Marco lavorava come funzionario in una pubblica amministrazione. Era stimato dai colleghi per la sua bravura e per la sua dedizione. Confidava in una promozione che premiasse i suoi sforzi e che gli faccesse aumentare lo stipendio.
Aveva incontrato l'amore Marco. Era sposato da pochi mesi con Caterina. L'amava molto, era quella che si dice la donna della sua vita. Voleva un figlio da lei ed era esageratamente geloso. Caterina era molto graziosa. Qualcuno diceva che per Marco, visto il suo aspetto fisico, lei era una gran bella fortuna, qualcun altro diceva invece che era Caterina ad essere stata baciata dalla fortuna per aver incontrato un tipo speciale come Marco, per certi versi unico. Anche Antonio era sposato, da quindici anni però. Lui due bambini ce li aveva già. Uno di dodici, l'altra di nove. Era un primario, un cardiochirurgo abbastanza affermato. Voleva bene alla sua donna, Giovanna.
Agli inizi era amore, dopo si volevano bene, quel bene sopravvissuto alla quotidianità vorace di un matrimonio andato avanti con alti e bassi per quindici anni. Antonio era un tipo brillante. Qualche volta tradiva Giovanna, la sua professione gli consentiva con una certa facilità di assentarsi la notte da casa e passarla con donne che gli offrivano sesso spensierato.
Era un giorno qualsiasi, uno dei tanti nella vita di Marco e Antonio. Antonio giaceva disteso per terra. Aprì gli occhi risvegliandosi da un sonno provocato, orzato. Si alzò dal pavimento mettendosi seduto. Vide di fronte a sé, a pochi centimetri, un corpo inerme. Lo scosse toccandolo con la mano. Marco intorpidito si mosse e, vista la sagoma di Antonio, indietreggiò spaventato fino ad impattare con la parete alle sue spalle. Una delle quattro pareti che facevano da confine tra il luogo angusto e semibuio in cui si trovavano entrambi ed il mondo esterno. Anche Antonio si era fatto indietro fino a scontrarsi con la parete che era dietro di lui non appena Marco si agitò. In un silenzio interrogativo si misero in piedi senza perdersi di vista vicendevolmente. La poca luce ed il torpore dal quale erano avvolti non onsentiva loro di mettere a fuoco chi avevano di fronte.
«Cchhii sseeii?» esclamarono tutti e due all'unisono timorosi. Ciascuno con lo sguardo fisso e attento sulla sagoma dell'altro attendeva una risposta.
«Chi sei tu?» disse deciso Marco.
«Mi chiamo Antonio Berardi e non ci sto capendo niente. Quindi spiegami che cazzo sta succedendo». Mentre rispondeva Antonio rovistò nelle proprie tasche in cerca del cellulare.
«Mi chiamo Marco Traversa e se proprio vuoi saperlo ne so meno di te. Dov'è finito il mio cellulare, porca miseria».
«Anche tu senza. Bene, chi ci ha cacciato in questo tugurio prima di abbandonarci ce li ha tolti»
«Direi che è così». Marco allargò le braccia per misurare la larghezza del posto dove si trovava. Sembrava uno sgabuzzino poco più largo della apertura delle sue braccia.
«Ma dove diamine ci troviamo?» esclamò Antonio che continuando a tastare le pareti di cemento individuò la porta. Quel po' di luce artificiale che proveniva dall'esterno passava attraverso il filo d'aria tra il pavimento e la parte inferiore della porta. Raccolse tutte le forze di cui disponeva in quel momento il suo corpo intorpidito e tirò una pedata poco più che debole sulla
porta che restò immobile, rimandando un suono sordo e vagamente metallico. Era di ferro e molto spessa.
«Non ho idea di dove ci troviamo, non ne ho veramente idea, porca miseria»
disse Marco con tono quasi rassegnato.
«Senti un po' Marco, è così che hai detto che ti chiami?»
«Marco, sì»
«Senti, almeno hai una vaga idea di come ci siamo finiti qua dentro?»
«Come cavolo te lo devo dire che non ci sto capendo niente neanche io. Mi sento rintronato come una campana appena scossa, non vedo quasi niente, se non una sagoma che continua a farmi domande, e sta cominciando a salirmi una paura fottuta».
«L'unica cosa che io ricordo è che avevo appena finito di operare in ospedale. Erano circa le ventitre. Dopo sette ore di operazione ero molto stanco». Prese a raccontare Antonio rovistando nella sua memoria scombussolata.
«Io invece stavo tornando a casa. Ricordo di aver cenato fuori con mia moglie».
Anche Marco cercava di ricostruire quello che era successo indagando dentro di sé.
«Mi ero tolto la tuta da sala operatoria, mi ero rivestito e me ne stavo andando dall'ospedale». La memoria di Antonio ridotta ancora in pezzi al momento del risveglio si stava lentamente ricomponendo.
«Avevamo appena lasciato la macchina nel parcheggio di casa e ci stavamo dirigendo verso il portone». Lo stesso stava accadendo alla memoria di Marco.
Ognuno dei due cercava nella propria mente i frammenti di ciò che era successo prima del black-out e lo faceva ad alta voce per tentare di condividere, di capire assieme all'altro come ci erano finiti lì dentro, due sagome contrapposte ignare di quello che le aspettava.
«Avevo raggiunto i sotterranei dell'ospedale dove si trova il garage e prima che entrassi in macchina qualcuno mi ha aggredito. Sì mi hanno aggredito! Ecco cos'è questo dolore lancinante che mi sta spaccando il cervello. Qualcuno mi ha colpito da dietro e poi mi avrà narcotizzato»
«Ecco sì, ora ricordo, anche io e mia moglie siamo stati aggrediti. Oddio mia moglie, dove sarà adesso. Dobbiamo uscire, dobbiamo uscire!». Marco afferrò la maniglia della porta strattonandola, ma quella rimase ferma, immobile come la porta.
«Non è il caso di perdere il controllo. Ci troviamo in una situazione assurda, del cazzo direi. Ma se perdiamo la calma finiamo per uscire pazzi»
«Forse è proprio quello che vuole chi ci ha rinchiusi qua dentro»
«E chi può essere stato? Perché lo avrebbe fatto? Noi due neppure ci conosciamo».
«Siamo prigionieri di uno che ci vuole fare fuori».
«See un serial killer. E se chi ci ha sequestrato lo ha fatto per soldi sperando di arricchirsi col il riscatto? Non è che tu sei ricco?»
«Non sono povero, ma neppure ricco. E tu?»
«Faccio il cardiochirurgo e sono primario. Sì conduco una vita abbastanza agiata. Diciamo pure che un po' di soldini li ho. Ma, a pensarci bene, perché sequestrarmi assieme a te?»
«Lo vedi che c'è rischio che chi ci ha messo qua dentro vuole ammazzarci. E poi, che diamine, non so che fine ha fatto mia moglie. Dio mio!». Marco si mise le mani in faccia quasi volesse piangere.
«Senti per favore smettila di dire stronzate e datti una calmata. Già siamo abbastanza nella merda, non è il caso di aggravare il tutto con illazioni insensate. Può darsi che tua moglie in questo momento stia beatamente a casa. Piuttosto, se è così, speriamo che abbia già chiamato la polizia».
Passarono molti minuti tra discorsi inutili e silenzi atterriti.
«Mica hai fatto uno sgarro a qualcuno e questo si sta vendicando?» riprese Antonio dopo una pausa.
«Io no. Tu piuttosto?»
«Vista la mia posizione di capo di un reparto ospedaliero non posso dire di essere amato da tutti coloro che lavorano con me, ma dubito che qualcuno mi odi al punto da sequestrarmi. E poi, ripeto, perché farlo assieme a te?».
«Cavolo, incomincia a far freddo qua dentro. Non so quanto tempo ancora riuscirò a resistere. Perché nessuno si fa vivo? Cristo santo!» disse Marco alzando la voce.
«Te l'ho detto prima, l'unica nostra speranza è tua moglie. Come hai detto che si chiama?»
«Non te l'ho detto. Comunque Caterina se proprio ti interessa» ringhiò Marco, i cui muscoli del volto si tesero.
«Caterina?»
«Sì Caterina, non mi sembra un nome così strano»
«E quanti anni ha?»
«Trentacinque e fa l'infermiera. Lavora nel tuo reparto. Altezza media. Capelli lunghi e castani. Occhi blu. La conosci benissimo!»
«La conosco? Sono tante le infermiere nel mio reparto, sai» disse Antonio celando a Marco di aver ben capito chi era sua moglie.
Nell'esistenza di Antonio quelle furono le ultime parole.
Nel momento stesso in cui terminò di parlare si chinò in avanti portandosi le mani sull'addome attraversato da un coltello da cucina di circa venti centimetri. Lo passò da parte a parte, penetrando esattamente sotto l'ultima costola al centro dell'addome. Marco non era un assassino di professione, né aveva, come Antonio, confidenza con le ferite da taglio. Però aveva letto su un libro che un colpo di pugnale vibrato in quel punto provoca la morte immediata. Aveva fatto pratica a casa, utilizzando lo stesso coltello. Il suo piano non ammetteva errori.
Il sangue sgorgava dalla ferita tingendo di rosso i vestiti. Antonio aveva gli occhi sbarrati, fissi sulla faccia appena visibile di Marco che vibrando il colpo gli si era avvicinato. Antonio non ebbe il tempo di elaborare se conoscesse il suo assassino, la morte lo raggiunse subito dopo il fendente. Il suo corpo andò all'indietro scivolando sulla lama tagliente. Cadde a terra questa volta per sempre. Non ci fu più alcuna parola a rompere il silenzio in quello spazio ristretto, solo il rumore di una chiave che apriva la serratura della massiccia porta in ferro. Appena fuori Marco richiuse la porta dando delle mandate decise. Si avviò verso la macchina che aveva nascosto dietro un muro lì vicino. Una fredda luce al neon irradiata da un lampione illuminava il
suo lento incedere.
Tornò a casa. Come sempre, varcata la soglia dell'ingresso urlò un ciao per salutare Caterina. Si tolse il cappotto e lo poggiò sull'attaccapanni. Andò in bagno per lavarsi e cambiarsi. La manica destra della camicia blu che indossava era ancora impregnata del sangue di Antonio, schizzato fuori dalle vene recise.
Sui pantaloni e sulle scarpe solo alcune gocce periferiche di quello schizzo.
Apri l'acqua della doccia e vi si ficcò sotto. L'acqua scorse prima limpida, poi rossa e dopo ancora rosa, fino a diventare nuovamente limpida, lasciando puliti capelli, faccia e mani di Marco. Uscì dal bagno, profumato con indosso un accappatoio bianco. L'acqua continuava a scorrere dalla doccia quasi bollente. Il vapore si impossessò del bagno e cominciò ad invadere il
corridoio. Andò in cucina dove aprì il rubinetto. Prese un bicchiere, lo riempì d'acqua e ne bevve un po'. Uscì dalla cucina lasciando anche lì l'acqua scorrere calda ed incessante. Si diresse verso la camera da letto, lì c'era Caterina distesa sul loro letto. Spense il televisore che aveva lasciato acceso prima di uscire di casa. Si sedette sul letto matrimoniale accanto a Caterina immobile. Al contatto col letto il tessuto spugnoso dell'accappatoio si imbeve di rosso. Rosso sangue. Rosso sangue fuoriuscito dall'addome di Caterina, trapassato nello stesso punto in cui qualche ora dopo fu trafitto quello di Antonio, immediatamente sotto il costato al centro dell'addome, come aveva letto sul libro.
«Te l'avevo detto amore mio. Se mi avessi tradito ancora una volta ti avrei lasciato. Ti avevo detto che questa volta sarebbe stato per sempre».
Il sangue di Caterina bagnato l'accappatoio sporcò del suo rosso i glutei e le cosce di Marco. Un leggero vapore si era affacciato anche nella camera da letto. Marco si alzò e vi si immerse. Raggiunse il bagno. Entrò nella doccia e si mise sotto il getto d'acqua che ancora scorreva. Finito di lavarsi lo interrupe. Tornò in camera da letto, scelse accuratamente i vestiti e li indossò. Caterina era sempre distesa sul loro letto. Marco le si avvicinò e le diede un bacio sulle labbra ormai livide di morte. Fu questo l'ultimo atto di amore di Marco nei confronti di Caterina. Andò in cucina, bevve un altro bicchiere d'acqua e chiuse il rubinetto. Tutto era al suo posto. Indossò il cappotto e lasciò l'appartamento per andarsi a costituire e urlare al mondo che lui l'amava
Caterina, l'amava terribilmente.


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