno seguente alla madre, che l'aveva rassicurata: i sogni sono solo sogni e non hanno niente a che vedere con la realtà. Ma il suo era stato un sogno particolare. Non era passato un mese che dal mare luccicante, nella notte più scura del novilunio, era arrivata la nave veloce dalle vele nere. Solo a sentirne parlare nei mercati colorati lungo le mura delle abbazie, o nei vicoli stretti, lastricati dalle pietre lucide per il secolare calpestio, il terrore prendeva il sopravvento e stringeva il cuore di tutti in una morsa.
Quella notte si erano avverate le paure peggiori e il paese era stato dato alle fiamme, mentre i gemiti dei feriti o le grida d'aiuto delle donne, rapite senza pietà per accrescere gli harem d'Oltremare avevano sconvolto il suo cervello.
Rintanata sotto la scala di pietra, coperta da un mucchio di cenci, che la madre le aveva buttato addosso per nasconderla alla furia predatrice degli stranieri, si era tappata le orecchie e avevano chiuso gli occhi per non sentire, per non vedere l'avverarsi del suo sogno.
Il giorno era finalmente spuntato e i pochi superstiti si erano dati da fare per seppellire e piangere i morti, per vedere quanti erano stati rapiti, per calcolare i danni. Era rimasta orfana in una casa distrutta, ma nessuno aveva avuto un gesto buono per lei. Si erano ricordati del suo sogno e l'avevano chiamata strega, come se il suo sognare avesse fatto sì che si avverasse quella tragedia. Si sa che il tempo guarisce ogni ferita, e forse così sarebbe stato se nessun sogno avesse più confermato questa sua nomea.
Ma il suo destino era segnato.
A nulla era valso fingere indifferenza, cercare di scordare le vivide immagini che quasi ogni notte affollavano di incubi il suo sonno. E quando aveva visto, le era quasi impossibile tacere, soprattutto se tacere avesse voluto dire non evitare un disastro, non salvare una vita.... non aiutare. Eppure erano buoni i suoi intenti e il cuore si dilaniava nell'eterno conflitto con la ragione. In fondo non le davano retta, la scansarono, a volte le tiravano addosso pietre. I ragazzini la schernivano, gli uomini le ammiccavano, le donne... le donne ondeggiavano tra due opposti atteggiamenti, trasportate come colombe dal vento: passione e buon senso. Quando c'era da chiedere aiuto allora la strega era un'amica cui ricorrere fiduciosi, quando tutto era tranquillo, invece, era un pericolo da allontanare. La sua nervosa ed insieme procace bellezza, la sfacciata giovinezza, che tanto mal s'intonava con la saggezza antica degli occhi, era un richiamo troppo forte per i loro uomini, e quindi la strega doveva essere allontanata. Così le mamme armavano di sassi le mani dei figli, tornando a chiudere il cerchio.
Affacciata alla porta della sua casa, oltre i limiti della città murata, la strega lasciava vagare lo sguardo, una volta tanto sereno, della stessa serenità del mondo. Sullo sperone più lontano uomini operosi avevano messo mano ad un'opera grande per un grande uomo. Le pietre bianche e impreziosite da severe sculture sembravano sorridere dello stesso sorriso sereno del Santo per cui venivano erette.
Dalla sua piccola casa tra gli ulivi d'argento la strega era felice. Almeno quel sogno non l'aveva distrutta, nessuno le si era rivoltato contro, insultandola, perché aveva osato prevedere ciò che forse aveva aiutato ad essere.
Quella volta era stato bello. Nel sogno aveva visto un giovane che saliva una scala azzurra e aveva notato i piedi scalzi, in contrasto violento con l'aura dorata e regale che l'avvolgeva.
Ma per una volta che niente le aveva procurato dolore, troppe altre volte invece era successo il contrario. Il sogno più importante doveva ancora venire lo sapeva, se lo sentiva nella carne. Era consapevole che sarebbe stato anche l'ultimo, l'acme di una vita difficile, così distante dalle sue aspirazioni di donna, così diversa dalle sue speranze di bambina. Quella che avrebbe voluto essere stata soffocata sul nascere e ne era emersa una donna consapevole e triste, una donna soprattutto sola. La notte, anche quella notte, si avvicinava e l'ansia di ciò che sarebbe stato le attanagliava il cuore. Avrebbe potuto stordirsi, conosceva molto bene le proprietà delle erbe, le preparava per gli altri. Niente le impediva di bere la tisana di Biancospino, calmante, mescolata con certe altre erbe di cui lei solo, ancora una volta, conosceva le magiche proprietà. Il sonno, il sonno assoluto, buio e senza sogni, l'avrebbe avvolta in un Lete d'oblio. Ma c'era il rischio che proprio quella notte il sogno raccontasse di un grande incidente, di un disastro che solo la strega avrebbe potuto evitare, anche a costo di essere ulteriormente indicata come serva del Diavolo e allontanata, a sassate dai più protervi, a esorcismi dai più gentili o più sottili. Così anche quella notte si distese sul povero giaciglio di paglia, mentre dalla piccola finestra, che incorniciava Vespero, brillante più che mai in quella scura notte senza luna, entrava il profumo lieve del Caprifoglio a addolcire il suo sonno. Il sogno venne subito, senza farsi attendere ed era tanto reale che la donna sentiva nella pelle le sensazioni umide della nebbia che la circondava e odori acri, niente a che vedere con i profumi con cui si era addormentata.
Il luogo in cui si trovava era buio, all'inizio, e umido. Sentiva le pareti con le mani e superfici scabre e ruvide le offendevano le palme, ma insisteva a procedere, perché sapeva che solo in fondo a quel cunicolo avrebbe saputo ciò che doveva conoscere. La strega si agitò nel sonno, rifiutava col cuore di sapere, eppure la mente la spingeva a procedere per il bene di tutti, se non per il suo. Via via che procedeva il fondo del cunicolo pareva illuminarsi di una luce strana, fredda, non era una candela, non una fiaccola, men che meno un falò, e neppure, Dio ne guardi, un incendio; un colore verdognolo, subdolo illuminava le pareti, mentre pipistrelli, disturbati nel loro sonno curioso, si agitavano e svolazzavano in ogni dove, come stracci neri e sbambagiati, trascinati da un vento che solo loro sentivano soffiare. Non voleva procedere, ma era costretta da una forza che non sapeva contrastare, finché giunse in una grotta circolare, alta di volta e ampia. Una figura meravigliosa, lucente, vestita dei colori del pavone, l'attendeva, aspettava proprio lei, davanti ad un enorme calderone in cui ribolliva una schiuma rossastra.
«Vieni, guarda, non avere paura, sei una di noi e non ti succederà assolutamente niente.»
Sapeva che non le sarebbe capitato niente, non questo temeva, il suo terrore era conoscere e dover dire, senza che alcuno mostrasse di crederle, se non dopo che tutto si fosse avverato, accusandola, allora, di essere la colpevole dell'evento, non la semplice voce che l'evento narrava prima del tempo stabilito.
Era la storia della sua vita.
Si avvicinò e guardò dentro al ribollire che le stava davanti; un urlo le salì alla gola, Dio mio, non poteva essere: galleggiavano sulla superficie in movimento le facce di molti a lei noti. Che ci faceva lì dentro Madonna Lena, sempre pronta a regalare pane a chi ne aveva bisogno, e non capiva perché il volto serio e cupo di Giacomo, il taglialegna, sembrava giocare a nascondino nella schiuma, e la vecchia Germana e Nanni e .... Troppi da nominare tutti, ma certo non li avrebbe scordati.
«Perché?»
«Non lo sai, non sei una buona strega, non sei una vera compagna del nostro mondo. - sghignazzò oscenamente la dama, bella e terribile insieme - Eppure sono ricorsi a te, quando il bisogno li incalzava, e poi ti hanno negato anche l'aria per respirare. Ora puoi vendicarti.»
Scosse la testa, quasi volesse allontanare un rumore molesto, non voleva vendicarsi, aveva perdonato, era un dono superiore alla comprensione di molti, ma almeno in quei tempi difficili riusciva a portare sollievo. Che importava se poi si scordavano di lei.
Ma la dama le soffiava nell'orecchio parole più corrosive dell'acido, le ricordava ogni sgarbo, ogni sofferenza, ogni esclusione e lentamente il cuore le si restrinse in petto e il cervello prese a elaborare raffinate vendette.
Il canto del gallo la svegliò dall'incubo, ma l'alba non le portò serenità, non aveva capito cosa quel sogno le avesse rivelato e ignorava come poter aiutare, e soprattutto chi. Il fastidioso sapore della vendetta le bruciava ancora in gola, ma a questo non voleva pensare. Non si vedeva andare a raccontare alle persone viste in sogno che le loro qualità erano in effetti i loro difetti peggiori e che galleggiavano in un pentolone stregato. Ma poi era stato davvero un sogno premonitore, o la sua vista aveva cessato di essere tale?
L'aria del mattino era fresca e dagli Appennini scendeva a sbuffi leggeri, trasportano il colore puro del cielo; non si doveva pensare alla magia.... eppure, eppure nel profondo del suo cuore sapeva che suo compito era cercare la risposta.
Si preparò a salire verso il paese, una strada erta e sassosa, che consumava da sola, se si eccettua il fugace andirivieni segreto di chi aveva bisogno delle sue cure, ma una figura ammantata di nero si stagliava proprio dinnanzi al suo cammino, impedendole di procedere. Per un attimo rimase abbagliata dalla lucentezza del suo aspetto, poi si rese conto con un brivido che il sogno della notte le si era materializzato davanti.
«Sorella, dove credi di sfuggire, non penserai davvero che questa volta potrai tacere, vero?»
Un sospiro le uscì dalla bocca e una nuvola oscurò i suoi occhi: al destino non si sfuggiva, lo sapeva da troppo tempo per averlo sperato davvero.
«Non so cosa raccontare, non so perché ho visto.»
«La peste, mia cara, la peste. È sbarcata qualche mese fa lungo la costa si è nutrita dell'aria malsana delle paludi, infestate dalle zanzare, ha assaporato il sangue degli uomini e ora sale verso il monte, per insinuarsi nell'anima prima che nella carne. Strano che tu non abbia capito cosa ti abbiamo suggerito questa notte, - un ghigno sottile - o forse hai capito, ma ti sei rifiutata di comprendere.»
In un angolo del cuore prima che nel cervello un lampo indicò la risposta, la urlò in tutte le sue viscere e lei, finalmente, seppe:
«Se accetto di vendicarmi, morirò, se non lo faccio dovrò, comunque, morire, vero.»
Annuì la figura maestosa e splendida, era davvero una sorella, capiva il linguaggio segreto.
«Dunque che scegli?»
«Non posso vendicarmi, non voglio.»
«Allora sia fatto il tuo volere.»
La figura ammantata si chinò a sfiorare la sua guancia con un bacio, poi svanì nell'aria.
La strega si portò una mano alla guancia, dove il bacio sulfureo l'aveva sfiorata e lì era fiorito il fiore malefico della peste: destino avverso, si doveva vendicare portando la peste tra i suoi compaesani e poi morire. Senza vendetta per il mondo segreto diventava un essere inutile, quindi sarebbe comunque morta di peste e l'avrebbe diffusa, l'unica differenza è che l'avrebbero maledetta ancora una volta, l'ultima, la più importante sul limitare dell'eterno.
Si trascinò fino al paese e crollò, vinta dal male.
La videro, capirono che la peste li aveva raggiunti, si disperarono e l'insultarono, ancora una volta, come sempre...poi nel paese ci furono grida, e lamenti e silenzio. Un lungo e incredibile silenzio.
Nella caverna la dama meravigliosa rise e mescolò nel calderone le anime che era riuscita a farvi cadere, senza degnare di uno sguardo le spoglie della strega, incatenata per sempre al dono della sua vista.


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