Saltò l'ostacolo con agilità, sentendo i muscoli del suo cavallo allungarsi e contrarsi per lo sforzo.
Appena gli zoccoli dell'animale toccarono elegantemente il suolo reso fangoso dalla forte pioggia caduta durante la notte, si rese orgogliosamente conto dei grandi progressi che aveva compiuto in campo ippico negli ultimi due anni.
Era davvero orgogliosa di se stessa.
Fece trottare il cavallo fino alle stalle, e quando fu giunta a destinazione saltò giù dalla sella in modo agile e leggero, cosa che era resa possibile dalla sua corporatura esile e minuta.
Dopo aver legato il cavallo nel box si slacciò il Cap, lo tolse, e l'appoggiò nell'armadio che conteneva tutta l'attrezzatura per andare a cavallo; ed andò a sedersi su una comoda poltrona che aveva posizionato accanto al guardaroba.
Ora sì che era veramente appagata.
Poteva assicurare che la sua era una vita pressoché perfetta... eh, sì!
A parte il fatto che dovesse strigliare il cavallo, la cui chioma era ricoperta da strati chilometrici di fango.

La spazzolona di setole ruvide frusciava leggermente al contatto con la corta chioma rossiccia di Pilgrim.
Sbuffi di approvazione uscivano dalla bocca dell'animale, e i cui occhi verde smeraldo brillavano di piacere alla fioca luce della lampada al neon che pendeva dall'antico soffitto in legno delle stalle.
La criniera, di un rosso notevolmente più scuro rispetto al mantello, era intrecciata abilmente con nastri verdi e rossi (residui del concorso di dressage a cui aveva partecipato la domenica precedente), che rendevano l'animale simile ai cavalli che in Svizzera usano come trainatori per i carri postali.
«È davvero una bella bestia» pensò tra sé Elizabeth con orgoglio, passando affettuosamente una mano sulla schiena dell'animale, che, emozionato, si agitò un poco, facendo saltellare la coda sul didietro.
«Buonanotte Pilgrim» disse la ragazzina, spegnendo la luce del box e chiudendo piano la porta dietro di sé.
Il chiavistello scattò, producendo un rumore secco che rimbombò in tutta la vasta costruzione delle stalle.
Con passi cauti, Elizabeth sgusciò fuori dalle scuderie, chiudendo piano la pesante porta di legno antico che preservava gli animali dal rigido freddo invernale.
I ciottoli del viale cozzavano l'uno contro l'altro sotto il peso della ragazzina che cercando di vincere il tempo, correva a perdifiato verso casa.

Salì velocemente gli scalini che conducevano alla porta d'entrata della cascina, cercando di avere un'aria più disinvolta possibile, anche se sapeva benissimo di essere in clamoroso ritardo.
Batté con forza i battenti laccati d'oro, e dopo qualche secondo d'attesa la porta venne aperta lentamente dal fratello di Elizabeth.
I capelli biondi scompigliati e i brillanti occhi verde acqua gli davano un'aria ribelle, ma questa era solo un'apparenza, siccome in realtà il suo carattere era docile come quello di un agnellino.
La pelle abbronzata e i piccoli e diritti denti bianchi lo rendevano decisamente di bell'aspetto.
Elizabeth lo guardò con gratitudine, e togliendosi gli stivali da cavallerizza in pelle nera tirò un sospiro di sollievo.
Se la madre non era venuta ad aprirle la porta voleva dire che per qualche strano motivo non era presente in casa.
Sempre meglio così, visto che di sentirsi fare un'altra ramanzina non ne aveva proprio voglia.

Dopo essersi fatta una doccia lampo ed essersi asciugata i lunghi capelli castano ramati, si infilò il caldo pigiama in pile color canarino e andò in cucina.
La madre non era ancora rientrata, e così il fratello stava cucinando qualcosa a lei ignoto in una grossa pentola che fischiava in maniera assordante.
«Che cos'è?» gridò Elizabeth, per farsi sentire dal ragazzo, che con un grosso mestolo di legno stava rimescolando la brodaglia rossastra all'interno del paiolo.
«Zuppa di pomodoro!» rispose lui, voltandosi e guardare la sorella che stava stendendo la tovaglia sul tavolo.
Lei strabuzzò gli occhi, ed esclamò ridendo: «dall'odore non si direbbe proprio!», e detto questo prese il suo libro dalla cesta posta vicino alla televisione, ed andò a spaparanzarsi sul grosso sofà di fronte al caminetto.
Il fuoco donava alla sua pelle un colore dorato, che faceva brillare i suoi occhi verde salvia, e che in base al tempo potevano tendere sia al nocciola che al giallo.
Elizabeth era immersa nella lettura del suo libro preferito: L'uomo che sussurrava ai cavalli, che aveva letto ben cinque volte ma che non si stancava mai di ripassare.
La prima volta in cui si era immersa nella lettura del romanzo ne era rimasta un po' sconcertata.
C'erano molte pari un po' piccanti, ma oramai ci aveva fatto l'abitudine.
Lasciava scorrere via le righe come se raccontassero di una tranquilla giornata domenicale.
Dopo circa dieci minuti buoni in cui Elizabeth si estraniò dal mondo reale, per immergersi nella valle del Montana in cui era ambientato il suo libro, la voce allegra di Daniel la risvegliò di soprassalto.
«La cena è pronta!»
«Arrivo subito!» gridò a perdifiato la ragazza, posando il libro di malavoglia ed alzandosi dal comodo divano.
Raggiunse svogliatamente il grande tavolo in palissandro, spostò la sedia e ci si sedette.
Dopo qualche minuto che Elizabeth giocava con le posate, facendo tintinnare brocca e bicchieri, Daniel arrivò con passi cauti, reggendo la pentola che conteneva la strana brodaglia vegetale.
La posò sul sotto-pentola e con aria fiera si sedette a capotavola, sorridendo gaiamente alla sorella.
Lei mandò giù la saliva, e si servì un piatto di zuppa.
Trangugiò con appetito, sentendosi riscaldata fino alla punta delle dita dei piedi. Era una bellissima sensazione sentirsi riempire lo stomaco, dopo aver smaltito, cavalcando, l'abbondante merenda a base di pane e prosciutto!

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