Prima parte
Il dovere di Luca

1
La partenza

Luca si alzò presto il giorno in cui la sua vita doveva improvvisamente cambiare. Era affamato a dir la verità, il suo viso era pallido e smunto, con delle occhiaie, frutto di una notte insonne, che non lasciavano presagire niente di buono.
La sera prima, dopo una lunga e accorata discussione sul colore, odore e sapore della cena, di mamma e papà lo avevano mandato a letto senza nessuna possibilità di appello.
A onor del vero tutto era iniziato alla notizia della sua improvvisa e inaspettata partenza per la casa dei nonni, dove sarebbe dovuto rimanere per almeno tre settimane. Il "solito" Luca avrebbe accolto con entusiasmo questa vacanza, in quanto i periodi passati con i nonni si trasformavano sempre in feste, fatte di interminabili pedalate in bici e splendide passeggiate nei boschi alla ricerca, con l'aiuto di un libro illustrato, delle piante e degli animali più strani. La sera poi, nel calduccio di una tenda canadese sistemata in giardino, si arrostivano succulente salsicce e si faceva una vera gara per inventare i racconti più spaventosi.
Si era solo indispettito, tutto qui. Alla sua età riteneva doveroso essere almeno interpellato, quando le decisioni da prendere riguardavano anche la sua persona.
Luca ammetteva che non avrebbe potuto avere degli amici migliori dei propri nonni, niente grida per dei panni sporchi non sistemati nel cesto della biancheria, niente proteste per le scarpe infangate o le impronte dolci e appiccicose sulle porte e sulle ante dei mobili. Inoltre la cameretta, si puliva e si sistemava da sola, insomma una pacchia!
Sceso in cucina, Luca trovò sua madre seduta davanti a una tazza di caffè, con lo sguardo che vagava nel vuoto.
«Ciao mamma» salutò allegramente, puntando verso la credenza per prendere i fiocchi d'avena per la colazione.
«Il papà non si è ancora alzato?»
«È in bagno!» rispose la mamma, con voce distaccata e pensosa. «Scenderà tra poco.»
Luca sentì i passi del padre e alzò lo sguardo appena in tempo per vederlo attraversare il corridoio.
«Papà» gridò Luca a mo' di ciao, ricevendo in risposta un grugnito.
«Prepara in fretta le tue cose», intervenne la mamma, il treno partirà tra meno di due ore.
Luca tornò lentamente nella sua stanza, avviandosi a preparare il necessario per la partenza.
- Non devo dimenticare la bussola - pensò. - Né il coltellino a serramanico, i fiammiferi, un blocco per gli appunti, il mio meraviglioso libro sulla natura e naturalmente la macchina fotografica che la zia Carla mi ha regalato a Natale. -
Giunti alla stazione, i genitori salutarono Luca con baci, carezze e abbracci e una serie infinita raccomandazioni, sino a quando Luca, con il biglietto del treno ben stretto in mano, salì sul vagone.

2
Uno strano incontro

Mentre il treno cominciava il lungo viaggio verso il paesino di «Limina vara,» una ridente località situata ai piedi della montagna, che aveva a ridosso uno splendido lago, Luca prese posto in uno scompartimento vuoto vicino al finestrino. Aveva la segreta speranza che nessuno si accomodasse al suo fianco.
Luca rimase per un bel po' assorto nel silenzio. Guardava gli alberi e i pali della luce, che si rincorrevano lungo il finestrino. Prima lenti, quasi stessero camminando, poi sempre più veloci. Un signore che sino ad allora era rimasto nel corridoio a fumare il suo grosso sigaro, entrò nello scompartimento,
Chiese cortesemente: «È permesso?»
«Prego si accomodi» rispose Luca, che in fondo, molto in fondo, era un ragazzino educato.
Il nuovo passeggero era un vecchio, gobbo e rinsecchito, pelato come un uovo e con una faccia buffa e rotonda, dagli occhi così penetranti da fare quasi paura. Portava una giacchetta logora, lisa e consunta e tanto stretta sulle spalle che metteva ancora più in evidenza la grossa gobba.
«Perché sei così triste Luca?» chiese l'omino con insospettata gentilezza.
Luca lo guardò stupito, pensando che quello strano essere avesse il potere di leggergli dentro.
Con un sospiro rassegnato disse: «Questa notte ho fatto uno stano sogno, che mi ha indicato un viaggio da intraprendere, senza però farmene vedere il cammino. Tutto ciò per aiutare la mia famiglia... per aiutare me stesso.»
- Oh Luca! Luca, - pensò sospirando l'omino. - Saranno molte le persone che soffriranno senza il tuo aiuto. Troppi danni sono stati fatti e così breve è il tempo per poter rimediare. -
In quel momento, il silenzio che si era creato tra loro fu interrotto dal conducente, che annunciò a gran voce «STAZIONE DI LIMINA VARA».
«Coraggio dovremmo essere arrivati» disse l'ometto «e a proposito, il mio nome è Flick, sono un amico dei tuoi nonni.»

3
La casa

Mentre Flick era intento a occuparsi dei bagagli, Luca si voltò, ancora un po' scombussolato dal viaggio e socchiuse gli occhi per proteggerli dall'abbagliante luce del sole. Flick si trovava ancora sulla banchina mentre il treno era già partito sferragliando. Gavino, il bracciante della fattoria dei nonni era in piedi per caricare le valige sul camioncino. Luca guardò la sconfinata distesa dei campi, oltre la stazione e gli alberi del suo bosco incantato che parevano fluttuare sino al cielo. Nel frattempo, i passeggeri mangiavamo la polvere che il camioncino di Gavino riusciva a sollevare lungo la stretta e tortuosa strada, che li avrebbe condotti alla fattoria.
In quel momento la nonna Maria si affacciò alla porta e con il suo passo dondolante tese le braccia.
«Luca, il mio bellissimo nipote, come sei diventato grande», rise e tirò un po' per gioco una ciocca dei suoi capelli.
«E' giusto l'ora di pranzo, conoscete la strada, poi, dopo che il nonno avrà fatto il suo riposino pomeridiano, potremo finalmente parlare del perché vi troviate qui.»
La nonna era una donna piccola e paffuta, con un viso intrecciato dai riccioli un tempo rossi. Nonostante l'apparente fragilità, aveva un carattere di ferro, e una specie di sensibilità latente e misteriosa cui nessuno poteva sfuggire. Aveva sofferto molto in gioventù come amava ricordare, e il più delle volte a causa delle strane avventure e le mille peripezie in cui il nonno, uomo amatissimo la aveva coinvolta.
Il pranzo fu sostanzioso e nutriente, ricco di divertenti aneddoti che il nonno e il signor Flik continuavano a raccontare. Tutto si svolse attorno a un lungo tavolo rettangolare, situato nella sala da pranzo. La luce del sole entrava dalla finestra dalla quale sin da piccolo, Luca poteva ammirare le stalle, i campi di fieno, le vigne e gli orti.

4
La passeggiata

Mentre il nonno e il signor Flick si sdraiarono sulle comode poltrone accanto al fuoco, per godersi un po' di meritato riposo, la nonna e Luca, infilate delle maglie pesanti e scarponi, andarono a fare una delle loro tradizionali passeggiate nel bosco. La nonna si guardava attorno con estrema tristezza e si chinava di tanto in tanto per sentire il profumo di un fiore, per raccogliere un uccellino caduto dal nido oppure, con un paio di affilate cesoie, a sistemare o tagliare i rami secchi di alberi e arbusti.

«Luca,» disse timida con un sussurro, quasi le parole non volessero uscire di bocca. «Devi sapere che da molte generazioni, tutti i componenti della mia famiglia hanno ricevuto un incarico importante dalle creature che vivono in questo bosco; ciascuno di noi è guardiano e custode di ciò che accade nella natura. Deve usare tutti i mezzi a disposizione per non rompere il delicato equilibrio tra il nostro mondo e la natura che ci circonda, perché essa è viva, gioisce, soffre e piange con noi. Sin da piccola fui guida anche di tua madre, ma lei si trasferì, abbandonò il sogno e mi lasciò a combattere da sola.»
«Ma il nonno sa niente di tutto questo?» chiese Luca a gran voce.
«No. Mi è proibito parlarne. Solo la mia famiglia di origine è depositaria del segreto e solo per questo motivo posso parlane con te. Ti prego Luca, quando arriverà il momento, fai buon uso di tutto quello che ti ho insegnato.»

5
La confessione

Il gran consiglio si riunì nella grande sala da pranzo, accanto a un bel fuoco e al profumo dell'immancabile pipa del nonno, che finalmente cominciò a parlare.
«Io sono un cercatore, trafugare e depredare tesori è forse l'unica cosa che ho fatto nella mia vita, ma non sempre le cose sono andate come avrei voluto,» sospirò e disse in tono affranto: «Mio fu il danno, mia fu la colpa. La promessa di non ritornare in quei luoghi, fa sì che sia tu, mio unico e diretto erede, a portare il gravoso onere della riuscita dell'impresa.»

6
Il racconto

In uno dei miei tanti vagabondare senza meta, mi imbattei nello splendido castello delle fate, presso il Monte OE.
«Sas fadas» diceva la gente del luogo; esse erano splendide fanciulle alate, che ogni notte scendevano nei paesi vicini e giravano come bambine felici ed eccitate per le case,. Lo facevano solo per curiosità, per solitudine, per gioco.
Ogni tanto entravano in casa passando per il buco della serratura e se trovavano una persona che andasse loro a genio, la svegliavano chiamandola tre volte. Usando la loro polvere magica, la trascinavano sino al loro grande castello ricco di ori, perle e pietre preziose. Gli sussurravano con voce suadente: «Coraggio... prendi quello che vuoi, quello che più ti piace.»
Al risveglio però, tutto si trasformava in un misero sacco di carbone, mentre nelle orecchie si sentivano ancora le loro risate di dileggio, squillanti e argentine, come le campane di cui adornavano le vesti.
Oh fate... fate dispettose, come sapevate nascondere bene i vostri tesori in rifugi sotterranei, vecchi tronchi d'albero o antiche grotte.
I cercatori di tesori, che come me tentavano la sorte, nella speranza di trovare qualche cosa di molto prezioso, erano messi sull'avviso con scherzi, strane voci, sinistri rumori e improvvise tempeste. Sino al punto di trascinare i malcapitati in frenetiche danze, suonate dai magici elfi sino a quando la testa girava forte e i sensi si ottundevano. Il ballo che pareva durare solo una notte, finiva invece per tenerti prigioniero ben sette lunghi anni mortali. Naturalmente entrai anche io nel cerchio e in seguito vagai disperato, senza riconoscere nulla di ciò che mi circondava, nulla che mi indicasse la via di casa.

7
L'incontro con Flick

Fu durante quel pellegrinare senza meta, che incontrai il mio amico Flick. Nonostante il suo aspetto mi incutesse paura, scoprii che Flick, era una persona generosa, dolce e gentile. Era chiamato anche «Silvano», a causa del rametto di foglie, che si metteva sempre nel cappellaccio di paglia. Suonò giorno e notte, per scacciare la mia malinconia. Fu proprio quell'armonia celestiale, che mi riportò a riconoscere me stesso e la via per tornare a casa.
Lungo il cammino chiesi a Flick quale potesse essere il tesoro più prezioso del popolo fatato, perché dopo la lunga assenza, ero intenzionato a ritornare dalla mia amatissima moglie con qualcosa che le facesse dimenticare gli anni di solitudine e le amare lacrime versate.
Lui mi porto` dalla dama del lago, una sua vecchia amica, per avere una risposta. La dama del lago ci rivelò che il più prezioso tesoro dell'umanità, era senza dubbio il fiore della vita, di cui da millenni il signore del lago, suo padre, e le sue dolcissime sorelle erano i guardiani.
Quando queste splendide fanciulle venivano scorte dagli ignari visitatori del lago, scomparivano immediatamente negli abissi, per tenere celato, a chi non apparteneva al popolo fatato, il giardino delle delizie. L'interno del giardino, abitato dal signore del lago e dalle sue figlie, aveva un aspetto magnifico e lussureggiante, vivo e prezioso nella sua qualità di fiori, essenze, spezie e sapori, tanto da essere nominato il giardino delle "fragranze".
A rotazione, le dodici figlie del signore del lago custodivano e curavano il Fiore della Vita, gemma preziosa per l'intera umanità.
Per vedere tale meraviglia, occorreva recarsi il primo giorno di ogni mese presso la roccia che conduceva al giardino segreto.
Il primo giorno del mese Flick e il nonno di Luca si recarono vicino al lago, in attesa dell'apertura della roccia che conduceva al giardino.
Le sorelle della dama del lago li accolsero, e per tutta la sera, i due amici furono trattati come graditi ospiti, con offerte di miele, latte, sidro, frutta e bacche. Al tramonto, prima di congedarsi, il nonno di Luca rimase ammaliato da un piccolissimo fiore azzurro, seminascosto da altre innumerevoli piante. Lo staccò e lo nascose nella tasca. All'uscita dal giardino segreto, il fiore azzurro morì e con esso pian piano anche la natura cominciò a rinsecchire, sia nel mondo incantato che in quello degli uomini.
Quando il signore del lago capì che cosa fosse successo, inviò le fate ai confini del mondo conosciuto, perché i ladri fossero catturati. Cosa che avvenne in un battito di ciglia.

8
L'esilio

Il nonno di Luca ed il piccolo Flick furono imprigionati a Tir Nan Og, mentre il resto del mondo moriva.
Incontrarono Oisin, figlio di Finn, capo dei leggendari guerrieri Feniani d'Irlanda. Era uno dei pochi mortali, invitati a entrare nell'isola. Arrivato lì, si innamorò della bellissima Niamh e trascorse per questo, ben trecento anni nella terra della giovinezza.
Ma il ricordo della sua patria mortale e delle sue imprese leggendarie fecero sì che Osin ricevesse il permesso di vivere per sei mesi nell'isola tra le braccia della sua amata, nel luogo dove la vita e la morte non esistevano. Solo il continuo ripetersi all'infinito dei soliti gesti d'amore, onore, cacce e banchetti dava l'illusione dello trascorrere della vita, e di vivere gli altri sei mesi tra la sua gente come essere mortale.

9
La ricerca

Il nonno di Luca si recò con Flick dal signore del Lago, offrendo la sua vita come fio di quanto aveva fatto e per cercare di ristabilire l'equilibrio della natura. Il signore concesse ai due di andare via, con la promessa che Luca e le sue figlie a cui era stato affidato il fiore della vita, tentassero di ripristinare l'ordine naturale delle cose.
Giunti nella terra ferma il Signore disse: «Ricorda! Affinché una vita rinasca, un'altra deve morire. Addio!».

10
La partenza

Il giorno della partenza, Luca si sentiva stranamente calmo e felice. Finalmente sapeva chi era: un custode della natura e della vita. Così come la sua nonna lo era stata prima di lui, e sapeva che qualunque cosa fosse successo, non sarebbe potuto tornare indietro. Con passo svelto e fermo, si diresse al lago.
Sul sentiero, incontrò due bellissime fatine: «Mio chiamo Campanellino» disse la prima. «Sono la figlia del signore del lago e mio era il compito di proteggere e custodire il fiore della vita. La mia magia ti proteggerà lungo tutto il cammino.
«Io sono Quadrifoglio» disse la seconda. «Sono una fata di montagna con l'abitudine di stare seduta tra le rocce su un lato del sentiero, a osservare in silenzio i viaggiatori che passano, senza mai indicare loro se la strada che prendono sia giusta o sbagliata. Lascio sempre che siano loro a decidere il percorso. La mia magia è quella di ricostruire lo strappo che la morte del fiore della vita ha provocato tra i due mondi, sarò la tua luce e guida.»

11
L'arrivo

Durante il viaggio, i tre giovani cantarono dolci melodie, per alleggerire l'animo e il cuore.
Giunti al giardino, nel punto esatto in cui si vedevano ancora i petali secchi del fiore della vita, Campanellino iniziò a tessere strani e dolci incantesimi, scomparendo lentamente sino lasciare sul terreno solo tre semplici semi.
Quadrifoglio, la sua amata sorella interrò quei semi e pian piano dai semi sbocciò un bellissimo fiore azzurro, il fiore della vita era rinato e con esso tutta la natura riprendeva a vivere.
«Ma quale è il mio compito!» urlò Luca. «Ti prego dimmi che cosa devo fare!»
La fata "Quadrifoglio" sorrise: «Ora che grazie al sacrificio di campanellino la natura è risanata, accertati caro Luca che rimanga sempre così. Difendila per tutti noi del mondo fatato, per voi, per te e per i tuoi figli.»

CONTINUA... leggete la: Seconda e terza parte


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