Lorna - Viviamo nel ventesimo secolo Tom... non accadono più miracoli a New York.
Clifford Odets, "Ragazzo d'oro", Atto I

«Oggi devo proprio lanciare le tre monetine...» pensò Narcisa guardandosi con un'espressione disgustata allo specchio del bagno. Il volto che vedeva riflesso non le piaceva affatto. Due occhiaie profonde come il canale di Loch Linnhe invecchiavano irrimediabilmente un viso che non molto tempo fa doveva essere stato bello da capogiro.
«Diavolo, ho solo quarant'anni! Cosa mi sta succedendo?»
Era la sconsolata constatazione che ultimamente si faceva almeno due volte al giorno.
I capelli biondi troppo lunghi sulle spalle avevano bisogno urgentemente di un buon taglio. Con un movimento automatico della mano dalla consolle sotto lo specchio prese il suo amato fermacapelli viola e velocemente se li raccolse a coda di cavallo. Il viso liberato dai capelli si avvantaggiò subito della luce dell'ambiente.
«Dieci anni in meno cara mia!» esclamò riavvicinandosi allo specchio mentre una parvenza di sorriso faceva capolino sulla sua bocca che soltanto un attimo prima era contratta in una smorfia di sconforto.
In parte rincuorata diede inizio alla sua solita igiene mattutina.
Una doccia prolungata con la temperatura dell'acqua regolata elettronicamente a trenta gradi le procurò ben presto una scossa benefica al morale. Per lavarsi utilizzò uno strano sapone verde dall'odore deciso e intrigante tirato fuori da un contenitore di alluminio presente in bagno ormai da Natale. Non aveva uno specchio davanti a sé, ma scorrendo il corpo con la mano poté rendersi conto che la pelle era sempre soda, di certo invidiabile per la sua età. I seni non davano ancora segni di sgradevoli cedimenti e di questo ne era molto fiera. I glutei e le cosce, tuttora senza la minima traccia di cellulite grazie ad interminabili sedute sulla cyclette, erano da sempre la sua arma vincente. Quanti danni al prossimo avrebbe potuto fare con loro, se solo lo avesse voluto!
Già, se solo lo avesse voluto...
Passando dal liscio calore dell'acqua al dolce tepore dell'accappatoio bianco, per un attimo chiuse gli occhi e un grosso sospiro si sommò all'aria vaporosa del bagno.
«Cosa mi manca per essere felice?»
Era quella la domanda che ormai da parecchi giorni le frullava per la testa e che le stava procurando un malessere indicibile.

Si ricordava benissimo quando se l'era fatta per la prima volta.

Seduta alla scrivania di mogano intarsiato nel suo ufficio alla Paluzzi Costruzioni S.p.A., aveva appena ricevuto un pacchettino da Marco e una telefonata di congratulazioni dal gran capo. Un suo progetto aveva vinto un premio internazionale e aveva grandi probabilità di concreta realizzazione, eppure proprio in quel momento si era chiesta:
«Cosa mi manca per essere felice?»
La domanda gliel'aveva stimolata la vista del pacchettino?
Compleanno e onomastico erano ben di là da venire e il suo capo non era tipo da far regali.
Chi poteva aver pensato a lei?
Sulla carta d'imballo c'era scritto a chiare lettere Finzi Gioielli - Milano.
Di colpo aveva avuto paura ad aprire quella scatoletta infiocchettata.
Eppure nella sua vita era stata sempre curiosa e coraggiosa.
Questa volta come un presentimento le impediva di procedere in quella semplice operazione.
Leggere il biglietto e aprire la confezione stava diventando angosciante più di un incubo notturno.
Con un movimento automatico della mano aveva aperto la borsetta sulla scrivania e aveva afferrato le sue tre adorate monetine. Quando sentiva addosso che qualcosa non filava nel verso giusto toccarle era la sua ancora di salvezza. Ad esse domandava la via da seguire e loro riuscivano sempre a indicargliela. Questo caso però era un po' diverso: non si trovava davanti ad un bivio, non aveva scelte esistenziali da fare eppure sentiva che in quel preciso momento aveva bisogno del loro aiuto.
C'era un cattivo pensiero da scacciare in fretta dalla mente.
Il calore del metallo stretto nella mano si era ben presto trasformato in energia.
Doveva subito leggere il biglietto e aprire il pacchettino.
«Forza Narcisa deciditi! Cosa ci vorrà mai?»
Di guerre ne aveva combattute tantissime. Tra vinte e perse la contabilità era di certo a suo favore.
Forza, forza!
Finalmente aveva tirato fuori dalla busta il bigliettino e aveva iniziato a leggere.

Cara Narcisa,
stavolta non voglio usare parole mie. Gli addii sono sempre difficili e penosi e perciò vado a prestito. Per correttezza avrei dovuto indicartene l'autore, ma sul sito web da dove ho scaricato la poesiola c'era mistero al riguardo.
Sembra scritta proprio per te.

Il rabbino consulta il pescecane
secondo la Torah e il rituale:
«Dimmi oh caro
dimmi perché fai il male? «
Quello sospira come troppo gli pesasse
e intanto osso ad osso se lo scarna
«Non ho colpa.
In me il tuo dio s'incarna.»

Spero che tu capisca e mi capisca.
Marco

«Ecco, questo sì che è un bel modo di piantare una persona! Se avesse scritto soltanto un bel stronza certamente non avrebbe avuto lo stesso effetto!» aveva pensato piena d'amarezza.
«Come al solito ha voluto strafare...»
A quel punto tanto valeva aprire anche il pacchettino. Con mani nervose aveva strappato il nastro e la carta da regalo. Dalla scatolina imbottita aveva poi estratto il prezioso contenuto e per alcuni minuti era rimasta attonita ad osservare lo squalo stilizzato che aveva davanti a sé.
«Ah, così io sarei il pescecane che mangia le sue vittime...» aveva alfine mormorato piena di stizza.
No, non si riconosceva assolutamente in quel ritratto di sé dipinto con gli occhi di Marco.
«Non ho mai mangiato gli uomini, io! Marco, tu non mi hai mai capito...»
A ben vedere se cattiveria c'era stata nella ricerca del regalo d'addio, la cosa a Marco non era riuscita appieno. La cura dell'artista nel realizzare il pescecane con le branchie dipinte di marrone sull'argento lucente avevano reso l'oggetto molto attraente alla vista.
Ciò che invece l'aveva ferita di più era l'anonima poesia e i pensieri che le si scatenavano nella testa ogni volta che la leggeva e rileggeva.
«Sant'Iddio, quell'imbecille di poeta non poteva cercare un verbo meno odioso di scarnare
Narcisa non solo mangia gli uomini ma li scarna con voracità!
Ma io ti amavo Marco e non ti ho mai scarnato.
Finora a tutti i suoi uomini era piaciuto molto entrare ed uscire dal suo letto...
Perché Marco non l'aveva apprezzato?
D'accordo, mille volte Marco aveva detto che nel suo letto lui si voleva fermare.
Perché non ha capito che ciò non era possibile?
Era stata chiara sin dall'inizio e lui lo sapeva.
Per lei amore e libertà dovevano sempre restare due cose ben distinte.
L'amore, il sesso sì, ma poi ognuno a casa sua!
Perché adesso glielo faceva pesare con così tanta acredine?
Scarnare...
Che odiosa poesia!
Da quel momento una tristezza senza fine le era entrata così a fondo nella mente e nel corpo da toglierle persino la voglia di odiare chi l'aveva così malamente scaricata.
Cosa le mancava per essere felice?
Non certo gli uomini. Un fischio e poteva averne quanti ne voleva...
Non certo il successo.
Era apprezzata e riverita sul lavoro. Una donna dirigente a quarant'anni in una società di soli uomini non era mica uno scherzo!
E allora?
Poteva contare su tanti amici e amiche che correvano subito ad ogni suo squillo. Questo significava che sapeva anche donarsi agli altri senza farlo mai pesare.
Eppure da qualche tempo qualcosa in lei non quadrava più e Marco col suo benservito gliel'aveva fatto notare con estrema brutalità.

L'aria nel bagno si era raffreddata, l'effetto benefico della doccia era ormai del tutto vanificato. Doveva sbrigarsi se non voleva prendersi un malanno. Solo un po' di trucco agli occhi ed era pronta ad affrontare la sua prima domenica da single. Stava quasi per uscire dal bagno quando un'occhiata alle unghie la convinse a tornare sui suoi passi.
«Non posso fare I Ching con le mani così conciate!» disse a se stessa.
Aprì l'armadietto appeso al muro dove in bella vista c'erano dieci bottigliette colorate che aspettavano solo la sua scelta. La prima al color nero seppia era affiancata ad una blu, poi ad una verde seguivano sette diverse tonalità di rosso. L'ultima, dal color rosa pallido non l'aveva mai aperta.
Oggi era proprio la giornata adatta per farlo. Doveva affrontare con la massima umiltà l'appuntamento con l'oracolo.
Tutto doveva essere predisposto per ascoltare con grande dignità e compostezza il responso dell'antica saggezza cinese.
Per i suoi amici I Ching erano un gioco di società, stupido come poteva essere stupida la lettura dell'oroscopo. Per lei invece rappresentavano la filosofia della vita a cui attaccarsi nei momenti di difficoltà. Erano la sua religione, la sua guida spirituale e tutte le volte che aveva domandato, da loro aveva ricevuto la risposta giusta.
In dieci minuti riuscì a portare a termine l'incombenza dello smalto alle unghie. Poi corse in camera ad indossare un abito comodo e fu subito pronta ad affrontare la nuova sentenza.

Dalla borsetta estrasse le tre monetine e stringendole nella mano come a voler comunicare a loro il suo attuale umore, si diresse verso lo studiolo attrezzato per quando si portava il lavoro a casa. Liberò con cura il piano della scrivania dal portatile e dall'ultima relazione ai soci dello studio e su un foglio di carta bianca depose le monete. Dalla libreria estrasse i suoi tre libri di riferimento. Il primo era «Come consultare I Ching» di Alfred Douglas, in edizione economica Bur del 1976. Il secondo, più recente, era "I Ching"» di Paola Mariani e Patrizia Meanti in edizione cartonata Mursia. Il terzo libro, quello più prezioso, era la traduzione in lingua inglese dei I Ching curata da Lao Hai-hsuan che si era regalato durante il suo ultimo viaggio in Cina.
Sedutasi alla scrivania, con grande solennità e serietà iniziò l'interrogazione.
Seguendo le antiche regole assegnò il valore 2 ad una faccia di ognuna delle tre monete ed alle altre facce diede il valore 3. Diligentemente con la sua bella stilografica scrisse sul foglio i valori assegnati a ciascuna di esse. Prima di lanciare contemporaneamente le tre monete con la mano destra, formulò mentalmente la sua richiesta all'oracolo e poi la mise anche per iscritto.
Questa volta la domanda che fece era chiara e definitiva:
«Da domani cosa devo fare della mia vita?»
Lanciò per sei volte le monete e con grande attenzione trascrisse sul foglio il risultato numerico dei singoli lanci. Ad ogni sequenza, somma dei numeri 2 e 3, associò il corrispondente simbolo grafico: una linea spezzata mobile se la somma era 6, una linea intera mobile se la somma era 9, una linea intera fissa se la somma era 7 e infine una linea spezzata fissa se la somma era 8.
Costruì così l'esagramma che avrebbe risposto al suo interrogativo.
Tutta l'operazione durò una decina di minuti ed alla fine sfogliando i tre libri sulla scrivania trovò la pagina dove era scritta l'agognata e temutissima risposta.

Lesse più e più volte fino ad impararle a memoria le poche righe che l'oracolo aveva preparato per lei. Prese poi un nuovo foglio di carta e con studiata lentezza ci scrisse sopra a penna tutto quello che da domani avrebbe dovuto fare della sua vita.

Il giorno dopo, mercoledì 30 Novembre 2005, Narcisa si alzò molto prima dell'alba.

Non fece colazione ma spese più di un'ora per mettere in perfetto ordine ogni angolo della casa. Quando si ritenne soddisfatta, si vestì di tutto punto e in un attimo fu pronta per uscire. Arrivata vicino alla porta di colpo si fermò. Come assalita da un improvviso furore andò in camera da letto e da un cassetto dell'armadio a muro estrasse la trousse argentata con chiusura a cordoncino che usava sempre nei suoi viaggi in giro per il mondo. Andò poi in bagno, raccolse il sapone verde con il suo contenitore di alluminio, il fermacapelli elastico con il gattino stilizzato e la bottiglietta di smalto rosa per le unghie. Dalla borsetta estrasse la stilografica e le tre monetine. Da sopra il trumò del soggiorno afferrò il pescecane d'argento e per un istante se lo avvicinò al petto.
Con quei sette oggetti nelle mani andò in cucina e si sedette pensierosa a tavola.
Per un tempo indefinito e in silenzio religioso li rimirò e accarezzò tutti, uno a uno, più e più volte.
Poi aprì la trousse e con mossa lenta vi ripose gli altri sei oggetti.
Strinse con forza il cordoncino azzurro e depose il tutto al centro della tavola sopra al foglio scritto a mano il giorno precedente.
Si alzò con gran fatica dalla sedia, diede un'ultima intensa occhiata attorno a sé e infine, a passi decisi e senza più voltarsi indietro, uscì di casa.

Fuori era ancora buio. L'aria era fredda ed il tempo non prometteva niente di buono.
Narcisa quel giorno di fine autunno non prese come sempre la sua auto.


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