La seguente lettera è stata tradotta dall'aramaico. Lo scritto, trovato nei territori occupati da Israele, è stato dichiarato apocrifo dalla Chiesa (non ispirato da Dio come invece il resto del nuovo testamento). Per questo motivo ci siamo sentiti liberi, per rispecchiare il vero tono del manoscritto, di non tradurre letteralmente le frasi ma seguirne il senso, andando a utilizzare parole moderne, quando quelle arcaiche trovate nel testo originale non avrebbero rispecchiato il significato che voleva dare l'autore.
Il traduttore non si assume alcuna responsabilità per il contenuto, absit iniuria verbis.

 

 

Ai fedeli dispersi nel mondo.
 

Fratelli, scrivo questa lettera nonostante mi abbiano proibito di raccontare questa vicenda. Hanno deciso che non sono affidabile, ad altri è stato assegnato il compito ufficiale di tramandare ai posteri l'accaduto. Il mio sbaglio fu di essere troppo onesto, espressi apertamente le mie idee, e questo non mi fu perdonato. Ora sono rammaricato della mia giovanile impulsività, ma naturalmente è troppo tardi.
Credo che Giovanni fosse d'accordo con me, ma si tirò indietro in tempo. Lui era sempre stato considerato una via di mezzo tra un eccentrico e un mistico e gli lasciavano fare più o meno ciò che gli pareva; non era considerato pericoloso perché sembrava vivere in un mondo tutto suo: vaneggiava sempre della fine del mondo e interpretava gli episodi di cui era testimone in modo diverso dagli altri. Erano convinti che non gli avrebbe mai creduto nessuno.
I contrasti iniziarono la sera che decidemmo di riunirci per mettere per iscritto la vita del Maestro. Il problema era che Lui non aveva lasciato alcun documento, e il nostro ambizioso progetto originale consisteva nello scrivere, tutti assieme, un grande libro da distribuire nel mondo. Sarebbe servito come base per la costituzione di una nuova religione universale.
Quella sera erano presenti: Pietro che aveva assunto la guida del gruppo dopo la scomparsa del Maestro, Matteo, Giovanni, Paolo che non era un apostolo come noi ma si era appena convertito, e io.
Iniziarono subito le discussioni, Matteo voleva incominciare l'Evangelo (questo era il nome del libro, perché significa buona notizia) con una dettagliata genealogia del figlio d'uomo, così lui chiamava Gesù, ma non eravamo nemmeno d'accordo su chi fosse Suo padre.
«Ovviamente discende da Davide e prima ancora da Abramo» affermava Matteo, ma oltre a questi due nomi, dove avremmo trovato tutti gli altri?
Pietro, considerando le difficoltà incontrate, voleva saltare questo pezzo. «Non è indispensabile» diceva, ma Matteo, che avevamo scelto per scrivere materialmente il libro, si montò la testa e continuò a insistere con arroganza.
Di solito Pietro lo avrebbe messo a tacere, imponendo in modo drastico il suo volere, ma questa volta aveva bisogno di lui. Era quello che si esprimeva meglio, perché aveva uno stile che dava un sapore d'antico alla storia e avrebbe scritto un libro credibile, quindi per non indispettirlo cercò di lasciar cadere la questione.
Io non fui d'accordo e continuai la diatriba, affermando esplicitamente la mia avversione a inventare cose di cui non sapevamo nulla. Il libro doveva diventare la base della nuova religione, non poteva contenere menzogne. Matteo si arrabbiò, spiegò che i midrash, le libere improvvisazioni sui temi sacri, esistono dalla notte dei tempi. Tutti i fratelli ebrei ne hanno sempre composti, il pentateuco è pieno d'esagerazioni e falsità. Se noi avessimo scritto esclusivamente la verità, avremmo fatto una magra figura a loro confronto, avvantaggiando gli ebrei ortodossi che non riconoscono il Messia nel nostro Maestro.
Credo che già da allora Paolo fosse d'accordo con Matteo, ma non intervenne. Era appena arrivato e voleva far buona impressione su Pietro, in fin dei conti in quel tempo era quello che comandava.

Giovanni si decise a intervenire. Annunciò che il Verbo è sacro! Il verbo è Dio e tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Non ne sono ancora sicuro, con Giovanni non si può avere mai la certezza, ma credo che così dicendo volesse dar ragione a me. Intendeva che le parole che avremmo scritto sarebbero divenute sacre e quindi non potevamo mentire.
Matteo interpretò in un altro modo la frase.
«Vedi» mi disse, «anche il buon Giovanni sa che quello che crederanno i fratelli sarà solamente quello che scriveremo noi. Le nostre parole saranno Dio.»
Non sopportai più: «Tu bestemmi, rimarrai sempre un maledetto esattore di tasse. Il Maestro si era illuso sperando che saresti cambiato.»
Pietro, stanco dei nostri continui litigi, riprese in mano la situazione.
«Cominceremo dal battesimo nel Giordano, nessuno di noi fu presente, ma ne abbiamo sentito parlare, e poi iniziare con l'affermazione di Giovanni Battista che il Maestro è il Messia convincerà molti.»
«E la nascita di Gesù?» interruppe Matteo. «La nascita dove la mettiamo? Deve essere conforme alle profezie!»
Buttò sul tavolo una versione in greco del libro di Isaia, aperto al settimo capitolo. Lesse ad alta voce: «La vergine concepirà e partorirà un figlio.»
Pietro non volle sentir ragione: «Che cosa ne sappiamo noi se Maria era vergine? Non si può scrivere una baggianata simile, non ci crederà nessuno.»
Non potevamo trovare conferma della rivelazione, perché Maria era partita. Anche se fosse stata presente non credo che qualcuno di noi avrebbe avuto il coraggio di chiederle se, al momento della nascita del Maestro, era stata conforme alla profezia di Isaia.
Mi sembrò che Paolo volesse intervenire a favore di Matteo ma, gettando uno sguardo preoccupato su Pietro, si trattenne e rimase in silenzio.
«Ci crederanno invece!» urlò Matteo. «I veri fedeli credono senza porsi domande, e noi dobbiamo seguire le profezie oppure gli Zeloti ci accuseranno d'eresia.»
Giovanni disse per la prima volta qualcosa di sensato: «Guarda che quella traduzione greca fa pena, leggendola ho trovato un mucchio di errori madornali.»
Pietro affermò: «La questione delle profezie è seria. Per convincere i più scettici della Sua parentela con re Davide si può farlo nascere a Betlemme, ma come la mettiamo con la profezia che dice: "Verrà chiamato il nazareno"?»
Ci guardammo perplessi, a nessuno di noi risultava una profezia del genere, ma per paura della reazione di Pietro non dicemmo nulla.
Matteo, per recuperare la fiducia del capo disse: «Scriviamo che scappavano dal regno di Erode, perché aveva dato ordine di uccidere i neonati.»
Pietro rispose seccato: «Erode non fece uccidere nessuno. Quella è una vecchia leggenda che raccontano le balie ai bambini per farli stare buoni.»
Paolo intervenne timido: «Ricordo invece che proprio in quegli anni ci fu un censimento. Forse la famiglia di Gesù si spostò proprio per quel motivo" e cercando l'approvazione di almeno uno di noi chiese: «Tu che cosa ne pensi Giovanni?»
«Non m'interessa» rispose seccato d'essere disturbato dall'ultimo venuto. «Voglio andare a vivere in pace nell'isola di Patmos, lontano da tutti quelli come voi. Qui non si parla mai della fine del mondo.»

Insomma eravamo in contrasto su tutto, le ore passavano e non si riusciva a raggiungere un compromesso. Spazientito mi alzai: «Basta con queste inutili discussioni. Scriverò il libro senza di voi, e ci metterò solo i fatti provati, esclusivamente la verità.»
Si alzarono tutti e mi vennero vicino minacciosi. Solo Giovanni rimase al suo posto a parlare dell'importanza eucaristica del vino.
«Tu non scriverai nulla» urlò Pietro. Non lo avevo mai visto così arrabbiato. «Chi sei tu per arrogarti il diritto di scrivere da solo la storia divina?»
«Sono un apostolo come voi, anche se l'ultimo a essere scelto. Ho gli stessi vostri diritti. Il Maestro non instaurò nessuna gerarchia ufficiale.» Mi pentii subito di averlo sfidato apertamente, lo conoscevo bene e avrei dovuto prevedere che la sua vendetta sarebbe stata implacabile.
«Da questo momento» ordinò solennemente Pietro. «Ordino che su tutto quello che scriveremo il tuo nome non appaia. Gli apostoli diventano dodici. Ricorda, siamo noi che scriviamo la storia, e solo noi decideremo che cosa è successo.» Mi cacciò dalla sala, per lui non esistevo più, ero un capitolo chiuso.
Era certo che, togliendo per sempre il mio nome dalle cronache ufficiali, nessuno avrebbe creduto a quello che avrei raccontato.

Seppi poi che non riuscirono a scrivere un libro unico. Matteo se ne andò per comporre il suo Evangelo come voleva lui. Se la prese comoda, tanto sapeva che Pietro non era capace a scrivere. Ma Pietro fu più furbo. Inizialmente tentò di abbozzare il testo da solo, ma ho sentito dire che gli venne così brutto da farlo montare su tutte le furie, tanto che strappò il neonato "Vangelo secondo Pietro" in mille frammenti che sparse al vento. Successivamente, battendo sul tempo tutti grazie al suggerimento di Paolo, assoldò un collaboratore di nome Marco, che scrisse per loro sotto dettatura, correggendo gli errori di sintassi.
Pietro si vergognava di non saper scrivere. Quando scoprì che Giovanni si era messo a inviare delle missive, l'idea gli piacque così tanto che fece comporre varie lettere indirizzate a gente che non conosceva nemmeno e che firmava diligentemente, in modo che in futuro si potesse credere che fosse stato un bravo letterato. Aveva la solita fissazione che solo lui poteva decidere quello che sarebbe stato a conoscenza dei fratelli posteri.
Quando Matteo seppe dell'esistenza del libro di Marco non se la prese: in fin dei conti era ben fatto e gli fece risparmiare un mucchio di tempo. Si limitò ad aggiungere dei pezzi alla storia, per farla risultare come voleva lui. Inserì la genealogia all'inizio, la faccenda della vergine e tutte le altre sue idee balzane bocciate dagli altri, come quella della fuga da Betlemme a causa di Erode.
Giovanni, sempre distante dalle vicende umane, non seppe mai di ciò che gli altri avevano scritto. Poiché le prime lettere gli erano venute abbastanza bene, e volendo lasciare una testimonianza scritta, si sforzò di buttare giù qualche riga. Purtroppo la sua storia è del tutto diversa da quelle di Marco e Matteo, piena di vaneggiamenti mistici. Credo che non sarà mai presa in seria considerazione quando fonderanno la nuova religione, a meno che l'intelligenza umana non subisca una brusca regressione nell'immediato futuro.

Tre libri sembrano già troppi, purtroppo non finì qui.
A Paolo non piacque proprio come erano state scritte le versioni di Marco e Matteo; le considerava rozze e ineleganti per rappresentare la base di una religione universale come quella che ci eravamo prefissi di fondare. Ovviamente non considerò neppure Giovanni. Per caso, durante uno dei suoi innumerevoli viaggi, fece la conoscenza di Luca. Era un colto medico, e Paolo ne approfittò subito per commissionargli una quarta versione che avesse uno stile letterario degno di tal nome.

Proprio in questi giorni sono venuto a conoscenza dell'esistenza di altri evangeli: il "Vangelo degli Egiziani", il "Vangelo segreto di Marco", il "Vangelo degli Eboniti" il "Vangelo di Tommaso".
Di questi non parlo perché non so nulla, posso solo dirvi che non credo siano stati scritti da qualcuno di noi, ma solo più o meno copiati da uno dei primi quattro.
Non scriverò un ennesimo Evangelo, la verità si perderebbe nel marasma di libri. Spero solo che questa lettera possa spiegare ai futuri credenti perché non siamo riusciti a comporre un solo libro ufficiale e perché, quelli scritti, sono così diversi tra loro.

Mi sono deciso a svelarvi questi fatti perché ho paura che, scoprendo la verità, alcuni di voi perdano la fede. Anche se i vangeli sono in contraddizione, non dovete disperare. La fede non ha nulla a che fare con l'intelletto e i fatti reali non hanno importanza. Non dovete giudicare, pensare, valutare. Dovete solo avere fede e pregare.
Fratelli, pregate anche per me. Salutate tutti i fratelli con un bacio santo. Vi scongiuro, per il Signore, che si legga questa lettera a tutti i fratelli. La grazia del Signore nostro sia sempre con voi.

Il tredicesimo apostolo


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