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© 2005 Gianluca Turconi. Tutti i diritti riservati.

«Col matrimonio, gli sposi perdono parte delle spigolosità del proprio carattere. Ve lo assicuro in base ad anni di esperienza nel campo.» Il sensale enunciò la sua teoria innaffiandola con abbondante birra scura. Ne bevve una pinta in un fiato.
Rolf l'Ardito lo ascoltò distrattamente, grattando via una scheggia dal tavolo servendosi della punta dell'unghia, come se stesse cercando di stanare un tarlo. Quindi disse: «Forse è giunto anche per me il tempo di prendere moglie. Ho superato l'età in cui combattere battaglie e vincere nemici valeva più di un'amorevole compagna o di una discendenza che serva da vincastro alla mia vecchiaia.»
«Mio buon guerriero...» iniziò il sensale, riposizionando la pancia dentro i pantaloni al termine della bevuta. «Se vi siete deciso a prendere moglie, posso redigere il contratto in un batter d'occhio. Ho già in mente qualche nome che farebbe la vostra felicità. Nessuna donna rifiuterebbe un uccisore di orchi della vostra fama.»
L'araldo del Duca, seduto al banco della locanda, si intromise: «Guardatevi da quel vecchio, Rolf. Vi potrebbe proporre un'asina spacciandola per una puledra di razza!» Gli altri avventori risero ostentatamente. Erano soldati ducali, mezzi brilli a inizio serata.
«Non vi permetto di...» La replica seccata del sensale fu inghiottita dall'entrata spettacolare del troll.
La creatura sfondò col corpo la parete su cui si apriva la porta del locale, sbattendo con la testa sull'architrave del soffitto a otto cubiti di altezza. Si imbufalì per la botta e proferì un'oscenità nel suo dialetto consonantico: «K'thran!»
Avrebbero dovuto sentirne la vicinanza con largo anticipo, perché l'olezzo della sua pelle scagliosa poteva tramortire una vacca al pascolo a una lega di distanza. Tuttavia, gli uomini presenti nella locanda ebbero ben poco da preoccuparsi per l'odore, in quanto il troll prese a distribuire con somma prodigalità pugni a destra e a manca. Avevano la potenza di colpi di maglio e dopo i primi tre crani sfondati, anche i soldati più ubriachi imbracciarono le picche per resistere all'assalto.
«Mirate alle gambe!» gridò Rolf afferrando una fiaccola brillante di fiamma viva. I troll non erano orchi, ma se c'era da ammazzare un errore della natura, il guerriero non si tirava indietro.
Le punte delle picche si smussarono battendo sulla possente muscolatura del troll che si aprì un varco tra la truppa, seminando fratture, smembramenti e morte. Rolf gli si parò davanti, agitando la fiaccola del cui fuoco la creatura aveva un timore atavico.
«Vattene, mostro!» gli ingiunse il guerriero. «Prima che la mia pazienza si esaurisca e ti restituisca alle fiamme dell'inferno che ti hanno partorito!» Il sensale ammirò il coraggio cieco di quell'uomo.
Il calore della fiaccola indusse un tentennamento nel troll. Il suo ventre borbottò e alcuni, compreso Rolf, lo ritennero un segno di paura. Fu un'imprevidenza in buona fede. Il borbottio si trasferì dal ventre allo stomaco e da quel luogo di perdizione risalì fin nella bocca del troll, da dove si riversò sul malcapitato guerriero in una pioggia di succhi gastrici che gli corrosero la cotta di maglia di ferro intrecciato e la carne del corpo fino all'osso, spegnendo al medesimo tempo la fiaccola. La reazione isterica della creatura alla tensione aveva avuto come effetto collaterale la dipartita di un valoroso combattente e l'aggiunta di un nuovo eroe leggendario all'agiografia degli Antenati.
Sbarazzatosi, per sorte favorevole, dell'unico uomo degno di quel nome nella locanda, il troll sbalordì i sopravvissuti, nascosti dietro ai tavoli ribaltati e al bancone, parlando nella lingua delle terre del Duca: «Chi tra voi è il sensale?»
Una serie di indici speditamente puntati lo misero sulla via giusta. Avanzò con passo pesante verso l'uomo accovacciato sotto la tavola. Dal suo punto di osservazione, il sensale poté vedere unicamente i piedi del troll in movimento. La loro sporcizia era terreno fertile per ogni genere di insetto e pianta.
Arrivato a portata di braccia, il troll scaraventò il nascondiglio del sensale contro il muro e afferrò il vecchio con le due mani, alla gola e ai testicoli, sollevandolo per aria.
«Sarebbe bastata la gola...» bofonchiò il sensale con le lacrime agli occhi.
Il troll non era in vena di concessioni e pose la sua richiesta: «Se non vuoi che distrugga il villaggio e mi nutra dei suoi abitanti, dammi una moglie umana.»
Il sensale calcolò velocemente quante ragazze del borgo fossero in età da marito.
«La voglio vergine!» specificò il troll.
La postilla obbligò il vecchio a scalare il numero ottenuto in precedenza fino all'unica scelta disponibile che urlò all'araldo, esaurendo il fiato rimastogli nei polmoni: «Portatemi la figlia del fabbro. Subito!»
L'araldo non titubò. Accompagnato dai picchieri se la svignò attraverso la voragine nella parete. Il sensale pregò che quei miserevoli avessero un briciolo di compassione e non se la dessero a gambe. Si dovevano rendere conto che il troll non era provvisto di pazienza, ma solo di un appetito robusto. La sua fame non era in discussione. L'essere stava guardando con cupidigia l'uomo, asciugandosi di tanto in tanto un rivolo di saliva che gli scorreva dalle labbra sul mento. Il suo autocontrollo fu comunque encomiabile.
Il tempo trascorso prima che gli uomini tornassero fu giudicato dal vecchio una giusta punizione inflittagli dagli dei per i suoi peccati passati. Il sensale tirò un sospiro di sollievo nel vedere il ritorno dell'araldo.
«Perché sei solo?» trepidò.
«Gli altri stanno arrivando con la figlia del fabbro.»
«Vi ha seguito di sua spontanea volontà?» si interessò il troll.
L'araldo rimase sconcertato dal dover rispondere direttamente a lui. Uomini e troll tendevano ad avere rapporti che prevedevano lo scavo di tombe anziché lo scambio di chiacchiere in amicizia. Rispose: «Certo.»
Due picchieri arrivarono portando Annelore legata mani e piedi a un ramo di ciliegio che sostenevano sulle loro spalle.
«Appena lo saprà mio padre, userà le vostre teste al posto dell'incudine!» sbraitò la ragazza, inviperita. «Temprerò anch'io qualche ferro di cavallo in più per il gusto di battere il martello sulle vostre zucche vuote!» Al cospetto del troll smise di parlare.
Annelore non si spaventava facilmente, il sensale lo sapeva bene. Da quattro anni suo padre lo supplicava di trovarle un marito. Uno qualsiasi, anche orbo, monco o di razze differenti, purché si portasse via quella diciottenne brutta quanto la fame in un inverno nevoso. La maggior parte degli uomini che aveva contattato per concludere il contratto, avrebbe sopportato la bruttezza, ma il carattere indisponente e capriccioso era troppo... Il fabbro era arrivato a minacciare di rinnegarla come figlia se non si fosse dimostrata più accomodante, senza sortire effetti di sorta. La giovane era l'eccezione che confermava la regola del sensale sull'abbandono delle spigolosità del carattere col matrimonio.
I picchieri la depositarono sul pavimento a una rispettosa distanza di venti passi dal troll.
La creatura lasciò cadere il sensale e si piegò per guardare Annelore da vicino: «Sì, mi accontenterò di lei.» Giratosi fronte al sensale, ordinò: «Sposaci!»
Contorcendosi, la ragazza si drizzò sulle ginocchia: «Vecchio, non azzardarti a iniziare la cerimonia o, fosse l'ultima cosa che compio in vita mia, ti strapperò il cuore. Sposerei più volentieri un verme di Gallara piuttosto che questo ammasso di...» Il sensale le tappò la bocca con la mano.
«Taci! Vuoi che ci uccida? Non è il miglior partito che ti posso offrire, però non è da disprezzare.» Il troll, distrattosi per un momento, stava rovistando nei resti appiccicosi di Rolf in cerca di un boccone da spolpare. «Beh... Forse ha delle abitudini alimentari discutibili, ma avrà pure delle altre qualità.» Abbandonata l'idea del pasto, l'essere defecò sul pavimento. Solo ciò che uscì dai suoi orifizi poté puzzare più della sua pelle. Il sensale, allibito, non retrocedette dall'intenzione: «Lo sposerai lo stesso!»
Annelore gli morse due dita e si liberò dal bavaglio improvvisato. La ragazza urlò a squarciagola: «Accetterò...» Il vecchio troncò la frase che avrebbe continuato con "...quando la neve brucerà e il fuoco bagnerà!", imponendole il silenzio per mezzo di uno strofinaccio recuperato sul bancone.
A scanso d'equivoci, il sensale disse: «Avete sentito tutti il suo consenso?» Teste sgomente annuirono.
Scrisse i termini del contratto matrimoniale su una tovaglia, completando il cerimoniale con la formula di rito, destinata al troll: «Sii un marito fedele per tua moglie, trattala secondo le tradizioni del tuo popolo e non farle mancare il giusto amore.» Il troll farfugliò una frase sconnessa. «Lo sposo ha accettato i termini del contratto.»
Il troll alzò Annelore e se ne uscì dalla locanda, tenendola per il ramo di ciliegio. Lo scampato pericolo strappò un grido di gioia agli uomini. La notte senza luna favorì l'allontanamento dal villaggio.
La strada scelta per la fuga non fu delle più agevoli. Il troll si inerpicò su per le montagne che conducevano al Passo dei Mercanti, tra abeti carichi di neve e le ultime pernici bianche che, attardatesi in quelle terre prima di migrare a sud, li osservano curiose dai rami. Non seguirono la via carovaniera principale lungo la quale gli accampamenti dei commercianti diretti al passo si susseguivano a ritmo serrato, ma si addentrarono nel fitto della foresta, costeggiando la catena montuosa alle pendici del crinale orientale, in zone disabitate e, a giudizio degli abitanti del villaggio, maledette.
Dopo quattro ore di viaggio, il troll ritenne che il fuoco dei bivacchi fosse sufficientemente lontano e si fermò per una sosta. Adagiò Annelore a terra, non accennando a slegarla. Si premurò invece di toglierle il bavaglio. La prudenza avrebbe consigliato un atteggiamento diverso.
«Aiuto!» La richiesta di soccorso di Annelore distrusse il silenzio notturno, spaventando ogni essere vivente nel raggio di molte leghe, compreso lo sventurato troll che tutto si sarebbe aspettato da una femmina d'uomo, tranne che avesse una vocalità comparabile a quella di un elfo dei boschi.
Le bloccò l'intera faccia con la mano possente e l'avvisò: «Non urlare ancora o dovrò agire di conseguenza.» Allentò la presa.
«Riportami a casa. Subito!»
Il troll la guardò in modo strano, come rapito. Annelore non lasciò cadere la questione: «Non ti aspettare che io soddisfi uno solo dei tuoi desideri lussuriosi!» Il sistema riproduttivo dei troll era uno dei grandi misteri del mondo, tanto grande che gli alchimisti del Duca avrebbero pagato il suo peso in oro per averne conoscenza, anche solo per testimonianza indiretta. Indipendentemente dalla quantità d'oro che le avrebbero offerto, la ragazza non aveva intenzione di sperimentare la procedura di persona.
Non era l'unica a nutrire un notevole ribrezzo a quel pensiero.
Il troll sputò un bolo grumoso sul terreno, esprimendo il proprio disprezzo: «Voi esseri umani credete che il creato ruoti intorno ai vostri bisogni!» Alzò lo sguardo al cielo. Le nuvole si erano diradate e, sebbene la luna non si vedesse, alcune stelle più brillanti delle altre si mostravano alla vista.
Un astro dai riflessi cangianti si distinse tra i gemelli per la sua luminosità. Il troll lo scelse quale destinatario di un discorso che sbigottì Annelore: «Io sono Amagh della stirpe dei troll. Il mio animo è come quella stella, brilla nell'oscurità di un destino che mi è stato imposto alla nascita. Il disprezzo delle altre razze mi accompagna e mi opprime. La mia ricerca di un'esistenza migliore si scontra col pregiudizio e con l'ostilità perché possiedo un corpo di cui non posso sbarazzarmi. Solo abbandonandolo definitivamente sarò riconosciuto per ciò che sono: una creatura degli dei.» Accarezzò la ragazza con un dito grosso quanto il ramo a cui era legata. «Non ti odio, piccola donna coraggiosa. Se ti spavento, ne hai motivo fondato. Il sacrificio a cui ti dovrai sottoporre mi addolora, ma mi libererà per sempre dal mio insopportabile fisico da troll.»
«Un sacrificio?» Annelore aveva pensato che anche esseri mostruosi come Amagh potessero essere affetti dall'insanità della follia, tipicamente umana. Ma il suo ragionamento non era inficiato dalla pazzia. Il troll aveva uno scopo e la ragazza era lo strumento per raggiungerlo. «Tu vuoi uccidermi! Ti servo per qualche stregoneria!»
«Non morirai per mano mia.» Amagh la riprese in spalla, ricominciando la salita.
La sorte di Annelore si delineò con maggiore precisione poche leghe più avanti. Nel mezzo della selva, una fiaccola si mosse in un segnale prestabilito.
«Avanza, così che ti possa vedere!» pretese Amagh dal nuovo arrivato.
Un uomo della gente del mare uscì dal fitto degli alberi. Nascondeva i capelli biondi sotto una pesante cappa di tela e il viso attraente, circoscritto da una folta barba ispida, era rovinato da occhi malvagi. Portava con sé una giovinetta dalla bellezza precoce, con le mani legate anch'essa. Il mercante alzò il braccio in un saluto. Conosceva il troll.
«È questa la moglie che hai trovato?» chiese l'uomo.
«Non potevo pretendere altro.» replicò Amagh.
«È vergine?»
«Dalla mancanza assoluta di ogni barlume di beltà, non può che essere tale.»
«Complimenti per l'arguzia. I troll hanno anche un cervello, ben nascosto tra i muscoli.» ironizzò il mercante. La apprezzò alla luce della torcia. Il troll retrocedette intimorito. «Sì, Amagh, nessuno sarebbe tanto temerario da insidiarne la virtù senza la massima motivazione. Esattamente la stessa che ci ha spinto qui entrambi.»
Annelore non sopportò di essere trattata da mercanzia: «Quale oscura ragione unisce un uomo a un troll? I tuoi avi umani rinnegherebbero la loro discendenza se sapessero che stai tradendo la nostra razza!»
Il mercante la colpì violentemente con un pugno. «La tua voce mi è già venuta a noia. Potrei fare a meno della tua compagnia...» Estrasse la spada corta che teneva alla cintola.
Amagh si drizzò sulle gambe ed emise il suo avvertimento: «Se la tocchi, il patto tra noi è rotto. Ne andrebbe della tua vita.» L'uomo confrontò la mole del troll con l'arma a sua disposizione. Rinfoderò la spada.
«Un giorno o l'altro incontrerai qualcuno che trafiggerà quel tuo cuore gentile, troll.»
«Non accadrà molto presto e certamente non ora.»
Annelore ebbe l'impressione che Amagh fosse realmente interessato alla sua sopravvivenza. Nel mondo esistevano stranezze di gran lunga più grandi di un troll compassionevole, tuttavia la ragazza nella sua breve vita non ne aveva incontrate di altrettanto assurde.
Il mercante cambiò discorso: «Muoviamoci. La grotta è lontana.»
«Tua moglie potrebbe non arrivarci...» notò il troll. La giovane che accompagnava l'uomo era molto provata dal cammino percorso fino a quel momento. Doveva aver assaggiato la mano pesante del marito in diverse occasioni, poiché il viso dolce era segnato dalle percosse.
«Mia moglie andrà dove le ordinerò di andare!» Il mercante riprese il cammino spingendo la moglie in avanti. La sventurata accettò l'imposizione con fatalismo. Pronunciò poche parole in una lingua straniera ignota ad Annelore e, probabilmente, allo stesso mercante. Sua moglie non era stata certo una sposa consenziente.
Avevano una nuova meta: una grotta. Quanto distasse e quale ragione li spingesse laggiù non era dato saperlo. Il gruppo si avviò nel bosco, col mercante ad aprire la strada con la fiaccola. Almeno Annelore non doveva camminare. Amagh la trasportava con la stessa facilità di un fuscello. L'assenza di occupazioni contingenti la portò a ricercare una via di scampo. Il troll si era dimostrato sensibile, oltre ogni immaginazione. Poteva essere la sua salvezza e tentò di impietosirlo. Lo richiamò sottovoce, per non destare sospetti nel mercante.
«Amagh! Questo è il tuo nome?»
«È il nome con cui il mio clan mi chiama.»
«Bene, Amagh, hai detto di non sopportare l'ostilità e il disprezzo delle altre razze. Sacrificarmi non aumenterà la considerazione degli uomini nei tuoi confronti.» Il troll la portò all'altezza degli occhi.
«Che ne puoi sapere degli esseri umani? Tu sei ancora un cucciolo d'uomo. Io ho vissuto molte delle vostre vite e ti potrei raccontare storie che riguardano la tua razza abbastanza raccapriccianti da chiedermi di smettere. Gli dei nel crearvi hanno scordato di porre un limite alle vostre ambizioni. Pretendete di essere più forti degli orchi, più abili dei nani e più longevi degli elfi, esattamente come quel mercante...»
«La longevità degli elfi? Gli elfi sono immortali! È l'immortalità ciò che cerca il tuo compare?»
«La vogliono tutti gli uomini.» dichiarò con certezza il troll.
«Però non è il tuo fine ultimo.»
«Se la tua perspicacia è la metà della tua loquacità dovresti già sapere qual è il mio fine in questo viaggio.»
La ragazza riconsiderò le azioni del troll in un disegno più vasto. Era sceso al villaggio da solo, sfidando le truppe del Duca e un guerriero famoso. Non temeva la morte quanto l'aver vissuto nei panni di un essere considerato una mostruosità.
«Desideri una morte onorevole.» scoprì Annelore.
«Cerco una morte da uomo.» Amagh le aveva svelato il suo segreto. Voleva davvero morire come un uomo, nel senso letterale del termine. Nonostante le sue parole precedenti, agognava un corpo umano per sperimentare i sentimenti e le speranze che gli erano propri.
«Nessuno stregone possiede il potere necessario per esaudire il tuo desiderio.»
«Non stiamo andando da uno stregone. La magia ha molti padroni. Alcuni sanno dare l'immortalità e tramutare un troll in un uomo, partendo dall'anima.»
«E io dovrei morire per questo?»
Le grandi pupille del troll si rattristarono: «Tu in cambio avrai la vita eterna.»
Annelore ammutolì. Amagh considerava seriamente uno scambio favorevole ciò che le offriva.
La foresta si diradò. Stavano calpestando terre che non avevano conosciuto intrusioni da età antiche. Era evidente dal rigoglioso sottobosco che altrove non attecchiva per il passaggio continuo degli uomini. Lì, cespugli bassi e spinosi, in coppia con un'erba rampicante munita di foglie prive di venatura, strangolavano gli alberi nonostante si fosse alle porte dell'inverno. Si sarebbe detto che traessero sostentamento da una fonte innaturale, al di sopra della comprensione umana.
Si imbatterono nella grotta d'improvviso. Era un taglio netto nel fianco della montagna, chiuso da un masso ciclopico che nessun essere vivente, neppure un troll, avrebbe potuto spostare.
«Tocca a te, Amagh. Il mio compito si è esaurito portandoti alla grotta. Aprila.» lo invitò il mercante. Il troll depose Annelore distante dall'entrata della grotta. Si preoccupava ancora della sua sicurezza.
«Qualunque cosa accada...» partì col dire Amagh. «Nel caso non sopravvivessi, mia moglie è libera. Sei avvisato, mercante. Che il tuo nome sia maledetto fino al giorno della fine del mondo se non rispetterai le mie ultime volontà!»
L'uomo non si impressionò: «Apri il passaggio! Penserai in un altro momento a lanciare le tue maledizioni!»
Il silenzio dominò le azioni del troll. Aderì col corpo al masso, mantenendo il capo rivolto a Oriente. Le sue labbra si mossero e recitarono una muta litania ancestrale. Luce, forza e potenza si concentrarono in lui. In un solo movimento sradicò la roccia dal suo alloggiamento e la scaraventò lontano. Annelore osservò con meraviglia la possanza di Amagh in quel frangente. Era stato nel giusto quando aveva affermato che la magia aveva tanti padroni. Lei stessa ne aveva appena veduto uno molto potente: uno sciamano troll. Fu allora che la sua paura crebbe incontrollata, perché il rapimento era orchestrato da entità che non sfruttavano la tradizionale magia delle foreste nelle terre del Duca.
«Il cerchio di protezione è infranto. Seguitemi.» Il mercante entrò nella grotta per primo. Temeva ciò che vi era contenuto, ma la brama di raggiungere il suo scopo sopravanzava il timore.
«Varcata la soglia, sarai guidata dal libero arbitrio.» disse Amagh alla moglie, sciogliendola dalle corde che l'avevano tenuta prigioniera. La prese per mano e la condusse all'interno.
Il buio della spelonca amplificò il senso di smarrimento che si era insinuato in Annelore. La vita non albergava nella caverna, non nel suo significato comune. Colui che dominava quel regno angusto si presentò loro circondato da alte fiamme.
«Arrestate il passo, mortali!» ordinò il dominatore di quei luoghi.
Il negromante non-morto sedeva su un trono di giada, incatenato da brillanti ceppi elfici, fiero della sua prigionia, col cranio scheletrito sormontato da una corona sulla quale era inciso con parole nella lingua degli Alti Elfi: «Atar Ëarlómë». Se Annelore avesse saputo leggere tale iscrizione, avrebbe tremato al cospetto del Padre dell'Oscurità dei Mari.
«Signore dei non viventi, veniamo da umili servitori nella speranza di restituirti la libertà.» Il mercante si prostrò in adorazione. Aveva viaggiato dalle coste fin là con l'intenzione di sottomettersi al padrone incontrastato della sua patria, nei tempi in cui il mondo era giovane.
Il negromante sibilò, emettendo un soffio di fuoco: «Uomini e troll che vogliono spezzare le mie catene!» La sua risata echeggiò sinistra. «Parlate, dunque!»
L'uomo tirò la corda della sua prigioniera, costringendola a inchinarsi: «Portiamo in sacrificio la purezza delle nostre mogli, così come è scritto nel rituale di evocazione.» Il non-morto si agitò sullo scranno.
«Mandami la vergine!» La richiamò col dito fatto di ossa.
Il mercante la trattenne: «Padre dell'Oscurità, reclamo il mio premio!» Il non-morto ululò.
«Mortale, avrai il premio se lo meriterai! Lascia che la donna venga a me.» La giovane fu spinta in direzione del non-morto. Il terrore prevalse in lei al principio, per essere sostituito in seguito da titubanza e infine da attrazione. Si incamminò incontro al signore oscuro, attirata dalla mano protesa di Atar Ëarlómë. Le fiamme non la toccarono e arrivò a destinazione senza danno.
«Vuoi la vita eterna?» la tentò il negromante. La ragazza rispose nella sua lingua, una parola singola, limpida nella sua semplicità, che non poteva essere equivocata. L'assenso era stato dato.
«Sia come desideri!» Il negromante chinò il capo su di lei. I suoi occhi incontrarono gli occhi dell'altra, diffondendo nell'aria un alone luminoso che l'avvolse. Il passaggio fu immediato e il corpo della ragazza si afflosciò ai piedi del non-morto. Annelore vide la vita trasfondersi in lui. La catena della mano sinistra si spezzò alla base, diffondendo schegge della preziosa lega attorno al trono.
Atar Ëarlómë riacquistò parte delle sembianze umane con le quali aveva vissuto prima che divenisse padrone del segreto che sconfiggeva la morte. Era un cadavere dotato di parola: «Uomo, vieni a prendere il tuo premio!»
Il mercante scattò. Niente lo avrebbe separato dal suo sogno. Ripeté il consenso e il negromante migliorò ancora le sue sembianze. Divenne un ragazzo della gente del mare, dai capelli dorati e gli occhi azzurri del colore dell'oceano. La sua bellezza era fredda.
«Troll, completa il rituale offrendo in sacrificio la donna che dici essere tua moglie.»
«Il mio premio dovrà consistere in una vita da uomo. Ne hai il potere?»
«Io controllo la nascita e la morte degli uomini. Tutto mi è possibile.»
Amagh lasciò la mano di Annelore: «La decisione è tua. Vai da lui e scopri cosa ti può offrire.» La sua voce era triste. «Il mio destino dipende dal tuo.»
Tra la ragazza e il negromante si ergeva un muro di fuoco, ma non lo temette. Il richiamo fu forte. Atar Ëarlómë le offriva l'abbandono delle fatiche umane, l'esistenza perpetua, l'innalzamento al livello degli dei. Il fuoco la purificò, incenerendo i suoi pensieri da bambina. Al cospetto del Padre dell'Oscurità dei Mari, la sua volontà di spezzarne le catene si accrebbe.
«Vuoi la vita eterna?» reiterò il non-morto.
Lei aprì la bocca per rispondere e gli occhi del negromante rosseggiarono. In essi passarono le anime dei suoi asserviti. Annelore vi scorse il mercante e la giovane moglie, annichiliti da una schiavitù eterna. La vita oltre la morte che le stava offrendo era un susseguirsi di patimenti.
«No!» fu la sua replica. Rifiutò l'offerta dell'Atar come aveva rifiutato di sottomettersi a un marito, al padre e a chiunque avesse voluto scambiare la sua libertà con un'esistenza tracciata dalla volontà altrui.
«Tu mi devi l'anima!» ruggì il negromante. «E me la darai!» Strattonò la catena che ancora lo imprigionava e un anello si incrinò, prossimo alla rottura. Le sue dita le sfiorarono il collo e qualcosa dentro di lei si ruppe per sempre.
«Vieni a me!» la invitò con voce suadente Atar Ëarlómë.
Annelore desiderò concedersi al suo nuovo padrone e si sarebbe persa in lui se il braccio robusto di Amagh non l'avesse afferrata da dietro e spinta fuori dal cerchio di fuoco.
Atterrò di schiena sulla dura pietra della caverna, abbacinata dal fulgore che il negromante scatenò. Era la sua ira incontrollabile che aveva un unico bersaglio: Amagh.
Il troll aveva superato il timore assoluto del fuoco, spossando la sua forza e la sua magia. Giaceva innanzi al trono con la carne bruciata dal calore infernale del mana del negromante.
«Tu morirai per la tua sfrontatezza!» lo minacciò l'Atar.
«È ciò che cerco dal giorno della mia nascita!» gli replicò Amagh. Toccò la veste nera del negromante ed egli lo scacciò con forza.
«Allontanati, essere immondo!»
«Cercavi un'anima? Ti donerò la mia!»
«Via da me!»
Amagh serrò il pugno intorno alla catena elfica e una luce azzurra ne disegnò il contorno del corpo, per esaurirsi in un lampo. Il troll si accasciò morente. Aveva ottenuto la sua morte da uomo, sacrificando la propria vita per un'altra.
«Dov'è la mia libertà?» tuonò il negromante, dibattendosi trattenuto dalla catena riforgiata. «Io sono colui che ha sconfitto la morte!» Concentrò l'attenzione su Annelore: «Donna, torna qui.»
Lei aveva il petto in fiamme, come se le avessero strappato l'anima con artigli d'inferi. Una parte del suo essere era effettivamente andata perduta: la sua fanciullezza era finita in quella grotta. Aveva visto ciò che gli esseri umani potevano divenire; aveva davanti agli occhi il male nella sua incarnazione terrena.
«Le tue lusinghe non mi ammaliano più!» ribatté Annelore al negromante. «Ho veduto la tua natura e da essa mi guarderò in futuro!»
Allora l'Atar capì che la sua prigionia sarebbe proseguita e urlò. Un urlo continuo, acuto, senza fine. Le vibrazioni si trasferirono alle pareti della caverna, le quali si scossero, ondeggiarono e presero a sgretolarsi. Pietre della grandezza di macine da mulino si staccarono dalla volta dell'antro e precipitarono sul pavimento, impilandosi in mucchi di grandezza crescente.
Annelore fuggì. Corse, cadde, si rialzò e cadde di nuovo, ma mai nella sua fuga volse lo sguardo indietro. Sentiva gli occhi del non-morto sulla sua schiena, ciononostante non cedette. E infine raggiunse la luce fuori della caverna, prima che la sua entrata fosse definitivamente ostruita dalla frana.
Era l'alba.
Un'alba anonima e fuggevole, come la vita di un uomo qualunque. Eppure tanto straordinaria.
La ricordò per il resto della sua vita, anche quando trovò il vero amore in un giovane barcaiolo delle terre del Duca. Nelle serate estive degli anni a venire, quando era solita sostare sulla veranda della semplice casa in cui vivevano, poteva capitare che uno dei suoi figli, additando il firmamento, le chiedesse: «Come si chiama quella stella che è la più luminosa tra tutte?»
Lei rispondeva: «È la stella del Troll. Essa è tanto più brillante, quanto maggiore è l'umanità di chi la guarda.»
Gwen, la più maliziosa dei quattro birbanti che aveva messo al mondo, le domandava immancabilmente: «Qual è il nome di quel gruppo di astri che si vedono appena sotto la stella del Troll? Paiono un guerriero che si stia proteggendo da qualcosa.»
Allora Annelore minimizzava: «Oh, niente d'importante. È solo la costellazione di Rolf l'Ardito...» E poi aggiungeva con aria divertita: «Bambini, ve l'ho già detto che è meglio tenersi lontani dallo stomaco in disordine di un Troll, non è vero?»


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