Questo racconto è presente nell'eBook Un'epoca di visioni

Tutti gli scrittori sono alla ricerca di qualcosa di immortale. Tutti gli scrittori desiderano che almeno una delle loro frasi resti immortale. E talvolta desiderano essere pure loro immortali; per godersi la loro frase immortale, ovviamente.
Se la gente guardasse gli alberi come guarda la televisione, io, forse, sarei uno scrittore famoso.
Non mi dedico a descrivere gli alberi. No. L'argomento di cui sto parlando è troppo complesso, forse neppure un genio come me riuscirebbe a descriverlo...
Sono il genio della stranezza che è normalità e, forse, sono il genio della normalità che è stranezza.
Posso sembrare uno sbruffone usando il termine genio nel descrivere me stesso. Qualcuno potrà irritarsi con me. Allora, espressamente per quel qualcuno, dirò che sono un pagliaccio, un buffone.
Sono spesso da solo, comunque. Pure oggi che è il mio ventisettesimo compleanno, sono da solo; solo, dentro la mia automobile. E ciò che mi stupisce è che non mi sento per niente triste. Questo non mi rende affatto un eroe. Non è da privilegiati ritenere il giorno del proprio compleanno uno come tanti altri. Il mio stupore è una sorta di recita. Una sorta di recita.
Queste macchie d'inchiostro sono dedicate a chi non aspetta il fine settimana per vestirsi bene e a chi non si veste mai bene (soprattutto a loro); a chi guarda la televisione spenta, o senza audio, o senza gaudio, o senza Claudio (chiunque esso sia); a chi sceglie di dire la verità quando potrebbe benissimo dire una cazzata e tutti gli crederebbero ugualmente; a chi sceglie di dire la verità anche quando solo dicendo una cazzata tutti gli crederebbero; a chi si perde tra il luccichio dei fili d'erba di un immenso prato e a chi sa di essere solamente un filo d'erba in un immenso prato; a chi lavora per vivere e non a chi vive per lavorare (frase già fatta, lo so, lo so...). Eh sì, sto diventando vecchio e rincoglionito se non ho ancora bestemmiato nel dire tutto ciò.
Ma come al solito sto parlando di 1000 cose senza poi dire nulla di interessante. Regalo il mio stipendio (premetto che lavoro part-time) a chi trovi qualcosa di interessante di cui parlare; di cui scrivere, in seguito.
Ma poi non venitemi a dire che siete attirati da cose interessanti. C'è gente che fa i miliardi mostrando la vagina in TV. Chi se ne frega della vagina? Tanta gente. E forse anche tu.
Ed io? Mah, sinceramente scrivendo, tra circa un'ora mi troverò a far visita ad una mia amica.
Prevedo che dopo neanche mezzora dal nostro saluto... Comunque sì, mi piace la vagina, dio, ma non ne voglio parlare ora.
Siamo o non siamo animali? Chi ha inventato la moralità quel giorno si stava annoiando una cifra e chi la segue, evidentemente, ha dimenticato di esistere.
Qualcuno penserà che sono volgare, o peggio, nelle mie descrizioni. Che lo pensi pure, anche perchè nella vita tutto ciò che è volgare è piacevole. 'Volgare' per me significa 'istinto' e chi non segue l'istinto è un prigioniero. Prigioniero senza via di scampo. Anch'io a volte scelgo di imprigionarmi dentro qualcosa; che ne so, dentro gli sguardi di ammirazione o di disprezzo della gente.
La gente, strana cosa. Così scontata e, allo stesso tempo, impossibile da capire.

...Quel giorno credevo ormai di aver capito tutto di coloro che mi circondavano.
Mi trovavo nella sala di un ristorante, seduto ad una tavolata attorno alla quale, tra parenti miei e amici, stavano nutrendosi circa 15 persone. Ma lo facevano per 45. Forse era un compleanno. Faceva caldo, era estate, quindi non era Natale.
Probabilmente l'alcol aveva fatto lievitare l'importanza personale della maggior parte dei commensali. E forse aveva fatto lievitare pure la mia perché, ad un certo punto, stufo di stare ad ascoltare i versi di 15 animali ormai quasi sazi, decisi di assentarmi per andare a prendere una boccata d'aria; con il permesso di lor signori, ovviamente.
Ormai lor signori erano giunti al caffè, meglio ancora, al limoncello. Da lì a poco ce ne saremmo andati tutti e decisi quindi di aspettarli fuori, nel giardino. Pagare il conto non era affar mio, quel giorno.
Era un posto tranquillo, silenzioso. I campi coltivati tutt'attorno emanavano un odore di insolita salubrità, una sensazione di aria pura che... insomma... la canapa che avevo in tasca mi stava chiamando. O forse ero io a chiamare lei. E lei arrivò.
Ora, il lettore fissato con le droghe o altre faccende del genere, penserà: "Grande!". E il lettore educato dalla morale penserà... Non so che cosa penserà e sinceramente non è che me ne importi molto, come, del resto, non mi importa del giudizio del lettore fissato con le droghe. Sono solo giudizi.
Comunque...
Cominciai ad avere una visione delle cose un po', come dire... viola. Hombre! Què color violeta!
Ora la persona fumata poteva osservare con distacco la persona ubriaca, e tutte e due albergavano dentro me. Che tristezza, e pensare che la vita dovrebbe essere... nulla, la vita è quel che è. Siamo uomini e anche l'uomo è quel che è.
Stavo osservando i campi, i canaletti di scolo delle acque, gli insetti. Nel fare questo la mia consapevolezza mi fece notare che, nel mondo attorno a me, una musica ripetitiva ma piacevole irradiava le sue note in tutte le direzioni. Constatai di essere dentro uno schermo televisivo e di star guardando il mondo fuori di esso. A momenti era il mondo a trovarsi dentro lo schermo televisivo, ma io allora dov'ero? Una cosa è certa: esistevo. In qualsiasi posto mi trovavo in quel momento, esistevo. Esistenza e consapevolezza sono due sposini perfetti. In quel momento la mia consapevolezza era a dir poco luminosa; la mia esistenza un po' meno...ma il matrimonio tra i due mi rendeva felice. Come un ignaro figlioletto.
Nel luogo in cui mi trovavo i suoni uscivano dai colori. Quanti colori!
Vidi una persona che proveniva da una strada sterrata che divideva due campi.
Macché persona! Qualunque cosa fosse, aveva le sembianze di una ragazza vestita di nero. Ma importava se fosse una persona o no? Non tutto ciò che assomiglia a una persona è una persona. Sarebbe troppo restrittivo, altrimenti.
Da lì a poco sarebbero esistite solo due cose nel mio mondo: una ragazza vestita di nero e un vento molto tenue, ma regolare.
Il vento la guidò a me. Ora eravamo forse a 10 centimetri di distanza e il suo volto non era un volto, ma, allo stesso tempo lo era ed era magnifico. Non aveva forma, quel volto, non aveva fattezze; era stupendo; forse perché irradiava tutta la sincerità che ho sempre desiderato vedere sul volto di una donna.
I suoi occhi, pur essendo occhi, erano pozzi di musica le cui note, in un vortice di profumi, mi attiravano al suo essere tutto. Mi abbracciò e il vento si placò in quel preciso istante.
Ora per me esisteva soltanto la sua pelle sulla mia e la sua sincerità mi stava facendo girare la testa. Mi sentivo mancare e lei lo sapeva; sentivo che sorrideva. Stavo morendo tra le braccia della sincerità, o era amore? Morii dicendo: "ti amo...".

Prima di proseguire il racconto vorrei dire una cosa.
Mi manca la mia ragazza, quella che non ho mai avuto. Sono tanto innamorato di lei. Vorrei prenderla per mano e, piangendo di felicità, farle capire che lei, per me, è Dio.
Mi manca la mia ragazza, quella che non vedrò mai. I suoi occhi sono il mondo, le sue mani una culla nella quale prendono vita i sogni più maestosi. Tra le sue braccia vedrei tutto bianco, un bianco divino.
Ma, soprattutto, mi manca la sincerità della mia ragazza. Quella che non ebbi, che non ho, che non avrò. Lei, in una tiepida giornata primaverile... mi manca. Lei, con la fedeltà di un animale.
Mi manca anche se non l'ho mai vista nè toccata. Mi manca e ogni volta che guardo il mare...
Lei è con me. Mi manca.

Morii dicendo: "ti amo...".
Non so se morii veramente. Se morii, allora sono costretto a dire che in seguito resuscitai in quanto ad un certo punto la mia consapevolezza si fece largo nel buio ed emerse. Aprii gli occhi. Ero sdraiato sulla panchina di un luna park.
Il mondo era tornato ad essere lo stesso squallido mondo che conoscevo ed io ero tornato ad essere lo stesso squallido pazzo che ero stato.
I bambini, i genitori, i suoni assordanti con i quali la gente convive e ai quali non intende rinunciare. Tutto, insomma. Tutto era tornato come prima.
Ma che cosa ci facevo in un luna park? E cosa ci facevo disteso su una panchina? In vita mia non mi era mai capitato di trovarmi in un luogo senza sapere come vi fossi arrivato.
No, non poteva essere vero. Stavo soffrendo. Il cuore mi si gonfiò e le lacrime scesero dai miei occhi come carezze sul mio viso. Carezze, in un miscuglio di felicità e malinconia.
Sì, il mondo era sempre quello. Avevo la marijuana in tasca e stavo invecchiando.

Amo la mia ragazza.
Odio tutti, compreso me. La gente mi fa vomitare. Gli alberi, no. La pazzia è dappertutto.
Ragazza mia, ti amo. Forse perchè non esisti.


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