L'uomo guardava fuori del finestrino del treno. Campagna che passa al sole.
Alberi che si alternano e saettano via, lungo impossibili scenari quotidiani.
Nello scompartimento la luce era soffusa poiché filtrata da una tendina di colore marrone chiaro.
Il ragazzino addentava il panino che la madre gli aveva offerto e lo masticava con aria consolatoria, quasi pudica. L'uomo pensava che la fisiologia del viaggio in treno provoca una specie di calma artificiale, indotta dal leggero sussultare della carrozza. L'uomo, guardando di sottecchi il ragazzino che addentava il suo panino, assegnava imperscrutabili esistenze ai diversi passeggeri. Il ragazzino masticava in fretta, quasi di nascosto e con gli occhi bassi, come se cibarsi in treno fosse un'attività in qualche modo sconveniente. Nei primi minuti, in corrispondenza dell'arrivo dei nuovi viaggiatori, c'era stata una certa confusione. Prima lo scompartimento era vuoto, fatta eccezione per l'uomo, che viaggiava solo. A prima impressione gli era sembrato che fossero tutti irritati ed arrabbiati fra di loro, specie la sorella del ragazzino, la quale disse subito agli altri che andassero pure dove volevano, lei si sarebbe fermata lì. Poi prese a leggere un giornale e smise di esistere. Così come l'altro ragazzo che immediatamente si addormentò sul sedile.
Ad un certo punto la madre ricevette una telefonata al cellulare. Una musica stupida al posto della suoneria. Una di quelle canzoncine che si sentono continuamente alla radio per un po' e poi spariscono per sempre. L'uomo colse quel contrasto irriverente, la musica sbarazzina contro il volto teso di madre che viaggia con i suoi tre figli. La conversazione fu breve, con smaccato accento campano, molto bello, pronunciato con timbro imperioso: "Il treno? Di una puntualità guarda... e così siamo già in viaggio. Si... hai mangiato, si? "
L'atmosfera nello scompartimento era calda, il sole fuori del convoglio batteva insistentemente contro il finestrino e la temperatura, benché protetta un poco dalla tendina cominciava ad alzarsi.
L'uomo immaginò se stesso fuori del treno, fermo sul marciapiede a guardare il convoglio che passava, e poi ancora se stesso, dentro il treno mentre guardava l'uomo fermo sul marciapiede mentre spariva in un baleno, diventando un puntino che si allontana.
Essere qui, altrove e in nessun luogo, come in una migrazione. Allontanarsi da se stesso per avvicinarsi a se stesso. Differire nello spazio ed esistere solo come transizione, prima di arrivare, inseguirsi lungo il nulla della velocità.
I viaggiatori sono come rondini in volo, pensò, si sfiorano fino quasi a toccarsi, ognuno con la sua traiettoria in testa. Ma poi non si toccano mai.
Visse questo attimo sconcertante mentre immaginava la casa dei tre ragazzi, la donna intenta a cucinare. Cercò di assegnarle un marito, un compagno, un mestiere, un abito da sera, una sorella. Abbassò lo sguardo e ristette un momento, nella sua inesistente identità. Credette di non essere da nessuna parte, in alcuna forma. Era qualcuno senza essere nessuno. Visualizzò file di migranti in viaggio nei deserti, solo corpi e niente storia, vite sospese. Ciò che pensano e dicono non fa parte nè del passato nè del futuro.
Poi desiderò alzarsi e sgranchirsi le gambe. Era passata solo un'ora e mezza e ne mancavano ancora quattro all'arrivo. Gli sembrò un tempo infinito. Periodicamente l'altoparlante interno annunciava la fermata successiva con un sottofondo che era probabilmente causato da un'imperfezione tecnica ma che, a prima impressione, poteva sembrare un accordo musicale prolungato. Gli annunci erano brevi, in italiano e poi in inglese. L'uomo aveva voglia di alzarsi ma la signora si era appisolata a sua volta ed aveva allungato le gambe, incrociandole con il figlio dormiente, creando così un ostacolo insormontabile per chiunque non avesse voluto avvertire della propria volontà di uscire. Per questo decise di rimandare di qualche minuto.
Alla stazione di Pisa smise di pensare e, lasciandosi vincere dal torpore, cominciò ad analizzare i rumori dello scompartimento: praticamente solo respiri. Il fischio di un ferroviere in lontananza; in sottofondo la voce dell'altoparlante della stazione recitava in perentoria sequenza le diverse fermate: ...Livorno Centrale, Cecina, Follonica, Grosseto, Civitavecchia, Roma Ostiense, Roma Termini... Un elenco di cui percepire soltanto una parte, percorso mutilato e cantilena monotona, declamata con voce femminile meccanica.
...Napoli Campi Flegrei, Napoli Mergellina, Napoli Piazza Garibaldi, Salerno, Battipaglia, Vallo della Lucania, Ascea, Pisciotta, Palinuro, Sapri, Maratea, Scalea, Paola...

Nel corridoio stava una ragazza mulatta che fumava, nonostante non fosse consentito. Stava lì da un po'. Minuti.
Fumava e guardandola si poteva immaginare qualsiasi cosa. I jeans stretti intorno al corpo snello disegnavano una silhouette prorompente. Gli occhiali da sole semitrasparenti azzurri lasciavano intendere occhi fulvi e liquidi, come di animale selvatico. All'uomo venne voglia di fumare.
Pensò di uscire e chiedere alla ragazza se in quel corridoio fosse consentito fumare. Lei rispose che non lo sapeva e pertanto fumava lo stesso. L'uomo accese una sigaretta e scambiarono qualche frase di circostanza sospesa tra il formalismo e la curiosità. Lui poi si era voltato dalla parte opposta, e fumando fissava in modo idiota la parete. Lei, dopo un paio di minuti di silenzio, disse verso lui che prima avrebbe voluto fumare nello scompartimento ma un passeggero si era lamentato. Così era uscita nel corridoio.
Poi rise con complicità, sporgendo il viso verso l'uomo.
La ragazza, disse, andava da Livorno a Genova ogni giorno, fumando dove non si poteva.
Chissà perché si spostava. Forse lavorava a Genova ed abitava a Livorno, forse il contrario, forse aveva un amante in una delle due città. Forse era una prostituta.
Non lo avrebbe saputo mai. Gli parve il caso di non chiedere nulla.
Al solo udire la voce della ragazza, aveva avuto un lieve turbamento. Una leggera cadenza spagnola intonata ad un italiano grammaticalmente esatto. Non poté evitare di guardare il suo corpo: il seno appariva sfacciato e pieno da sotto la maglietta ed intorno alla vita portava una catenella, che ricadeva impudente tanto di lato quanto verso l'inguine. Impercettibilmente aggressiva, moderata volgarità involontaria.
Silenzio. Campagna che passa.
Lui pensò improvvisamente al suo corpo nudo, con addosso solo la catenella. Il sorriso della ragazza e la sua conversazione erano conturbanti, una socialità da viaggio, libera, de-contestualizzata, sensuale.
Immaginò il sesso della ragazza. Pensò a lei mentre faceva l'amore, alla sua eccitazione, a come poteva essere all'apice dell'amplesso. La pensò in posizioni sconce. Per un attimo la desiderò.
Una frazione di secondo.

Ormai erano quasi a Livorno, l'altoparlante lo annunciò preciso. Lei spense la sigaretta e nel superarlo lungo il corridoio gli si avvicinò un poco, consentendo a lui di respiare l'odore della sua pelle. "Peccato, sono arrivata." Disse.
"Ciao" disse l'uomo, scorgendo nello scompartimento in cui lei rientrava una piccola valigia di pelle.
"Ciao" disse lei, guardando la valigia.
Nel suo scompartimento i ragazzini dormivano ancora, con la testa appoggiata su di una mano, come pure la madre.
Rientrò, scavalcando le gambe della donna. Scostò appena la tendina per guardare fuori.
Campagna che passa al sole.
Alberi che si alternano e saettano via, lungo impossibili scenari quotidiani.
Si sedette e cominciò a scrivere.


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