Mario, Mario, perché non sei serio?
Mario, Mario, perché non mi hai mai raccontato le cose che avresti voluto fare con me?
Non sarebbe stato così peccaminoso provare le sensazioni che ci martellavano in testa nelle calde notti estive, quando io rimanevo sul balcone con l'orecchio puntato al motore della tua auto e tu non vedevi l'ora di pulire il pavimento del negozio per venire a chiamarmi e costringermi a fare un giro in macchina in pigiama. E sì, tutto ha un lato A e un lato B come le cassette in cui registravamo le nostre voci, adesso tutto quello che è rimasto è qui, nella testa, e quello che se n'è andato... sparito per sempre.
Le strade erano deserte, quell'onda di gente che aveva invaso la strada principale e i negozi, si ritirava lentamente, lasciando il posto a qualche anima solitaria e a un mucchio di pazzi solitari come noi. Potevamo vederci soltanto molto tardi, tu, infatti, dovevi aspettare che quel pancione del proprietario chiudesse la saracinesca, io cercavo di resistere, ma non potevo farcela ogni notte. La mattina e il pomeriggio andavo al mare, la sera a ballare con un gruppo di amici scapestrati... poi, feci la scoperta: con qualche oretta di sonno il pomeriggio potevo diventare un'altra volta nuovo e brillante, affrontare l'attesa con un libro in mano sul balcone, cercando di non pensare a te, al tuo corpo che emerge dall'acqua, alle tue mani forti che si alzano per affondare nella seta dei tuoi capelli neri e portarli indietro con un unico movimento. Ma il pensiero richiamava tutte le altri parti del tuo corpo, le braccia, le ascelle, il petto e la pancia piatta e dolce. Non eri proprio un gigante, allora, ma ti adoravo lo stesso. Cosa ti è successo? Sei cresciuto così all'improvviso, guarda, sei addirittura più alto di me adesso. Anche se provassi ad accarezzarti non sarebbe lo stesso. Vorrei sapere quello che ne giungerebbe, una ventata gelida lungo la schiena, forse... un ritorno all'origine. Tu non parli, rimani fermo, guardi il mare.
Non sei stufo? È una vita che ci spia, sempre sopra questa terra, mai un viaggio, il viaggio! Quello che avevamo progettato quante volte? Non me le ricordo più.
Un giorno mi hai stretto così forte che ho pensato di morire soffocato lì, contro la parete della tua camera. I raggi entravano di sghembo dalla finestra e si posavano come uova galleggianti sulle foto della tua pop star preferita.
«Che ti prende?» Mi hai guardato fisso negli occhi mentre alzavi l'orlo della t-shirt e viaggiavi con le mani sul mio petto e lo stomaco. Scoppiai a ridere. Sentii la tua bocca avvicinarsi e affondare contro la mia, calda, carnosa. é stato il più bel bacio della mia vita, sai? Di ciò che capitò in seguito non ci curiamo, siamo delle persone colte adesso. Però quando vidi spuntare all'improvviso la testa di tua madre pensai: «è solo un sogno, un brutto sogno.»
Almeno quello che doveva essere un episodio banale ti ha permesso di vivere ben 14 anni in Germania, di studiare in un collegio retto da religiosi, di conoscere tua moglie di avere tre bambini bellissimi come eri tu, e come lo sarai sempre nella mia testa. Non so che altro dirti... Potrei aggiungere che oggi è una giornata stupenda, ma non capiterà più di trascorrere del tempo insieme e preferisco schiuderti il mio cuore.
Sì, meglio non rompere il silenzio, rimaniamo ancora qui su questa panchina a guardare il mare, rimaniamo l'uno accanto all'altro in mezzo ai nostri bastoni.


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