Questo è l'inizio di un racconto molto più ampio, sono graditi commenti e critiche

††++¨ŻŻ¨¨..::..,,..::Hydra e Anghell::..,,..::..¨¨ŻŻ¨++††

Erano ormai giorni che camminava, senza sosta, senza poter ne bere ne mangiare.
Il giovane Anghell, principe di Artelea, non sembrava più lui. I suoi lunghi capelli mori, mossi, che gli accarezzavano dolcemente le spalle, erano ora incolti, scompigliati e sporchi. Il suo dolce viso, dai lineamenti gentili, quasi femminei, era ora rovinato dalle intemperie. Le sue piccole labbra, che erano sempre state dolci, perfette, morbide, erano ora distrutte dal freddo, e la barba incolta le avvolgeva. Ma la cosa che in assoluto era più spaventosa... i suoi occhi. Due smeraldi brillanti, incastonati sotto a delle sopracciglia ben curate, chiusi da due palpebre leggere, con lunghe ciglia da giovane cerbiatto spaventato. Quegli stessi occhi che precedentemente avevano sedotto molte donne, portate alla pazzia, apparivano ora selvaggi, terrorizzati ma allo stesso tempo spaventosi. Non v'era assolutamente più traccia di quel magico luccichio incantevole, erano ora spenti, gli occhi di un selvaggio. Non ricordava più tutte le comodità di palazzo, tutti i servitori, la carne abilmente cucinata. Indossava solo una lunga mantella nera, logora, lercia, strappata in alcuni punti, che copriva dei leggeri abiti in stoffa.
Il suo unicorno bianco l'aveva ormai abbandonato, appena aveva sentito la malvagità della foresta a cui si avvicinavano. Il principe si fermò quando vide i due grandi alberi millenari, i cui rami si intrecciavano sino a creare una scritta, un avvertimento, una minaccia:

Qui inizia il vostro cammino nella Foresta del Confine, e qui finisce la vostra vita mortale.

Anghell rimase a contemplare quei grandissimi alberi, i quali avrebbero potuto sostenere un intero castello. Le radici penetravano nel terreno, sino ad arrivare nel punto più buio del mondo, dove le anime dei dannati girano intorno, urlando lamentose. Il tronco era immenso, ci sarebbero voluti più di cento uomini per cingerlo tutto. Ma la cosa che più attirò il suo sguardo furono le foglie: nere, nere come la pece, nere come tutto ciò che si poteva vedere dietro ai due colossi.
Il corpo del principe fu scosso da un brivido quando rammentò delle leggende sulla nera foresta, leggende di orchi, di maghi corrotti dal male e di draghi.
Rimase fermo ancora per un po', poi si caricò di tutto il coraggio che aveva e superò le due grandi colonne naturali.
Da quando era fuggito dal suo castello aveva vissuto molte avventure, ma quella foresta lo terrorizzava ancora. Non poteva evitare di girarsi e tendere il suo arco ad ogni piccolo rumore, ad ogni piccolo fruscio. I suoi sensi si erano acuiti: poteva percepire ogni piccolo movimento, vedere discretamente al buio, ma soprattutto si stava sviluppando il senso del selvaggio, il sesto senso che aveva sempre avuto dentro, ma che era oppresso, soffocato dalla vita piena di agi che faceva prima. Era il senso che gli permetteva di percepire il pericolo prima che questo arrivasse, di percepire il male. Da quando aveva messo piede in quella foresta non aveva mai smesso di punzecchiarlo.
Il suo arco di olmo, finemente intagliato, non si staccava mai dalla sua mano.
La corda, intrecciata dai migliori sarti con crini d'unicorno, era sempre tesa e scricchiolante.
Vide passare una strana forma, nera, e con velocità inumana mirò e scoccò la freccia. Il dardo sibilò, corse veloce tagliando l'aria e si conficcò nel fianco della creatura. Questa lanciò un urlo terrificante, che spezzò in due il magico silenzio della foresta, e si accasciò. Anghell corse veloce e leggero, ma quando vide quell'essere il terrore invase il suo cuore, come se in quel momento la stessa freccia che lui aveva lanciato fosse tornata indietro e fosse penetrata nel suo petto. La cosa assomigliava incredibilmente ad un unicorno, ma era nera.
Si ricordò di una storia, narratagli tempo prima da un vecchio vagabondo che era arrivato al castello chiedendo ospitalità. Era stato accolto e gli era stata assegnata una stanza vicina a quella del principe. Quest'ultimo, che non riusciva in nessun modo a prendere sonno, andò a bussare alla stanza del vecchio. Questo aprì la porta, piuttosto stupito, e disse subito: «Salve, giovane principe. Cosa vi porta a cercare questo povero vecchio?».
Anghell rispose incerto: «Signore, io non riesco proprio a prendere sonno e visto che lei ha molto viaggiato, mi chiedevo se... potesse raccontarmi una storia....».
Al viandante si illuminarono gli occhi, e un sorriso gli dipinse il volto. «Ma certo, entrate pure, e sedete!! Vi racconterò una leggenda su una foresta...».
«La Foresta del Confine?» interruppe il principe, curioso.
«Sì, la Foresta del Confine... dovete sapere che quello è un posto molto pericoloso, corrotto dal male. Una volta era abitata da elfi, fate e ninfe, ma la malvagità v'è entrata e ha distrutto tutto. È rimasta soltanto una comunità di elfi, governati dalla principessa Hydra, che vive nel cuore della foresta.».
Gli occhi verdi del principe brillavano, e cercavano di creare l'immagine dell'elfa, ma proprio non ci riusciva.
Chiese allora: «Mi scusi... ma... com'è fatto un elfo?».
Il vagabondo lo guardò sempre sorridendo, e disse: «È una bella domanda, ma io non vi so dare la risposta, anzi, credo che nessuno vi sappia dare la risposta che cercate.»
Anghell sforzò la mente, ma proprio non riusciva a vedere questa principessa. Stava per interrompere l'anziano narratore,ma questo iniziò a parlare: «In questa foresta, una volta, ci vivevano gli unicorni, ma vedete... non degli unicorni normali, ma i più belli e i più puri di questo mondo. Gli elfi li usavano come cavalcature, e sono le più affidabili fra le creature. Vivevano in perfetta sintonia con la natura e gli altri esseri. Un giorno però una pattuglia di elfi ne trovò uno morto accanto al fiume...»
Il principe non seppe proprio resistere: «Mi scusi, ma gli unicorni non sono immortali?».
«Esatto... esatto... è stato proprio questo a spaventare in quel modo i soldati, che hanno portato la creatura al cospetto della loro sovrana, Hydra.
Questa la guardò a lungo, poi si pronunciò: «ciò che più temevamo sta succedendo, il male sta corrompendo la foresta.». Fra gli elfi si sparse il panico, alcuni scapparono, altri restarono vicini alla loro regina che calmò i loro animi con la sua potente magia. Gli occhi dell'unicorno non erano più di un azzurro cielo, limpidi, ma neri.»
Il viandante si fermò e osservò per un po' il bambino che gli stava davanti. Emise un lungo sospiro e riprese: «Quel giorno tutti gli unicorni scapparono nella foresta, e il loro manto si scurì. Nacquero così gli unicorni neri, gli unicorni fatti impazzire dal male.».
Stette un po' fermo, in piedi davanti alla creatura, pensando che, se la leggenda era veritiera, avrebbe incontrato anche gli elfi. Dopo un po' estrasse la freccia dal corpo dell'animale, controllò che non ci fossero danni e ripartì, più spaventato di prima.
Continuò a girarsi ad ogni fruscio, ad ogni scricchiolio, sempre con l'arco teso. Dopo un po' perse la cognizione del tempo, dovette controllare spessissimo la sua bussola, il suo senso dell'orientamento era offuscato da tutto quel buio, da tutti quegli alberi. Camminò e camminò, sempre all'erta, sempre con quel sesto senso che punzecchiava, fino a quando la stanchezza non gli impedì di continuare. Girovagò fin quando non trovò un albero con dei rami bassi, spiccò un salto e cominciò ad arrampicarsi. Salì fin quando non trovò due rami che si allungavano come una V a partire dal tronco. Qui si distese, e chiuse gli occhi. Restò un po' ad scoltare i rumori, fin quando non cadde in un sonno profondo.

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«Mia signora... nella foresta abbiamo visto...»
«Si lo so, il viandante... lo so.».
La principessa Hydra guardò fuori dalla finestrella del suo grande palazzo.
Davanti a lei si stendevano un mare di alberi, illuminati da una soffusa luce azzurra. Nel tronco di questi alberi erano finemente intagliate delle scale a chiocciola che salivano fino alla chioma. In alcuni punti partivano dei rami larghi come dei torrentelli, e in fondo a questi comparivano delle cupole, perfettamente sferiche, che si incastravano con la natura come fossero sempre state li. Erano leggere, le dimore perfette per gli elfi. La principessa osservò a lungo il suo regno, immersa completamente nei suoi pensieri.
Chi sarà mai quest'uomo?
E cosa ci farà nella foresta?
Questi interrogativi la tormentavano.
Si avvicinò leggera al suo letto a baldacchino, dalle lenzuola leggere e lavorate, e vi si sdraiò dolcemente sopra. Chiuse gli occhi, ma le immagini di quell'uomo le impedivano di dormire. Continuava a vederlo mentre scoccava la freccia, mentre si lanciava leggero sull'albero. Si alzò, aveva bisogno di camminare. Uscì dalla sua stanza e discese la scalinata. Il palazzo reale era un edificio unico, maestoso: si ergeva attorno al tronco di un grande albero, dentro al quale erano intagliate le scale, e lateralmente, lungo i rami, erano state costruite le stanze. I muri erano costellati di dipinti, di arazzi, che davano un'aria misteriosa, magica. Hydra scese le scale e si ritrovò nel salone. Era immenso, rotondo, e dal centro si ergeva l'albero. Tutt'attorno era pieno di porte, finemente lavorate. Continuò l'immenso e bellissimo portone d'entrata, che aprì magicamente solo appoggiandoci la mano, e si incamminò, leggera come un fantasma.
I suoi occhi osservavano il suo regno, quello che lei aveva creato, ma la sua mente era lontana. Continuava a vedere quel viaggiatore, l'aveva completamente sconvolta. Le sorse un pensiero, un'idea, ma la scacciò. Non era corretto, non poteva farlo, per principio, per rispetto.
Ma non seppe resistere.
Tornò sui suoi passi, salì velocemente la scalinata del palazzo fino ad arrivare alle sue stanze. Raccolse, in un elegante e lavorata brocca, dell'acqua che scendeva da una piccola fontanella situata nel tronco del grande albero. Si mise davanti alla finestra, prese una bacinella e ci rovesciò l'acqua, che scivolò piano, si increspò. Quando questa fu completamente calma, la principessa si affacciò sopra al piccolo contenitore e ci guardò dentro, ma non vide il suo riflesso, bensì l'immagine del viandante che dormiva sui rami.
Allungò la mano verso l'acqua e chiuse gli occhi.

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Stava camminando, ma non era più nella foresta. Anghell si guardò in giro, stupito. Non era più così selvaggio, i suoi capelli erano puliti, pettinati, e indossava delle leggere vesti bianche. Alla sua sinistra c'era una piccola cascata, che si gettava in un limpido bacino. In quel luogo regnava il verde e la luce del sole, ciuffi d'erba gli accarezzavano i piedi e le gambe. Si lanciò sull'acqua, e cominciò a bere avidamente, come chi sta ormai morendo di sete.
Si saziò, si sdraiò sull'erba e continuò a osservare quel paradiso. Tutti i suoi orribili pensieri, le sue orribili avventure, non gli saltavano nemmeno alla mente e si sentiva a casa. Sentì un fruscio dietro di se e si alzò, spaventato. «Stai tranquillo, non voglio farti del male.». Anghell rimase attontito da questa voce soave, e venne incantato da quello che si trovò dinnanzi. Era una ragazza, una ragazza fantastica: aveva un viso dolce, gentile, quasi da bambina. Un sorriso splendido, sincero, dalle labbra grandi, carnose, si rivolgeva al principe, mentre due occhi di un verde intenso, profondo, lo scrutavano. Due occhi fantastici, che gli penetravano l'anima e dai quali non riusciva a distogliere lo sguardo. I suoi lunghi capelli biondi le cadevano leggeri sulle spalle, facendo da cornice al dolcissimo viso, riflettendo la luce del sole, rendendo la sua figura ancora più fantastica. Il suo corpo era perfetto, alto ed esile, avvolto da una leggerissima veste di seta azzurra, e stava in quel paradiso come se fosse parte di esso.
«Tu... tu... tu chi sei?» disse il principe, ancora tramortito della bellezza della giovane.
«Ti basti sapere che io sono tua alleata, non voglio farti del male, principe Anghell.»
«Come fai a conoscere il mio nome?»
«Io ti conosco, ed ho bisogno di farti delle domande, ma non stiamo qui, scomodi, vieni.». La ragazza si avviò verso il bacino, si sedette sulla riva, facendosi accarezzare i piedi dall'acqua limpida. Il principe, sempre più attontito dalla sua incredibile grazie, si sedette accanto a lei.
«Come sei finito nella foresta?»
Per Anghell questo fu come uno schiaffo che lo riportò bruscamente alla realtà: non era in quel paradiso, era nella foresta. Stava vivendo un sogno. Pensò di svegliarsi, ma non voleva lasciare quella creatura angelica.
Decise allora di rispondere alla domanda: «Sono qui perché sono dovuto fuggire dal mio paese, e il mio destino ha voluto questo.»


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