Poteva piovere da un momento all'altro ma non se ne curava, doveva richiudere la fossa prima che fosse notte e sistemare la lapide. Quando aveva cominciato a fare quel lavoro si usavano grandi pietre rifinite in modo piuttosto rozzo, tanto meno esistevano foto. Era il becchino di un paese piuttosto grande, un tempo molto popolato ma che contava ormai solo alcune centinaia di anime.
Aveva sempre pensato che i morti una volta che si fosse fatta sera dovevano essere ben coperti. Stava riempiendo rapidamente la fossa quando qualcuno attirò la sua attenzione con un piccolo grido, per salutarlo bastava anche un semplice salve, visto che lui non aveva mai saputo il suo nome, probabilmente non ne aveva mai avuto uno, e nessuno aveva pensato di appiopparglielo.
«Hai fretta,» disse l'uomo piuttosto anziano che lo aveva salutato. «Hai sempre paura che se non li copri prima di notte poi vadano in giro chissà dove.»
Rise di gusto, ma vedendo lo sguardo torvo del becchino smise subito.
«Pensala come vuoi, io ci tengo semplicemente a finire il lavoro. Poi non so se con la pioggia che potrebbe bagnare la bara il processo cominci prima.»
«Ancora con questa storia. Quando apri la bara dopo non so quanti anni trovi sempre un po' di ossa e i denti, di quelli d'oro quanti ne hai messi via?»
Lui fece finta di non aver capito e continuò a spalare terra dicendo: «I vermi si sono già decomposti quando apro una bara, ma ti assicuro che c'è un momento in cui il corpo è tutto uno sciamare di vermi. Corrono come impazziti ammassandosi gli uni sugli altri, sembra un carosello. La cosa più bella è quando però li vedi entrare in un'orbita ed uscire da una fossa nasale, meglio ancora dalla bocca socchiusa quando sbucano improvvisi tra i denti atteggiati, i denti intendo, ad un ghigno, il ghigno della morte.»
Tacque come esausto, e il vecchio con la voce tramante: «Basta mi fai paura quando parli così, sembri impazzire all'improvviso!»
Lentamente si mosse per andarsene ma il becchino disse: «Allora non rompere, non sopporto che mi si prenda in giro su queste cose,» prese fiato. «Comunque anche tu ti trasformerai in un ammasso di vermi, sei già un mucchio di vermi che ancora respira e cammina ma non durerà in eterno.»
L'uomo si allontanò quasi correndo dal cimitero mentre il becchino che aveva assunto una posa simile a quella di un Marabù lo guardava.

Era sabato ed il becchino sedeva ad uno dei tavoli del bar. Aspettava il parroco ed altri due amici per la consueta partita a carte. Era imbronciato per il fatto che ormai da quasi un mese in paese non moriva nessuno. Viveva infatti di ciò guadagnava seppellendo i defunti, più qualche mancia che gli veniva data a patto che per un certo periodo sulla tomba i fiori fossero sempre freschi. Manteneva l'impegno assunto, risparmiando naturalmente quanto più poteva sul prezzo dei fiori, spesso andava a coglierli quando la stagione lo consentiva. Arrivarono insieme i due amici che presero posto al tavolo uno di fronte all'altro, nessuno dei due voleva far coppia col becchino nella partita a carte, così lui giocava sempre accoppiato al parroco che diceva di non essere superstizioso.
«Perché quella faccia?» chiese uno dei due amici. «Il gatto ti è morto già da un pezzo.»
Scoppiò a ridere imitato dall'altro, ed il becchino: «È proprio questo il punto, da quasi un mese non muore nessuno, ne qui in paese ne altrove!»
Infatti molti dei nativi che erano emigrati dal paese venivano riportati lì per essere seppelliti una volta morti.
Arrivando il parroco aveva sentito parte della conversazione e sedendo: «Che dovrei dire io che ho due moribondi che non si decidono a trapassare? Per uno sono stato chiamato quattro volte, per l'altro tre. Sette volte in tutto e sette falsi allarmi. L'olio per l'estrema unzione costa, come pure l'incenso. Una piccola mancia al chierichetto e la lista spese è completa. Spero che con l'offerta per i funerali i loro congiunti siano generosi.»
«Sai cosa ci vorrebbe?» chiese il becchino. «Ci vorrebbe che qualcuno muoia d'infarto per esempio, e gli altri due crepino poco dopo. Una volta incassati prima che le bare vengano richiuse tu faresti un'unica estrema unzione, senza l'olio naturalmente e pochissimo incenso.»
I tre si guardarono, ma conoscendo il becchino non erano sorpresi più di tanto, fu il parroco a riprendere la parola: «Basterebbe poi celebrare i tre funerali nei giorni successivi, uno dopo l'altro. Le offerte per la parrocchia e per il cimitero sarebbero sicuramente più consistenti.»
Uno dei due amici aggiunse: «Così tu,» rivolgendosi al becchino. «Avresti di che vivere per un po' di tempo ed il parroco avrebbe più denaro per la chiesa e per i poveri.»
E l'altro aggiunse: «Un altro vantaggio starebbe nel fatto che tu becchino avendo i soldi non faresti più parte, almeno per un po' di tempo, del numero dei poveri ed il parroco risparmierebbe almeno su di te. Ma mentre aspettiamo che qualcuno si decida ad andarsene, cominciamo a giocare a carte,» poi rivolto al becchino. «Quando dico che qualcuno deve decidersi ad andarsene non guardare me, capito!»
Il becchino guardò il mazzo di carte sul tavolo poi disse: « A proposito di carte, pensavo fosse uno scherzo ma le mie carte, i tarocchi, le avete fatte sparire non le avete nascoste come credevo.»
A rispondere fu uno dei due uomini: «Lo abbiamo fatto perché tu non facevi le carte onestamente, baravi!»
E l'altro: «Altrimenti come spieghi che quando facevi le carte ad uno di noi o ad altre persone, qualsiasi fosse la ragione per cui ti era stato chiesto il consulto, inevitabilmente l'ultima carta era sempre quella della morte?»
Il becchino rispose: «E chi vi dice che stessi barando.»

Seduto all'ingresso del cimitero su una vecchia seggiola contava i soldi che gli erano rimasti. Poggiati su un tavolo c'erano ormai solo spiccioli, ma dopo quasi una settimana da quando aveva visto il parroco e gli altri due non era successo niente. Sollevando la testa vide venire verso di lui un uomo che non conosceva, decisamente una faccia nuova.
L'uomo sui quarant'anni e ben vestito si fermò davanti a lui che lo salutò: «Buongiorno forestiero non ti ho mai visto da queste parti. Sei di passaggio?»
L'altro rispose garbatamente: «No, mi sono stabilito in paese per motivi di lavoro.»
Il becchino lo guardò incredulo ed avrebbe voluto chiedergli che lavoro facesse e perché aveva scelto quel paese, ma essendo abituato a non ficcare il naso nelle faccende degli altri non disse niente.
«Lei è il custode di questo posto, signor...?»
«Chiamami becchino e basta, tu piuttosto come ti chiami?»
«Mi chiamo Pino.»
Cercava guardandolo di capire quanti anni potesse avere, ma non trovò risposta. Trovava estremamente strano quell'uomo, ma visto il mestiere che faceva gli sembrò una cosa normale.
«Pino è un po' poco, è soltanto un diminutivo dimmi il tuo nome completo un giorno potrebbe tornarmi utile.»
Pino capì la battuta ma la accettò con un sorriso divertito: «Pino può bastare, tu piuttosto non hai un nome. Un giorno potrebbe tornare utile a qualcun altro.»
Il becchino in un primo momento accusò il colpo, poi sorridendo all'altro fece capire che aveva accettato la battuta. Era la prima volta che qualcuno ribatteva alle sue battute macabre, si sentiva sfidato e sentì la sfida molto eccitante.
L'uomo riprese a parlare: «In paese non ho visto nessun laboratorio per la fabbricazione di lapidi o cose del genere, pensi a tutto tu? Oltre che delle lapidi ti preoccupi di apporre anche le date di nascita e di morte?»
«Certamente,» rispose il vecchio, ed aggiunse, «comunque le date di nascita sono inutili quanto quelle di morte»
Rimase in silenzio pensieroso, poi come gli fosse venuta un'idea particolare:
«Tutto sommato il mio non è un lavoro difficile, solo una volta mi sono trovato in difficoltà. Vieni voglio mostrarti una tomba.»
Si avviarono per un vialetto costeggiato da tombe sovrastate da lapidi più o meno vecchie, su altre tombe era posta una semplice croce di legno, di lontano verso il fondo del cimitero si distinguevano sia pure a fatica grosse pietre che dovevano essere state usate in un passato non proprio prossimo come lapidi. Si fermarono presso la tomba che indicava il vecchio.
«Quel giorno ero veramente stanco, così non scavai una fossa abbastanza profonda. Non l'avessi mai fatto, dopo qualche tempo una mattina intorno alla tomba era tutto uno sciamare di piccoli esseri bianchi e schifosi, sai cosa intendo?»
Attendeva con aria soddisfatta la risposta dell'altro, ma la replica arrivò in modo calmo e sicuro che non lasciava trasparire il ben che più piccolo turbamento: «Mi sarebbe piaciuto esserci, sai mi piace andare a pescare di tanto in tanto e trovare esche vive non è sempre facile, figuriamoci da queste parti. Ora devo lasciarti, ma non mancherà l'occasione di incontrarci di nuovo, magari in paese. Ogni tanto penso che anche tu voglia stare un po' in mezzo ai vivi.»
Si allontanò camminando tranquillamente come era arrivato, il becchino lo guardava allontanarsi ma praticamente non lo vedeva, la sua mente stava già lavorando per la prossima volta che avrebbe incontrato quell'uomo.

Stavolta erano in cinque attorno al tavolo, Pino si era unito a quella singolare compagnia visto che ancora non aveva avuto modo di conoscere altre persone.
Il parroco stava parlando: «Avete capito? È addirittura migliorato, non che lo voglia morto, sarebbe assurdo per me Dio mi è testimone. Parlo per i suoi parenti che vedendolo soffrire soffrono a loro volta:»
Gli altri lo guardarono come si guarda uno che ha parlato in modo non molto convincente.
«Sei tu che porti iella per caso.» Disse il becchino rivolto a Pino.
«Vivo qui da nemmeno due settimane e la situazione era già quella attuale. In quanto alla iella è questione di punti di vista, non credo che il moribondo non la pensi allo stesso modo.»
I due uomini e il parroco abbassarono leggermente la testa cercando di nascondere un sorriso ironico, anche il becchino aveva abbassato lo sguardo ma non sorrideva affatto, prese a mescolare le carte in modo nervoso.
«Se volete giocare,» disse Pino, «io mi faccio da parte, anzi vado al banco a bere qualcosa, volete che ordini anche per voi?»
Nessuno dei quattro rispose e lui si avviò verso il bancone.
Giocarono solo un paio di mani, ma in modo sfogliato, quasi annoiato mentre Pino poco distante li osservava. Vedendo che avevano smesso di giocare Pino si mise di nuovo a sedere con loro, osservando le carte ancora scoperte sul tavolo notò quella che doveva essere probabilmente l'ultima carta giocata e disse: «Chi ha giocato l'ultima carta?»
«Se intensi l'asso, l' ho giocato io come ultima carta,» e alzandosi, «io rientro visto che ha smesso di piovere. Ti và di farmi compagnia fino a casa Pino?»

Camminando verso il cimitero parlarono del più e del meno, soprattutto del tempo. Giunti presso il cancello il becchino disse a Pino: «Una volta mi hai chiesto da quanto faccio questo lavoro. Sinceramente non lo ricordo, ma tempo fa mi sono ricordato qual'è la prima tomba che ho scavato. Osserva,» indicava un punto in fondo al cimitero. «Laggiù a sinistra la troverai, è nei pressi del muro di cinta. Quando sono arrivato il muro non c'era ancora, fu costruito in seguito ma anche quello molto tempo fa, come potrai vedere la in fondo il muro è seme diroccato.»
Detto questo entrò nella sua piccola casa, mentre Pino si avviava nella direzione indicatagli dal becchino, aveva ricominciato a piovere, anche se piano.
Era di fronte alla tomba e stava osservando la grossa e rozza pietra che la sovrastava. Il nome era illeggibile, le lettere incise nella roccia erano state levigate dal tempo. Sotto c'era quella che doveva essere la data di morte della persona che giaceva li sotto. Certamente pensava non poteva essere quella di nascita, da sola non avrebbe avuto senso. I suoi sforzi per decifrare la data dettero un risultato, sia pure parziale. Dell'ultimo numero, quello che indicava l'anno era riuscito a leggere la prima cifra, ma non le altre due.


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