Si appoggiò al parapetto di pietra e socchiuse gli occhi, sorbendo il silenzio profondo della sera. Faceva ancora caldo, ma le giornate si andavano accorciando, ed era il vento d'autunno quello che le soffiava tra i capelli: il tramonto era quasi un profumo, una luce obliqua contro i rami carichi dei meli, giù, verso valle. Più in alto, prati scuri, delicatamente costellati di colchici.
Amava quel momento del giorno. Voleva godere fino in fondo di quel breve attimo di silenzio ventoso, parentesi sospesa, prima che i suoni del giorno trascolorassero nei rumori della sera: aspri, rozzi, offensivi quasi, o forse solo spavaldi, contro il grande manto del buio.
Già le pareva di udire le voci dei servi, giù nella corte, mentre spostavano panche e cavalletti; già nelle cucine venivano accesi i fuochi, e l'odore della legna bruciata si spandeva sopra la stia e il piccolo orto. Presto la luce delle candele avrebbe preso il posto di quella del sole; presto i ciocchi avrebbero scoppiettato la loro beffarda sfida alla tenebra. Si preparava una festa: l'ultima festa dell'estate.
Si abbracciò le spalle, a scacciare un brivido improvviso. Presto sarebbe dovuta salire nella sua alta stanza nella torre, avrebbe mutato gli abiti impolverati dal giorno con la lunga veste di seta color vino. La sera prometteva di essere serena e fresca: avrebbe chiesto alla sua fantesca di tirarle fuori il mantello di velluto verde, perché desiderava salire ancora una volta sugli spalti prima che giungesse la notte, per godere di un ultimo istante di silenzio stellare.
Al collo avrebbe indossato il gioiello che lui le aveva donato.
Era un piccolo castello, di un piccolo regno. Non contava grandi ricchezze: segale e orzo, erba per il bestiame, mele. Qualche favo di miele e formaggio duro. Ma era il suo regno, e lei lo amava. E lì dentro albergava il tesoro più prezioso del mondo, almeno per il suo cuore.
Cercò il suono preciso di zoccoli contro il selciato; attese di sentire i segugi abbaiare. Lui sarebbe smontato dal corsiero, il cortile avrebbe risuonato dei suoi passi, in un percorso noto: una pausa per porgere il mantello ad un servo; poi due passi, una carezza tra le orecchie del cane prediletto, un uggiolio; sette passi, fino alla cisterna, e il suono dell'acqua versata sul viso e sul capo.
Il cuore le batteva forte, ora. Quest'uomo era quello giusto; lo sentiva e lo desiderava come non mai. Un signore per il suo castello, un signore per il suo cuore. Non sarebbe stata solo una festa di fine estate, ma l'inizio della sua vita. Da quel momento, nessun inverno avrebbe più oscurato i suoi giorni e nella casa della sua anima avrebbe sempre dimorato il sole.

«Bianca...»
Non l'aveva sentito arrivare. Si era avvicinato, silenzioso come un gatto, e ora era a pochi passi. I servi, giù nella corte, si tacitarono di colpo; i cani smisero di latrare e persino l'odore di legna, più persistente, come tutti gli odori, si dissolse con un lungo, muto sospiro.
«Ma da dove si sale?» Leo aggirò il mucchio di macerie e saggiò con lo scarpone fino a che non trovò un punto stabile. Un agile balzo, e le fu accanto. «Avevi ragione: è bellissimo qui. Magico.»
Bianca gli sorrise, poi, con una punta di rimpianto, osservò i loro zaini, abbandonati in un angolo di quello che un attimo prima era l'orto. Ora si distinguevano solo erba e le bacche lustre di una rosa canina.
Che cosa fa di un luogo qualsiasi il nostro posto preferito? Che cosa c'era, in quel castello diroccato, negletto, invaso dai rovi, che ne aveva fatto la dimora elettiva del suo spirito? Che cos'aveva quel parapetto di diverso dagli altri cento, mille parapetti, muri, balconi disseminati nel mondo, magari più vicini, più integri, di un colore più bello, in mezzo a paesaggi più suggestivi?
Più o meno era stato quello che le aveva chiesto Piero, anche se in modo meno sottile. Le sue parole erano state»Ma che cosa ci siamo venuti a fare in mezzo a queste rovine? Voglio una birra.»
Diego si era mostrato più incoraggiante:»Dovevi dirmelo che ti piacciono i castelli. La prossima settimana ti porto io a vederne uno veramente bello.»
Roberto, invece, aveva invano cercato un posto asciutto e pianeggiante per fare il picnic, poi si era lamentato del freddo.
Stefano si era mostrato entusiasta, all'inizio, ma solo per fare colpo. Due giorni dopo aveva chiesto:»Castello? Quale castello?»

«Davvero ti piace?» chiese, cercando di non suonare ansiosa.»È fantastico.»
Leo l'abbracciò da dietro e appoggiò la testa contro la sua. Le piaceva il suo odore, la ruvidezza calda e confortante del suo maglione; le piacque il lungo momento di silenzio interrotto solo dal vento. Le ombre presero a strisciare, azzurre, sui colchici, poi tra le radici contorte dei meli.
«Non volevo disturbarti, prima. Che cosa facevi: fantasticavi di essere la signora del castello?»
Bianca si voltò, sorrise, poi lo baciò, poi sorrise di nuovo. L'abito di sciamito rosso sarebbe rimasto nel baule, insieme al mantello di velluto, e presto avrebbero lasciato l'alta torre, stranamente intatta, ai suoi dialoghi solitari con il vento. L'unica festa sarebbe stata un panino sulla via del ritorno, o magari una spaghettata di mezzanotte; lei avrebbe indossato quegli stessi pantaloni e la T-shirt. Ma aveva al collo il ciondolo d'argento che lui le aveva regalato; e il gioiello più prezioso del regno era lì, al sicuro, tra le loro braccia.


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