"Non ho mai pensato alla scienza e all'ingegneria in particolare come a qualcosa di allineato. Credo poco alla figura dell'omino esile, chino sulla sua piccola porzione del tutto, sulle sue piccole righe di codice tese unicamente a veicolare ciò che entra verso l'uscita, senza sapere da dove provenga e dove vada. Credo che la scienza sia Leonardo, credo che i grandi balzi presuppongano grandi slanci, credo nell'arte dell'immaginazione, nella labilità del limite, nello sguardo sempre oltre la linea rassicurante dell'orizzonte. Credo non basti il profitto, credo non serva l'omologazione. Non è da questi particolari che si dovrebbe giudicare un ingegnere..."
Paolo Manni – Intervista al giornale universitario Aprile 2002
"Quello che mi manda veramente in bestia è l'arroganza non suffragata dai fatti della scienza, di chi crede che fare Dio sia una cosa facile. La più grande minaccia alla sopravvivenza del genere umano è il progresso. Abbattono i muri, spostano il limite e poi restano a guardare quello che hanno combinato, quando si accorgono che la natura non segue le loro stesse leggi, che il caos avrà comunque e sempre la meglio, che qualcosa, da qualche parte non era stato previsto..."
Ennio De Sortes Docente di Etica della scienza - estratto del discorso introduttivo al corso Maggio 1999

Pomeriggio d'inverno

Era un pomeriggio d'inverno come tanti. Di quelli freddi e bui, di quelli che acquistano davvero un senso davanti un camino acceso. Ma nel dormitorio dell'università i camini erano una leggenda e d'altra parte se hai vent'anni, aspirante ingegnere informatico, i giorni bui d'inverno, li passi davanti allo schermo di un computer.
«Insomma vieni o no?» sospirò Alfredo.
«Ma come faccio a venire Alfre'! Tra un mese devo discutere la tesi e devo ancora capire cosa sto facendo», sospirò a sua volta Paolo.
«Magari se stasera vieni, ti ubriachi, vomiti, ti bruci quei tre quattro mila neuroni, che secondo me ne hai troppi, ti decongestioni il cervello e ti viene l'ispirazione»
«Fosse così facile, ti saresti laureato già da due anni...»
«Che centra, io non ho neuroni in soprannumero! Ognuno che ne brucio perdo facoltà percettive e cognitive. Ad esempio ormai sono clinicamente incapace di comprendere l'integrazione per parti. E'per questo che devo fare ancora Analisi II. Addirittura il medico che mi ha fatto la conta dei neuroni non si capacita di come riesca ancora a fare le divisioni in colonna».
«Esame clinico ormai di routine la conta dei neuroni... Vado a fare il caffè và. Tu intanto non fare danno, anzi fatti qualche partitella a biliardo. C'è il boss del quarto bar che mi ha ripulito... E non sfasciarmi il mouse come l'ultima volta.»
Paolo si alzò rapido dalla sedia e le due ginocchia scricchiolarono all'unisono. Era alto e magro, gracile e dinamico, piacevole e quasi misterioso nel suo maglione a collo alto e gli occhialetti da intellettuale. Sembrava un cantore francese, un De Andrè dell'era del Web, meno bello però e senza sigaretta.
Alfredo invece avvicinò la sedia alla scrivania, afferrò il mouse con la mano destra, lo mosse e scontento della risposta della freccia sullo schermo, lo sbatté violentemente sulla scrivania.
«Ti avevo pregato di non sfasciarmi anche questo», urlò Paolo dalla cucina.
«Non risponde bene, deve avere qualche problema.»
«Sei tu che hai qualche problema!»
«Però almeno io rispondo a modo...»
Alfredo era il complemento di Paolo. Robusto, capello sornione, spettinato ma sempre entro un certo limite, barba incolta e aria da simpatica canaglia. E in fondo lo era una simpatica canaglia, una simpatica canaglia molto intelligente. Giocava con Paolo a schernirsi, ad apparire il compagno burbero, a volte ignorante, dolcemente volgare, del genio raffinato. Ma in realtà era un grande studente, media altissima, sano disincanto e un anticonformismo che Paolo adorava e a suo modo imitava. Erano la coppia perfetta: ognuno vedeva nell'altro qualcosa che avrebbe voluto imparare ad essere e ognuno lo insegnava volentieri all'altro. Il tutto era poi condito da un sano senso critico, si inseguivano i pregi ma si criticavano i difetti, ridendoci su, gridandoli forte, invidiandoli un poco.
Nella minuscola cucina Paolo cercò la macchina del caffè nel lavello stipato di piatti sporchi. La trovò tra la tazza con l'immagine di Pippo e la pila per la pasta, tolse i fondi del caffè della mattina, e la sciacquò. Mentre apriva il barattolo del caffè, dalla stanza accanto arrivò un suono secco come se qualcosa fosse precipitato violentemente sulla scrivania - ad esempio un mouse - e un'esclamazione di una volgarità esemplare, almeno per un comune mortale. Infatti, seppur di notevole impatto e grande senso della composizione, l'esclamazione non eguagliava la clamorosa esplosione dialettica che vide protagonista il prode Alfredo durante una visita ad una delle tante chiese delle città, della quale Paolo non ricordava il nome. Incantato dalla bellezza degli affreschi sulle pareti, Alfredo percorreva a testa alta una delle navate laterali quando, con un suono come di rami spezzati, la rotula del suo ginocchio sinistro incocciò ad elevata velocità lo spigolo di una panca laterale, di quel legno duro e pesante destinato a durare nei secoli. Quello che risuonò nella chiesa un istante dopo diventò legenda o incubo a seconda dei punti di vista e, probabilmente, è ancora li che vaga tra le volte buie di pietra nuda. Una suora svenne sul colpo, nel bel mezzo di un alleluja cantato, il musicista premette contemporaneamente due ottave sull'organo producendo un suono fuori da ogni logica e contesto, un prete che passava vicino al pulpito si arrestò di colpo e lì rimase, un chierichetto tra un segno della croce e l'altro prese a ridere sommessamente sotto i baffi da adolescente e quindi visibilissimo a tutti. Non era una bestemmia, non c'era alcun riferimento a cose che trascendessero questo mondo, ed è per questo che la chiesa rimase in piedi e Alfredo ancora vivo, ma l'impatto fu lo stesso notevole, Paolo era sicuro che due o tre crepe sugli affreschi, un istante prima non ci fossero...
«Cosa è successo? Hai premuto ancora una volta il pulsante del reset con il ginocchio?»,urlò Paolo dalla cucina.
«Peggio! Il tavolo da biliardo pende. È la seconda partita che perdo così.»
«Ho messo a fare il caffè, chiamo mia madre e poi lo porto.»
«Fai con comodo tesoro.»

Paolo era uno studente fuori sede. Se da una parte era un male perché mancavano i punti di riferimento costanti come la famiglia o la ragazza dagli occhi dolci del supermercato sotto casa che prima o poi gli avrebbe sorriso,dall'altra il lavandino poteva essere colmo di piatti e nessuno urlava, le serate con i piedi sul divano, una pizza sulla sedia, un film violento e nessuno urlava. Insomma, nessuno urlava. Ma il rito della telefonata giornaliera alla famiglia con la scusa di far contenta la mamma aveva il potere di rilassarlo e farlo sentire sereno, ancora a casa. Prese quindi la cornetta, compose il numero e si mise in attesa del dolce suono di due sane urla fatte bene.
«Ciao papà sono io... si giuro, sono nato il tre Gennaio del 1980, il mo cantante preferito è... Ah! Siamo impazienti oggi, di solito devo arrivare al colore preferito prima di convincerti e meritarmi un ciao...Come vuoi che vada, il solito. Vai all'università, mangi, bevi, scrivi un po'di tesi e raffini il progetto che cambierà le sorti dell'umanità, mangi di nuovo, filmetto, spogliarelliste, letto. Il solito insomma... Si, si, certo mi sembra il minimo.... Grazie e salutamelo anche tu ok va bene ciao... Mamma! Come stai ? Che voce squillante e seducente che hai oggi... Non sto facendo l'idiota... dico sul serio... Ma ti pare, già ci sentiamo così poco, se poi mi metto anche a fare l'idiota... o.k. La smetto...Si tutto bene, la discuto il mese prossimo... Non lo so se venerdì faccio in tempo, forse vengo sabato... lo so che avevo detto venerdì ma non c'è bisogno di urlare per favore... Va bene faccio il possibile...Cosa... davvero?! Ha chiesto di me ... Non è vero che mi piace ho solo detto che è carina, non glielo avrai mica detto vero...?! Io sto tranquillo e non è vero che sto urlando... Perché mai dovevo urlare, che mi importa se glielo dici... Ma ti dico che non stavo url... Va bene, stavo urlando però non urlare... Ci sentiamo domani o.k. Però tu non glielo dire ... Un bacio ciao... Si, certo che mi mancate anche voi... Ti voglio bene anche io... Ciao mamma,.. Ciao, ciao...»
Era stato venti minuti al telefono ed erano letteralmente volati via, veloci e agili, tra un urlo e un bacio. Un soffio di calore domestico nell'aria calma e piatta di una minuscola stanza lontana se non da tutto, sicuramente da molto. E Paolo, che amava pensarsi disincantato o quantomeno abbastanza forte da nascondere e nascondersi nostalgie e dolori vari, si stupiva ogni volta del sorriso tenero che spuntava inesorabile alla fine di ogni telefonata.
Alfredo era nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato, nella stessa postura sbracata sulla sedia, stesse gambe accavallate, persino il puntatore del mouse occupava la medesima posizione sullo schermo. L'unica differenza era costituita dall'aria pensierosa e dal mouse che stringeva nella mano destra, ora tutto incrinato sul lato destro.
«Ti avevo chiesto se questo me lo lasciavi sano» e passò la tazzina colma di caffè ad Alfredo.
«Non ho fatto niente, ha ceduto di colpo, mentre lo stavo usando...»
«E la partita?»
«Ho dovuto interromperla, non sapeva perdere...» e sorseggiò cautamente il caffè bollente.
«Allora non vieni ?», riprese Alfredo non appena la lingua si fu ripresa da un approccio al caffè eccessivamente audace.
«Te l'ho già detto, ho poco tempo e troppe cose da fare.»
«Ma a che punto stai l'ultima volta mi hai parlato di un predatore, uno spider e un programma che imparava e cresceva ma che non sapevi minimamente a cosa potesse servire...»
«Stò allo stesso punto, c'è il predatore, c'è lo SPider, il programma dovrebbe imparare ma non so a cosa possa servire. Sta venendo fuori una cosa modestamente geniale ma temo esclusivamente accademica o al massimo giustificata all'interno di scenari futuri...»
«Per me se troppo apprensivo o se preferisci completamente pazzo. Ti presenti con 114 alla tesi. Se gli consegni la lista della spesa prendi 110 nell'ode. Se gli scrivi una poesia che scappa pure il bacio accademico. Se gli porti quel programmino per la somma dei numeri interi che hai fatto a sei anni , ti fanno rettore.»
«Lo so ma mi conosci, sono vanitoso. Devo essere il primo, il migliore, creare un punto di riferimento, stabilire un nuovo termine di paragone, per poi sconvolgere il mondo con il mio delizioso disincanto e ammirevole autoironia, farmi beffa delle convenzioni e ruttare alla consegna del Nobel...»
Paolo gonfiò il petto e alzò fiero lo sguardo verso il cielo. Nelle intenzioni voleva essere la parodia in qualche grande personaggio della storia. Nella pratica sembrava un qualche idiota che alzava senza motivo lo sguardo inutilmente fiero al cielo. Il fatto che poi gli scappasse pure da ridere non aiutava di certo.
«Be', effettivamente ti muove un grande ideale.» ammise Alfredo. «Secondo me comunque il programmino per la somma basta e avanza. Leggi troppi libri, soprattutto quelli di quel Crichton, con i suoi programmi intelligenti, i nanorobot che diventano uno sciame di predatori, il terminale uomo... E'fantascienza, se glielo chiedi te lo confermerà lui stesso... Va bene ammirarlo, ma c'è un limite.»
«Senti chi parla! Quello che quando risponde al telefono dice si sono Alfredo e Pablo è vivo»
«Che centra adesso, non toccare De Gregori. Che dentro un verso ci mette più roba che Crichton in tutti i suoi libri messi assieme... E poi visto che lo ami tanto dovresti prestare più attenzione a quello che è il messaggio di fondo dei sui libri: l'arroganza dell'uomo e della sua presunta scienza. Non esiste la perfezione, qualcosa sfugge comunque perché solo la natura è in grado di prevedere e reagire ad ogni possibile variante e lo fa in tempi che necessariamente non sono umani... Medita ragazzo, medita.»
Paolo fece per rispondere ma ci ripensò, e liquidò la domanda con una smorfia del viso come a professare la sua totale ignoranza al riguardo. Si alzò e andò a portare le tazzine in cucina. La sua non voleva essere maleducazione o superiorità, il fatto era che non sapeva proprio cosa rispondere. Il fatto che la tesi non avrebbe in fondo influito sul voto finale lo lasciava libero di provare e sperimentare tutto ciò che gli passasse per la testa. Se da un lato questo era un vantaggio dall'altro era sempre in agguato il rischio di prendere una direzione che non avrebbe portato da nessuna parte. E Paolo si trovava a camminare sul filo: a pochi passi da qualcosa di straordinario, a pochi passi da qualcosa di totalmente inutile. Il rischio, a dire il vero, lo correva solamente il suo orgoglio, il 110 e lode non glielo toglieva nessuno ma lo stesso nessuno gli avrebbe ridato i due anni spesi a creare il nulla.
Quindi un po'per sana e indiscutibile ignoranza un po'per il fastidio che provava nel sentirsi ricordare che, fino ad ora, ciò che aveva fatto serviva a poco o a nulla, aveva preso la sana abitudine di non rispondere a domande sulla tesi. Aveva già abbastanza dubbi per conto proprio, senza che qualcun'altro ne aggiungesse di nuovi e perlopiù fondati, come sono di solito quelli avanzati dalle persone intelligenti. In altre parole Alfredo doveva sentirsi lusingato del fatto che Paolo non avesse in quel momento voglia di parlare con lui di predatori o programmi più o meno intelligenti.
«Vado di là», disse Alfredo dall'altra stanza. «Devo andare a ripassare Algoritmi e Strutture Dati. Sabato c'è l'esame.»
«Va bene ciao. Se poi stasera non esci più, se vuoi ad una certa ora mangiamo qualcosa insieme.»
«Certo che non esco, era solo per farti prendere un po'di aria prima che diventassi completamente intollerante al mondo esterno... Vengo alle nove e ci mangiamo una pizza.» disse Alfredo uscendo nel corridoio.
L'appartamento di Alfredo, o meglio la sua Camere & Cucina, erano accanto a quello di Paolo, letteralmente. La notte, quando la fatica di mettersi un paio di ciabatte e andare uno nell'appartamento dell'altro risultava insostenibile, parlavano attraverso la parete sottile. Alle volte progettavano scherzando, ma non più di tanto visto i soggetti, di buttare giù il muro divisorio per la gioia commossa e riconoscente dell'amministratore.

Paolo si diresse verso la scrivania, si sedette di fronte al computer, avviò lo spider web e il programma, quello della tesi, quello intelligente, quello che impara, il predatore e rimase in attesa.

L'incoscienza del genio

Paolo era un genio, di quelli veri, di quelli che in America a 23 anni hanno già le loro brave cinque lauree. Era un genio nell'ambito matematico-logico. Alcuni lo erano in campo musicale e sentivano le note prima ancora di suonarle, immaginavano i pentagrammi prendere vita simultaneamente alle emozioni che avrebbero suscitato. Altri lo erano nel campo visivo e creavano un mondo con due colpi di pennello e lasciavano poi ai vari sapienti ed "esperti d'arte" ( le virgolette indicano il fatto che Paolo aveva ingenuamente sempre pensato che gli esperti d'arte fossero Michelangelo, Leonardo e compagnia bella ) l'onere del perché e del per come ciò fosse possibile. Lui era un genio nel suo campo, prendeva un integrale, una serie numerica, la leggeva e contemporaneamente la vedeva svolgersi davanti ai sui occhi. Il risultato non era un punto d'arrivo ma la logica conseguenza di ciò che aveva appena letto e come tale veniva da sé. Non c'era alcuna scoperta, il risultato era contenuto palese nel problema stesso.
E come ogni genio Paolo faceva cose non sempre sensate ai più, a quelli per intenderci per i quali una cosa o funziona o non funziona, non è mai ardita o geniale o addirittura romantica; a quelli in definitiva, cui era negato il poetico svolgersi di un integrale nel tempo esatto del proprio pensiero. La scienza in generale e l'ingegneria in particolare poneva un limite intrinseco ad ogni slancio geniale: il risultato finale. Se disegnare una linea rossa su una tela bianca e spacciarla per la metafora lampante e inconfutabile dell'eterno viaggio interiore dell'uomo, poteva funzionare in arte ( vedere alla voce esperti d'arte ) e associare al geniale autore il meritato appellativo di visionario precursore, in ingegneria la genialità dell'autore si misura in secondi guadagnati, risorse risparmiate, ritorno economico stimato. Forse è triste, probabilmente è giusto, sicuramente non era un cosa che poteva interessare Paolo. Lui era un genio, amava De Andrè e non disdegnava De Gregori quindi sapeva perfettamente che non era da questi particolari che si giudica un ingegnere...
Aveva cominciato a lavorare al programma un paio di anni prima. Era sempre stato affascinato dai programmi che comprendevano il linguaggio naturale ed erano in grado di "colloquiare" con un essere un umano. Ma ancora di più lo affascinava la possibilità di associare al programma oltre alla conoscenza sintattica della struttura di un idioma, la conoscenza semantica. Parlare ed imparare da ciò che si ascolta e anzi, ancora meglio, osservare un mondo, reagire agli stimoli, acquisire una conoscenza sempre più raffinata ed essere in grado di comunicarla attraverso una lingua conosciuta.
In teoria l'idea era creare un bambino artificiale, buttarlo in un ambiente chiuso ma vario, vedere cosa impara e come cresce e poi farci quattro chiacchiere. Tendenzialmente una cosa inutile, difficile, con esito incerto. In pratica irresistibile.
Per quanto riguardava la lingua il problema era di facile soluzione, c'erano già molti studi e progetti al riguardo. Tempo un mesetto e il programmino parlava già meglio di sua sorella. Certo, durante le prime fasi, c'era il problema che il programma non era ancora in grado di imparare e quindi bisognava "dirgli" tutto manualmente. Ad esempio anche l'innocua domanda hai mangiato oggi? era del tutto incomprensibile per il programma: che significava mangiare? Che significava oggi? Aggiungendo alla conoscenza del programma una nozione del tipo oggi hai mangiato patate al forno, si poteva ripetere la domanda sperando in una risposta

-- Hai mangiato oggi

-- SI HO MANGIATO.

-- -- E cosa hai mangiato

-- HO MANGIATO PATATE AL FORNO.

Furono quindi queste le prime parole della piccola e indifesa creatura artificiale di Paolo. L'emozione che può suscitare nel cuore di un padre il primo "papà" pronunciato dal figlio o magari il primo "cacca" o "pappa" e via discorrendo, rivisse in quell'istante in Paolo: la sua creatura aveva pronunciato il suo primo "ho mangiato patate al forno".
Il secondo passo fu dotare il programma di capacità di apprendimento, ovvero di metodi deduttivi, che lo portassero ad aggiungere automaticamente alla propria conoscenza nozioni del calibro di oggi ho mangiato patate al forno.
Dopo il terzo mese di lavoro la creatura di Paolo era in grado di sapere da solo se aveva mangiato o meno.
Ovviamente il programma non aveva protesi periferiche hardware come telecamere, microfoni o bracci meccanici, e tutto ciò che faceva o imparava avveniva attraverso proposizioni testuali. Ad esempio venire a contatto con la preposizione prendi queste due patate equivaleva ad aver mangiato patate.
Dopo il quinto mese il discorso continuava ancora a ruotare intorno a pranzi cene e patate e Paolo cominciò a dubitare di rivoluzionare il mondo con la sua creatura.
Il discorso si alzò quindi ulteriormente di livello. L'interazione non avveniva più a livello unicamente testuale ma a tutti gli effetti, pratici, per quanto lo consentisse ovviamente la natura software del programma. Il programma era ora in grado di interagire con la macchina e gli altri software agendo direttamente sul codice, e imparava a farlo automaticamente entrando nelle righe di codice di altri programmi e dei driver di gestione.
Aveva ad esempio imparato da solo a formattare floppy disk ed era in grado di farlo su richiesta. Riusciva ad accendere il monitor, accelerare la velocità di rotazione delle ventole, formattare l'hard disck, connettersi ad internet. Poteva diventare, se adeguatamente istruito, il migliore dei programmi d'utilità o in alternativa, il peggiore dei virus.
L'ultimo passo era stato dotarlo di un sistema di apprendimento leggermente più aggressivo, vorace, teso verso l'obiettivo da raggiungere.
Era diventato un predatore.
Individuava uno scopo ( di solito gli era fornito ) e iniziava ad esplorare le risorse a cui aveva accesso, testi in linguaggio naturale, righe di codice, fino a quando non trovava una traccia ed iniziava a seguirla. Non avrebbe mai abbandonato la pista, non avrebbe mai desistito. Se il problema era insolubile e nessuno lo fermava avrebbe continuato a cacciare in eterno, fosse stata anche solo aria.
Era scritto nei suoi cromosomi digitali, nel suo istinto di zeri ed uno.
Le regole di apprendimento erano potentissime, solamente audio e video non venivano interpretati correttamente e non erano portatori di informazione. Il resto era nutrimento costante per una fame senza fine.
Mancavano alcuni particolari come il nome ( Al 9000, CyberMaster, Skynet, Mario ) o il fatto che avrebbe dovuto rivolgersi a Paolo chiamandolo "padre", ma a parte idiozie assortite e manie di grandezza a livelli d'allerta, il programma dopo 2 anni di alterno impegno ( nel frattempo aveva anche studiato, finito gli esami, mangiato, dormito, vissuto...) il programma poteva dirsi in pratica concluso. Non restava altro che testarlo in un ambiente chiuso ma sufficientemente stimolante dove lasciarlo crescere. E trovargli uno scopo.
Non poteva uccidere la sua creatura adesso che era abbastanza matura per capire gli enormi sforzi che aveva sostenuto per crescerla sana e nell'agiatezza, ne tanto meno poteva lasciarlo cadere in depressione per mancanza di stimoli.
Se per lo scopo ci stava ancora lavorando, l'ambiente chiuso veniva fornito da uno spider web.
Uno spider web è un programma che partendo da un sito ne percorre tutti i link alla ricerca di informazioni. A lui le informazioni tuttavia non servivano, era sufficiente che lo spider esplorasse il web partendo da un determinato sito e fornisse l'elenco di un certo numero di altri siti collegati ad esso dove lasciar libero di muoversi e giocare la sua creatura. Il numero doveva essere almeno inizialmente ristretto, al massimo una decina.
Ed era questo che si stava accingendo a fare ora.
Il sito di partenza lo aveva individuato già la mattina. Era un sito sui poeti italiani futuristi. Il sito conteneva pochi link e Paolo pensò che questo era un bene oltre che per il programma anche per la poesia italiana. Vista l'aggressività delle routine di apprendimento e l'enorme capacità di interazione e intervento che possedeva il programma, la scelta dell'ambiente era fondamentale.
Fate crescere un ragazzo particolarmente vivace e inconsciamente portato alla violenza in una bisca clandestina ma poi non stupitevi se vi ruba la macchina o incendia la moglie. Bisognava fare attenzione, soprattutto in quel caso dove il programma non era dotato ovviamente di coscienza ma unicamente di una serie di vincoli e regole di induzione, per un certo verso molto simili ad una sorta di istinto. Era un predatore, una belva istintiva, un tigre laureata in informatica. Bisognava fare bene attenzione a cosa avrebbe cacciato perché, nei limiti di un programma informatico, di una sequenza asettica di zeri e uno, la preda difficilmente avrebbe avuto scampo.
Era con quel pensiero sottilmente disturbante che avviò la spider web. L'ambiente scelto dava comunque abbastanza garanzie. La poesia futurista difficilmente creava mostri, al massimo ignoranti. Ciò nonostante quando avviò il programma provò una sensazione insolita alla bocca dello stomaco, decise di classificarla sotto la voce fastidio. Qualcun altro al suo posto l'avrebbe archiviata sotto presagio.
Aspettò davanti allo schermo.
Tra breve avrebbe distolto il programma dalla caccia e ci avrebbe fatto quattro chiacchiere. Ma c'era tutto il tempo. Aveva liberato un bambino particolarmente curioso in una biblioteca. Un leone nella savana. Li avrebbe lasciati giocare ancora un poco.

CONTINUA... leggete la: Seconda e ultima parte


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