Sulla spiaggia tutto era immutato ed immutabile da tempi immemorabili e così non si aspettava niente che alterasse tali circostanze. Non c’era nessuno, solo il mare, lievemente increspato, e un uomo, disteso al sole, un corpo altrettanto immobile del tempo che trascorreva senza scuotimenti. Improvvisamente uno strano rumore, un tuono lontano la distolse dai suoi pensieri. Guardò il mare, la superficie, fino a poco prima leggermente increspata, ora, senza che il vento avesse variato intensità, era trascorsa da cavalloni alti e spumeggianti. Era uno spettacolo insolito, senza vento onde alte e scapigliate, forse al largo una grande nave era transitata, smuovendo l’acqua, fino a creare l’effetto di una mareggiata crudele. Ma qualcosa di strano, oltre a questo, era il fatto che via via che si frangevano a riva i cavalloni assumevano l’aspetto di cavalli veri, con la chioma al vento e con una strana coda come quella delle Sirene. Ad un tratto nessun’onda era più quella che ci si sarebbe aspettati, ma un branco di cavalli bradi, selvaggi, correvano dove prima c’era il mare. In mezzo a loro Nettuno imperioso ne cavalcava il più grande, il più bello, mentre nitriti orgogliosi sostituivano il secolare frangersi delle onde. Scosse la testa, forse il sole l’aveva abbacinata, meglio andare sotto i pini, all’ombra, per cercare di recuperare il buon senso che si era sciolto al sole, evidentemente. Stava già alzandosi quando un’occhiata al mare glielo restituì placato come all’inizio della curiosa allucinazione.
«Strano, davvero strano. Hanno ragione a dire che il sole non è più quello di una volta. Chi ha mai sentito parlare di cavalli bianchi e di Nettuno al posto delle onde. Torno a casa, domani andrà meglio.»
Se ne andò, lasciando l’uomo addormentato, solo sulla spiaggia deserta, al dolce tepore di un sole ormai prossimo al tramonto.
Il giorno seguente, di nuovo, una spiaggia semideserta e un mare solo lievemente mosso, il mare lungo, come si dice, quando la tempesta passa e tutto tende a tornare alla cosiddetta normalità. Vide nuovamente l’uomo, disteso immobile e del tutto disinteressato, all’apparenza, a ciò che lo circondava. Era curioso quell’uomo: i suoi capelli erano chiari e brillavano sotto il sole in contrasto stridente con i colori in cui era immerso. Scura la sabbia, strettamente mescolata con il nero ferro etrusco, scuri i pini marittimi dai tronchi ruvidi, dalle chiome pungenti, dall’ombra fresca e rotonda, scure le stoppie del grano sui poggi circostanti, scuro lo stesso mare e il cielo, privo di nubi, accecante nel solleone. L’uomo era diverso, era chiaro, silenzioso, esterno e astratto insieme. Non ci fece caso più che tanto, l’unico problema era proteggersi dai raggi troppo caldi, per non ricadere negli effetti curiosi della sera precedente. Per un po’ tutto andò bene, il libro che aveva scelto l’appassionava e niente intorno la distraeva.
Doveva, però, ricredersi di lì a poco.
Una melodia strana, antica, le solleticò l’orecchio e la distolse dalla lettura. Alzò la testa e, istintivamente, guardò l’uomo, l’unico altro essere, oltre lei, che potesse suonare uno strumento, ma pareva una statua, non si era mosso, non era lui il pifferaio magico. Si volse al mare, forse era arrivata una barca senza che se ne fosse accorta e da lì si alzava il suono, ma quale non fu la sua meraviglia, quando al posto del mare vide elevarsi al cielo una foresta di querce, cupa e misteriosa, antica quanto antico il suono che da essa proveniva. Si strofinò gli occhi, non era possibile, succedeva ancora, eppure l’ombrellone l’aveva mantenuta all’ombra, non era un colpo di sole a farla vaneggiare. Dalla foresta, intanto, uscivano delle fanciulle vestite di veli bianchi, dello stesso bianco abbagliante dei cavalli del giorno precedente e della spuma di quel mare, di cui ormai le trasformazioni la affascinavano. Le fanciulle, nel frattempo, intrecciavano danze intorno ad una donna alta, dal portamento regale.
«Morgana!»
La chiamavano e lei sorrideva. Morgana, la fata, dalla lontana foresta di Brocelandia, che ci faceva nel Mediterraneo riarso? La domanda non avrebbe mai avuto risposta, perché com’era cominciata, così la visione svanì e il mare riprese, ancora una volta, il sopravvento sulla fantasia, o forse sul sogno. C’era di che impazzire, eppure, al tempo stesso la curiosità invitava a scendere la china magica e inaspettata.
Scappò senza por tempo in mezzo, non ce la faceva a reggere questa strana situazione e si rifugiò nel buio fresco della casa, a pochi passi dalla spiaggia, in attesa che il cuore cessasse di battere un frenetico ritmo. Ma la calma, il silenzio, la frescura, fecero recuperare in fretta la ragione e così, dopo una breve riflessione, tornò nuovamente sulla spiaggia, decisa a non lasciarsi fuorviare da visioni oniriche senza costrutto.
E sulla spiaggia ancora non c’era nessuno, se non il misterioso uomo chiaro che nulla diceva, che nulla faceva, che, però, con il suo silenzioso esistere, costituiva un punto fermo in quel mondo curioso. Ormai lei aspettava solo di vedere in quale strana forma il mare e l’ambiente intorno si sarebbero trasformati, incuriosita, più che impaurita, ansiosa di capire perché lì, perché allora, perché a lei.
Come previsto bastò poco che il mare si alzasse, si tramutasse in alte cime, in vette innevate, sempre bianche, di quel bianco splendente che illuminava i bruni colori del luogo. Una tempesta di neve imperversava su quei monti e la tramontana violenta soffiava, ululando, in competizione con i lupi. Gli animali, nascosti dietro i tronchi degli abeti irti, si chiamavano col loro tragico canto, mentre le loro ombre s’intravedevano spiccare sulla neve, che cominciava a coprire il terreno.
Basta! Era impossibile andare oltre, si doveva trovare una spiegazione alla follia. Dal momento che non poteva chiedere a nessun altro, si avvicinò all’uomo, che, disteso sulla sabbia, pareva completamente estraneo a tutto quello che li circondava.
«Scusi, posso disturbarla un momento?»
L’uomo alzò il capo: non si rese nemmeno conto di quali fossero i suoi lineamenti, non li avrebbe mai potuti descrivere. La cosa che la colpì furono gli occhi, che riflettevano il cielo, chiari anch’essi, come tutto in lui. Le chiese, incuriosito, cosa desiderasse. Una voce profonda, gentile, ma del tutto disinteressata, come se il mondo intorno non esistesse, nemmeno quando qualcuno lo interpellava direttamente, una voce chiara, ma lontana, la scosse e la stupì.
«Volevo sapere se sto impazzendo.»
«Come, impazzendo? Non credo, se ne parla così. Ma mi dica, che posso fare per lei?»
Glielo disse, gli raccontò di quelle strane visioni, mentre anche i monti erano svaniti, e il mare sciabordava leggero contro la riva.
«Mi scusi – disse l’uomo, tirandosi su e squadrando la donna con un’attenzione rinnovata – non sapevo che anche altri avessero il mio stesso potere.»
L’espressione stupita con cui furono accolte le sue parole lo spinse a precisare:
«Sogno spesso, immagino, creo con la mente immagini, storie, melodie. Il bello è che vedo e sento davvero quello che mi si forma nella mente; ho sognato Nettuno, ed anche Morgana….ora pensavo ai lupi che cacciano nonostante la bufera. Proprio ciò che ha visto anche lei, a quanto mi racconta. È la prima volta che mi capita, nessuno ha mai visto i miei sogni. Mi piace, ora sognerò, sapendo che potrò offrire, almeno a lei, nuovi orizzonti. Grazie per avere ascoltato i miei segreti.»
Lei lo guardò in silenzio, ora non temeva davvero più di essere pazza, quell’uomo chiaro, diverso dal mondo intorno, non l’impauriva, anzi, la rasserenava, anche se non sapeva perché.
«Grazie a lei, io, invece, ora vedrò con occhi nuovi. Addio.»
Il mare era calmo e sereno il cielo, una brezza lieve alleggeriva il caldo, ma intorno tutto cantava.


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