Si svegliò di soprassalto, qualcosa l'aveva svegliato. Con gli occhi intorpiditi ed il cuore che batteva forte, per l'improvviso risveglio, cercò di rendersi conto di cosa fosse successo. In molti facevano conto sulla sua capacità di reazione e sulla sua forza, o almeno così gli piaceva credere, quindi, se ci fosse stato un pericolo, gli toccava preoccuparsene e trovare la soluzione. Fu così che si alzò a tentoni, senza accendere la luce, per non allarmare l'intruso, se di questo si trattava. Dalla notte dei tempi emergeva l'istinto forte di capo branco. Spesso si era fermato a riflettere, pensando a sé come ad un continuo processo di rinascite e di morti, un unico individuo, proiettato al futuro ignoto, ma proveniente da un passato altrettanto misterioso e sconosciuto.
Correndo in autostrada, superando casello dopo casello su un tratto di strada ben noto, battuto con ogni tempo e con svariate disposizioni d'animo, spesso aveva immaginato la sua vita, non quella di cui aveva conoscenza, quella del tempo in corso. Gli piaceva credere che quella fosse solo una parentesi in qualcosa di più lungo, più esteso, più inconcepibile. La cosa curiosa era che succedesse proprio a lui, avrebbe giurato d'essere l'ultimo uomo al mondo a provare sensazioni di questo tipo. I suoi studi sul tempo e sul moto, studi serissimi, studi tecnici, non filosofici, gli avevano dato l'unica vera sicurezza, cioè quello che niente è davvero come sembra e che ogni punto di vista, ogni luogo d'osservazione può rivelare una nuova angolazione del problema, una nuova soluzione del "busillis". La sua Scienza non l'aiutava a risolvere il dilemma, se n'estraniava, come se vita e studio non fossero tanto strettamente collegate, indissolubilmente unite come amava credere.
No, non credere, pensare, il credere non faceva parte della sua struttura mentale, gli assiomi non costituivano che un punto di partenza, poi solo l'intelligenza e la creatività strutturata avevano un senso logico, l'unico possibile. Invece non era così. Dunque, dalla notte profonda da cui proveniva l'origine della sua vita antica lo pervadeva la certezza d'essere stato una guida, d'uomini oltre che d'animali.
Non si sentiva l'animo del saggio, non aveva in sé la capacità di cogliere le sfumature sottili che avvolgono le persone, accompagnandole, preannunciandole. Gli mancava la dote dell'intuizione e spesso gli era stata d'ostacolo questa sua mancanza proprio nel rapportarsi con chi più gli premeva, incapace ed impotente a capire le sfumature, a cogliere i sottintesi, a scoprire il senso profondo che le parole celavano o distorcevano. Sapeva d'avere invece in sommo grado la capacità di guida, sapeva di non temere di passare attraverso difficoltà e d'affrontare in piena consapevolezza i pericoli. La sua indole lo faceva insorgere contro i veri rischi, quelli del vivere quotidiano. Non che la forza bruta fosse nelle sue corde, non avrebbe mai pensato di risolvere una controversia a pugni o, men che meno, ad insulti, ma si trattava della certezza che i deboli, le donne e i bambini dovevano essere protetti e difesi, fosse pure a costo della vita.
Quella sua vita antica forse era iniziata quando gli uomini attraversavano senza sosta le lande desolate e misteriose, dove le greggi di pecore o di cammelli, o di cavalli, chissà, trascorrevano da pascolo a pascolo ogni giorno, che passavano su questa terra. Sapeva, o credeva di sapere, che era difficile preoccuparsi al tempo stesso delle mandrie, difendendole dagli assalti dei predoni o delle belve affamate, e del resto dell'orda. Non era capace di spiegare la sensazione forte che lo pervadeva, assicurandolo in questa sua certezza. Però, qualunque fosse l'origine di questa sua convinzione, solo questo gli era del tutto chiaro ed evidente.
Le necessità delle donne, ad esempio, a volte gli risultavano assurdamente incomprensibili, ma confondeva ciò che gli girava intorno con i ricordi di un suo passato imprevedibile e, forse, solo fantasticato. Lo assaliva la certezza che le donne, esseri curiosi e del tutto non inquadrabili all'interno di una logica ovvia, volevano fermarsi quando era ancora tempo di muoversi, poi magari resistevano per chilometri senza dar segno d'affaticamento, quando le bestie e gli uomini avrebbero ritenuto opportuno trovare un luogo per il riposo. Qualche volta aveva provato a domandarsi quale dio le spingeva ad agire in maniera difforme dalle sue proposte e si sentiva invariabilmente rispondere che, al contrario, era lui ad agire curiosamente, un po' come tutti gli altri uomini, di cui era difficilissimo, quando non impossibile, cogliere l'estro e l'inclinazione. Qualche volta, nel tempo presente, durante un'arrampicata in montagna o steso al sole sugli scogli, con il mare che accompagnava con un lieve sciabordio i suoi pensieri, aveva avuto come un lampo improvviso, come se si fosse squarciato un velo scuro e per un attimo avesse davvero potuto cogliere gli attimi di quest'ipotetico passato. Anche in quei momenti si vedeva solitario, accoccolato su una roccia sporgente, guardare la valle in basso, una prateria dal verde appena accennato. Sotto di lui brulicava la vita, le donne si affannavano a costruire le tende dell'orda, mentre i bambini e i vecchi mungevano le bestie e trascinavano nel luogo di raccolta gli otri rigonfi di latte.
Qualche compagno gli si sedeva vicino e restava in silenzio, contemplando il loro mondo, di cui avevano la responsabilità. Non erano necessarie parole, anche i compagni erano gravati dal senso di guida e di difesa che sentiva tanto forte in ogni sua fibra. Quando gli succedeva di sentirsi fagocitare da questa spirale nera, che lo trascinava dentro una vita che gli era, di fatto, ignota e che non aspirava a conoscere, si poneva sempre la stessa domanda:
"Perché diavolo tutto questo succede solo a me?"
Non aveva risposte e nessuno gliene poteva dare, si trattava di seguire il proprio istinto, accettando atteggiamenti e disposizioni d'animo troppo forti per essere messe da parte e lasciate inascoltate. E certo a nessuno poteva chiedere informazioni, se non voleva passare per matto, se non voleva alienarsi le simpatie dei suoi simili, ben più attaccati a terra, coi piedi saldamente fissati al terreno. Dunque, quella notte l'aveva svegliato un rumore improvviso, diverso dai soliti che permeano una casa durante la notte, dissimili da quelli che si ascoltano durante il giorno, quando tutti sono svegli e i sensi sono relegati in secondo piano, perché è l'anima razionale quella che ci attiva e ci allerta. Ma era stato questo suo forte istinto di capo branco ad averlo fatto schizzare dal letto, col cuore in subbuglio, con i nervi tesi, col respiro affannoso, ma attento e sveglio, pronto a combattere, pronto a difendere il territorio, l'orda, tutto quello che sarebbe stato necessario difendere.
Il lungo corridoio era buio, nemmeno una lieve luce filtrava dalle finestre, come se anche la strada non avesse illuminazione di sorte e neppure il lieve chiarore stellare, che solitamente rende meno cupa la notte, rompeva le tenebre casalinghe. Avanzando a tentoni, perché non voleva accendere la luce e mettere sull'avviso l'intruso, urtò col piede nudo lo spigolo dell'armadio. Soffocò a stento un lamento, per evitare d'essere scoperto, nel caso si fosse trattato davvero di un estraneo, penetrato nel suo regno. Questo gli rammentò un altro dei momenti in cui sentiva d'aver già vissuto altrove. Anche la sofferenza fisica andava tenuta sotto controllo, le ferite non dovevano arrestare il suo impegno. Ma ricordava che era sempre stato curato dalle donne dell'orda, lo controllavano e lo sostenevano per affetto e per riconoscenza: se dal canto suo le proteggeva, d'altra parte loro contavano su di lui, non avrebbero permesso che niente lo ferisse o lo mettesse fuori campo. Si scosse, queste fantasie non lo aiutavano mai, lo distoglievano dal contingente, in quel frangente poi non avevano nessun senso. Doveva cercare d'essere presente a sé stesso e cogliere ogni sfumatura, ogni cambiamento del suo ambiente, l'estraneo non l'avrebbe colto di sorpresa.
Il corridoio era buio, ma non completamente.
Dalla finestra filtrava un tenue chiarore dall'esterno: la notte poteva anche essere fonda, ma sempre emanava una sorta di luce lunare, anche in assenza della Luna. Era come se l'astro notturno facesse sentire, anzi, vedere la sua presenza anche quando il Novilunio nascondeva il suo volto lucente. Un lampo di luce attirò la sua attenzione e lo mise per un attimo sull'avviso. Poi si rese conto che era lo specchio che rivestiva la parete di fondo, messo ad arte per allargare lo spazio della stanza che aveva catturato appunto quel lucore latteo dell'esterno. Rise di sé stesso, ironizzando sulle sue paure. "Devo smetterla di preoccuparmi delle ombre" si disse, tirando un sospirone di sollievo "meglio accendere la luce. Se c'è qualcuno mi ha già sentito sicuramente, tanto vale vederci meglio!" Allungò la mano verso l'interruttore, ma si fermò impietrito. Nello specchio non si rifletteva solo la sua immagine; dietro le sue spalle era delineata una figura indistinta, ma altra, diversa da lui, distinta, eppure in qualche modo strettamente legata alla sua stessa figura.
Non sapeva se voltarsi ed affrontare l'intruso o fingere la più completa indifferenza e cercare la salvezza, perché un estraneo altro non poteva essere, se non un nemico, un rischio, un pericolo incombente.
Ma non ebbe modo di decidere come comportarsi perché quella figura, indistinta all'inizio, sembrò levitare e sostituirsi alla sua stessa immagine. Una voce bassa, ma amichevole e niente affatto sgradevole lo colpì, immobilizzandolo nel momento.
"È inutile accendere la luce, mi vedi e mi senti lo stesso. Domani forse dirai che è stato un sogno, e forse hai ragione, ma dal sogno ti verranno conoscenze nuove e certezze forti. Ascoltami e trattieni nel tuo cuore le mie parole. Oppure accendi la luce, controlla se esisto, lascia che scompaia nel niente che mi ha generato e torna a letto. Dimentica e continua questa stessa vita, senza risposte, ma ricolma di domande. Se vorrai ho le risposte. Non posso e non voglio, però, perché non spetta a me l'obbligo di dirigere la tua vita, sei tu il tuo padrone. Sono una guida, e ti tendo una mano."
Nessuna parola era sufficiente a spiegare l'emozione che provava, solo, di notte, con una voce proveniente dalle sue spalle a rendere ancora più incerta la sua posizione. Alzò gli occhi verso lo specchio, temendo di vedere quello che davvero vide.
A distanza di anni non riusciva ancora a spiegarsi come non fosse caduto in deliquio, anzi, come in fin dei conti non avesse avuto quella paura che chiunque avrebbe provato. Nello specchio si rifletteva una grande immagine, più grande delle dimensioni umane, ma non eccessivamente, non tanto da sembrare un gigante spaventoso. Pareva quasi il Genio della Lampada, grande ma bonario. La fisionomia di quel misterioso individuo era tipica di un Indiano d'America, sembrava proprio uno dei grandi cacciatori delle foreste del Nord, l'ultimo dei Moicani, per dirla in breve. Sul capo una cresta di capelli fungeva da corona reale, e lo stesso portamento lo indicava quale capo. Dietro le spalle spuntavano alcune frecce da una faretra, indossata a tracolla, le penne tagliate secondo un preciso motivo, probabilmente indicavano la tribù, non solo la miglior capacità di traiettoria.
"Il mio nome è Monka" riprese l'apparizione "da molto tempo non sono su questa terra. Una volta ero quello che vedi, perché non devi pensare che questo sia il mio aspetto attuale, per farmi vedere da te ho recuperato una pallida immagine di quello che ero. Combattevo contro genti straniere, Bianchi, che volevano le nostre terre. Non capivo, allora, perché volessero toglierci quelle terre spesso inospitali che il Grande Spirito ci aveva donato. Dovevo difendere la mia gente, i miei figli, le donne... proprio come senti di dover fare anche tu. Questo ci lega indissolubilmente!" Era senza parole, ignorava se era paura o solo uno strano senso di pace, ma quell'apparizione, quello che ascoltava era molto meno sconvolgente di quello che si poteva pensare. Aveva un senso, anzi, finalmente aveva il Senso giusto. Intanto il Guerriero Monka continuò:
"Ascolta le mie parole. Ti sono stato dato come guida da quando sei nato, anche se solo ora mi conosci davvero. Vedi, sul tuo collo una piccola voglia color bruno sta ad indicare questo stesso segno che anch'io porto." così dicendo mostrò una piccola ferita tra la clavicola e il collo. Un foro di pallottola, curioso, su quel corpo arcaico, su cui molti tatuaggi indecifrabili indicavano l'appartenenza nobile, la stirpe guerriera, la tribù. "Ho cessato d'esistere quando mi ha toccato un'arma che non era del mio popolo, ma per il mio popolo sono morto, forse da eroe. Non si ricorda più nessuno di me, perché il mio mondo è svanito troppo velocemente, ma non importa. Basta a me stesso la mia conoscenza, il mio primo incarico so d'averlo svolto con accettazione e generosità. Anche tu l'hai fatto, un tempo, molto prima di me, ne hai già avuto sentore. Ma sei tornato ora e sei solo. Conosco la necessità che ti spinge, l'ho provata io stesso. Poco ti dico, ma dammi ascolto. Leva il tuo volo alto, come il Falco nel cielo. Sollevati e guarda dall'alto la terra e non permettere che inciampi di poco conto rallentino il tuo cammino. Spesso sarai solo, ma in questa solitudine troverai la forza per cercare in te energia nuova. Sono sempre con te, se vuoi, guida ed amico. Puoi lasciarmi andare e non chiamarmi, ma basterà che tu pensi a me che io ci sarò. La tua strada è lunga, come sai bene... A te come percorrerla."
Un lampo, e lo specchio tornò a riflettere solo lui, in pigiama, stranito, poi anche il chiarore che aveva illuminato la scena scomparve del tutto.
Tornò a letto, dubitando delle sue capacità mentali. La mattina seguente, appena sveglio, rise leggermente, ricordando i turbamenti della notte e i sogni: impossibile credere che si fosse trattato di una reale esperienza, certo un sogno, veritiero, ma incredibile. Poi per un attimo credette che la stanza girasse intorno a lui. Stentava a sentire sotto i suoi piedi saldo il pavimento: un lampo metallico aveva attirato la sua attenzione appena sveglio.
Una moneta troneggiava sulla comodina, una moneta non sua, che non ricordava di aver messa lì. Ma non sera stupito per questo, visto che l'ordine non era il suo forte e che spesso era distratto. Uno sguardo più attento alla moneta, però, l'aveva fatto sobbalzare: ungherese.
Quando mai n'aveva possedute?
Ma la cosa che l'aveva lasciato senza fiato fu il constatare che l'immagine del conio era quella di un Falco. Aveva detto così, Monka, un Falco... La terra tornò salda sotto di sé, ora sapeva che non s'era trattato solo d'un sogno!


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