Ascoltando i rumori della notte, una forza sconosciuta mi sospinse all'interno di una stanza e mi ritrovai sopra ad un letto mal ridotto...
Intorno a me vedevo sbarre conficcate nel buio e una piccola finestrella sbarrata, perforata da una luce sottile. Essa illuminava una vecchia fotografia in bianco e nero sospesa nell'ignoto, talmente ingiallita da non riuscire a distinguere che cosa raffigurasse. Avevo la sensazione che quel ritratto
racchiudesse qualcosa d'importante.
«Presto tutto questo finirà...» si levò una voce dal nulla.
Mi girai e rigirai nel letto per scoprire la provenienza, ma poiché ero solo, ritenei fosse frutto della mia immaginazione.
Continuai il mio viaggio esplorativo in quel maledetto buco, ma oltre alla foto impolverata e a quello schifo di letto non c'era altro.
Ero certo di essere capitato in una cella di un carcere, così piccola da temere di finire schiacciato dalle pareti.
Provai ad alzarmi, ma ero incollato alle coperte, come il ferro attratto dalla calamita.
Dopo alcuni tentativi mi calmai, ma con il sudore che gocciolava negli occhi fui sballottato in un vicolo - dietro ad una Limousine Packard - in compagnia di un bambino.
Guardavo con i suoi occhi, ma il mio corpo non era con me, non ero in grado di vederlo in viso, non sapevo chi fosse.
Aldilà dell'auto c'erano due ragazzi sulla ventina, vestiti in abiti sudici, che discutevano animatamente con un anziano signore di colore.
Rimasi impietrito quando i due giovani tirarono fuori le pistole e le puntarono contro il vecchio.
Questo, accortosi del pericolo, cercò di fuggire, a passo incerto per via dell'età, ma non aveva via d'uscita perché quel vicolo era chiuso.
Il ragazzo di sinistra, di corporatura robusta, occhi neri, razza bianca, gli sparò un primo colpo che lo raggiunse alla schiena.
Il vecchio stava crollando a terra quando il giovane, con un accento forestiero, si rivolse al suo compagno:
«Steven sparagli in testa!»
«No Tommy, tanto è morto!» rispose con voce tremolante il giovane di destra, un piccoletto che si trovava lì, come un pesce fuor d'acqua.
«Idiota, sparagli lo stesso!»
Nel silenzio si udì un nuovo sparo e l'anziano stramazzò violentemente a terra.
Quando Tommy si avvicinò per accertarsi della sua morte, l'immagine sparì e udii la voce di prima.
Decisi allora di dargli un nome, "Bob", anche perché ero così frustato da quella tragica scena, che avevo bisogno di un amico, seppur immaginario.
«La mia ora è vicina... un'iniezione mi ucciderà... domani sarà il mio ultimo
giorno...»
Non capivo il significato di quelle frasi, ma ero curioso di vedere che cosa potesse ancora capitarmi.
La mia attesa non tardò, perché ora ero in una camera da letto ben arredata, questa volta vedevo con gli occhi di un ragazzo e percepivo le sue emozioni.
Di lì a poco mi addentrai completamente in lui e feci una drammatica scoperta.
Riversa sul pavimento, in una pozza di sangue, c'era una ragazza dagli occhi verdi e dai capelli biondi, con il viso che portava i segni di una vita spezzata nel fior fiore degli anni.
Aperta la vestaglia, il corpo appariva dilaniato da molte ferite, sembrava che fosse stata sezionata da un chirurgo impazzito.

L'uomo con una voce simile al mio amico Bob, ma più giovanile, pronunciò frasi piene di disperazione:
«Signore, perché Maggie...! Non posso vivere senza di lei... Il suo sorriso, la dolcezza è parte della mia esistenza... Chi ti ha ridotto così...! Perché non hanno ucciso me...! Non posso vivere senza di te...!»
Improvvisamente la porta della camera venne abbattuta dai poliziotti, armati fino ai denti, certi di trovarsi di fronte l'assassino.
«Alza le mani! Mettile bene in vista... Se farai quello che ti diremo uscirai vivo da qui... Hai il diritto di rimanere in silenzio, tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te...»
Quando gli misero le manette tutto si bloccò e sentii parlare Bob con voce tremolante: «Nessuno mi ha creduto... volevano patteggiare, ma non potevo dichiararmi colpevole... sono innocente... voglio che venga fatta giustizia.»
Quelle frasi tuonavano nella mia mente come un messaggio d'aiuto, ma non sapevo che cosa fare.
Bob continuò il suo lamento: «Mi resta soltanto il passato... il mio futuro non esiste... - e non parlò
più.»
Ero stanco di stare in quel penitenziario, ma non avevo alternative, o accettavo tutto questo o uscivo fuori di testa.
Successivamente, mi capitò qualcosa di meraviglioso e mi ritrovai in un bel prato verde, decorato da fiori di mille colori, dove una luce bianca illuminava un lungo sentiero.
Un uomo camminava a passo spedito verso di essa, intorno a sé l'erba fresca lo accarezzava dolcemente. I capelli lunghi e neri bagnati dalla rugiada risaltavano il corpo, avvolto da un telo bianco. Non parlava, non pensava, ma era intento a raggiungere quella luce, quasi nascondesse qualcosa di magico.
Arrivato a destinazione incontrò una ragazza che abbracciò con grande ardore.
«Ma è Maggie...!» Era proprio lei, la povera ragazza uccisa.
Ora, senza i segni dell'aggressione era magnifica e quel vestito bianco che indossava la faceva assomigliare ad un angelo, candida e bellissima.
In quegli attimi di magia si sussurrarono frasi: «Maggie, amore mio mi sei mancata molto, ma adesso vivremo per sempre insieme...»
«Jack, ero certa che non mi avresti mai abbandonata!»
Parlarono ancora, ma non fui più in grado d'ascoltare la voce del cuore.
Si baciarono teneramente, si dileguarono in quella luce e non li vidi più.
Ritornato nella cella notai con gran sorpresa che la vecchia fotografia era scomparsa.
La cercai ovunque, ma con un trapasso istantaneo mi accorsi di essere finito nel letto della mia camera, nella mia casa.
Addolorato, pensai che avevo fatto solo un sogno, ma appena sorto il sole decisi di recarmi presso l'archivio giudiziario a New York. Volevo delle risposte e perciò feci uno studio accurato sulle vecchie cause penali di omicidi di giovane donne avvenute nello Stato.
Non ero certo se stavo percorrendo la strada giusta, perché non sapevo con certezza dove fosse avvenuto l'omicidio e se era mai avvenuto.
Inaspettatamente trovai il fascicolo riguardante l'omicidio di Maggie Simpson, proprio la fanciulla del "sogno", avvenuto il 10 aprile del 1941, nella stanza da letto del suo appartamento, sulla ventunesima Strada.
Dopo un lungo processo era stato condannato a morte il fidanzato Jack Fleming, che doveva essere ucciso con una iniezione letale il 21 novembre del 1961.
Leggendo ancora il dossier, venni a conoscenza che l'esecuzione non era mai avvenuta, perché Jack era fuggito il giorno prima, anche se non furono trovati segni di una possibile evasione, dal braccio della morte di Cold Montain.
La polizia di mezza America aveva rastrellato un territorio vastissimo senza ottenere risultati; era svanito nel nulla.
Durante le mie indagini appresi che all'inizio del processo anche l'italo-americano Tommy Brandoni fu uno degli indiziati.
Una signora, il giorno dell'omicidio, l'aveva visto uscire in tutta fretta dall'edificio di Maggie. Le accuse però caddero, poiché la donna era misteriosamente scomparsa.
Decisi di conoscere la scheda personale di Tommy e lessi che nel 1925 doveva scontare quindici anni di carcere per aver partecipato all'omicidio di un uomo di colore avvenuto sei mesi prima.
Per lo stesso caso, il suo compagno Steven, soprannominato "il corto", era stato condannato all'ergastolo, ma dopo pochi mesi si impiccò nel bagno del carcere.
Furono dichiarati colpevoli a causa della testimonianza di un bambino che aveva assistito all'omicidio.
Quel bambino, dietro alla Limousine Packard, era Jack Fleming, il mio amico Bob...
Il quadro ora era completo e mi resi conto che in quel sogno, o ritorno al passato, avevo visto la drammatica storia di Jack. Trascorsi molte ore ad immaginare che fine avesse fatto, ma pensando all'ultima visione di Jack con Maggie, pensai che fosse morto.
Due giorni dopo, ricevetti una busta priva del mittente. Aprendola, emozionato, vidi la foto che già avevo visto nel carcere, ma ora vi erano ritratti Maggie e Jack, mano nella mano, sorridenti. Era priva di sfondo ed erano raffigurati solo i due innamorati, nessun altro indizio, niente...
Girai la foto e sorpreso notai che c'era una frase scritta a penna:

Ritornando nel passato hai cambiato il mio destino.
La tua mente, la mia salvezza.
20 novembre 1965


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