La vecchia siede sulla poltrona, nell'enorme casa senza suoni, sola, e guarda la campagna fiorita al di là della finestra chiusa, gli alberi con le prime foglioline verdi dopo il lungo inverno solitario, assordante.
Nell'aria, distante, il cinguettio degli uccelli, invisibile, e nel cielo azzurro, senza una nuvola, il sole sfolgorante, caldo. Osserva tutto questo. Da tempo immemorabile, ormai, non sente altro che urla, pianto, ora più vicini, ora quasi impercettibili, ma non meno presenti. In certi momenti è insopportabile, nella grande casa, dove ha sempre vissuto, così vuota, così luminosa.
Si alza, lentamente va verso le scale, scende al piano terra, con un certo sforzo spalanca il pesante portone per far entrare la vita, per fuggire, all'improvviso il canto sereno degli uccelli è più vicino, immediato, l'aria è leggera, i profumi della natura inebrianti, ma le grida la accompagnano, la seguono, non danno tregua. Apre la cassetta della posta, ritira il giornale e una busta, forse una lettera, poi, mentre già si accinge a tornare sui propri
passi, le finestre serrate la fissano con severità sotto il sole, spinge lo sguardo oltre il prato coperto di fiori variopinti e si sofferma sul pozzo, lontano, al confine con il bosco scuro, impenetrabile. Come trasportata da una volontà che non è la sua, rientra nella casa, e sbarra il portone dietro di sé.
Grida forsennate, lamenti disperati, mentre si trascina su per le scale. Si reca nella solita stanza, chiude a chiave la porta e torna a sedersi sulla poltrona davanti alla finestra, oltre la quale il paesaggio primaverile appare irraggiungibile, ammutolito. Sulla busta, a lei indirizzata, manca l'indicazione del mittente. Per il momento la mette da parte. Pianto incessante, che talora sfocia in gemiti, luttuosi.
Apre il giornale, comincia a sfogliarlo, non prima di aver notato, in fondo alla prima pagina, questo avviso: "A causa delle festività, anticipiamo l'edizione di domani, includendola in quella odierna. Auguriamo ai nostri lettori buone feste". Un urlo, soffocato dall'irrompere di un singhiozzo, doloroso, colmo di angoscia.
Legge le notizie, particolarmente interessata agli sviluppi di un processo, iniziato qualche anno addietro, apparentemente interminabile. Arrivata alla sezione che dovrebbe corrispondere alla edizione dell'indomani, vede pagine bianche, una dietro l'altra e pensa: come ho potuto credere che sarebbe stato altrimenti?
Ripiega il giornale e lo ripone sul tavolo, poi afferra la lettera, una fune di salvataggio, una speranza mai sopita si fa più viva: con cautela apre la busta ed estrae un foglio a righe, scritto a mano, la calligrafia è minuta ed ordinata, sconosciuta. Urla, quasi latrati, sembrano volerla assordare. È una lettera del suo unico nipotino, che ora ha sei anni, ricorda di averlo visto una sola volta, pochi mesi dopo la nascita: nella culla, dormiva, pacifico, ma poi lei aveva dovuto andar via, nell'incedere solitario, incessante, attraverso il vento freddo, era arrivata a questa casa. Nella lettera, le scrive che verrà a trovarla quello stesso giorno, in chiusa esprime anche la speranza di avere da lei il permesso si suonare un po' al vecchio pianoforte. Un pianto che lacera l'anima. È felice della prossima visita del suo nipotino, e ancor più, perché la intratterrà suonando il pianoforte, che si trova nella stanza che era stata la sua camera da letto da bambina, dove certamente dormirà anche lui, poiché passerà la notte da lei, la casa è così distante dal paese, e lui, anche camminando di buon passo, o correndo a perdifiato, non riuscirebbe a tornarci prima che cali il buio. Va in cucina e verifica che nella dispensa ci siano provviste a sufficienza. L'immenso edificio, tacito, deserto, grava, indifferente. Quindi torna a sedersi, dopo
aver richiuso a chiave la porta. Una sonnolenza la invade, si addormenta, inseguita da grida, colme di una sofferenza che porta alla follia.
Quando si sveglia, si accorge, con profonda inquietudine, che è sera, il sole è tramontato da tempo dietro le cime degli alberi, ora più scuri, più vicini, mentre la brezza ne fa ondeggiare piano le fronde, pesanti del nuovo fogliame.
Il suo nipotino non è ancora arrivato, forse, pensa con sgomento, è venuto mentre lei dormiva stupidamente, ha suonato il campanello, suonato, ma lei non sentiva, la mente rintronata da altri suoni...e alla fine è andato via, persuaso dell'ostilità di tutto quell'ambiente e desideroso di tornare immediatamente al suo paese, dove gli avevano sempre aperto. Quel pianto, che talvolta esplode, come un vulcano. Si dirige rapidamente verso la porta, gira la chiave, esce dalla stanza, scende le scale, arriva al portone, disinserisce il chiavistello, scosta un pesante battente: il bambino è lì fuori, nella luce crepuscolare, dove nel cielo balenano le prime stelle, la guarda e sorride di gioia.
«Finalmente, nonna, avevo paura che non fossi in casa! »
Lei risponde, contrita, ma nel contempo rincuorata per il pericolo scampato: «Perdonami, bambino mio, mi sono addormentata... »
Ma il nipotino la rassicura subito: «Non fa niente! Mi sono divertito, ho corso per i prati e poi mi sono steso al sole... »
La vecchia lo invita ad entrare.
«Chissà che fame avrai! E come sarai stanco, il lettino è già pronto, così dopo cena potrai subito andare a dormire! »
Il bambino è stupito: «Veramente non pensavo di fermarmi per la notte, volevo solo venire a trovarti e suonare un po' il vecchio pianoforte.»
Lei risponde: «Ma è già buio, il paese è lontano, non devi camminare di notte, potresti non ritrovare la strada, nel bosco...»
Mentre dice questo, entrambi rivolgono lo sguardo verso la fitta schiera di alberi che delimita la campagna, ora è più buia che mai e la strada che la penetra sembra perdersi nei suoi recessi, inghiottita. Per la seconda volta quel giorno, la vecchia osserva il pozzo. Urla prive di ogni conforto echeggiano nella sera mite, silenziosa. Una volta in casa, il bambino, le pesanti mura incombono e il buio non è rischiarato da luci, dice che vorrebbe andare subito a letto, è così stanco, ha aspettato così a lungo, ma chiede se prima può avere il permesso di suonare il pianoforte. Un pianto dirotto, un dolore indicibile. Lei risponde che è meglio se prima si riposa della lunga camminata, potrà farle ascoltare un saggio della sua bravura l'indomani, dopo la colazione. Lui non protesta e, obbediente, va nella sua cameretta, dove, una volta messosi a letto, la nonna gli rimbocca amorevolmente le coperte e gli augura la buona notte, ma il bimbo, già nel dormiveglia, mormora confusamente.
Esce, sta per chiudere a chiave la porta, poi ritrae la mano, presa da un altro pensiero. Va nella sua camera, si prepara ad andare a dormire anche lei. A lungo rimane seduta sul bordo del letto, mille pensieri le attraversano la mente, accompagnati da un pianto sommesso, ma ora quasi rassegnato.
Mentre sta quasi per addormentarsi, si ricorda di qualcosa di essenziale: il bambino suonerà il pianoforte, ma non dovrà assolutamente toccare un certo tasto, riservato a qualcun altro...non dovrà neanche sfiorarlo, no...è vinta dal sonno e l'oblio le impedisce di alzarsi per prendere adeguate precauzioni per evitare quell'evento oltremodo infausto.
Il giorno dopo, alzatasi di buon'ora, è in cucina a preparare la colazione, e, dopo aver apparecchiato, esce, come di consueto, a ritirare la posta. Il giorno è nuvoloso, scuro, minaccia pioggia da un momento all'altro. Gli alberi in fondo al prato sono immobili, in attesa. Rientrando, sente che la casa è invasa da note celestiali, il suono del pianoforte: una melodia dolcissima, che incanta e rapisce. Ha le lacrime agli occhi mentre ascolta quella musica, un groppo, pesantissimo, antico, si scioglie, come in un miracolo, e ricorda
spighe dorate accarezzate dal vento, sotto il sole, quando sentiva ridere, cantare, una dolcezza infinita.
Poi le dita del bambino toccano quel tasto, che avrebbe dovuto evitare ad ogni costo: uno stridore spezza l'armonia, riecheggiando per la casa morta. Dal nulla, erompono urla di disperazione. La vecchia, fuori di sé, va nella sala da pranzo e vede la colazione intatta, lui si è svegliato ed è andato immediatamente a suonare, non dandole modo di metterlo in guardia.
La vista delle sedie vuote intorno al tavolo, nella stanza rischiarata dalla luce plumbea dell'esterno, le fa pensare: «Sì! Tutto è perduto!»
A passo veloce, folle, esce di casa, attraversa il prato, mentre le prime gocce fredde le colpiscono il viso, diretta verso il pozzo. Arrivata, vede che il nero delle vie misteriose della foresta non è mai stato così vicino, così letale, la pioggia comincia a cadere fitta. Rimuove il coperchio e guarda dentro: l'acqua sul fondo, lontano, riflette vagamente il suo viso, pallido, stravolto, e quel riflesso indistinto, smorto, è ciò che rimane.


Data invio: