La grande pendola della camera da letto batté sei colpi. Quasi di rimando, il campanile della cattedrale in lontananza fece altrettanto. Il segnale dell'orologio destò tutti i presenti nella grande camera insieme al loro religioso silenzio, sovente spezzato da qualche singhiozzo e lamento di dolore. Troneggiava in mezzo alla stanza il grande letto a baldacchino con gli intarsi dorati, che risplendevano alla luce dei candelabri. Su questo letto giacevo io, l'IMPERATORE, ormai esanime e molto debole, ma ancora lucidissimo di mente. Al mio capezzale, stava la mia famiglia, distribuita fra le varie poltrone della camera; spesso li sentivo bisbigliare con i dottori che restavano sempre in piedi spiegando con saccenza la mia situazione, dopodiché com'erano soliti sentenziavano che vi era una sfera che oltrepassava le loro competenze, un muro oltre il quale l'arte di Esculapio è impotente: il fato.
I valletti reali continuavano ad accostarsi al mio capezzale, continuando ininterrottamente a cambiarmi il panno umido sulla fronte, che in pochi minuti si inaridiva sotto i colpi della mia avida e febbricitante salute.
Nel frattempo la mia vista stava scemando, a malapena distinguevo le sagome dei corpi e ancor meno i loro volti, infatti lo sventurato che intraprendeva una breve comunicazione col sottoscritto doveva sgolarsi a forza di ripetizioni, dal momento che i suoni e le parole mi giungevano in ritardo come fossi prossimo al risveglio da un sogno, nel quale si è sempre esitanti tra l'onirico che scompare e la realtà che rinviene.
Ai cancelli del palazzo si arresta una staffetta che ha appena coperto una distanza di trecento leghe, con affanno mal celato si rivolge al capo guardia: «porto un dispaccio urgentissimo per sua maestà».
La guardia, che intanto con lo sguardo fa cenno ai suoi di aprire il cancello, risponde: «intanto consegnalo a sua eccellenza il Barone Nero, Maestro di Palazzo, poi vedremo..»
Con un rapido passaggio di mani, finalmente il dispaccio giunse al Barone; che se pur tentato dalla voglia di leggere il messaggio, per evitarmi una spiacevole novella in vista della mia dipartita, decise di fare il suo dovere fino in fondo e si precipitò da me; non senza avere ancora delle riserve in merito.
Riconobbi quasi subito la sua sempiterna camminata; non disse una parola e guardandomi dritto negli occhi , accennando con le labbra un sorriso, mi consegnò il dispaccio; io, col capo annuì lentamente e il Barone intuì subito che lo stavo autorizzando (per la prima volta, fra l'altro) a rompere il sigillo reale e leggere il dispaccio.
Il Barone lesse nervosamente e con rapidità, fra il silenzio dei presenti, che a questo punto spostarono decisamente la loro attenzione sul nuovo arrivato, appreso il messaggio il Barone rialzò di scatto la testa dal foglio, e con rapidità si rivolse di nuovo a me: «Maestà, trattandosi di buone nuove, credo di poter leggere al alta voce davanti a tutti il testo del messaggio:

Piana di Sybelius - 12 leghe a Nord-Ovest di Sebastopoli, in prossimità della Foresta Nera: Maestà, le nostre avanguardie, in procinto di ritirarsi, alla notizia diffusasi nel campo dell'aggravarsi della salute di Vostra Grazia, hanno ribaltato la situazione lanciando una superba offensiva. Il nemico ha continuato ad arretrare perdendo tutte le posizioni precedentemente conquistate. La nostra cavalleria pesante, giunta in ritardo perché intralciata nella sua avanzata da scaramucce con distaccamenti nemici, ha falciato la fanteria nemica come fili d'erba. Al crepuscolo il nemico si è ritirato nella città di Giordano, barricandosi all'interno. I soldati non hanno esitato a massacrare i nemici che si arrendevano. Il campo nemico è stato preso e saccheggiato, insieme alla casse dei reggimenti e le loro insegne, al temine del sacco è stato appiccato il fuoco. Al termine della giornata nella conta dei morti, il cappellano e i suoi inservienti mi hanno riferito che la quantità di cadaveri rimasti a terra è tale da ostruire l'avanzata delle nostre vittoriose armate che inseguono le ultime sacche di resistenza nemica nella suddetta città. A notte fonda gli ufficiali aizzarono i propri soldati per tentare una sortita e porre definitivamente fine alla guerra. Nel giro di tre ore il nostro assedio alle mura della città risultò vittorioso; i difensori sulle mura erano stati spazzati via, precedentemente con i dardi infuocati dell'artiglieria pesante.
Il re nemico e i suoi generali scortati da un esiguo drappello fuggono da un passaggio sotterraneo che sbuca in prossimità della Foresta Nera; sono intercettati per via del fuoco delle fiaccole, irrinunciabile per la loro fuga.
Catturati, sono stati passati a fil di spada, tranne il re, che incatenato è stato condotto celermente nella fortezza di Fedonte, quivi fu murato vivo in una segreta; secondo le disposizioni di vostra Maestà.
Con rispetto e deferenza; il Generale Abraham.

Al dolce suono di quelle notizie, pensavo che gagliardi i miei guerrieri che nulla hanno da invidiare alle schiere che furono di Alessandro e Cesare.
Seguitavo a pensare e non mi rendevo conto che quello che iniziai trent'anni fa era finalmente giunto a termine: gran parte del mondo conosciuto era finalmente mio (ancora per poco...), il mio impero poteva accostarsi finalmente a quei gloriosi mosaici fatti di nazioni e di popoli che guadagnarono l'immortalità e la gloria eterna nelle pagine della Storia.
Al contempo però mi accorgevo, che non avendo eredi era come se non avessi mai raggiunto quell'immenso disegno mio. In questo tragico finale, mi tornarono alla mente le ultime parole di Nerone, riportate da Svetonio: «è dunque questa la fine della vita per Nerone? No, che insulto la vita per me! La vita non è degna di Nerone!», e si lasciò aiutare, dal suo schiavo Epafrodito, nell'affondare la spada alla gola.
D'un tratto la pendola della mia stanza riprese a suonare e annunciò con cinque tocchi le cinque meridiane!!!
Ma come, un'ora non fa mi era parso di sentire le sei?
Possibile che abbia dormito tanto?


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