29 febbraio 1992.
Biblioteca della Facoltà di Scienze Politiche.

Il sole è tiepido e nel cielo sereno si riesce a respirare un'atmosfera autunnale, quasi primaverile. Le finestre chiuse impediscono ai suoni della strada sottostante di raggiungerci. Il silenzio è irreale, fa molto caldo. L'aria è consumata. Le seggiole, tutte spolverate e allineate, sono ben sistemate attorno ai cinque grandi tavoli. Davanti a me una parete strapiena di libri, dietro pure. Una veneziana è abbassata su una delle finestre che stanno alla mia destra. Mi lascio alle spalle poco meno di metà biblioteca in ombra. La luce che riesce ad entrare è funzionale al lavoro che devo completare. Solo due seggiole non seguono l'ordine impartito alle altre: la mia e quella di Ester. Nella prima sono seduto io e, nella seconda, c'è il foulard della ragazza. Lei è davanti alla finestra, ed io ho molta voglia di restituirglielo. È assorta e silenziosa. I suoi occhi ammirano il panorama ma il suo sguardo è assente e vuoto.
La porta alla mia sinistra si apre: entrano voci lontane, risa e rumori d'ufficio. Si richiude.
Restano soltanto i passi di Irma a farci compagnia. Passi pesanti, quelli di Irma, passi da bidella. Centoventi chilogrammi, ad occhio e croce, per un metro e ottanta d'altezza.
Mi passa davanti, si ferma.
La biblioteca è separata dal resto del mondo, c'è un gran silenzio. D'un tratto, la sepolcrale quiete è interrotta da un tremendo colpo. Non proprio tremendo, però, decisamente energico. Schiocco potente, comunque, tonante come uno sparo. Non sono proprio sicuro di poter confermare ciò che ho sentito; un prolungato silenzio riesce a rendere irreale anche uno starnuto.
Il cadavere comunque è li, e c'è davvero.
Proprio lì, accanto a quel dannato termosifone che continua imperterrito a riscaldare la stanza.
Detesto il caldo; mi ricorda il Kenya, l'incidente, la Jeep capovolta, la malattia del sonno.
Anche in quell'occasione vidi la morte, negli occhi di mamma.
Il corpo privo di vita non si muove più, la stanza è calda.
Non sono in grado di dire chi sia stato il colpevole: al momento ero distratto. La tasca destra della mia giacca è stracolma di denaro, non me lo merito. Mi era stato dato come ricompensa anticipata per incastrare il colpevole ma, nel momento fatidico, ero distratto. Pagamento anticipato, lavoro facile.
Come è strana la vita.
Tre persone nella biblioteca, un corpo privo di vita, ed io, "l'investigatore", non ho visto nulla. Dovevo solo concentrarmi sulle persone. Non è il primo morto rinvenuto in questo ambiente e non sarà nemmeno l'ultimo.
Il corpo è sempre lì, mi avevano detto che sarebbe sparito.
Chiacchiere.
Domani comunque non posso venire, nemmeno dopodomani; devo risolverlo adesso, il caso. Subito. Conosco i comportamenti del colpevole. Devo solo aspettare, concentrarmi, evitare le distrazioni.
La macchina fotografica è in mezzo alle mie cosce. L'ho presa due minuti fa, approfittando della confusione generata da quello che mi sembrava un tremendo sparo. Era nella borsa, accanto alla gamba del tavolo.
Non trovo gli occhiali; guardo Irma, si sente in imbarazzo.
Sto per parlarle, mi trattengo.
Gli occhiali sono nella custodia, dentro la borsa accanto alla gamba del tavolo.
È d'obbligo ricostruire la dinamica dell'azione che ha portato al verificarsi dell'uccisione.
«... Descrizione dell'arma. È una Walter P5. dalle dimensioni appare evidente che è particolarmente indicata per il porto. Il fusto, in lega leggera, è anodizzato. Le parti in acciaio sono brunite. La canna è lunga 90 mm. Le 6 righe interne sono destrorse. Il caricatore, monofilare da 8 colpi, utilizza il principio mano cerca mano sviluppato in Cecoslovacchia ed è inserito sotto l'impugnatura. Il mirino a rampa integrale, con carrello, è in linea perfetta con la tacca di mira registrabile in derivazione. I riporti sono bianchi, tipo Von Stavenhagen. È un'arma molto ben progettata e costruita; elevati sono sia il livello di finitura che la resa balistica. L'arma, dolce allo sparo, più che adeguata per il puntamento istintivo, di funzionamento impeccabile, ben controllabile nel tiro rapido, comoda per le mani di varia taglia, pesa, scarica, appena 795 grammi. Il calibro è 9 o 9 21 parabellum...».
Descrizione del morto: che dire?
Un cadavere come tanti. Dissimile da quelli che vediamo sdraiati nelle casse da morto. Scomposto, anzi, scomposta, immobile.
Come le due donne. Ester ed Irma.
Silenziosa, come Ester ed Irma.
Le due donne non sono turbate. Nel loro volto non c'è né orrore né terrore, non sono impaurite. Non sembrano conoscere pietà o compassione; piango per loro.
C'è silenzio. È molto caldo.
Guardo il libro di Diritto Privato, mi appare sfocato.
Il fatto illecito: «... Dicesi fatto illecito ogni fatto che cagiona ad altri un danno ingiusto. È fonte dell'obbligazione di risarcire il danno causato e, quindi, si definisce come una fonte volontaria...».
La stanza è sempre molto calda, tra tre ore ci sarà l'eclissi solare: grande evento, visibilità perfetta. Eclissi totale.
Qui a Perugia, da giorni, non si parla d'altro.
Dico alla bidella se, per piacere, mi apre la finestra. Finge di non sentire. L'eco delle mie parole è seguito dal rumore dei pesanti passi di Irma; zoccoli di legno, peggio che all'ospedale!
L'immenso grembiule nero mi passa davanti. Si dirige verso la porta.
Acre odore di sudore al suo passaggio, non l'avevo notato prima.
La porta rimane aperta, il telefono della segreteria suona.
Sta trillando da almeno un minuto.
Qualcuno risponde: è Giulio, lo riconosco.
È lui che mi ha colmato la tasca di denaro!
«Il segretario non c'è.»
«Aspetti che guardo.»
«No, non è arrivato nessun poliziotto qui.»
«Scusi ho capito male.»
«Sì, è giunto ora.»
«Aspetti un momento. Glielo passo.»
«Pronto?»
«Si, sono io.»
«Sono arrivato adesso.»
«La ragazza dell'incidente?»
«Ah, si! Ho capito chi è. L'esame d'ammissione per la Scuola per Assistenti Sociali l'aveva superato. Abbiamo iniziato tutte le pratiche. Il suo posto è stato preso da un'altra ragazza.»
«No, del seminario sull'Handicap non sappiamo nulla.»
La porta della biblioteca si richiude, il termosifone è spento.
C'è nuovamente un gran silenzio. Ester indossa un tailleur grigio.
Taglio maschile. Molto fine. L'esile corpo si regge in un delicato equilibrio: piccole scarpe sopra ancor più piccoli legnosi tacchi. Le braccia conserte, le unghie curate; i capelli lunghi, lisci, morbidi sulle spalle. Non porta orecchini, solo un semplice lucidalabbra. Sospira. La mano destra cade leggera lungo un fianco; l'altra, lieve, si posa sul davanzale della finestra. Nel sole, una mano passa soave tra i capelli. Il ginocchio destro è spostato in avanti rispetto all'asse del corpo. La catenina dorata, nella sua mano, brilla lucente, come l'orologio.
Si sta oscurando il cielo.
Non è un temporale: è l'eclissi. Il sole è già un ricordo.
La vista del cadavere mi intristisce. Ripenso a mamma.
Piano piano tutto si fa buio, gli oggetti si arricchiscono di nuove ombre, le pupille si dilatano. Eccitato guardo Ester; non si scompone, non parla, non lascia trapelare alcuna emozione.
La stanza è buia. La porta si apre e si richiude: esclamazioni lontane, di stupore. Il buio mi fa percepire negli altri adulti l'innocenza dei bambini, il loro attonito stupore alla vista del prodigio che si compie.
Chiedo ad Ester se può accendermi la luce: non da segni di vita, è lontana come una stella.
È vero, non ci pensavo.
Dalla borsa tiro fuori un fiammifero e una candela. Lo accendo e rimango abbagliato: faccio colare un po' di cera sul tavolo.
La candela è in piedi, il mio angolo si illumina, posso nuovamente leggere. Fumetti: l'Ammazzacattivi. Un altro culturista vendicativo armato fino ai denti.
«... Mrs Storm è morta sul colpo. Sono 784 gli spacciatori trovati morti nel cortile di casa. La polizia sta indagando per scoprire se erano reali criminali o se sono stati innocenti vittime di un ben congegnato piano per sviare le indagini da quello che, all'inizio, era nato come un maniacale piano omicida. Diario dell'Ammazzacattivi: stasera ne ucciderò altri. Ti vendicherò, mamma! Da quando sei scomparsa non faccio altro. Chi ti ha fatto sparire, prima o poi, la pagherà!...».
I disegni sono molto buoni, ottimi gli inchiostratori.
In America vende parecchio e qui in Italia sta già invadendo le edicole. Avrà sicuramente altri compagni, pronti ad aiutarlo a spappolare criminali.
Basta con queste letture: mi fanno sentire deficiente.
Devo ancora scoprire il colpevole. Non può essere Ester: la conosco da quando i volontari venivano a prenderci con il pulmino per portarci alla messa: brava gente.
Ci mettevano davanti all'altare, tutti in fila, come nelle gare automobilistiche: roba da formula uno. Un'avvincente Pole Position: mi divertivo. Ester è bella, incredibilmente bella. Da capogiro!
Cercavo sempre di stare accanto a lei, ne ero affascinato.
Ester è cieca, sorda e muta.
Mi domandavo spesso per quale Dio pregasse.
Un Dio sicuramente misterioso per ricoprirla di tali doni.
Ora non mi pongo più quel genere di domande; razionalizzare il suo mondo mi è proprio impossibile.
La sua presenza in biblioteca è legata ad un piano di integrazione per gli handicappati nelle scuole.
Non si è nemmeno inserita, non può aver ucciso nessuno.
La porta si apre; non possono esserci più dubbi, è lei, la colpevole. Nella stanza, al momento dell'uccisione eravamo solo in tre; io non sono stato.
Un'omicida da centoventi chili, quindi, un movente lungo sicuramente un metro e ottanta, per non parlare dell'alibi.
Mi rileggo il fatto illecito.
Un'immensa ombra mi impedisce di continuare il mio studio.
È il direttore del corso per Assistenti Sociali. Si complimenta con me; non so cosa dire, non so nemmeno cosa mi dice. Non l'ho nemmeno sentito entrare. Fa caldo; l'incidente, il Kenya, le gambe.
Mi volto verso il corpo privo di vita: è sparito.
Credo di essere sulla buona strada per impazzire. Tutto mi appare irreale, lontano, distaccato. Voci lontane. Buio.
Mi ritrovo in bagno. Irma è alle mie spalle, mi sta stringendo le mani attorno al collo. Vuole strangolarmi; no, vogliono avvelenarmi.
È aiutata da Giulio, colui che mi ha pagato per incastrarla.
Lui era uno di quelli che sospettava di lei. Mi aveva detto di stare in guardia. Non voglio morire.
Tentano di soffocarmi; con un fazzoletto mi comprimono il volto.
Balzo all'indietro; la mia testa colpisce il pancione di Irma.
Ammoniaca. Tutti si affrettano a tranquillizzarmi dicendo che ero svenuto. C'è anche il direttore.
Mi riportano fuori dal bagno quando il sole è ormai prossimo al tramonto: ho perso anche l'ultimo treno utile per tornare a casa. Devo telefonare a papà, mi verrà a prendere se glielo chiedo. Cerco il portafoglio: è sparito. Non voglio pensare che sia stata Irma.
Mi guarda. Ha capito che so tutto. Si vendicherà. Dopo.
Sarà lei a richiudere la scuola. Siamo rimasti solo io e lei, gli altri, spariti; tutti a casa. Cerco di chiamare il direttore, l'ultima persona che riesco a vedere: mi si blocca il respiro. È già lontano, non mi sente più.
Irma mi riporta in biblioteca. Ester è stata portata via: di lei rimane solo il foulard, è ancora lì, sulla seggiola.
Chiedo alla bidella se per piacere può accendermi tutte le luci.
Non è paura. Papà arriverà tra due ore.
Passano dieci, quindici, venti minuti.
Chiamo insistentemente Irma, è meglio far finire subito questa farsa.
Arriva trafelata, sudata e spazientita.
Le domando se vuol sedersi accanto a me. Seppur irritata mi ubbidisce. Si vede da lontano un miglio che la fretta la divora. Le chiedo se deve fare qualcosa di particolare, se deve andare via.
Borbotta frasi senza senso: capisco solo due parole: faccende, sbrigare. Le dico che non intendo denunciarla, si tranquillizza. Assumo un atteggiamento comprensivo e disponibile. Le chiedo perché ha fatto tutto ciò. Scoppia a piangere. Quella che ho davanti adesso è una bidellona tanto cara, tenera tenera.
Inizia a discorrere della carriera del marito, da maestro a professore universitario: della sua rigida amministrazione economica del bilancio familiare, del suo profondo odio per chi non concretizza nulla nella vita.
Illuminata mi racconta stupende storie del figlio.
Continuando a piangere inizia a parlarmi della droga che lo logora, del prezzo delle dosi, di lei che non vuole prostituirsi per mantenergliele, dei suoi piccoli furtarelli, del marito che non deve sapere nulla, delle dosi che lei, nonostante tutto, riesce a comprargli, di come la famiglia è serena e felice malgrado tutto ciò.
Mi restituisce il portafoglio.
È stata lei quindi a sfilarmelo quando ero svenuto.
Rimango sconcertato: io volevo parlare del delitto, di quella povera mosca colpita sopra il tavolo, della sua improvvisa sparizione. Appena la interrogo su questi fatti, la mano, ancora tesa verso di me con il portafoglio sorretto dal pollice, l'indice ed il medio, si abbatte sul tavolo insieme al gomito dell'altro braccio.
Sobbalzo impaurito all'indietro, la carrozzella su cui sono seduto regge bene il colpo; l'incidente, il Kenya.
Il pianto di Irma aumenta, inizia a singhiozzare.
Faccio fatica a seguire i suoi discorsi: il marito, la rigida dieta, le privazioni finanziario-alimentari, le mosche che ha dovuto mangiare. Ora capisco perché all'arrivo del direttore la mosca è scomparsa. Povera donna!
Le prendo la mano, con fatica riesco ad aprirla. Riprendo il mio portafoglio; è ridotto come un pacchetto di sigarette accartocciato. Ci sono diecimila lire, gliele porgo.
Mi guarda sorridente; le accetta.
Ha smesso di piangere, mi fa una gran pena.
Era da tanto tempo che non mi sentivo così compassionevole: infilo la mano nella tasca destra della giacca. Le porgo il denaro datomi da Giulio come ricompensa. Lo accetta. Mi sento ancora in debito con lei.
Le parlo della scommessa, dei compagni di scuola, di Giulio, delle chiacchiere riguardo la sua cleptomania, della mia posizione riguardo all'argomento. Ritenevo Irma un po' strana ma definirla cleptomane senza prove certe non mi pareva giusto. Da qui l'incarico, poi le trecentocinquantamila lire, infine la macchina fotografica.
Documentare il furto, tutto in un pomeriggio: d'un tratto l'arrivo di Stefi, la pettegola della classe. L'ultima novità, una bomba, sensazionale: Irma, la bidella, mangia le mosche.
Non avrei voluto accettare ma, d'altronde, ero pur conscio che la mia balbuzie mi avrebbe dato qualche problema: così fu, venni subito equivocato. L'entusiasmo dei miei compagni era tale da impedirmi, con un secco no, di interrompere quel loro magico, idilliaco momento.
Non fu una decisione tanto difficile quella che, comunque, presi: c'era pur sempre Ester. La sua presenza poteva calmarmi, cancellare ogni mia angoscia.
Spesso lei rimane a scuola il pomeriggio; i genitori la vengono sempre a prendere tardi. Qui la sanno al sicuro.
Irma ed io ci guardiamo: siamo amici adesso.
È ormai buio e papà è in ritardo, di mezz'ora.
C'è silenzio.
Il foulard di Ester è ancora sopra alla seggiola.
Le foglie gialle della camicetta di Irma spiccano felici sul nero dell'immenso grembiule: solo ora le vedo.
Il fumetto dell'Ammazzacattivi, la descrizione della sua terribile pistola P5 e la candela spenta sono sul tavolo accanto al libro di diritto privato ed ai soldi: quanta carta!
Tanta, vicina, simile. Tre inchiostri diversi, tre valori diversi, tre interpretazioni diverse, tre modi di vedere l'unica realtà della carta. La candela mi guarda: ha un solo capello.
Bruciacchiato.

Siete a corto di idee?
L'autore mette a disposizione la trama del suo giallo per farla sviluppare.
Fateci sapere se avete intenzione di usarla!


Data invio: