La stanza buia.
Il freddo dello strazio.
Il cupo fascio di luce che, spettrale, fluisce attraverso i vetri.
Incrostati di pensieri uccisi prima di essere concepiti.
Tutto ciò mi inquieta e opprime terribilmente.
Fisso immobile la porta dalle nere venature.
Rinchiude la mia mente e il mio spirito fra queste pareti corrose.
I muri mi fissano con sguardi giudicatori.
Sento che mi assorbono.
Risucchiano il mio calore.
La mia linfa.
Mi vedo trasparente.
Non mi vedo più.
Sono inghiottito nella voragine e cado.
Cerco un appiglio ma sono debole.
Le mie dita ormai arrancano nell'ombra.
Gelida caduta.
Da solo.
Forzo la porta ma il sangue si ribella.
Si ghiaccia.
Il mio corpo si rivolta.
Mi odia.
E mi uccide.
Lo vedo scorrere.
Dalle unghie.
Ah!
Com'è caldo!
Che bello morire dovremmo farlo sempre.
Rosso scivola sulle dita.
Ah!
Com'è dolce!
Sulle mani.
Ah!
Così saporito sul mio petto!
E mi divoro mentre affogo in me stesso.
Crolla.
Sotto il mio urlo saltano gli antichi cardini.
E cade come piuma di piombo cade.
Percorro il corridoio.
I ragni paralizzati nella mia testa soffocano i pensieri rinchiudendoli in cantine abbandonate.
Nessuno possiede più la chiave.
Il temporale annerisce il soffitto.
Mi perdo.
Un ombra si lesiona graffiandosi in un angolo.
Il bisturi delle dita straccia la carne che sorride compiaciuta.
Mi odio e cammino.
È colpa mia.
Lo sento.
Respiro.
Sento l'angoscia entrare nei miei polmoni.
La vedo.
Ne sono immerso.
Nuoto in essa o meglio ne sono travolto.
I crampi dell'oblio stritolano le mie gambe nude.
La solitudine mi morde e stralcia il collo.
Avanzo pesante.
Vorrei correre.
Non posso.
Liberami, ti prego.
Liberami!
Sono cieco.
Chiuso in un mondo non mio.
Sento il gelo.
Sempre più intenso.
Non vi ascolto.
Non voglio esserci.
Non voglio essere io!
Squarcio il buio in ogni mio passo.
Il silenzio in ogni respiro.
Insicurezza.
Mi giungono grida di bambini martirizzati.
A me.
Dentro di me.
Li ingerisco e divoro.
Li assaporo sulle labbra.
Li mordo con piacere.
È come gustare la sofferenza altrui per non sentire la propria.
Estremamente piacevole.
Ma non dura.
Gli ululi si fanno più intensi e inquietanti.
Ho paura.
I brividi mi cuciono addosso il loro ghiacciato velo.
Le mie mani tremano lacrimando nuovamente sangue nero.
Nero e amaro.
Come la fame.
Una goccia cade al suolo.
Seguo i lamenti.
Uccidetemi pure.
Ne ho bisogno.
Nudo.
Al mio fianco solamente il gelido alito della tramontana notturna.
Vetri rotti al suolo.
Era uno specchio.
Ora riflette la mia immagine in mille pezzi.
La distruzione eccola finalmente!
Godo al pensiero del mio viso sgretolato.
I sette frati.
Camminano sul soffitto.
Mi benedicono.
Allontanandosi mi deridono.
L'ultimo si ferma.
Si volta.
E mi fissa.
«Ti odio».
Abbandonati nel nulla i fantasmi riprendo il mio vagare.
Muore la primavera.
Una nenia si alza silente e monotona.
Tragica.
Mi infilza la testa.
«Giro giro tondo.
Casca il mondo.
Casca la terra.
Tutti giù per terra».
Li vedo.
L'incubo mi incontra d'improvviso.
Crudele stritola il mio petto nel suo doloroso abbraccio.
Bambini.
Senza fine.
Dipingono cupi affreschi sui muri freddi.
Sono ciechi.
Morti nell'anima.
Immerso nel terrore mi avvicino.
Hanno gli occhi mutilati.
Il loro sangue denso e grigiastro si secca.
La pelle uccisa dall'oscurità.
E ciechi dipingono cantando.
Dalle bocche fili di ferro squartano le labbra marce.
Nella carne.
Addolciscono la sofferenza.
Ecco.
Uno si avvicina.
«Perché non canti con noi?
Un mondo così grande non può stare nei tuoi occhi.
Se non resti con noi.»
Indietreggio disgustato.
Cenere mista e sangue sul viso.
Odora di muffa.
Gli manca un braccio.
«Resta con noi.
Ci divertiremo.»
Tutti.
In coro.
I loro occhi ciechi.
Dentro i miei.
Per un istante vedo tutto.
Poi nulla.


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