Agua fria
di Alessandro Testa
Per prima cosa, vide la polvere.
Era sempre così, ormai ci si era abituato; la nuvola giallastra precedeva sempre l'arrivo di qualcuno e, ogni volta che la vedeva, si disponeva ad aspettare. Era così tanto tempo che lo faceva da non ricordarsi più nemmeno quando avesse cominciato, a volte dubitava perfino di essere stato in qualche altro posto diverso dal poggio roccioso straziato dal sole, immobile come le pietre che lo circondavano.
La polvere. Ciò che a un occhio superficiale poteva apparire come uno sbuffo di calcare in balia del vento, per lui era invece una specie di linguaggio con tanto di grammatica e sintassi, vocabolario e letteratura. In base alle dimensioni, al modo in cui saliva verso il cielo portata dal vento e perfino dal modo in cui la nuvola madre si rompeva in mille e più mulinelli disordinati poteva capire tante cose su chi sarebbe spuntato dietro il costone intorno al quale la vecchia strada sterrata compiva una curva a gomito. Più che un'arte divinatoria, si trattava di un gioco nel quale era sempre lui a vincere: dopo un primo periodo d'apprendimento, era diventato infallibile e ogni volta si compiaceva della sua abilità, cercando di portarla oltre il limite precedentemente raggiunto aggiungendo alla sua previsione particolari via via più dettagliati.
Seduto lì, accovacciato con la schiena alla roccia piatta, passava il suo tempo cercando di superarsi ed ogni volta era un po' più difficile della precedente.
Socchiudendo gli occhi per eliminare il riverbero del sole, osservò attentamente la nuvola; il vento la trasportava a grande velocità modellandola con eleganza, quasi avesse in mente un progetto artistico. Ben presto, però, la nuvola si ruppe in tanti piccoli sbuffi irrequieti che nel giro di alcuni secondi si dispersero in tutte le direzioni. Uno di essi lo raggiunse, schiaffeggiandolo rudemente e lasciandogli addosso una sottile pellicola di sabbia.
Nestor abbassò il viso fino a toccare il petto col mento e si passò velocemente una mano sulle guance per liberarsi dai granelli. La nuvola era scomparsa, ma la fugace occhiata che aveva potuto dare era più che sufficiente affinché facesse la sua previsione.
«Quattro ruote pesanti, motore diesel... un fuoristrada con due uomini: poco carico e tanta fretta.»
Faceva sempre così: non si limitava a pensare, parlava a voce alta come per comunicare la propria diagnosi a qualcuno seduto al suo fianco. A volte s'inventava una risposta dell'immaginario interlocutore e ribatteva, a voce alta, inscenando un vero e proprio battibecco.
Quando il fuoristrada sbucò dalla curva, sollevandosi leggermente sulle ruote esterne e sollevando una raffica di pietrisco, Nestor non riuscì a trattenere un grugnito di soddisfazione: quattro grosse ruote motrici spingevano la jeep lungo la strada, sballottando autista e passeggero come su un otto volante. Dopo essere scomparsa varie volte alla sua vista seguendo il tortuoso percorso della mulattiera, finalmente la jeep infilò il tratto rettilineo che portava alla sommità della collina rocciosa, dove Nestor stava accovacciato. L'auto si fermò bruscamente davanti a lui e, quando l'aura di sabbia che l'avvolgeva scomparve, due teste si voltarono verso di lui.
«Buenos dias, señores!» Nestor sollevò appena la tesa del sombrero in segno di saluto, scoprendo nel sorriso una fila irregolare di denti ingialliti e rosi dai troppi sigari.
I due uomini si guardarono in faccia per un attimo, cercando di capire se quel tipo seduto ad arrostire in quell'angolo di deserto fosse un matto o un suicida. Il primo a parlare fu il passeggero, un tipo giovanile che, quando si tolse per un istante il cappello per detergersi il sudore, mostrò folti capelli biondo cenere, il viso abbronzato e rattrappito in una ragnatela di rughe profonde che gli conferivano un'aria da lupo di mare. Nestor pensò che doveva essere un uomo abituato a viaggiare, uno di quei tipi senza radici sempre con lo zaino in spalla, pronti a saltare sul primo treno o anche solo in groppa ad un mulo per raggiungere luoghi maledetti dal resto dell'umanità.
Ma questa, pensò con rammarico, era una supposizione che l'analisi della nuvola di polvere non poteva confermare.
«Ciao, amigo.» Aveva una voce rotonda, penetrante.
«Posso esservi utile?»
«Spero proprio di sì. È possibile che...» l'uomo si voltò per un attimo verso l'autista, poi riprese «ci siamo persi.» Dal tono della voce era evidente che lui non si sentiva responsabile per l'accaduto, al contrario di chi era al volante. Nestor annuì.
«Persi.»
«Già.»
Il vento era improvvisamente calato e l'aria intorno a loro era divenuta incandescente. Il biondo inarcò un sopracciglio, mentre l'autista mormorava qualcosa d'incomprensibile e scendeva dall'auto, sgranchendosi la schiena e girando intorno alla jeep per fermarsi a gambe larghe davanti a Nestor. A differenza del biondo, era pallido e nervoso; indossava un paio di calzoni lunghi di lino e una camicia a maniche corte che doveva essere stata bianca ma che ora era cosparsa di macchie color nocciola nei punti in cui il sudore aveva fermato i granelli di sabbia sulla stoffa. Continuava a strofinarsi la nuca con un fazzoletto ormai sudicio e zuppo di sudore mentre l'altra mano era infilata per metà nello spazio tra due bottoni. L'orologio al polso rimandava riflessi bianchi quando la luce del sole si rifletteva sul vetro del quadrante.
«Questo posto... si chiama Agua Fria?» La sua voce era roca, quasi un sussurro.
«Sì, señor.»
«E dove cazzo sarebbe, l'acqua?»
«Alan...»
«E lasciami in pace, David!» Sbottò all'indirizzo del biondo, agitando le due mani come per allontanare da sé l'incubo. L'altro sospirò ed aprì la portiera, scendendo a sua volta dalla jeep.
Era più basso del compagno, e nel complesso sembrava tollerare meglio la difficile situazione. Indossava un paio di bermuda color sabbia e una camicia piena di tasche, tutte rigonfie. Entrambi portavano un cappello, ma quello del biondo era ingentilito da un ciuffo di piume multicolori che spuntavano oltre il contorno posteriore della tesa.
Nestor indicò col capo l'uomo pallido che nel frattempo si era allontanato di qualche metro.
«Nervoso, eh?»
Il biondo annuì. «Si sente responsabile... il fatto è che non capiamo come sia potuto accadere: eravamo sull'interstatale e d'improvviso ci siamo ritrovati su questa mulattiera, talmente stretta da impedirci d'invertire la marcia.»
«Eh, sì: questa è veramente una brutta strada.»
Il biondo nel frattempo si era chinato all'interno dell'abitacolo. Quando si voltò nuovamente verso Nestor, aveva in mano una carta stradale.
«Qui la strada è indicata... la deviazione secondaria di un'altra deviazione.» Scosse il capo, incredulo. «Continuo a non capire come abbiamo potuto imboccarla. Ad ogni modo, come diceva il mio amico, questo posto dovrebbe essere Agua Fria.»
«Esatto.»
Il biondo, grondante sudore, sporco di sabbia e certamente mezzo morto di sete, riuscì a trovare l'energia per sorridere.
«Acqua fredda... chi ha dato il nome a questo posto doveva avere un macabro senso dell'umorismo.»
Nestor sorrise a sua volta, allargando le braccia. «Quien sabe, señor...»
Il biondo rimase impassibile, le mani lungo i fianchi, la tesa del cappello mossa dal vento che intanto era ripreso più impetuoso di prima. Alan era tornato sui suoi passi e si era messo al fianco del compagno di viaggio.
«Non sei un tipo che si sbottona facilmente... eppure, visto che passi la tua giornata arrostendoti al sole di questo deserto dovresti sbavare al pensiero di scambiare qualche parola con dei tuoi simili.» Il biondo era tornato a sorridere, ma Nestor cominciava a sospettare che la sua fosse una specie di paresi da caldo.
Alan sbuffò rumorosamente. «Insomma, sto cominciando a perdere la pazienza!» Poi si rivolse all'uomo col sombrero, puntandogli contro la mano che stringeva il fazzoletto bagnato di sudore.
«Nel caso non te ne sia reso conto, siamo in questo cazzo di forno all'aperto a chiederci come uscirne, come fare per non morire di sete...e tu te ne stai lì a ridere come un idiota!»
Nestor si tolse il sombrero, scoprendo la chioma corvina perfettamente pettinata con la scriminatura a sinistra. Dopo essersi grattato la nuca, rimise a posto il copricapo e infilò una mano nel poncho multicolore, tirando fuori un enorme sigaro texano che accese con perizia, usando un fiammifero riparato dalle due mani a coppa. Il fumo acre e il penetrante odore del tabacco si dispersero rapidamente insieme con la polvere.
«Desculpame, señor, ma non è colpa mia se fa così caldo e voi due vi siete persi.»
Alan agitò il fazzoletto per eliminare la polvere e se lo passò sul viso, madido di sudore. «Se almeno non te ne stessi lì a... ma non senti caldo? Non hai sete, per Dio?»
«In effetti» intervenne David che nel frattempo si era piazzato il fazzoletto sotto il cappello in modo da coprire la nuca «Dovresti già essere arrostito, sei qui da chissà quanto tempo e sembra che il sole non ti tocchi nemmeno.»
Nestor sorrise, mostrando i denti che stringevano il sigaro. «Se sono qui, ci sarà pure un motivo.»
«Ecco che inizia con gli indovinelli...» Alan alzò gli occhi al cielo, allargando le braccia in segno di disperazione. «Come se ci fosse un motivo per stare qui ad arrostire!»
La cenere si staccò dal sigaro e si avvitò verso l'alto, seguendo un mulinello. Nestor rimise le mani nel poncho, piegò le gambe e si alzò, apparentemente senza sforzo. Alan e David l'osservarono aggiustarsi i pantaloni di tela e agitare i piedi per togliersi la sabbia dai sandali. Dopo aver dato una voluttuosa boccata, rimise il sigaro in bocca e sorrise ai due, facendo loro segno di seguirlo.
«Non so come abbiate fatto a perdervi, señores. Questa carretera è molto lunga e ci vorrà del tempo prima che possiate sbucare di nuovo su una strada come si deve, perciò è consigliabile che facciate una pausa. Magari vi date una rinfrescata e fate una bella siesta.» S'incamminò lungo la strada, apparentemente diretto verso il nulla. La stretta carreggiata si apriva sul vuoto a sinistra, mentre a destra era delimitata dalla nuda roccia, liscia come vetro a causa dell'erosione del vento. Si muoveva agilmente, come se il caldo non lo colpisse, e la sua bassa statura gli conferiva un'aria quasi comica, da folletto.
«Una sosta? Vuoi dire che qui c'è un posto dove riposarsi che non sia una specie di girarrosto?» chiese Alan, esasperato. Nestor non rispose e proseguì senza nemmeno voltarsi a vedere se i due lo seguivano.
I due uomini decisero di seguirlo: c'era in lui qualcosa di strano che meritava di essere approfondito.
«Ustedes estan cansados? Che idiota, certo che siete stanchi. Da dove venite?» Nestor si rivolse a loro precedendoli di qualche metro e incurante del loro ansimare.
«Veniamo da Amarillo.» Rispose David.
«New Mexico?»
«Texas.
Nestor annuì, alzando la mano che stringeva il sigaro. «Ora vi mostrerò qualcosa che vi farà ritrovare l'amore per il creato.»
Si fermò improvvisamente, a pochi metri da una curva cieca che nascondeva la strada dietro la montagna.
«E adesso?» Fece Alan, che in quel momento avrebbe ucciso per una doccia gelata. «Stai a vedere che dobbiamo scavare nel maledetto calcare...»
David non disse nulla; si sentiva male, la vista era annebbiata per il caldo e sentiva la gola ruvida, come se qualcuno gli avesse passato dentro la carta vetrata. Osservò Nestor dare una boccata al sigaro e poggiare la mano libera sulla roccia rossastra.»
«Señores...» Si rivolse a loro sorridendo. «Dopo di voi.»
I due rimasero paralizzati, poi si guardarono per capire se entrambi fossero vittima di un miraggio o se quello che avevano visto era reale. Quando fu chiaro che non si trattava di un'allucinazione, che tutto era vero e concreto come il poncho e il sombrero di Nestor, deglutirono rumorosamente e si avvicinarono al punto indicato.
«Che Dio possa avere pietà della mia povera anima...» Alan si passò il fazzoletto bagnato e sporco sugli occhi, ma quando tornò a fissare vide la stessa identica cosa: una lastra di roccia si era come staccata dalla montagna e aveva preso a scorrere all'interno, scoprendo un'apertura grande come il portone di un edificio. Non era possibile vedere l'interno, ma era chiaro che quell'apertura, quel meccanismo così perfettamente progettato, conduceva a qualcosa che valeva la pena vedere.
«Vamos, vamos...» Nestor li esortò con un gesto ad entrare. Alan fu il primo, seguito da un incerto David. Quando il biondo fu alla sua altezza sorrise ancora, incoraggiante, e gettò il sigaro verso il burrone. «Tanto non si può fumare, qui dentro.»
David scomparve all'interno, dopo aver esitato ancora un istante. Nestor si tolse il sombrero, sbattendolo sulla coscia. Dopo aver dato un ultimo sguardo intorno a sé, come per sincerarsi che nessuno fosse nei paraggi, entrò a sua volta. La lastra di roccia scivolò silenziosa dietro di lui, richiudendo il passaggio.*******
«Che Dio possa avere pietà della mia povera anima...»
«L'hai già detto, Alan.»
L'uomo pallido si passò una mano tra i capelli zuppi di sudore. «Ma prima dicevo così, per dire.»
Dopo che la roccia si era richiusa, una misteriosa luce si era diffusa intorno al trio, lasciando che vedessero il posto in cui erano entrati. Si trovavano all'imbocco di un ampio corridoio, simile alla galleria di un museo con muri altissimi e un pavimento ampio e lucente di marmo immacolato. Non c'erano quadri ma le pareti sembravano percorse da strani giochi di colori, come se al posto della vernice ci fosse qualche fluido dalle incredibili proprietà fisiche. La luce non proveniva da punti fissi ma si spandeva in modo uniforme. La galleria era lunga un centinaio di metri e alla sua estremità si vedeva un'apertura ampia, circolare, dalla quale proveniva una luce azzurrognola.
Dopo aver fatto pochi metri, i due si resero che la temperatura era piacevolmente fresca e che il sudore si era asciugato del tutto. Anche questo era davvero strano: non sentivano flussi d'aria né erano visibili ventole o bocche d'aerazione.
«Cosa... cosa cazzo è questo posto?» Alan continuava a camminare come un bimbo finito per caso in una fabbrica di giocattoli. Nestor gli mise una mano sulla spalla.
«Questo? È solo l'inizio, amigo.»
Arrivarono alla fine della galleria in pochi secondi. Dietro di loro, la luce si attenuava man mano che procedevano per poi spegnersi del tutto. Quando David si voltò, vide dietro di sé solo un compatto ed impenetrabile buio. Tornò a voltarsi e, davanti a sé, vide qualcosa che lo lasciò senza fiato.
«Come avevi detto, Alan?» Chiese al compagno con voce tremante per la meraviglia.
«Che Dio possa...»
«Ecco, spero proprio che abbia pietà, perché se tutto questo è solo un sogno, al risveglio non potrò far altro che gettarmi in un maledetto canyon.»
«Ricordami di tenerti per mano, allora.» Rispose Alan, varcando l'apertura circolare.
«Ve gusta, hombres?» Chiese Nestor, divertito dalle espressioni colorite dei due uomini. Non ricevette risposta, nessuno dei due poteva, con la bocca completamente aperta.
Davanti a loro c'era una piscina olimpica, scavata nella roccia viva e limitata da un bordo di marmo rosa. Tutto intorno c'era un piano profondo diversi metri, lastricato di un diverso tipo di marmo, occupato da tutta una serie di comodità: docce, sedie a sdraio, tavolini ricolmi di bevande e cibo fresco, asciugamani, palloni, macchinari per la ginnastica e numerosi monitor che rimandavano immagini di luoghi esotici. Un sottofondo di musica classica proveniva da diffusori invisibili; Alan e David fecero alcuni, timidi passi verso la piscina ed ammirarono l'acqua, perfettamente calma e a livello del bordo come un'enorme lastra di vetro azzurrognolo. Il fondo era coperto da un disegno multicolore che richiamava i mosaici aztechi, mentre dalle pareti numerosi faretti proiettavano fasci di luce verso il centro.
«Santo Dio...» Sussurrò David, rendendosi conto solo in quel momento da dove provenisse la luce che avvolgeva l'ambiente. Alan cercò di dire qualcosa ma riuscì solo ad aprire ancor di più le mascelle.
Davanti a loro, oltre la piscina, non c'era roccia e nemmeno un muro, bensì una gigantesca vetrata: attraverso di essa, si poteva ammirare lo spettacolo mozzafiato dei canyon e delle montagne dalle mille forme, frutto dell'erosione di millenni. La luce intensa, la stessa che fuori da quel luogo magico li avrebbe accecati e costretti ad indossare lenti da sole, lì dentro li accarezzava e avvolgeva ogni oggetto senza quasi creare ombre.
«Ve gusta?» Ripeté Nestor, che nel frattempo si era accomodato su una sdraio, aveva allungato le gambe su un cuscino e si era appropriato d'un bicchiere pieno di un liquido arancione con tanto di ombrellino e cannuccia. «Non so a voi, ma a me piace un sacco!»
I due uomini stavano ancora cercando di capire se si trattasse di un crudele sogno o di una fantastica realtà. Avevano alzato gli occhi al soffitto di pietra levigata e scavata a volte come quelle di una chiesa gotica. Robusti ganci metallici trattenevano un vero e proprio giardino sospeso con piante rampicanti, fiori multicolori e decorazioni d'ogni genere che s'intrecciavano in incredibili fantasie.
Il primo a riprendersi fu Alan, che sembrava aver perso del tutto la sua aria nervosa e scostante.
«Cosa...» si voltò verso Nestor che gli elargì un sorriso a trentadue denti. «Cosa diavolo è tutto questo?»
«Non dirci che è casa tua, non è possibile!» Aggiunse David. L'uomo aspirò dalla cannuccia metà del contenuto del bicchiere senza perdere d'occhio i due, lo posò in terra accanto alla sedia e afferrò una manciata di noccioline da un vassoio. Scosse leggermente il capo, come se fosse dispiaciuto dal tono delle domande, poi tornò a sorridere e replicò.
«Fosse per me, starei tutto il giorno al mio posto, lungo la strada: purtroppo, devo anche prendermi cura di questo.» Allargò le braccia, indicando l'ambiente in cui si trovavano. «E credetemi se vi dico che non è un compito piacevole.»
«Non hai risposto alla domanda.» Disse Alan, che intanto fissava con crescente interesse il secchio del ghiaccio. «Questo posto è tuo?»
«Signori!» Nestor si alzò, dando un calcio al sombrero che aveva poggiato davanti ai piedi. «Siete appena stati strappati al deserto per entrare in un paradiso... perché non vi godete un po' di riposo e rimandate le domande a quando sarete freschi e sazi?»
«In effetti» Disse David afferrando un grappolo d'uva «Ci sono domande che possono attendere la risposta.»
«Asì me gustas, hombre!» Nestor si batté le mani sulle cosce ed emise un verso acuto come se stesse guidando una mandria di vacche verso il pascolo.*******
Alan si era sistemato su un morbido asciugamano di spugna, proprio accanto ad un vassoio pieno di frutta. David girò intorno al buffet con le bevande analcoliche e gli porse un bicchiere pieno di cubetti di ghiaccio. «Ecco, prendi.»
«Grazie. Ehi, assaggia il mango: è freschissimo.»
David annuì e addentò il frutto, poi si voltò verso Nestor. I due non si erano fatti pregare e si erano gettati sul buffet, riempiendo in fretta i rispettivi piatti come se altre cento persone premessero alle loro spalle: pesce, carne, verdure e frutta preparate nelle più diverse maniere, il tutto annaffiato da vino che avrebbe fatto la sua figura in qualsiasi ristorante raffinato.
«Spero che adesso ci dirai come hai fatto a ricavare tutto questo.»
«Ahi, amigo, io non sono il padrone di questo posto!»
«Allora, chi diavolo è?»
Nestor addentò una banana e sorrise. «Lo conoscerete fra poco... io sono solo un ospite.» Gettò la buccia dietro di sé e si massaggiò la pancia. Non si era tolto il poncho e nemmeno i calzoni, sembrava perfettamente a proprio agio dentro quegli indumenti pesanti e sporchi di polvere.
Alan era sazio. Non ricordava un pranzo così abbondante e completo, così perfettamente corrispondente ai suoi gusti, e sì che di posti n'aveva visti. Prima di perdersi inspiegabilmente con l'amico e collega David, era diretto in Messico per visionare un sito di prospezione nello stato di Oaxaca, dove il petrolio sembrava voler venire su abbondante e a buon mercato. Lui era l'imprenditore, David il geologo che lo accompagnava nelle sue campagne, l'unico di cui si fidasse malgrado fosse diversissimo da lui. Alan era risoluto, abituato a comandare e per nulla incline al compromesso, mentre David era un'anima mite, amante del genere umano ed incapace perfino di litigare.
«Ho voglia di fare un bel tuffo in piscina... è riscaldata, vero? Non vorrei prendermi una congestione.»
Nestor annuì con enfasi. «Amigo, questa è la miglior piscina nel raggio di cinquecento miglia.» Fece una pausa, grattandosi la fronte in una specie di parodia del tenente Colombo. «È vero che non ce ne sono molte, però quelle poche non sono all'altezza.»
L'acqua era perfettamente ferma, come se nulla potesse turbare la quiete di quella superficie. Fuori, a poche centinaia di metri dalla vetrata, due poiane erano impegnate in una complicata danza di corteggiamento: salivano in alto, poi si lanciavano giù avvitandosi una sull'altra tenendosi ciascuna per gli artigli. Quella scena era reale, ma in quell'ambiente così incredibile sembrava avere la stessa impalpabile concretezza delle immagini che riempivano i monitor. David si fregò le mani e prese a togliersi la camicia. Era intenzionato a tuffarsi nella piscina.
«Ehi, amigo!» lo apostrofò Nestor, fattosi improvvisamente serio. «Non puoi tuffarti in quello stato.»
«Perché?»
«Perché sei... voi due siete talmente sporchi che trasformereste l'acqua in fango.» Indicò loro le due docce, sistemate in un angolo del locale. «Datevi una pulita, prima.»
I due si scambiarono un'occhiata; era strano che proprio Nestor, con quei suoi vestiti logori e l'aria di chi non fa un bagno da almeno un anno li avesse esortati a lavarsi. D'altronde, in quel posto nulla sembrava normale: David completò lo spogliarello, imitato da Alan, e raggiunse le docce.
«Porca...» fu il suo commento quando si accorse che il getto d'acqua si era attivato con la sua sola presenza. La temperatura era perfetta; passarono diversi minuti a massaggiarsi la schiena con la doccia, approfittando del bagno schiuma aromatico e dello shampoo alla frutta che facevano bella mostra di sé sulle mensole. Quando, a malincuore, si allontanarono dalle cabine, il getto si arrestò.
«Mi sento davvero rinato» Disse David, passandosi una mano tra i capelli bagnati. Alan si era già avvicinato al bordo della piscina e vi stava girando intorno, nell'apparente ricerca di un punto propizio per tuffarsi. Nestor seguiva i due, tenendosi a qualche passo dall'acqua.
«Vi piacerà, l'acqua è alla temperatura giusta.»
«Tu non ti butti?» Gli chiese Alan, sorridendo: era certo che Nestor avrebbe preferito passare un mese nel deserto piuttosto che fare una vasca a nuoto. Si era fermato ad un angolo della piscina, nel punto in cui il fondo sembrava più alto. Il complesso disegno, perfettamente visibile, mostrava un guerriero azteco con un copricapo piumato ed una terribile espressione dipinta sul volto mascherato. Sembrava che lo stesse fissando, in attesa del tuffo. Un'inspiegabile sensazione di disagio gli attraversò la schiena, poi Alan si riscosse e tutta la sua attenzione fu assorbita dall'acqua, che attendeva solo di essere attraversata dai loro corpi.
«Io mi butto.»
David lo aveva raggiunto e come lui ammirava il disegno al fondo. «Che brutto... sembra sia vivo!»
«Già.» fece Alan, quindi tirò un respiro, fletté le gambe e le raddrizzò bruscamente, gettandosi in acqua con un perfetto arco. David attese che fosse risalito e si tuffò a sua volta, con stile meno elegante ma egualmente efficace.
L'acqua era alla stessa temperatura dei loro corpi, un caldo amnios nel quale potevano muoversi senza problemi. Alan cominciò a nuotare e dopo alcune bracciate incerte, prese il ritmo giusto e iniziò a coprire la vasca. David non aveva intenzione di nuotare, preferiva immergersi e muoversi nell'acqua come un pesce. Si gettò verso il fondo, compensando per non sentire fastidio alle orecchie, e quando fu giù allungò la mano per toccare il disegno.
Alan continuava a nuotare.
Nestor continuava ad osservarli, a debita distanza.
Le poiane erano ancora lì fuori, sospese a centinaia di metri sopra al canyon, prese dalla danza d'amore.
Le dita di David toccarono il disegno.
Alan si girò, puntando i piedi sul bordo della piscina per invertire la direzione del nuoto.
Nestor osservava. Aveva smesso di sorridere.
Le poiane si erano allontanate, dirette probabilmente al loro nido tra le rocce.
I polpastrelli di David accarezzarono la superficie ruvida, nel punto in cui una mano ignota aveva tracciato i contorni del terribile guerriero e i suoi colori di guerra. La limpidezza dell'acqua permetteva di distinguerne perfettamente i contorni, perfino l'espressione.
Nestor si era avvicinato al bordo.
L'aria torrida del canyon era limpida e vuota. Le poiane erano scomparse.
Alan nuotava in perfetto stile libero. Con poche bracciate aveva raggiunto il centro della piscina. Teneva la testa nell'acqua e la tirava fuori ogni tre bracciate per respirare, in modo da poter vedere alternativamente a destra e sinistra. Anche lui poteva vedere perfettamente nell'acqua.
Era giunto proprio sopra David che stava toccando il disegno.
E vide.
David decise che era il momento di risalire. Alzò la testa e scorse la sagoma di Alan sopra di lui, le braccia allungate per fendere l'acqua. Si diede una spinta con i piedi verso la superficie.
Sarebbe dovuto riemergere in un attimo, invece rimase dov'era: attaccato al fondo.
Alan vide il disegno animarsi e le sue potenti braccia afferrare David per i piedi; l'amico si allungò verso di lui ma non riuscì a risalire. Il guerriero aveva mosso anche i piedi ed ora abbracciava il corpo di David e lo teneva attaccato al fondo.
Ci fu un tremolio nelle immagini dei monitor ed una corrente fredda attraversò il locale, agitando le foglie delle piante sospese e i nastri delle decorazioni. Fu un attimo.
Giusto il tempo necessario al disegno per far scomparire David dentro di sé.
Nestor era in piedi sull'orlo della piscina, all'altezza di Alan che si era fermato, impietrito dal terrore ed incapace di pensare a qualcosa di sensato da fare.
Il disegno si era staccato dal fondo: non aveva più due dimensioni ma tre. Era un guerriero in carne ed ossa, armato fino ai denti, coperto da piume e colori di guerra. Alan lo fissò per un interminabile istante, poi il guerriero si accorse di lui e gli lanciò uno sguardo di fuoco.
Alan agitò le gambe e diede due, tre furiose bracciate come se fosse allo sprint di una gara olimpica. Teneva la testa in acqua e mentre si avvicinava al bordo, osservava la figura sotto di lui. Era come se stesse prendendo confidenza con il mezzo nel quale si trovava, si guardava intorno e muoveva gambe e braccia con calcolata circospezione.
Alan era quasi al bordo, ancora una bracciata e avrebbe toccato il marmo. Sentiva che, se fosse riuscito a tirarsi fuori dall'acqua, si sarebbe salvato.
Le dita urtarono il bordo, afferrarono il marmo mentre le gambe si agitavano ancora per dare al corpo la spinta decisiva. Sotto di lui, il guerriero si era accovacciato come un giocatore di football americano prima dell'azione. Nello stesso istante in cui Alan trasmise ai bicipiti l'impulso perché piegassero le braccia per tirare su il corpo, la figura scattò, veloce come uno squalo.
Alan era fuori col busto, le braccia erano diritte e le spalle rigide, ancora uno strappo e anche le gambe sarebbero state fuori...
«Una ves mas, amigo» La mano di Nestor si piantò sulla sua fronte e spinse, costringendolo a rientrare in acqua. «Un'altra vasca ti farà bene, vedrai.»
L'ultima cosa che gli occhi di Alan, spalancati per il terrore e la sorpresa, videro furono i denti di Nestor, ingialliti dal tabacco e perfettamente in fila nel suo sorriso canzonatorio.
Mentre il guerriero lo afferrava per i piedi e lo trascinava giù verso il fondo, Alan pensò che, almeno, sarebbe morto sazio e pulito.
Il guerriero lo avvolse con la sua mole e lo strinse, strinse forte senza allentare la morsa, finché il corpo dell'uomo divenne un grumo di carne scura, poi strinse un'ultima volta e Alan scomparve, molecola tra le molecole che si agitavano nel guerriero.
Nestor si era seduto sul bordo della piscina ed agitava i piedi nell'acqua calda, mentre tutto intorno a lui sembrava dissolversi.*******
«C'è stato un momento in cui ho pensato di lasciar perdere.»
«Sì, l'ho capito da come parlavi con loro... cosa ti è accaduto?»
«Non lo so, forse mi sono semplicemente stancato.»
«Stancato? Stancarsi non è nel nostro programma!»
«Certo che no. Siamo qui da tanto di quel tempo... ricordi quando c'erano i pellerossa con i cavalli e poi sono arrivati quei tipi con i fucili che puzzavano di vacca a chilometri di distanza? Ecco, secondo lo standard terrestre, tra quelli e i due di oggi c'è un abisso temporale. Siamo qui da troppo tempo, te lo dico io.»
La piscina era scomparsa. Erano scomparse anche le vivande e tutti i monitor con i loro video multicolori, non c'erano più le piante sospese e nemmeno l'enorme vetrata col suo panorama mozzafiato e le poiane che si corteggiavano. L'intero ambiente era tornato ciò che era stato in origine: roccia compatta ed impenetrabile alla materia.
Alla materia, non alle onde.
Le due onde erano nella roccia, nel suo punto più interno e nascosto, lontano dal calore torrido del deserto e dalla luce accecante del sole che colpiva il canyon. Erano lì, semplicemente permeavano il calcare e sgusciavano fra gli atomi con la stessa facilità con cui Alan aveva nuotato le sue ultime bracciate nella piscina.
L'onda che era stata Nestor comunicava in maniera misteriosa ma efficace con la sua compagna, lanciando attraverso la materia segnali decifrabili solo ad essa.
L'onda che era stata la piscina col suo guerriero dipinto al fondo rispose seccamente. «E io ti prego di non dimenticare il motivo per cui siamo qui.»
«E chi lo conosce, questo motivo? A me non hai detto nulla: mi hai lasciato giusto il tempo di raccogliere le mie lunghezze d'onda e mi hai caricato sulla curvatura... a proposito.» L'onda-Nestor fece una pausa per rimarcare il suo disappunto. «Ti sarei grato se lasciassi guidare me, al ritorno.»
L'onda-piscina non rispose. Si muoveva intorno al compagno, nervosa e ancora scossa per la recente esibizione. Non le piaceva smaterializzare gli esseri umani: preferiva deviare la luce stellare, era più eccitante e poi mandava in confusione gli abitanti dei pianeti che studiavano lo spazio. Tuttavia aveva questa missione da portare a termine e prima avesse compiuto il suo dovere, prima sarebbe tornata alla pace del suo buco nero.
«Mi stai a sentire?»
«Certo... ascolta: tutto quello che posso dirti è che dobbiamo afferrare questo maledetto soffio della vita.»
«La vita!» esclamò l'onda-Nestor. «Noi ce l'avevamo, una vita; peccato che i nostri saggi comandanti abbiano preferito distruggerla, se non avessimo sviluppato questa tecnologia dell'onda, a quest'ora saremmo già materia stellare.» Il solo pensiero alla storia recente del luogo da cui provenivano lo rese nervoso e gli avrebbe procurato un intenso dolore fisico, se avesse avuto un corpo.
«Non ti scaldare, non serve a nulla.»
«Parli bene tu che hai avuto il comando.» L'onda-Nestor citò a memoria un messaggio quantico che aveva letto di nascosto, poco prima della partenza. «Ci sono luoghi dove la vita è ancora presente nella sua forma materiale, bisogna che una missione si rechi lì al più presto per ricavare informazioni.» Fece una pausa, lasciando al compagno tutto il tempo per meravigliarsi, poi riprese. «Che belle parole! Peccato che non sappia cosa vogliano dire esattamente!»
Nemmeno io ho idea di cosa vogliano dire, forse non lo sanno nemmeno quelli che ci hanno mandato qui ed è certo che ci vorrà molto tempo prima che possiamo raccogliere il materiale sufficiente a riprodurla da noi.» Si fermò un istante, infastidito da un improvviso sciame di neutrini che stavano attraversando la montagna. «Ma se proprio ti va di cambiare, possiamo andarcene da qui.»
L'onda-Nestor si era preparata a mantenere il broncio, perciò rimase disorientata nel sentire quella proposta. «E dove vorresti portarmi, stavolta?»
«Oh, questa volta sarai tu a scegliere.»
«Io?»
«Certo! Scegli un luogo e ci andiamo subito.»
L'onda-Nestor rifletté su quelle parole. In un certo senso, si era affezionato al personaggio nel quale si era materializzata, con quel suo poncho sdrucito e il sombrero di paglia, il sigaro texano e i denti ingialliti. Benché sedere sul ciglio di quella carretera non fosse di per sé eccitante, si era inventato quel gioco sulla polvere e senza accorgersene ci si era abituato. Per non parlare della piscina, dell'incredibile meccanismo che si apriva nella roccia e della vetrata con vista sul canyon; aveva scelto lui la scenografia e malgrado l'onda guerriero si fosse opposta al ruolo di piscina col disegno animato, alla fine l'aveva spuntata.
La spuntava sempre, doveva ammetterlo: l'onda che gli stava girando intorno in quel momento era davvero buona. Irritante per quanto fosse attaccata al dovere, ma buona.
«Devo scegliere così, su due piedi...»
«Ma ti ascolti? Parli come gli umani!»
«Scusa. Hai detto qualsiasi posto?»
Se non ci fosse stata l'impenetrabile roccia, l'onda piscina avrebbe sospirato per la disperazione. «Non intendo ripeterlo all'infinito.»
«Allora lasciami pensare... dev'essere un posto deserto?»
«Conosci le regole.»
L'onda Nestor rifletté ancora. «Un'isola?»
«Un'isola andrà bene, credo.» L'onda-piscina stava già pensando alla vita che avrebbe dovuto ancora prendere dentro di sé: un lavoro a volte noioso, spesso ripetitivo. Per fortuna c'era l'altra a rendere le cose un po' più varie. In teoria, si sarebbero dovuti limitare a prelevare umani, smaterializzandoli e assorbendone le proprietà. Un lavoro monotono, che la fantasia dell'onda-Nestor aveva colorato con quella sua mania per le scenografie ad effetto.
«Bene, lasciami solo scegliere quella giusta.» L'onda-Nestor stava passando in rassegna le possibili sedi: le regole dicevano che doveva trattarsi di un posto fuori mano, deserto e facile da gestire. Quando uno o più candidati venivano deviati dal loro normale tragitto e proiettati nel posto prescelto attraverso una piegatura dello spazio, non potevano rischiare che il veicolo portasse con sé anche ospiti indesiderati. La direttiva era chiara, solo vite umane, niente animali inferiori e men che meno piante.
«Un'ultima cosa.» L'onda-piscina interruppe la frenetica ricerca dell'onda-Nestor.
«Sì?»
«Non ho più intenzione di fare la piscina... tutta quell'acqua, un insopportabile spreco d'idrogeno!»
© Alessandro Testa
Data invio: 17/11/2006Inviate il vostro commento
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