La conobbe in un supermercato: quello dove aveva l'abitudine di andare un paio di volte al mese per le spese di casa più importanti e per passare del tempo in un ambiente ricco di offerte e ospitale.
Stava cercando qualcosa per ravvivare le sue scarpe estive, ma non riusciva a raccapezzarsi tra le varie creme e i lucidi disposti sopra uno scaffale, continuando a maneggiare incerto le piccole e invitanti scatole di varie forme.

In particolare era tentato dalle confezioni piatte e circolari di metallo, perché erano luccicanti e con i colori accesi, mentre i più moderni tubetti di plastica, dalle impugnature ergonomiche e dall'ardito design, gli piacevano molto meno, per via del materiale e dei colori scuri.
Doveva avere in viso un'espressione perplessa e doveva averla anche da diversi minuti, perché una commessa prese l'iniziativa di avvicinarsi sorridendo, per chiedergli se per caso aveva bisogno di un po' d'aiuto.
Era una ragazza dall'aspetto piacevole, con un fulgido vestito bianco allacciato stretto in vita e la targhetta di identificazione, con il nome "Cristina" stampato sopra. Filippo, che aveva sempre avuto un debole per le donne che dovevano indossare una divisa da lavoro, le fu immediatamente grato.
La commessa spiegò cosa voleva dire "colore neutro" e cosa invece "nero opaco", come bisognava applicare i prodotti sulle scarpe e con quale frequenza era opportuno ripetere le applicazioni. Maneggiò le confezioni che anche lui aveva maneggiato poco prima e un paio di volte le recuperò dalle sue stesse mani, sfiorando con grazia naturale e con innocenza le punte delle dita sensibili dell'uomo.
Parlando del meraviglioso mondo della pulizia, sorrideva con denti molto bianchi e un modo molto comprensivo.
Filippo comprò la scatola di metallo più carina, due birre Nastro Azzurro e anche altre cose. Affascinato da tutta quella comprensione a buon mercato, da quel momento prese l'abitudine di andare al supermercato più spesso, anche per i piccoli acquisti di tipo quotidiano che normalmente faceva al bar.

* * *

«Buonasera», diceva la commessa, Cristina, sorridendo. Oppure «Buongiorno. È venuto a fare rifornimento di pasta e di vino?».
E lui rispondeva, salutando a sua volta con piacere, trovando ogni volta il tempo per scambiare tre o quattro parole di cortesia.
Tanto bastava per rallegrare le giornate in corso e per fantasticare, poi, su quelle future.
Avrebbe avuto i capelli sciolti? Oppure un nastro che li raccoglieva e li tirava indietro? E la gonna, che portava sempre, fino al ginocchio, sarebbe stata più vaporosa o più attillata?
Perché la commessa era una ragazza vistosa. Non era stata la prima cosa che aveva notato Filippo, colpito piuttosto dal sorriso amichevole e dal viso dolce ed espressivo, ma la commessa aveva un modo di vestire e di camminare, lungo gli stretti e impervi corridoi del supermercato, che attirava gli sguardi degli uomini e anche di alcuni piccoli bambini rapiti.
Sì. Erano i suoi capelli biondo acceso, il camicione da lavoro bianco e stretto in vita, le belle gambe affusolate e chiare, ma soprattutto il modo di ondeggiare camminando, che catturava l'attenzione dei maschi e li faceva sognare.
O almeno, di sogno si trattava per Filippo, che non associava a quell'ancheggiare disinvolto locali equivoci o camere d'albergo malfamate, ma paesaggi hawaiani di una vacanza esotica e lontana, l'amore spensierato e liberatorio. Per gli altri maschi si trattava invece di fantasie più semplici e più pratiche, che si potevano consumare senza allontanarsi troppo dal mondo reale, dietro il bancone del pane fresco o sopra il ripiano della Cassa Tre.
Filippo era ben consapevole di tutto questo, ma non se ne curava. Senza più moglie da un anno e alcuni mesi, si considerava fuori dai giochi e fuori da ogni possibile competizione. Aveva quasi quarant'anni e se li sentiva addosso in modo quasi protettivo. Da solo, aveva scoperto di avere meno problemi di sopravvivenza. Si sentiva libero di vivere con poche ambizioni. Di conseguenza non provò mai a chiedere un appuntamento alla commessa, accontentandosi dei piccoli piaceri quasi quotidiani della sua segreta simpatia.
Fu la ragazza, invece, a forzare di nuovo la situazione, un giorno di maggio particolarmente caldo, in cui Filippo era arrivato quasi all'orario di chiusura e il supermercato era praticamente vuoto. La commessa aveva messo da parte, vicino alla Cassa, alcuni pacchi piuttosto voluminosi, e chiese ad Filippo se poteva aiutarla a portarli alla sua vettura.
«Mi servono solo due minuti per chiudere la cassa», disse con gli occhi luminosi e un bel sorriso.
Lui aveva comprato solamente un po' di pane ed una confezione di rasoi, non doveva prendere nient'altro in giro. Per cui disse: «Va bene. Allora ti aspetto fuori», e attese con calma che facesse le operazioni di chiusura.
Il sole, compiacente, faceva risaltare i colori chiari della ragazza. Quando uscì fuori dal supermercato, vestita di bianco e cinta di collane e di bracciali, le scarpe con i tacchi alti e la gonna leggera, a Filippo sembrò un accecante angelo pieno di sensualità.
Attraversarono la strada portando due grosse buste per ciascuno. La macchina era una Fiat Panda rosso scuro, con adesivi variopinti attaccati ai vetri e un cane di pezza appoggiato sopra il copribagagliaio.
«Uffa. Oggi le buste pesavano parecchio», disse la ragazza, sistemati i pacchi e richiuso il portellone. «Grazie per avermi aiutato. Ti devo un favore.»
«È stato un piacere», disse Filippo, con modestia. Poi aggiunse d'impulso:
«Ora però chi ti aiuterà a portare i pacchi dentro casa?»
Lei rifletté un istante, guardandolo negli occhi. «Ti va di venire a mangiare a casa mia?»
I battiti del cuore di Filippo accelerarono il loro ritmo abituale. «Se non disturbo, volentieri.»
Cristina sorrise. «Oh, a mia madre piace, cucinare. In questi giorni, poi, sta sempre sola. Sarà contenta di avere un po' di compagnia.»

* * *

Così Filippo fece la conoscenza della madre di Cristina, la signora Lucia.
Mangiò con lei e la figlia al fresco del balcone accanto alla cucina ed ascoltò compìto i suoi fatterelli e le sue opinioni.
Oddìo, non era esattamente questo, ciò a cui aveva pensato quando aveva accettato l'invito di Cristina, ad andare a mangiare a casa sua. Ma non se ne lamentava troppo. Non si sentiva più tagliato per le esperienze erotico sentimentali, e rendersi conto che probabilmente lei non lo considerava altro che un amico, in fondo in fondo quasi lo sollevava.
Dopo il gelato, che Filippo aveva comprato sotto casa della commessa per non presentarsi a mani vuote, la signora Lucia chiese se anche lui voleva prendere il caffè. Alla sua risposta affermativa si alzò dal tavolo per andare a prepararlo in cucina, lasciandolo solo con Cristina.
Filippo sorrise, nel suo ruolo sicuro di ospite educato, e con voce d'attore disse: «Si sta bene qui in balcone. È proprio una giornata perfetta per mangiare all'aperto. Ce ne stiamo tranquilli al fresco, mentre il sole batte forte per la strada.»
«Tu devi essere molto buono», osservò invece Cristina, guardandolo negli occhi con attenzione.
Filippo pensò per un attimo di non aver capito bene. Nel dubbio si limitò a dire: «Prego?»
Cristina sorrise. «Dicevo che devi essere una persona di carattere buono.
Gentile. Si vede da tante piccole cose.»
A dire il vero, prima, quando erano entrati in casa e la ragazza lo precedeva, su per le scale, Filippo aveva molto ammirato il suo sedere, e soltanto pochi istanti prima, non appena la madre si era allontanata, anche le belle gambe accavallate con disinvoltura. Curve ed anfratti erano stati valutati con veloce ma efficace precisione, per cui Filippo fu abbastanza sorpreso, e forse anche un tantino risentito, nel sentirle dire che era "buono e gentile".
Fece notare che gli sembrava abbastanza azzardato dare dei giudizi simili su una persona che si conosceva da così poco tempo, ma Cristina era convinta che il buon giorno si vedesse dal mattino, e ribadì che secondo lei le prime impressioni contano, e già rivelano la sostanza delle persone. E poi l'aveva osservato e ascoltato con grande attenzione, quando veniva al supermercato e durante la cena di poc'anzi, e da ciò che aveva visto (tanti piccoli particolari) e da ciò che aveva detto (tante piccole osservazioni), ne aveva
ricavato la convinzione che Filippo fosse una persona sulla quale si poteva contare. Bastava il modo in cui aveva parlato dei suoi genitori anziani, a tavola, e dei suoi amatissimi nipoti. Era convinta anche che fosse un tipo deciso, e che non gli servivano i muscoli, per farsi valere.
Quest'ultimo accenno alla sua muscolatura non piacque molto a Filippo, già a disagio per tutta quella approfondita e inaspettata valutazione, ma non poté ribattere. La madre di Cristina era tornata col caffè fumante, e la sua presenza lo metteva naturalmente in soggezione.
Mai ricevuti tanti apprezzamenti in una volta, pensò Filippo; mai da una ragazza che fosse carina e mai soprattutto da una ragazza così carina e così vistosa. Nemmeno sua moglie Elisa era mai stata tanto prodiga di elogi in una volta sola. Ma non si ricordava più molto bene gli anni del fidanzamento.
Sembrava un periodo ormai così lontano...
«Avete un gatto veramente bello», osservò Filippo, indicando il grosso felino che già era apparso di sfuggita un paio di volte, in modo guardingo, e adesso camminava lungo il davanzale del balcone. La signora Lucia aveva molte cose da raccontare, sul gatto di casa, e lui fu contento di essere distratto in questo modo dai pensieri.
«Spero che non ti sei annoiato troppo», disse Cristina, quasi un'ora più tardi, accompagnandolo all'ascensore.
Filippo le sorrise in modo automatico. In realtà non sapeva neanche lui che cosa provava. «No, per niente. Sono stato molto bene», disse, spingendo il pulsante per chiamare l'ascensore. Sapeva, come sanno tutti i maschi, che la ragazza lo stava studiando attentamente, per capire quale fosse davvero il suo pensiero.
Bella, bionda, ragazza giovane e procace. Era un'estranea, pensò Filippo, svuotandosi di ogni emozione e desiderio personale. Quando i battenti dell'ascensore si aprirono, disse solamente: «Allora, ci vediamo», e si avvicinò per baciarla su una guancia e andare finalmente via.
I due visi si toccarono velocemente un paio di volte, poi Cristina disse: «Domani sera stacco alle sette e mezza. Ti piacerebbe andare a cena insieme, in una pizzeria?»
«Certamente. Mi piacerebbe molto», disse Filippo, che non poteva rispondere di no.

* * *

Filippo andò a prendere Cristina alle sette e mezza, puntuale, e lei lo fece aspettare dieci minuti per cambiarsi d'abito e per salutare le sue amiche.
Aveva un vestito giallo chiaro, con la gonna appena un po' più alta del ginocchio; le scarpe con i tacchi alti la facevano ondeggiare nel suo inconfondibile modo.
Andarono a mangiare in una pizzeria a Trastevere, all'aperto, sotto un pergolato di piante rampicanti, che li proteggeva da spifferi e rumori.
Cristina parlò molto della sua vita, dei rapporti con i genitori, che adorava, e del suo futuro. A venticinque anni (Dio mio, erano tredici meno dei suoi) non si accontentava più del suo lavoro; per questo studiava dattilografia, stenografia e inglese, volendo diventare segretaria. I suoi genitori desideravano vederla sposata presto, soprattutto suo padre, ed anche lei ci pensava spesso, ormai. Ma negandole il diritto di uscire troppo frequentemente, la sera, e di fare tardi o di dormire fuori, i genitori le impedivano di fatto
di avviare qualsiasi relazione.
«Sì, lo so, sembra incredibile visto che tutti quanti fanno quello che gli pare. Ma questa sera, per esempio, gli ho promesso di ritornare a casa prima delle undici, e dato che ormai sono le undici passate, vedrai che ci sarà sicuramente una discussione con mio padre.»
«Vuoi che ti riporti a casa?», chiese Filippo premuroso, affascinato dall'incongruità di una ragazza provocante con limitazioni di orario. Lei accese la quarta o quinta sigaretta della sera e rispose: «No, grazie. Adesso sto troppo bene.

* * *

Al contrario di Cristina, Filippo parlò poco di sé stesso. Quando lei glielo fece notare, Filippo, che nella testa aveva uno screen saver con la parola venticinque che rimbalzava lentamente da una parete e l'altra, si giustificò dicendo che non era abituato a confidarsi neanche con i suoi vecchi amici, quindi lei non doveva aversene a male.
«Non importa», disse la ragazza. A quanto pare le piaceva che un uomo fosse riservato, e doveva essere la donna, a poco a poco, a conquistarne la fiducia e a farlo scoprire.
Era incredibile. Filippo aveva l'impressione che ogni cosa che faceva o che diceva diventasse per Cristina sempre positiva. Ne era lusingato, certamente, ma anche abbastanza sconcertato. Sentendosi in difetto, si sforzò di comportarsi in modo migliore. Lei era giovane, carina e molto gentile; doveva riuscire a trasmetterle più allegria e calore.
Con un certo spirito, di cui lui stesso si sorprese e provò piacere, riuscì a farla ridere più volte, nella breve mezz'ora che trascorsero ancora nel locale.
Quando la riaccompagnò sotto il portone del palazzo, tre minuti prima della mezzanotte, lei sembrava una ragazzina.
«Allora, mi telefoni domani mattina? Usciamo insieme?», chiese a Filippo, dopo averlo baciato come il giorno prima.
«Va bene. A che ora?»
«Non prima delle undici, per favore. Sono stanca morta e mi piacerebbe riposare.»
«D'accordo.»
«E, senti... Domani è domenica. Non ho voglia di pensare a nulla», lo guardò con occhi tranquilli, forse pieni di fiducia. «Scegli tu che cosa fare.»

* * *

La mattina dopo Filippo telefonò alla ragazza alle undici e dieci, ma lei non era ancora pronta.
«Devo ancora lavarmi i capelli», disse Cristina. Spiegò che più o meno ci avrebbe messo mezz'ora e gli chiese se aveva deciso dove andare.
«Che ne dici del mare?», propose Filippo. «È una bella giornata e potremmo andare a prenderci un po' di sole.»
«Dove?»
«Beh, possiamo andare a Ostia, o a Castel Fusano... Oppure al lago di Albano, anche, se ti piace la calma e il lago. Possiamo mangiare lì e dopo andare su, ai Castelli, a fare una passeggiata.»
Lei prese una breve pausa di riflessione, quindi propose: «Noi abbiamo un appartamento a Torvajanica, vicino al mare, e mio padre ci sta facendo dei lavori, per metterla in ordine per questa estate. Potremmo andare lì, a pranzo, e poi fare un giro in spiaggia. Oppure io saluto mio padre, così lui è contento e si tranquillizza, e noi ce ne andiamo a mangiare qualcosa da quelle parti.»
Questa volta fu Filippo a riflettere un momento, prima di parlare. Disse che andava bene, ma certo l'idea di conoscere anche il padre di Cristina non lo esaltava.
Andarono con l'auto di Filippo, i finestrini abbassati e la strada statale semivuota. Sembrava una domenica d'estate, più che di primavera. Il caldo e la luce facevano pensare alla tranquillità assoluta. Scambiarono quattro chiacchiere garbate e non ci fu nessuna avance.
L'appartamento a Torvajanica, che faceva parte di una specie di villino molto trascurato, a due piani, si trovava quasi all'inizio della cittadina, molto vicino al mare. Non faceva parte della schiera di casette affacciate direttamente sul lungomare, ma pur essendo allineato con la seconda schiera, si affacciava senza copertura alcuna al panorama. Insomma, tra l'appartamento e il mare scintillante si frapponevano soltanto un largo tratto di sterpaglia e la strada asfaltata del lungomare.
Cristina scese dalla macchina e chiamò suo padre ad alta voce. Aprì il cancello chiuso da un gancetto interno e lo chiamò di nuovo. Non rispose nessuno, ma oltre il cancelletto c'era un piccolo cortile rettangolare dov'era parcheggiata una vecchia Fiat 132.
«Non è la macchina di mio padre. È quella di Saverio, il nostro vicino», disse Cristina, indicando il piano di sopra. «Mio padre deve essere tornato a Roma.»
Aprì la porta dell'appartamento al piano terra e tirò su la serranda dell'unica finestra della stanza. Era un salotto attrezzato con un ampio divano, con adiacente, a sinistra, una cucina senza pareti di separazione.
«Allora, adesso che facciamo?», chiese Filippo.
C'era un gran disordine, là in giro, e Cristina già aveva cominciato a guardare dentro le credenze e il frigorifero.
«Mangiamo qui», disse, con la sigaretta accesa fra le labbra. «Tanto la pasta c'è, il sugo non ci vuole niente a prepararlo e per il contorno ci sono i piselli in scatola e i fagioli.»
Con gli occhi socchiusi per via del fumo che saliva dalla sigaretta, aggiunse: «Vedi?», e mostrò ad Filippo barattoli con etichette verdi e rosse e poi altri oggetti vari.
Per scrupolo Filippo obiettò che gli dispiaceva che lei dovesse mettersi a cucinare. Se preferiva andare al ristorante, non c'erano problemi.
«Ma no. Che vuoi che ci vuole a fare un po' di pasta col sugo», assicurò lei.
«E poi qui stiamo più tranquilli, no? Possiamo fare come ci pare... Anzi, sai che ti dico? Io vado a mettermi gli zoccoli, e a infilarmi un bel paio di pantaloncini.»
Soli, in una casa vuota, con un intero pomeriggio a disposizione... Filippo la guardò entrare nella stanza che stava alle spalle del salotto chiedendosi se era il caso di provare a andarle dietro subito o se era meglio aspettare un momento più opportuno. Un rumore di passi e una mano che bussava alla porta d'ingresso lo tolsero dall'imbarazzo della decisione.
«Cristina, c'è qualcuno alla porta», disse Filippo, per avvertire la ragazza del nuovo arrivo, e dietro la porta una voce chiese: «Chi c'è? Remo? Cristina? Sono Saverio.»
Amici di casa, pensò Filippo, cogliendo un filo d'urgenza nel tono di voce dello sconosciuto. Cristina tardava e lui aprì la porta, per fare entrare il visitatore.
«Buongiorno», salutò Filippo, cercando di apparire cordiale.
«Buongiorno», ripeté un tipo alto, sui sessant'anni. Aveva un volto molto segnato, i calzoncini corti e una canottiera blu scuro. «Ho sentito delle voci e sono venuto a vedere...»
«Chi è? Saverio?», disse Cristina, ricomparendo dalla stanza dove si era cambiata. Si era messa una maglietta rosa e dei calzoncini bianchi, alti di dietro. Nonostante gli zoccoli privi di tacco a spillo, Filippo noto che dondolava il corpo esattamente come prima.
«Ciao, Cristina», la salutò il nuovo venuto, dandole un bacio sulla guancia destra e sulla sinistra.
Ci fu un grande scambio di cordialità reciproca e Cristina presentò Filippo come un suo amico. Anche il signor Saverio era un amico, un vecchio amico di famiglia. Quella mattina aveva aiutato il padre di Cristina a fare dei lavori dentro e fuori casa, poi il padre di Cristina, Remo, era tornato a Roma, e lui era rimasto solo.
Dava l'idea che stare solo non è che lo riempisse proprio d'entusiasmo, e forse fu per questo che Cristina disse: «Perché non mangi insieme a noi?»
Il signor Saverio spiegò che non voleva disturbare. Carla insistette sorridendo, spandendo buonumore e disponibilità. Poiché anche Filippo non aveva mai smesso di sorridere in modo simpatico, il vicino si fece convincere immediatamente; anzi avvertì che avrebbe fornito dei formidabili peperoncini per fare le penne all'arrabbiata, e anche tre bistecche di quelle buone, di cui pareva avesse il frigorifero pieno.
Non appena fu uscito per andare al piano superiore, Cristina chiese ad Filippo se gli dispiaceva che mangiasse con loro. «La moglie l'ha lasciato da due anni», spiegò la ragazza, «E lui si sente molto solo.»
Filippo la tranquillizzò dicendo che capiva, anche se invece non amava molto gli uomini che cercavano per forza compagnia.
Fu un pranzo ricco di aneddoti e ricordi: più rumoroso, certo, della cena con la signora Lucia. Alle sparate più grosse del signor Saverio, Cristina ammiccava a Filippo facendogli capire di non dargli peso, ma tutto sommato non era male stare a sentire quegli aneddoti incredibili; e a parte un paio di volte, in cui i pantaloncini di Cristina, quando si alzava per prendere qualcosa, lo avevano distratto dalla narrazione, Filippo seguì ogni storia del vicino fino in fondo, lasciando che desse tranquillamente sfogo al suo bisogno di parlare. Caso mai la nota dolente fu data invece dal caldo, e dalla pesantezza del cibo servito. A Filippo sembrava che la ragazza ci tenesse molto al fatto che lui mangiasse piccante e che bevesse vino. Per ben due volte lei disse scherzando che il peperoncino e l'alcool avevano un effetto afrodisiaco.
Quando arrivò il momento di prendere il caffè, Cristina chiese a Filippo di fumare una sigaretta insieme a lei. Lui rifiutò una volta, due volte, perché non approvava molto quel tipo di vizio; ma dato che lei insisteva sorridendo, con l'aria che fosse una complicità da condividere per gioco, la terza volta prese una sigaretta e l'accese sporgendosi sull'accendino che la ragazza impugnava, quindi tirò un paio di boccate senza inghiottire.
Filippo pensò che era piacevole il sapore del tabacco tra la lingua e il palato, prima di lasciarlo andare via dalle narici. Mentre fumava, Cristina lo guardava fisso in fondo agli occhi, fumando a sua volta, e gli sembrò che per mezzo della sigaretta, di quel piccolo piacere consumato insieme, lei volesse stabilire un qualche più intimo legame.
Il signor Saverio annunciò che aveva bisogno di andare di sopra, a fare la sua siesta quotidiana. «Voi che fate? Andate via?», chiese.
No. Cristina spiegò che avrebbe dato una pulitina alla cucina, adesso, mentre Filippo avrebbe cercato un bel film da vedere alla televisione.
«Ah. Perché più tardi ci sono le partite», disse il signor Saverio, speranzoso.
Se loro volevano, avrebbero potuto guardarle insieme dopo. Purtroppo a lui si era guastato il televisore.
Va bene. Cristina acconsentì tranquillamente, senza mostrare esitazioni e senza lanciare occhiate di santa sopportazione a Filippo. Quest'ultimo sorrise e disse che andava bene anche per lui, adeguandosi di nuovo alla situazione.
Non appena il signor Saverio uscì lasciandoli soli, Filippo andò vicino alla ragazza, che stava già cominciando a sparecchiare, e si offrì di aiutarla a mettere in ordine. Lei però si oppose gentilmente. Sosteneva che sgombrare un tavolo o pulire i piatti non era compito da uomini: a lei sarebbero bastati cinque minuti. Piuttosto c'era un vecchio e grosso televisore nella stanza accanto, portato dal padre; siccome lei non sapeva come farlo funzionare, chiese a Filippo se poteva metterlo in salotto e se riusciva a prendere qualche tivù privata.

* * *

«Guarda che qui ci sono già dei canali che si vedono», avvertì Filippo, dopo avere acceso il televisore e spinto i pulsanti incolonnati sul pannello frontale.
«Come dici?», chiese la ragazza, di spalle, ancora impegnata con gli oggetti sparsi in cucina.
«Qualche canale è già sintonizzato», ripeté Filippo ruotando un paio di minuscole manopole. «Adesso ne aggiungo un altro paio, con un po' di fortuna.»
Cristina smise con i suoi traffici e si avvicinò per vedere.
«Ecco qui: Rai Uno, Rai Due e Tre; Canale Cinque, Italia Uno... E questi altri canali, che a Roma io neanche riesco a vedere.»
Cristina era entusiasta. «Che bravo!», disse. «Che c'è di bello da vedere?»
Filippo fece scorrere nuovamente le immagini trasmesse dai vari canali. «Che preferisci, qualcosa di drammatico, con sparatorie, ammazzamenti, magari lacrime, oppure qualcosa di più leggero... Qui c'è un film da ridere con Totò e Peppino De Filippo, per esempio.»
«Per carità! Ridere, ridere», decise Cristina immediatamente, di fronte ai vecchi volti in bianco e nero.
Si sedettero di fronte al televisore, sul divano possente ma vagamente impolverato. Alle spalle del televisore, sulla parete che era di fronte a loro, avevano abbassato la serranda fino in fondo, lasciando che diverse stecche rimanessero distanziate tra di loro. Quegli spazi tra una stecca e l'altra facevano passare un po' della luce esterna; una luce calda, che faceva venire voglia di riposare.
«Bene. Finalmente un po' di meritato riposo», disse infatti Filippo passando il braccio destro intorno alle spalle di Cristina, che già si era accesa un'altra sigaretta e sorrideva. Per un po' si misero a scherzare insieme, commentando le situazioni più divertenti che si svolgevano in televisione; poi a un certo punto i loro occhi si incontrarono più a lungo e Filippo capì che non poteva aspettare ancora.
Disse una frase qualsiasi, un complimento banale, quindi le baciò la bocca con cautela, non sapendo ancora quale sarebbe stata la reazione.
Ecco: Filippo percepì un odore di fumo, quindi un sapore indefinibile eppure familiare. Le labbra di Cristina si aprirono, senza nessuna opposizione, e restituirono il contatto con aggressività e passione.
Filippo non se l'aspettava.
Come se dovesse dare sfogo a un'esigenza a lungo soffocata, adesso la ragazza lo baciava in modo ansioso, gli occhi serrati, rendendogli difficoltoso respirare. Sebbene lui avrebbe preferito un inizio più graduale, s'impegnò ad andarle dietro con lo stesso ardore, e dopo qualche minuto di lotta disordinata ripresero finalmente un po' di fiato.
Cristina lo guardava dritto in fondo agli occhi, come prima, ma sorridendo in modo strano. Filippo immaginò che stesse aspettando un suo commento. Cercò di farsi venire in mente qualche cosa, e un po' per dimostrare iniziativa, un po' per riportare le effusioni a un ritmo meno esagerato, disse: «Sai che cosa mi piacerebbe, adesso?». Lei scosse la testa. «Mi piacerebbe esplorarti con calma: pezzettino per pezzettino.»
Cristina allargò il sorriso e strinse gli occhi in modo malizioso. Filippo si rese conto con sollievo di avere azzeccato l'intonazione.
La ragazza si sciolse dal suo abbraccio e si alzò dal divano come una pantera.
«Allora vado un momento a prepararmi meglio. Così sarà più facile esplorarmi», disse, con un tono che a Filippo parve sì carico di promesse, ma anche, chissà perché, un po' minaccioso.
Rimasto solo, l'uomo ne approfittò per avvicinarsi alla finestra e guardare fuori attraverso una fessura della persiana. Gli sembrava proprio che l'esterno, con il sole che brillava e l'orizzonte limpido, fosse molto più attraente e sicuro di questa casa abitata da gente che non conosceva.
Forse non era veramente più tagliato, per affrontare queste cose. Per un attimo accarezzò persino l'idea di squagliarsela all'inglese, per evitare una possibile brutta figura.
«Cos'è? Stavi pensando di scappare?», chiese la voce maliziosa e ironica di Cristina, alle sue spalle.
Filippo si voltò con falsa sicurezza. «E perché mai dovrei?»
Lei era fasciata da un body bordato di ricami, che la rendeva atletica e scultorea.

* * *

Fu una gran lotta. Confermando un'energia e un'intraprendenza non comuni, la ragazza impegnò il compagno senza tregua, ricoprendolo di baci e morsi e di carezze in ogni dove. E altrettanto fu costretto a fare Filippo, a volte con un certo affanno, preoccupato ma anche divertito dalla situazione. Il fatto è che si stava sentendo insieme attore e spettatore di ciò che stava avvenendo; e come spettatore esterno ne coglieva la comicità.
Spogliarsi faticosamente a pezzi e bocconi, abbarbicati sopra uno scomodo divano, con la serranda mezza aperta e mezza chiusa che li poteva esporre agli sguardi di un qualsiasi ipotetico curioso, era una cosa alla quale Filippo non era preparato. Non si aspettava tutto questo, e gli pareva di essere in un film sconclusionato. Che cosa avesse trasformato la ragazza fino a questo punto gli sfuggiva. Il padre severo, il desiderio di sposarsi, gli apprezzamenti candidi sul suo buon cuore ed i rientri a casa prima delle undici di notte, sembravano lontani anni luce. Non c'era niente che collimasse più con quella gatta smaniosa e inquieta, che gli ansima nell'orecchio mentre lo mordeva.
A questo punto, tutto era possibile. E dato che la ragazza non voleva neanche andare in camera da letto, ma preferiva rimanere sul divano in equilibrio precario, poteva anche darsi che suo padre irrompesse da un momento all'altro, per fare una scenata e chiedere un matrimonio riparatore.
Filippo immaginò la scena senza interrompere il suo da fare: il padre tarchiato, il fucile da caccia con le lunghe canne minacciose... Una cosa in puro stile meridionale.
O magari Cristina voleva ingelosire il suo vero amante, o vendicarsi delle corna che gli aveva messo un fidanzato traditore.
Poteva essere una specie di untrice, anche, e in questo momento stava tentando di trasmettergli con intenzione l'Aids. Gli venne in mente mentre le baciava e leccava la schiena morbida; e nello stesso tempo, pensando alla malattia, rivide il corpo quasi incartapecorito, odoroso di vecchio, di sua moglie, quando il tumore l'aveva ridotta a quarantatre chili.
No. In realtà a Filippo non importava niente dei piani segreti che poteva avere in mente Cristina. Non gli importava niente nemmeno del piacere. Gli ultimi anni che aveva passato accanto a Elisa lo avevano svuotato di ogni sensazione.
Gli sembrava di vedere i segni di ogni malattia, nei corpi umani, e non riusciva più a provare calore.
Continuò a toccare la ragazza, con precisione e determinazione, lasciando che anche lei facesse quello che voleva. Era la calma dell'indifferenza, che lo rendeva privo di emozioni.
Un rumore fece però sobbalzare Filippo, proprio mentre la ragazza, ormai impaziente, cercava di accelerare il suo piacere. Veniva dal cortile della casa, e quando si ripeté di nuovo, nei pressi della porta d'ingresso, Cristina si alzò dal divano un istante prima che bussassero con discrezione.
«Chi è?», chiese la ragazza, lasciando l'uscio chiuso.
«Sono io, Saverio», disse la voce del vicino, già di ritorno per vedere le partite.
«Prendimi la gonna e la camicetta», sussurrò Cristina indicando a Filippo la stanza vicina, e mentre lui correva a prendergli i vestiti disse al vicino: «Ciao, Saverio. Adesso ti apro. Un momento solo.»
Cristina rimise i suoi vestiti in pochi secondi, sistemandosi i capelli con le mani; Filippo raccattò le cose che erano disseminate in terra e corse a rifugiarsi nel piccolo bagno in fondo alla casa.
Mentre la porta dell'ingresso si apriva per fare entrare il signor Saverio, quella del bagno veniva chiusa per bene a chiave.

* * *

Filippo aprì il rubinetto del lavandino, per sciacquarsi il viso e fare rumore, quindi si guardò allo specchio e scosse la testa con un sospiro. Sorrise, per lo spettacolo dei suoi capelli dritti a ciuffi di spaghetti, per la camicia e i pantaloni che teneva in mano, e soprattutto per l'evidenza della sua eccitazione, che continuava a tendere in modo vistoso la stoffa dei boxer a righe bianche e nere.
L'unica cosa che desiderava, adesso, era potersi rimettere le sue mutande e i pantaloni, per riuscire a presentarsi con disinvoltura al vicino di casa.
Nonostante le abluzioni di acqua fresca, però, il suo apparato di riproduzione non voleva rinunciare a un'ostinata e insolita erezione. Anche i suoi capelli non volevano piegarsi ai colpi del pettine, che aveva trovato dentro un armadietto bianco laccato.
Quando finalmente uscì dal bagno, quasi placato nelle parti basse e con la camicia fuori dai pantaloni, trovò Cristina ad aspettare.
«Cominciavo a pensare che eri scappato in qualche modo», mormorò la ragazza esibendo il suo sorriso strano.
«Ho provato, ma ho difficoltà a sfondare i muri a mani nude», spiegò Filippo, imponendosi un tono di voce naturale.
La ragazza rise, divertita dal suo imbarazzo, e aggiunse soltanto: «Bei capelli.»
Il signor Saverio era seduto sul divano dei combattimenti, lo sguardo rivolto al televisore. Filippo fece in tempo a passarsi le dita fra i capelli altre tre volte, mentre sullo schermo scorrevano i nomi delle squadre in gioco e un cronista commentava.
«Buonasera», disse per primo Filippo.
«Buonasera», rispose il signor Saverio.
Si sedettero l'uno di fianco all'altro, sopra lo stesso ruvido tessuto, scambiandosi un sorriso di buon vicinato.

* * *

Filippo seguì la telecronaca delle partite per una buona mezz'ora, scambiando di tanto in tanto qualche commento sulle azioni di gioco e sui risultati provvisori con il signor Saverio. Naturalmente a lui il calcio interessava molto poco, ma non era affatto difficile esprimere giudizi su un goal mancato o su un'azione troppo disordinata, per cui passò il tempo col signor Saverio senza nessun visibile problema.
Cristina, che mezz'ora prima aveva preparato tre tazzine di caffè fumante, era tornata ad occuparsi della pulizia della casa, strofinando oggetti e pulendo superfici con la sigaretta accesa e l'espressione concentrata.
Filippo ne poteva vedere solamente le spalle, girando il capo verso destra; cercando di non farsi notare troppo dal vicino, ma almeno un poco dalla padrona di casa. Avrebbe voluto intercettarne lo sguardo, per scambiare un sorriso complice o comunque un segno di comprensione. In fondo, tenendo compagnia all'amico di famiglia (il loro amico, non certo il suo), stava sacrificandosi in modo degno di apprezzamento, anche se non era un così grande sacrificio. Quando capitò che gli occhi di Filippo riuscirono a incrociare gli occhi di Cristina, si alzò dal divano per andare a tenerle un po' di compagnia.
«Ti stai annoiando, è vero?», sussurrò la giovane, guardandolo con occhi limpidi e carini.
Lui la rassicurò dicendo: «No, no. Davvero.»
Vedendola con quell'espressione di affettuosa preoccupazione, a Filippo venne una gran voglia, per la prima volta, davvero, di abbracciarla con forza e di baciarla sulla bocca rosa.

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Finì che presero a giocare a carte. Scala quaranta e briscola, mentre il signor Saverio continuava a seguire le partite.
Filippo vinse quasi sempre, con una fortuna quasi esagerata. Davvero strano, visto che non è che dedicasse grande attenzione alle carte in gioco. Stava pensando alla giornata, che scivolava verso la sua conclusione, e gli sembrava che si stesse trasformando in una perdita di tempo; una giornata consumata senza concludere qualcosa.
In effetti, quello che si aspettava Filippo era un'avventura. Magari poco romantica. Magari neanche tanto passionale. Ma con situazioni erotiche, da potere raccontare. Sesso, in sostanza, con nudità e carezze estorte con la seduzione.
Seduto con le carte in mano, in preda ad una quieta noia, anche l'irruzione di un padre inferocito gli andava bene. Ma scala quaranta e briscola... Di cosa mai si sarebbe potuto vantare, poi?
La sua idea era quella di poter raccontare agli amici, ogni qualvolta la conversazione fosse scivolata su donne e avventure sentimentali, di avere avuto una storia recente, con una ragazza che era più giovane e provocante di lui. Il suo canto del cigno. Da raccontare senza vanterie ed esagerazioni. In modo distaccato e malinconico, piuttosto; solo per dimostrare di essere ancora in grado di piacere.
Mica doveva essere l'inizio di una carriera di conquistatore. Al contrario, doveva dargli il modo di chiudere i giochi degnamente, potendo dimostrare che era così perché lo aveva deciso lui.
Guardando Cristina, che riordinava in gruppetti omogenei le carte che teneva tra le dita, Filippo fantasticò di allungare un piede sotto il tavolo, per toccarle le cosce, e di convincerla a sfilarsi di nascosto le mutandine.
«Dio mio, il signor Saverio mi potrebbe vedere», si sarebbe lamentata lei, turbata e confusa. Ma Filippo, implacabile, l'avrebbe convinta incurante di rischi e ritrosie.
«Chiuso», dichiarò Cristina, calando le ultime carte e richiamandolo alla realtà. Aggiunse anche: «Questa volta ti ho vinto, cucciolo!», con un sorriso felice, senza sapere che con quel "cucciolo" aveva distrutto il suo avversario.

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Quando alla fine del primo tempo delle partite il signor Saverio decise di salutarli, dicendo che risaliva su a casa sua, la più contenta fu Cristina e non Filippo, che a furia di fantasticare ed essere deluso, aveva esaurito la sua già scarsa carica vitale.
Che Cristina scherzasse e che cercasse di baciarlo mentre il vicino si trovava proprio sopra di loro, gli dava un enorme fastidio. Quel seccatore poteva ribussare in ogni momento, ed era inutile fare fatica per ricreare un'atmosfera, con il pericolo incombente di un pensionato che si sentiva solo.
Impianto logico per giustificare il suo fastidio. La realtà dei fatti era che fin dall'inizio era partito con poca convinzione. Cristina era un'estranea a cui non sapeva che cosa dire; a parte l'aspetto fisico e i venticinque anni di giovinezza, non c'era nient'altro che gli potesse interessare.
La baciò a sua volta e per forza d'inerzia ricambiò anche palpeggiamenti e strofinamenti vari. Sentendosi un ipocrita, un bugiardo e un uomo malato.
Che cosa c'era, che non funzionava nel suo cervello? Che aveva nel sangue?
Dov'era il piacere che ogni uomo avrebbe provato in questa situazione?
Era come se osservasse un altro, mentre toccava quella pelle levigata. Ne percepiva la consistenza nei polpastrelli, ma era soltanto pelle; sentiva il profumo, ed era soltanto odore; studiava le curve del sedere e delle belle gambe, ma era solo constatazione.
È vero: l'inguine continuava a pompare sangue dove doveva, ma era un fatto meccanico, una reazione automatica, di cui lui stesso si meravigliava.
«Meno male», pensò comunque Filippo, grato per questo automatismo, e con la coda dell'occhio sbirciò il quadrante del proprio orologio.

Cristina chiese ad Filippo di riportarla a casa poco dopo. Forse perché aveva intuito qualche cosa; forse perché voleva farsi vedere dai suoi genitori prima di cena. Ad ogni modo sotto il portone di casa baciò Filippo con imprevedibile languore.
Quando chiese se si sarebbero rivisti il giorno dopo, Filippo le promise che sarebbe passato al supermercato, appena uscito dall'ufficio, e lei se ne andò augurandogli due volte la buonanotte, col suo sorriso strano.
Salendo in macchina Filippo avvertì l'odore del fumo e del profumo un po' troppo forte, che lei aveva lasciato nel posto accanto al suo. Aprì il finestrino di destra e mise in moto la macchina, lasciandolo che l'aria, mentre ritornava a casa sua, cancellasse ogni traccia di lei.

* * *

Cristina non conosceva il numero di telefono di Filippo, né l'indirizzo, né il suo cognome.
Lo vide di sfuggita solo tre mesi dopo, mentre camminava sopra le strisce pedonali, ad un incrocio, con la busta del latte ed un giornale.
Non lo chiamò, né fu tentata di seguirlo o di fare in modo d'essere veduta. Era molto risentita e aveva conosciuto gente nuova.
Si sentiva soddisfatta, ora, e non lo rivide più.


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