La sindrome del laureato
di Andrea BellizziSeconda parte
Luca scostò il cellulare dall'orecchio e tornò accanto a Giorgio ed Enrico, le labbra strette in segno di insoddisfazione.
«Niente da fare. Il cellulare squilla a vuoto.»
Giorgio si rabbuiò. «Squilla a vuoto? Cioè funziona ma non risponde?»
«Esattamente. La linea prende, ma lui non mi risponde.»
«Strano. Gli sarà successo qualche cosa», osservò Enrico.
Nella sua testa di sposo in pericolo e molto nervoso, Giorgio immaginò la spider rossa di Dustin Hoffman che investiva in pieno e lasciava disteso sull'asfalto un prete vestito di nero e con il colletto bianco. A poca distanza dalla mano, il cellulare suonava a vuoto.
L'amico di Luca con gli occhialetti tondi e i capelli un po' troppo spettinati - il flauto dolce, appunto - scelse quel momento per arrivare fino a loro. «Come va? Ci sono notizie?», chiese con un tono di voce chiaro e moderato, ma forse un filino troppo svagato.
Giorgio lo guardò con un odio che non meritava. «Niente. Il prete è sparito», disse. Sarebbe sparito volentieri pure lui.
«Ah. Perché Liliana è un po' preoccupata», spiegò il musicista, per essere sicuro che fossero informati.
Giorgio fece un gran respiro e recuperò la calma. «Se è per questo siamo abbastanza preoccupati anche noi.»
«E adesso che si fa?», chiese Enrico, sollevando in modo esagerato le sopracciglia.
Anche zio Renato e un paio di parenti di Liliana si stavano avvicinando al loro gruppetto, in cerca di spiegazioni.Capitolo 1. Giorgio fece un altro gran respiro e raddrizzò le spalle. «Niente. Avvertiamo tutti che c'è un problema, poi si vedrà.»
Capitolo 2. Capitolo 3.- In cerca del prete
Aveva conosciuto Liliana a casa di amici, una serata in cui si festeggiava il compleanno di un collega, amico di Giorgio di vecchia data.
Una serata come tante, ma quella ragazza che non conosceva, Liliana appunto, aveva cominciato a chiacchierare e a scherzare con la familiarità e la naturalezza di chi ti conosce da una vita.
«Mi sono trasferita sull'Ostiense da sei mesi, ma non ho ancora fatto amicizia con nessuno», si era lamentata lei, ben presto, e «Beh, io non sto lontano. Abito in via Marco Polo», aveva fatto notare lui.
Così era scattato il loro primo appuntamento, quindi il secondo e il terzo. Al quarto appuntamento Giorgio, che non era tipo da decisioni rapide, aveva dichiarato i suoi sentimenti. Lei aveva sorriso, comprensiva, e aveva accettato i baci e le attenzioni.
Però c'era stato un uomo, prima, che lei aveva amato con intensità. Un uomo che era sparito di punto in bianco, e di cui Liliana non parlava mai.
Quello che Giorgio conosceva, lo aveva appreso da altre fonti, ossia dagli amici che Giorgio e Liliana avevano in comune.
«Era un bel tipo, un tipo simpatico», aveva detto di lui Michele. «Sai, uno di quelli che con le battute fanno un sacco ridere le ragazze.»
«A me non stava tanto a genio», aveva confessato invece Pierluigi. «Era un fighetto, e per i miei gusti ogni tanto prendeva troppo in giro le persone.»
Secondo Anna Maria, che aveva condiviso casa con Liliana per un anno, il tipo, Bruno, era intrigante e molto intelligente, con uno sguardo intenso che ti leggeva nei pensieri.
«Era uno stronzo», tagliò corto da parte sua Giovanna, facendo capire che si era comportato veramente male. Secondo alcuni il suo giudizio però era piuttosto inattendibile, perché anche lei aveva avuto un debole non ricambiato, per quello stronzo simpatico e intrigante, che prendeva un po' troppo in giro le persone.
Comunque sia, aveva lasciato il segno. Il fatto stesso che Liliana non volesse mai parlarne, faceva temere a Giorgio che non l'avesse dimenticato.
«È stata una storia molto intensa», si era lasciata sfuggire Anna Maria, un'altra volta che, con noncuranza, Giorgio aveva portato la conversazione sul passato. «Poi un giorno Liliana e Bruno hanno litigato, e lui è sparito dalla circolazione e non ne abbiamo sentito parlare più.»
Sparito da un momento all'altro, rifletté Giorgio; di colpo, pam, così. Il che voleva dire che poteva tornare altrettanto all'improvviso; come e quando avrebbe deciso lui.
Lo stronzo simpatico e intrigante inoltre si chiamava Bruno, con la "B" iniziale, come il Benjamin del film "Il laureato". Coincidenza neanche tanto impressionante, se la vogliamo dire tutta: se si fosse chiamato Beniamino, invece di Bruno, allora magari sì, sarebbe stata una bella combinazione. Purtroppo però Giorgio aveva le sue ossessioni poco ragionevoli, e a volte anche il nome di Liliana suonava male alle sue orecchie, perché gli sembrava che somigliasse troppo a Elaine.**
«Come sarebbe a dire che il prete non arriva?» La mamma dello sposo squadrò l'aiutante del sacerdote con aggressività e disapprovazione. «Le pare bello comportarsi in questo modo? Ma che si fa così?»
L'aiutante del sacerdote allargò le braccia con grande smarrimento. In quanto servitore della chiesa e obiettivamente in perfetto orario, non si aspettava di essere aggredito da nessuno.
Davide intervenne in sua difesa. «Mamma, che c'entra quel signore? Non è mica lui che manca. E poi può darsi che ci sia stato qualche inconveniente.»
La vecchia signora però non cedette. «E che ci stanno a fare i telefonini? Poteva avvertire, no?»
Poiché detto questo squadrò di nuovo l'uomo bianco vestito, quello si affrettò ad annuire subire, in segno di approvazione.
Giorgio, che stava decidendo cosa fare, sbottò con malcelata irritazione. «Mamma, per favore. Abbiamo già abbastanza guai.»
«Dicevo per te, figlio mio.» La voce di sua madre divenne all'improvviso lamentosa. «Proprio al tuo matrimonio, doveva succedere una cosa così!»
Doveva evitare una catastrofe, pensò in un lampo Giorgio, terrorizzato dall'idea di sua madre che cominciava a piagnucolare. C'era il pericolo che coinvolgesse nel nuovo sistema di protesta metà del parentado più sensibile, per cui guardò il fratello e disse: «Per favore Davide, porti la mamma fuori, magari a prendere un caffè?»
Il fratello aggrottò la fronte, ricordando di non avere visto nessun bar nei paraggi; però disse «Va bene» senza storie, quindi con molta pazienza e forza di persuasione convinse l'anziana donna a uscire fuori insieme a lui.
«Ho chiesto al custode, e mi ha detto che c'è una chiesetta a tre, quattro di chilometri da qui», comunicò finalmente Luca. «Dobbiamo uscire dal borghetto, andare a destra, imboccare via Licata e andare avanti dritti, fino a che non superiamo una rotonda e ancora dritti fini all'ingresso del paese.»
Giorgio tirò fuori una penna biro dal taschino e cercò un foglietto di carta su cui appuntare. «Che paese?», chiese.
«Fosso Palese.»
Giorgio annotò la strada e aggiunse diligentemente "Fosso Palese". «Un'altra chiesa d'emergenza?», chiese ancora.
Luca aggrottò la fronte: a un'altra chiesa non aveva pensato.
«Esattamente dalla parte opposta, un paio di chilometri più lontano.» Aveva parlato direttamente il custode della chiesa, che si era avvicinato al gruppo compatto formato dallo sposo, Luca, Enrico, zio Renato e dal suonatore di flauto dolce. «In più c'è una salita bella ripida da fare, fino alla Torre Barbaresca, dove c'è la chiesetta di San Vito.»
Il custode si appoggiò al manico della scopa con espressione pensierosa. «Non ve la consiglio troppo, però. Perché Don Fernando , il parroco, è un tipo col carattere difficile.»
«Difficile?», ripeté Giorgio.
Il custode tirò leggermente il capo indietro. «Gli piace un po' troppo il vino.»
Giorgio provò sconforto e irritazione. «Ma non si può telefonare a queste chiese?»
Il custode alzò appena un po' le spalle. «Qui non ci stanno elenchi telefonici. La sagrestia viene usata poco.»
«Vada per la prima chiesa», tagliò corto Giorgio. «Luca, tu vieni con me, per favore. Zio Renato, mi raccomando: tieni d'occhio tu, qui, la situazione.» Fece una pausa densa di significato. «E soprattutto mia madre.»
Zio Renato sorrise, sinceramente divertito. «Stai tranquillo, la tengo a bada io, la belva. Tu pensa a quanto sarà divertente, risolto tutto quanto, raccontare questa storia in giro!»
Giorgio ci pensò velocemente su, ma non era dello stesso avviso.
Luca invece sorrise immediatamente. «In effetti... E io che pensavo che mi sarei annoiato da morire!»
Giorgio afferrò il fratello per un braccio. «Va be', molto divertente. Però adesso andiamo.»**
Uscirono dalla chiesa in tre: Giorgio, il fratello Luca e in leggero affanno il flauto dolce, Maurizio.
Aniceto l'invincibile li attendeva giù in giardino, in piedi accanto alla macchina nuziale, indifferente al mondo e ai contrattempi altrui, mentre l'autista appoggiato contro il cofano fumava una sigaretta pensieroso.
«Un'altra persona da fare investire da Dustin Hoffman», pensò lo sposo nei confronti del cantante annoiato del suo matrimonio. Svam! Nel suo cervello si stampò l'immagine di Aniceto con le braccia tese ed allargate roteante in aria, e un'Alfa Romeo Duetto con nuvola di gas di scarico e terriccio esattamente sotto.
Uno sportello posteriore della Mercedes scura si aprì non appena il terzetto scese dall'ultimo gradino della scalinata.
«Giorgio, ma che succede?» Era suo suocero, il signor Vittorio.
«Il prete. È scomparso.»
«Come "scomparso"? I tuoi amici me l'hanno detto», e il padre della sposa indicò con un gesto vago Aniceto e Maurizio, «ma è possibile che questo qui non vi abbia nemmeno telefonato?»
Giorgio scosse la testa con riluttanza. Anche per lui, che era un tipo ligio agli impegni presi, questo restava un punto molto fastidioso. «No, non ha telefonato. E nemmeno risponde al cellulare, quando lo chiamiamo.»
Il signor Vittorio lo guardò in modo interrogativo e Luca si affrettò a spiegare. «Ci ha dato il suo numero l'aiutante che è venuto senza di lui.»
Il bravuomo rimase con la bocca aperta per un attimo, più sconcertato che arrabbiato. «Ma guarda che roba...», commentò alla fine, mentre restava ancora chiuso l'altro sportello posteriore della macchina: quello a cui lo sposo teneva di più.
«Lilli...», mormorò con rispetto Giorgio, avvicinandosi ulteriormente al veicolo immobile e abbassandosi all'altezza del finestrino sinistro posteriore.
Il vetro si abbassò con un rumore elettrico e la donna della sua vita, immagine della purezza, gli parlò con un sorriso pieno di malinconia. «Mi spiace, amore. Oggi non siamo fortunati.»
Giorgio sentì il suo cuore stringersi. Avrebbe dato tutto, per evitarle questa umiliazione. «Ho l'indirizzo di un'altra chiesa. Vado con Luca a prendere il prete che ci lavora, e lo porto subito qui.»
Liliana sorrise nuovamente. «Che ci lavora... Sembra che stai parlando di un idraulico, che ci deve salvare la casa allagata.» Toccò la mano destra dello sposo. «Non ti preoccupare, io ti aspetto. Comunque vada, possiamo sposarci quando ci pare.»
Giorgio sospirò in preda alla commozione. Stava parlando con una gran donna, disposta a dargli la forza e la serenità a cui agognava!
«Scusa, fratellino; ma prima andiamo e prima ritorniamo», fece notare Luca, riscuotendo il fratello da quell'esperienza di felicità perfetta. «Ed è meglio che andiamo con la mia BMW», aggiunse, facendo scattare l'antifurto con il telecomando. Sottintendeva il fatto che con la Citroen di Giorgio ci avrebbero messo di più.
Giorgio lo lasciò dire e fare. Nessuna esperienza mistica poteva prevalere sul suo senso pratico per più di sessanta secondi. Era agitato e quindi poco idoneo ad una guida valida, quindi era meglio che guidasse Luca, sarebbe stato più prudente. In più avrebbe anche risparmiato i soldi della benzina, il che non era male.**
Abbandonarono il parcheggio del borghetto con due manovre ben calibrate. Luca non perse tempo nemmeno a sgommare in modo coreografico, lucidamente teso a utilizzare nel modo migliore il tempo e i cavalli della sua Serie 3.
Vum! Filavano sulla provinciale che era un piacere. Perfino Giorgio dovette ammettere che con quella macchina sotto il sedere, guidare era tutt'altra cosa.
«Fosso Palese: ecco il cartello», si preoccupò di segnalare, appena usciti da una curva più stretta, soltanto due minuti dopo che si erano messi in moto.
«Visto», confermò Luca, sempre concentrato, portando la velocità a livelli più cittadini. C'erano le strisce pedonali, adesso, e dopo un po' la rotonda, come aveva spiegato il custode della chiesa.
«Accosta che chiedo», disse Giorgio, indicando i tavolini fuori di un bar.
Un signore col cappello e la canottiera in vista sotto la camicia aperta a mezze maniche, indicò loro una salita. «Andate su. Che sarà? Due, trecento metri.» I compagni di tavolino annuirono. «E dopo la prima curva ci sta la chiesa di Santa Maria Generosa.»
Luca rimise in tiro il valido sei cilindri della macchina e poco dopo avevano già accostato di fronte al cancello della chiesa.
«Piccola, ben curata e a misura d'uomo», pensò per prima cosa Giorgio, apprezzando il muretto basso, che permetteva ai passanti di sedersi e di riposarsi dalla fatica della salita. Un piccolo cancello, ancora aperto, impediva ai motorini di infilarsi troppo vicino agli spazi sacri.
«Un'altra chiesa che sembra una chiesa», considerò paragonandola alla chiesa del suo matrimonio e in opposizione alle troppe chiese dalle architetture stravaganti di cui si stava riempiendo la città di Roma. Detestava soprattutto il profilo futuribile di quella che aveva più vicino a casa; tanto che istintivamente evitava i suoi paraggi, preferendo acquistare il giornale in un'altra edicola, diversa da quella che stava sul lato opposto della strada.
Oltrepassarono il cancello e fatti pochi passi entrarono nella chiesa. All'interno, spartano ed essenziale, li accolse una piacevole frescura.
La luce più suggestiva veniva da una vetrata colorata, che illuminava una statua candida, della beata vergine Maria.
«Tutti quanti segni di buon augurio», concluse lo sposo, speranzoso. Ormai non desiderava altro che un poco di fortuna.
«E adesso che facciamo? Non c'è nessuno», disse Luca.
In realtà c'era una figura piccolina, inginocchiata ad un'estremità del primo banco, a destra dell'altare. Una vecchina con un velo nero in testa, lì per lì invisibile, completamente assorta nella preghiera.
Giorgio la indicò al fratello. «Provo a chiederle informazioni», quindi si avvicinò con molto garbo, cercando di non disturbare.
Le era accanto, ora: esattamente alla sua destra. Solo che era talmente concentrata, con il capo appoggiato alle mani giunte, che non poteva notare la sua presenza.
Giorgio esitò un momento, consapevole dell'intimità della situazione. Il suo matrimonio però era in pericolo mortale, così si decise e a bassa voce chiese: «Scusi, lei per caso sa dove si trova il parroco? Io gli dovrei...»
La parola successiva era "parlare", ma la vecchina disse: «Eh?», con un'intensità di voce preoccupante, tipica di chi non ci sente troppo bene.
Istintivamente Giorgio mise le mani avanti, come per dire che non importava più, ma nonostante questo ci scappò un altro «Eh?» fin troppo acuto, e al giovanotto non rimase altro che fare un passo indietro.
«Niente, niente. Non si preoccupi, signora», provò a proporre Giorgio, in modo conciliante. Suo fratello intanto era andato in avanscoperta, oltre la prima fila dei sedili, sul fianco destro dell'altare.
«Qui c'è una porta», avvertì Luca dalla penombra. Quindi tornò indietro e disse: «Forse è la porta della sagrestia.»
«Esù», bofonchiò a mezza bocca la vecchina, improvvisamente su di giri.
«Esù», ripeté la vecchia, quasi strozzandosi, e Giorgio provò a comunicare proponendo: «È su? Mi scusi, signora: vuol dire che il prete è su?»
La donna sillabò con maggior chiarezza: «Ge-sù!»
Gesù? Giorgio ci pensò su perplesso. Che c'entrava adesso Gesù? Il nome sacro, pronunciato in quel modo smozzicato, non lo rassicurava neanche un po'.
«Gesù!», ripeté la vecchina, con un tono ancora più sonoro. Stava fissando un punto alle sue spalle, adesso, e sembrava molto sorpresa da quello che vedeva.
Giorgio si voltò, per controllare di persona: c'era soltanto suo fratello, che allargò le braccia a croce in segno di difficoltà.
Stavolta la vecchina si animò in maniera esagerata. «Gesù!», esclamò eccitata, indicando prima Luca e poi un quadro scuro, un po' più in alto della vergine Maria.
«Ma che gli prende?», pensò con terrore Giorgio, facendo «Ssss» per arginare la signora. Lei però mormorò «Gesù» con reverenza, toccandosi il cuore con la mano destra, e solo allora si rese conto che suo fratello, con i capelli lunghi intorno al viso e la barba ben curata, somigliava alla figura ritratta nel dipinto, su un crocifisso, con le braccia completamente spalancate.
«Oddìo, che pasticcio», fece ancora in tempo a commentare, mentre la porta segnalata da suo fratello Gesù-Luca si apriva spinta con energia.**
«Cosa succede?», chiese con sacrosanta urgenza il parroco di Santa Maria Generosa, rivolgendosi ai due sconosciuti in piedi, vicini all'altare del Signore.
«Oh, buonasera...», a Giorgio venne istintivamente in mente "signor prete", ma si fermò in tempo, per fortuna. «Ci scusi se abbiamo fatto del rumore, ma la signora qui...»
«Gesù.»
«Ecco, si, vede? Credo che abbia scambiato mio fratello per un'altra persona.»
Il parroco si avvicinò alla vecchina sorridendo. «Che cosa c'è, signora Pia? Come andiamo?»
L'anziana donna alzò un braccino esile per indicare Luca.
«Si, quel signore. Gli vuol parlare?»
La vecchia fece di no col capo, timorosa.
«È solo un signore che è entrato per fare visita alla nostra chiesa», spiegò con calma il parroco, sedendo sulla stessa panca. A questo punto si rivolse a Luca: «La prego, venga qui per favore.»
La vecchia strinse i polsi del religioso, mentre il visitatore si avvicinava.
«Ecco, lo vede? Questo signore si chiama...» Il parroco guardò il giovanotto in piedi.
«Luca. Mi chiamo Luca.»
«Ah, Luca. Come San Luca Evangelista», commentò con voce pacata il parroco. «Ha capito, signora Pia? Un signore col nome del santo evangelista, che è venuto a farci visita e a salutare.»
La voce era davvero tranquillizzante, e la vecchina si tranquillizzò.**
Il parroco si era rialzato sorridendo. Era bastata un'ultimo buffetto di affettuosa solidarietà sopra le spalle microscopiche della vecchina, per riportare la situazione alla normalità.
Luca provò a scusarsi. «Mi scusi per la signora, ma io ho solamente...»
Il parroco lo interruppe. «Non si preoccupi. La cara signora Pia confonde col nostro salvatore tutti i ragazzi che abbiano un po' di barba ed i capelli lunghi, e con San Giuseppe tutti gli uomini con i capelli ricci e grigi.» Il viso intelligente si fece di nuovo allegro. «Oddio, non è che accada tutti i giorni; ma una volta al mese magari sì.»
Giorgio si decise a intervenire. «Mi scusi, padre, ma noi saremmo qui per una questione di una certa urgenza.»
Il parroco ascoltò con espressione attenta; il visitatore spiegò che cosa gli era capitato e che cosa gli serviva.
«Capisco. Il mio collega deve avere avuto un contrattempo», concluse il sacerdote, comprensivo. A questo punto, però, non poté fare a meno di sorridere. «Non mi era mai capitato di sentire che scompaia il sacerdote; di solito è lo sposo che non si presenta alla cerimonia!»
Luca annuì da esperto. «Il fatto è che mio fratello non è mai stato molto fortunato.»
Lo sposo sopportò in silenzio. Aveva una rassegnata dignità.
«Ho solo un piccolo problema da risolvere», spiegò il parroco di Santa Maria Generosa. «In sagrestia ho lasciato un mio amico meccanico, al quale dovevo far vedere la mia macchina, e devo avvertirlo che mi assenterò per circa un'ora.»
Giorgio, che si era dimenticato del compenso e del dopo cerimonia, si affrettò a rimediare. «È ovvio, padre, che lei sarà nostro ospite anche a cena. Per quanto riguarda un'offerta alla sua chiesa... Mi dirà lei la cifra necessaria.»
Il parroco sorrise ancora. «Non si preoccupi, figliolo; per oggi lei ha avuto abbastanza conti da pagare. È solo che non posso lasciare la parrocchia per troppo tempo. Dovrò ufficiare messa, questa sera, e devo avvertire i miei parrocchiani che si terrà più tardi, per via del vostro matrimonio.»
Il prete si allontanò velocemente.
«Che dici: lo abbiamo messo in un pasticcio?», chiese lo sposo a suo fratello.
«Non credo. Magari, invece, gli abbiamo reso meno noiosa la giornata.»
Giorgio annuì, tranquillizzato. Se Dio voleva, il suo matrimonio si poteva ancora fare. «Allora avverti zio Renato che stiamo per tornare indietro.»
Luca tirò fuori da una tasca il suo telefonino grigio e nero e rintracciò il numero nella rubrica.
Avvicinò l'aggeggio all'orecchio destro.
Attese.Capitolo 4. Aprì la bocca e disse: «Abbiamo il prete.»
Capitolo 5. Capitolo 6.- Ritorno alla base
Il parroco tornò con un foglio in mano, seguito da uomo come lui sulla quarantina, in jeans e camicia a scacchi rossi e blu, piuttosto vissuta.
«Il meccanico di cui vi ho parlato», spiegò semplicemente il prete, avviandosi senza altri indugi verso l'ingresso della chiesa.
Anche il meccanico non perse tempo, limitandosi a dire: «Piacere.»
Sul foglio che il parroco appuntò sul portone della chiesa era spiegato qualcosa tipo: «Per via di un'emergenza, la messa della sera verrà spostata mezz'ora o un'ora un dopo.
Il parroco disse: «Ecco fatto», e rivolto al meccanico aggiunse: «Allora, siamo d'accordo, Toni. Io vado con i signori, al borghetto dei conti Paluzzi. Tu fai un giretto con la macchina, così senti quel rumorino che viene dal motore. Poi mi vieni a riprendere fra una mezz'ora la massimo, fammi il favore, così i signori sono liberi di andare a cena e di godersi la serata.»
Il meccanico non fece nessun problema. «Va bene, anzi vi seguo direttamente. Voi intanto andate. Ci vediamo dopo.»
Luca, Giorgio e il sacerdote salirono sulla BMW. Luca e Giorgio davanti, come prima; il parroco di dietro.
«Mi dispiace per il disturbo che le diamo», ci tenne a ribadire Giorgio. «Se per la cena ci ripensa, le ricordo che è sempre il benvenuto.»
Il parroco scacciò via ogni preoccupazione con un gesto noncurante della mano. «Non si preoccupi, figliolo. Si tratta di un'emergenza ed è mio dovere darvi aiuto. In ogni caso, non c'era niente di vitale, che oggi dovessi fare.»
Luca guardò il fratello con l'aria di chi la sa molto lunga.
La BMW partì con decisione.**
«E così ha la macchina che le dà qualche problema», disse il futuro sposo, tanto per riempire il silenzio del breve viaggio e per cortesia verso il loro passeggero.
«Eh, si. Ha un rumorino fastidioso che viene dal motore. D'altronde è un'automobile piuttosto vecchia, è naturale che cominci a fare un poco di capricci.»
«Che auto è?», chiese Giorgio.
«Un'Alfa Romeo Spider millesei, del '92.»
Giorgio non recepì immediatamente. Lì per lì associò il concetto "Spider millesei" a un'Alfa 33 o a un'Alfa 75. Ma Spider voleva dire decappottabile sportiva... Era il Duetto usato da Dustin Hoffman nel film Il Laureato!
Luca guardò il fratello con aria preoccupata. Aveva fatto la stessa associazione e ora studiava la sua reazione.
Giorgio sembrava impallidito, e improvvisamente a corto di argomenti.
Lo spider guidato da Dustin Hoffman... Il fantasma di Benjamin, con una grossa croce in mano, faceva irruzione nella chiesa del borgo priva di difese, avanzando come un ossesso inarrestabile verso l'altare e verso la sua sposa.
«Una bella macchina», si inserì Luca. «Un po' insolita, magari, per un uomo di chiesa.»
Il parroco sorrise. «Si, è vero; lo ammetto. Un prete dovrebbe girare con una Fiat o una Renault, eh? Però la davano via per quattro soldi, e si arrampica su per le salite dei dintorni che è un piacere... D'altronde nostro Signore non ha niente in contrario verso le cose belle del creato; e tutta rossa, rimessa a nuovo, bisogna dire che la mia spider è proprio un inno alla bellezza di questo mondo!»
Rossa! Come la macchina del ladro di spose che lo perseguitava. All'improvviso, nel sorriso simpatico del prete Giorgio lesse un che di derisione.
A poco valse l'osservazione di suo fratello: «D'altronde il Duetto deve essere di colore rosso. Se no che Duetto sarebbe?» A Giorgio questa coincidenza non piaceva.**
Il cancello del borghetto era poco più avanti, a sinistra della strada.
«Ma lei è sempre stato a Fosso Palese?», chiese Giorgio, che sentiva l'urgenza di indagare.
«Veramente no. Sono arrivato qui alla fine dell'anno scorso, quindi da sette, otto mesi. Ma prima era volontario in Africa.» Muovendo la mano destra come poco prima, allontanò le immagini di un passato superato. «Sarebbe una storia troppo lunga da raccontare.»
Giorgio studiò il volto del sacerdote con attenzione. Un volto giovanile, dove non vi era traccia di imbarazzo o di peccato. Anche un po' troppo giovanile: neanche un capello grigio rigava i capelli corti e riccioluti.
L'ex della sua Liliana era scomparso da tre anni circa. «E quanto tempo è stato in Africa?»
«Ci sono stato per due anni.»
La BMW sobbalzò leggermente sopra l'acciottolato e si affiancò alla Citroen dello sposo.
«Eccoci arrivati», comunicò ai passeggeri Luca, sfilandosi la cintura di sicurezza e aprendo lo sportello.
Giorgio fece altrettanto controvoglia. Non c'era più tempo per gli interrogatori.**
Nel giardino del borghetto, la situazione era cambiata un poco. Intorno alla macchina della sposa, oltre all'autista, ad Aniceto e Maurizio e a suo suocero Vittorio, c'erano anche la madre di Giorgio ed il fratello Davide, più un altro paio di parenti della sposa.
Alcune persone, inoltre, erano affacciate sulla balconata, stanche evidentemente di restare in chiesa ad aspettare.
Giorgio guardò sua madre muovere la testa in modo combattivo e prima di avvicinarsi troppo alla Mercedes si affrettò a dare al fratello alcuni disposizioni.
«Luca, vai direttamente in chiesa con il parroco e spiega alle persone che sono fuori che si è risolto tutto, per favore. Io passo da Liliana per tranquillizzarla e poi salgo subito di sopra.»
Gli occhi di sua madre e del gruppetto lo scrutavano, aspettando preziose informazioni.
Giorgio li accontentò in tre secondi. «Abbiamo portato il prete per la cerimonia. Sta salendo in chiesa insieme a Luca. Andate su anche voi, per favore.»
Maurizio, Aniceto e i due parenti della sposa si mossero immediatamente.
«Anche tu e mamma, per piacere, Davide.»
Sua madre si ribellò immediatamente. «Ma che è successo? E io non devo entrare in chiesa insieme a te?»
«Si è tutto risolto, mamma. Salite su in chiesa intanto, che io vi raggiungo subito. Devo soltanto dire due parole al signor Vittorio e a Liliana.»
Davide comprese l'urgenza del fratello. «Andiamo, mamma», disse, spostando la vecchia signora che protestava.
«Tutto bene, Giorgio?», chiese il signor Vittorio, che aveva comunque un'espressione già sollevata.
Giorgio sorrise in modo rassicurante. «Tutto bene, signor Vittorio. Ora saluto Liliana e appena sono dentro potete subito salire.»
Il finestrino posteriore della Mercedes stavolta era completamente già abbassato.
«Ciao, Liliana, è tutto quanto a posto.»
Lo sposo toccò una mano guantata della sposa. La sposa lo guardò con occhi fiduciosi.
Giorgio si mordicchiò il labbro inferiore, roso dall'indecisione. «C'è solo una cosa... Hai visto il prete che ho portato?»
«Quell'uomo insieme a Luca?», chiese la futura madre dei suoi bambini.
Giorgio annuì, nervoso.
«Gli ho dato un'occhiata, ma non l'ho visto bene», disse Liliana, con voce limpida e sincera. «Perché?»
Una decappottabile rosso sangue entrò in quel momento nel giardino.
«Niente, niente. Non è importante», tagliò corto Giorgio. Era arrivato il meccanico con il Duetto del sacerdote.
«Io vado su», sorrise lo sposo, a denti stretti. Fece ciao con la mano, gettò un'occhiata all'Alfa splendida e datata, quindi si sbrigò a salire i gradini che portavano alla chiesa.**
Giorgio si asciugò il sudore con un fazzoletto. Percorse il corridoio centrale della chiesa con passi rigidi e scoordinati.
Sentiva ostilità nell'aria: la chiesa non era più un luogo protettivo.
Raggiunse l'altare sorridendo, ad ogni modo. Doveva avere fiducia nel destino.
Anche il sacerdote sorrideva, come al solito. Aveva contagiato persino l'aiutante dell'altro prete.
«Tranquillo, Giorgio: è fatta», gli mormorò Luca per incoraggiamento.
Lo sposo scacciò l'immagine troppo assurda di Liliana, che di fronte all'altare riconosceva nel prete simpatico e intrigante il suo ex amante misterioso. Ma quanto tempo sarà necessario, però si chiese, per diventare da laico a sacerdote?
Una sagoma si stagliò all'entrata della chiesa. L'organo intonò in perfetto sincronismo le prime note della marcia nuziale.
«È fatta, è fatta», si ripeté lo sposo, determinato e teso.
La marcia nuziale perse lo slancio e si interruppe, mentre il signor Vittorio avanzava con passo incerto nella chiesa.
«È solo», constatò con precisione inutile Enrico, il testimone della sposa.
«Cazzo», mormorò con efficace sintesi Luca, il testimone dello sposo.
Il padre della sposa raggiunse Giorgio con un certo affanno. Nell'aria ingigantiva un mormorio di stupore generale.
«Cos'è successo?», chiese Giorgio. Riusciva a percepire soltanto il padre di Liliana e niente altro; il resto della realtà si era come dissipato.
Il signor Vittorio mosse un braccio in un gesto vago. «È arrivato Bruno, con una spider rossa.»
La frase era breve e chiara, ma Giorgio non comprese. «Non ho capito.»
Se aveva un po' di sicurezza, il signor Vittorio la perse improvvisamente. La devota signora Pia sarebbe rimasta frastornata: il signor Vittorio era vecchio come San Giuseppe, ma sofferente come Gesù di Nazaret sulla croce. «È arrivato Bruno, il vecchio fidanzato di Liliana», disse aprendo le braccia come un Cristo stanco e invecchiato. «Sta cercando di convincere Liliana ad andare via con lui.»
La mia Liliana..., pensò lo sposo, per un attimo annientato.
La mia Duetto..., pensò invece il parroco di Santa Generosa, assai sorpreso.
Giorgio spostò il signor Vittorio bruscamente e cominciò a correre verso l'ingresso della chiesa, purtroppo preceduto da chi si era già reso conto che stava avvenendo qualcos'altro di clamoroso.
«Permesso!», gridò per farsi dare spazio, ma quando si affacciò dalla balconata della chiesa vide che la sua Liliana era accanto all'Alfa Romeo del suo rivale.
«Liliana!», urlò a questo punto, per farla voltare e per fermarla, ma lei si girò e guardò verso di lui col viso troppo piccolo per la distanza. Era impossibile decifrare la sua espressione.
«Liliana, aspetta!», gridò stavolta. Si staccò dalla balconata per raggiungerla, ma un paio di mani lo trattennero afferrandolo per la giacca.
«Lascia che vada via, quella puttana!» Erano le mani e la voce aggtressiva di sua madre, che aveva sempre detestato la sua fidanzata.
Giorgio si divincolò, per liberarsi, ma per un attimo fu trattenuto anche da suo fratello Davide, che era ben più prestante della madre.
«La mamma stavolta non ha tutti i torti», gli sussurrò il fratello, quindi mollò la presa.
Giorgio scese a rotta di collo per la scala di pietra e corse in direzione della spider. La sua Liliana non gli poteva fare questo... la sua Liliana.
La macchina sportiva si mise in moto; lei si voltò bellissima.
Un fotogramma nitido, in cui Liliana lo guardò con sincero dolore e dispiacere.
Però se ne andò via lo stesso. La grandissima puttana.**
Insomma, saltò fuori che il nome del meccanico era Bruno, e che quel Bruno era lo stesso Bruno di Liliana.
Caso voleva che si fosse trasferito a Fosso Palese dove abitavano dei parenti, che gli trovarono anche un buon lavoro.
«È un bravo meccanico», assicurò Don Carlo, col pensiero rivolto alla Duetto. Per non pensare alla sua perdita (di certo solo momentanea) e per non doverne denunciare la sparizione ai carabinieri (non poteva tradire un parrocchiano), aveva deciso di non tornare alla sua chiesetta, almeno per quella sera.
«Ma perché lei lo ha chiamato Toni?», chiese con un certo risentimento Giorgio. Con tutto quello che aveva passato, aveva bisogno di qualcuno o qualcosa da incolpare.
Il prete mandò giù un altro boccone senza sentirsi in colpa. «Di cognome Bruno fa Tonini. Per questo giù in paese lo chiamiamo Toni.»
Giorgio sospirò per la frustrazione.
Erano al ristorante Dea della Fortuna, con quasi tutte le persone che erano previste negli inviti. Dato che la cena era stata già pagata, aveva prevalso il senso pratico e anche l'orgoglio di fare buon viso a cattivo gioco.
«Un altro po' di vino?», propose Luca, premuroso.
Giorgio guardò il fratello più giovane con sguardo rassegnato e riconoscente. «Va bene. Però lo voglio rosso», disse, con un ennesimo sospiro.
Col rosso, più forte e più corposo, sbronzarsi sarebbe stato più veloce.