Cammino, cammino e guardo il sole. Il cielo è di un colore plumbeo, e il sole è una macchia rossastra che tuttavia non riesce a farsi largo nella coltre colore piombo. Da quanto tempo è così? Da molto, da troppo tempo...
Cammino, non so neanche io dove sto andando, cammino, forse per non perdere l'uso delle gambe, forse per cercare un posto dove il cielo sia meno scuro e il sole emani un po' di calore. Cammino, per trovare forse qualcuno come me, per non essere alieno, tra i miei simili, per non essere guardato più con sospetto da chi sta esalando l'ultimo respiro. Come è potuto accadere? Non so, so solo che è successo, la sera guardavo le stelle e il cielo limpido, e al mattino il mio mondo non c'era più. Una nuvola grande, quanto il cielo intero, oscurava il sole, ridotto ad una macchia arancione, che emanava un misero calore. Cos'era successo, me lo sono chiesto spesso i primi tempi, me lo sono chiesto quando ho visto morire mia moglie, i miei figli....
Perché io non sono morto? Altra domanda cui non potrò mai dare risposta. O forse sono morto e sto vagando nel limbo? Cammino, la fiamma che tiene accesa la mia vita è la speranza, la speranza di trovare qualcuno come me, qualcuno che sia sopravvissuto in questo mondo di fantasmi. È da tanto che cammino senza avere nessuna cognizione né di tempo, né di spazio, ma tanto a che servirebbe ormai? Tutto è stato reso uniforme da questo velo plumbeo, un posto vale l'altro ormai. Intravedo in lontananza delle case. La speranza è la fiamma che tiene accesa la mia vita, forse questa volta troverò qualcuno. Cammino per le strade deserte, a terra un tappeto di foglie, i pochi alberi rimasti in piedi, le hanno perse tutte. Sarebbe bellissimo se non fosse l'ultimo atto di una tragedia che già da tempo si è compiuta. Entro nelle case, prima in una, poi in un'altra, poi in un'altra ancora, tutto sembra essere stato abbandonato in fretta e furia, come se fosse stato possibile fuggire! Quanti chilometri avranno fatto prima di capire che stavano morendo? Che non c'era scampo? Apro tutti gli sportelli, nella speranza di trovare qualche provvista. Non possono essersi portati tutto dietro! Sono fortunato, ho trovato un po' di scatolame, legumi, sorrido stancamente pensando che qualcuno li definì la carne dei poveri. Saranno il cibo di un uomo che in fondo non è povero, è il più ricco di questo terra visto che ha ancora la vita in sé.
Assaporo il mio pasto, da tempo non mangiavo più nulla di così buono. Forse potrei fermarmi per un po', riposare in un letto vero. È tutto a mia disposizione, nessuno mi chiamerà ladro.
Sono sdraiato sul letto, è un letto soffice, avvolgente, senza neanche accorgermene mi addormento. È bellissimo, io sto giocando con i miei figli, la nube è scomparsa, i colori sono di nuovo al loro posto, mi rotolo nell'erba verde tra i fiori rossi e guardo il cielo azzurro, e mio figlio David ha gli occhi del colore del mare e i capelli di Helen sembrano spighe al vento. Io rido felice, ma il riso mi muore in gola, una nube argentea si sta avvicinando e si prende tutto, tutta la mia vita i miei bambini, la mia Helen, il mio cane che piange disperato. Mi sveglio con un urlo, ho ancora il latrato di Ringo nelle orecchie. Adesso sono sveglio, ma continuo a sentirlo. Sentire un'altra voce, anche se non umana, mi riempie di gioia. Scendo in cantina, i guaiti sembrano venire da lì, apro la porta e vedo il cane, è sdraiato su un fianco, è magro da far paura, deve essere un bel po' che non mangia. Mi avvicino,lo esamino non sembra essere ferito, mi guarda con occhi imploranti, forse è solo sfinito per la fame, forse non sta morendo come sono morti tutti gli altri. Prendo una rapida decisione, devo tentare, è l'unico essere in cui ultimamente mi sono imbattuto. Da troppo tempo è vivo, forse è come me, forse non è malato, forse ha solo fame. Con tutti questi forse in testa corro su,a cercare del cibo per lui Sono fortunato, ci sono parecchie scatolette di cibo per animali, che brave persone, tenevano in casa anche le provviste per il loro cane, ma quando è stato il momento hanno pensato a salvare se stessi, abbandonandolo al suo destino. Scendo giù di corsa, mi inginocchio accanto a lui, o sarà una lei? Non ho tempo ora per verificare. Quando tiro la chiavetta, il coperchio si apre con uno scatto e lui solleva la testa. La sua mente non è ancora talmente offuscata da non ricordare che quel suono significa cibo. Gliene verso un po' nella ciotola, non bisogna esagerare, chissà da quanto tempo non mangia. Mi guarda riconoscente, giuro c'è della riconoscenza nel suo sguardo e prima di ficcare il muso nella ciotola trova il tempo anche di dare una leccata rapida alla mia mano. Bene amico, adesso siamo in due, avrei preferito incontrare un essere umano, ma sono contento lo stesso, ora non siamo più soli.
Lo guardo mangiare e all'improvviso inspiegabilmente qualcosa si rompe dentro di me. Scoppio a piangere, è molto tempo che mi tengo tutto dentro, che non sfogo la mia angoscia, prigioniero della mia solitudine. Aver trovato un compagno, ha in qualche modo rotto la tensione dentro di me. Delicatamente lo prendo e lo sollevo. Mi lascia fare, muovendo appena la coda. Lo porto su, pesa nonostante sia così magro, doveva essere una gran bella bestia, lo adagio sul letto e mi sdraio accanto a lui. Sono sfinito anche io, mi lascio andare e mi addormento. Un ultimo pensiero nella mia testa, non sono più solo.

È passato del tempo, nella mia vita non c'è più posto per le ore, per i giorni, i mesi, gli anni, solo genericamente tempo. Ad essere sinceri adesso passa più in fretta di prima, il mio compagno si è ripreso benissimo, è un maschio ed è un bellissimo pastore tedesco nero. Si chiama Lupo, così è scritto sulla medaglietta che ha al collo, non ha alcun senso cambiare il suo nome, sarà Lupo anche per me. Mi intenerisce con i suoi giochi, con le sue dimostrazioni di affetto. Il non essere più solo mi fa certamente piacere, ma adesso ho anche un pensiero in più, dovrò occuparmi di lui, oltre che di me stesso. Ho di nuovo una responsabilità e questo se da una parte mi fa sentire più vivo, dall'altra mi spaventa, riuscirò a proteggerlo? O accadrà come per la mia famiglia? Non devo pensare a questo, adesso è ora di andare. Ho preparato tutto accuratamente, mi sono costruito uno zaino e ho portato con me quanto potevo. Non so quanto può distare il prossimo paese, potrebbe volerci molto tempo prima di incontrare altre case.
Mi incammino, Lupo mi segue festoso, mi salta attorno per giocare, mi tira per la manica, ha già dimenticato di essere stato abbandonato dai suoi padroni, vorrei avere anche io questa capacità, vorrei dimenticare tutto e ricominciare daccapo. Camminiamo, la strada è lunga, ma ora grazie a Lupo posso ricominciare a sperare. Forse troverò qualche uomo, o donna o bambino che siano immuni da questo orrore che ho sopra la testa, forse potremo ricominciare a vivere in maniera normale. Ci sono troppi forse perché io possa crederci, ma va bene lo stesso, non ho altra scelta, non posso fermarmi ora.

Il mio tempo scorre in maniera monotona tra il viaggio, il riposo e i giochi con Lupo. Lui ne ha bisogno, mi chiede di giocare, va a trovare sassi, bastoni e me li porta, perché io glieli tiri, è molto intelligente e grazie a lui ho riscoperto il suono della mia voce. Perché finalmente posso parlare, la prima volta che è successo, il suono mi ha ferito le orecchie, mi sono chiesto: Ma sono proprio io, questa è la mia voce?
Adesso è una cosa che faccio regolarmente e quando parlo- è incredibile- lui mi ascolta, si mette seduto e piega la testa di qua e di là come se veramente capisse le mie parole. È un conforto per me parlare, confidare le mie pene.

"Ciao ragazzo, come stai oggi?" Guardo il mio David, i suoi occhi sono lucidi, è pallido, non sono triste, certo mi fa male vedere che sta soffrendo, ma so che è una cosa da nulla, tra qualche giorno si rialzerà e correrà felice. Sento una fitta, apro gli occhi, mi tiro su, Lupo mi guarda stupito. Guardo in alto, quella maledetta nube è sempre lì. Si, era veramente una cosa da nulla, il mio David dopo qualche giorno era tornato a correre felice. Non per molto, di lì a poco era comparsa la nube e aveva tolto per sempre la vita a Helen a David e alla mia piccola Rebecca. Sembra che Lupo capisca, che senta la mia angoscia, mi viene vicino, alza la testa e lentamente, guardandomi con amore mi lecca la mano. Lo accarezzo automaticamente, continuando a pensare alla mia famiglia che non c'è più, ora tutta la mia famiglia è lui. Un ringhio sordo mi distoglie dai miei pensieri; Lupo è attento, guarda verso il bosco o per meglio dire,verso ciò che rimane del bosco e ringhia, non riesco a trattenerlo, non mi resta che inseguirlo. Sento urlare, mi blocco, oh Dio qualcuno ha urlato, è un uomo, ha trovato un altro uomo, forse immune come me. Il mio grido è un lamento:
"No, Lupo fermati, no ti prego..."
La mia mente ripete- Ti prego non lo uccidere, ti prego è un essere umano come me, non uccidere la mia speranza! -
Arrivo trafelato, scorgo una sagoma a terra. Lupo la tiene giù con il peso del suo corpo e l'uomo grida spaventato e più lui grida e più Lupo minaccioso si avvicina alla sua gola. Arrivo in tempo:
"Lupo! Fermati, cosa fai? Vai a cuccia, muoviti!" Alza la testa stupito e mi guarda con quegli occhi che un momento prima avevo visto iniettati di sangue, adesso il suo sguardo è adorante, ma anche stupito, mi obbedisce ma molto a malincuore. Continua a ringhiare guardando l'individuo e poi guarda me con rimprovero, perché io non capisco, perché lo sto obbligando a lasciare la presa. Corro vicino all'uomo, gli tendo una mano, lui con riluttanza la prende e si tira su sempre con lo sguardo fisso su Lupo. Sorrido: "Non temere, Lupo è un bravo cane, forse ha pensato che io fossi in pericolo, per questo ha reagito così, non ti preoccupare, non ti farà nulla". Lui mi guarda con sospetto, i suoi occhi vanno dal cane a me e viceversa, lo osservo è un uomo sulla trentina, è molto magro, si passa il dorso della mano sulla bocca, mi guarda ancora. Poi parla:
"Tu stai bene, non sei malato vero?" Che piacere mi fa ascoltare la voce di un altro essere umano. Mi perdo nell'eco di quelle parole e lui un po' stupito ripete:
"Stai bene, vero?" Mi affretto a rassicurarlo:
"Sicuro, sto bene, ma era tanto di quel tempo che non ascoltavo una voce umana che mi sono perso dietro ai ricordi."
Lui annuisce poi alza lo sguardo su di me e dice semplicemente:
"Perché io sono vivo, perché tu sei vivo, perché il cane è vivo e il resto del mondo non c'è più?"
Mi colpisce il dolore che capto nelle sue parole, io sto bene rispetto a lui, io sono rassegnato alla mia sorte, lui ancora no.
"Da quanto tempo hai perso i tuoi?" domando. Mi guarda smarrito:
"Tempo, che cos'è più il tempo?" Scuote la testa:" Non lo so, non sono riuscito a tenere il conto dei giorni, e come avrei potuto, comunque è tanto tempo, troppo che sono solo ormai."
Si siede e sospira, mi fa molta pena, come se io fossi in una situazione diversa dalla sua. Mi allontano un attimo, vado a prendere la mia roba, sempre con Lupo alle calcagna. Mi siedo accanto all'uomo e mentre cerco nello zaino gli chiedo: "Come ti chiami?"
Lui risponde seguendo tutti i miei movimenti:
"Patrick."
"Bene Patrick, io sono Mel, piacere di conoscerti. Hai fame, vuoi mangiare con me?"
Lui fa cenno di sì e mangiamo senza più parlare.
Sono seduto, appoggiato con le spalle al tronco di un albero superstite e osservo Lupo. Sta cercando di prendere confidenza con il nuovo arrivato. Gli gira intorno, striscia sul ventre cercando di avvicinarsi il più possibile, annusa Patrick che sta finendo di mangiare, lui lo guarda un po' spaventato, poi facendosi forza gli allunga la scatoletta che ha in mano e Lupo delicatamente la prende e la ripulisce. E così è nata una grande amicizia, Lupo ha un carattere diffidente, ma in fondo è un buon cane, affidabile.

Il mio sonno è abbastanza tranquillo, privo di sogni per fortuna. Nei sogni riaffiorano tutti i miei ricordi e quando mi sveglio immancabilmente devo ricominciare a seppellire la mia vita passata, e i miei morti. Non è piacevole, non è affatto piacevole.

Patrick non è molto ciarliero, e chi lo sarebbe nella nostra situazione? Ancora non so niente di lui e non voglio forzarlo, parlerà e racconterà quando ne avrà voglia. È arrivato il tempo di cambiare zona, non posso costringere Patrick a venire con me, lo capisco, qui sono sepolti i suoi cari. Affronto il discorso a viso aperto:
"È tempo che io mi muova Patrick, devo cercare altre provviste per me e per Lupo e spero anche di trovare altre persone immuni come noi. Se lo vorrai potrai venire anche tu. Io e Lupo ne saremo felici." Vedo dalla sua espressione che è combattuto. Ha finalmente trovato degli amici e non vorrebbe lasciarli, tuttavia esita a lasciare quei luoghi in cui ha tanto sofferto, ma nei quali forse è stato anche felice. La sua lotta interna infine si risolve a nostro favore. Gira le spalle a quello che era il suo mondo e si incammina con noi verso l'ignoto.
Riprendiamo il cammino, noi due e Lupo, io so che devo andare avanti, devo cercare, cercare, non so che cosa, altri miei simili probabilmente, non so, ho le idee un po' confuse. Da quando siamo partiti Patrick è ancora più taciturno se è possibile, sta soffrendo molto, lasciare i luoghi in cui è cresciuto, è stato come aver perso di nuovo i suoi cari. Non ne parla mai, non so da chi fosse composta la sua famiglia, del resto neanche io ho parlato di Helen e dei bambini. Mentre sono assorto nei miei pensieri, intravedo con la coda dell'occhio un movimento tra gli alberi. Mi giro di scatto, non c'è nulla. Non sono del tutto convinto, mi alzo, mi muovo silenziosamente, neanche Lupo, profondamente addormentato sembra accorgersi di nulla. I miei occhi captano dei movimenti velocissimi tra gli alberi, incuriosito avanzo, scatto all'improvviso, riuscendo ad intuire da che parte si sposterà quella cosa. Mi ritrovo tra le mani un piccolo essere di circa quattro anni che si dibatte:
"Buono, buono!" mormoro "Stai buono non ti farò niente"
Si calma, lo tengo stretto a me e ritrovo l'antica tenerezza che provavo quando abbracciavo i miei bambini. Arriva Lupo, diffidente come al solito e il bambino si irrigidisce tra le mie braccia. Non ho il tempo neanche di pensare, in quel momento compare Patrick e il bambino sfugge alla mia presa e va a stringere le sue ginocchia, gridando: "Papà, papà!" Patrick è pallido come un morto, si china, prende il bimbo tra le braccia, lo guarda, i suoi occhi sono umidi, lo stringe a sé senza parlare, poi mi guarda, la sua voce è inespressiva:
"È mio figlio Tim, l'ho seppellito io con le mie mani dopo che è morto!"
Sento un brivido corrermi lungo la schiena, quel bambino era morto e adesso e lì tra le braccia di suo padre. Se prima ero confuso adesso lo sono anche di più. Non ci capisco più niente, mi sento vacillare, ma cosa sta succedendo, prima quella nube che ricopre tutto, poi la distruzione quasi per intero del mondo umano, animale, e vegetale e adesso i morti che resuscitano. Non mi importa di nulla, almeno resuscitassero anche i miei morti!
Con questi pensieri fissi nella testa, mi addormento.

Tim è ormai parte integrante della nostra vita, è riuscito a far tornare il sorriso e un po' di colore sulle guance di suo padre. Per la maggior parte del tempo è con noi, ride, gioca con Lupo, con il quale ha familiarizzato, tuttavia, inspiegabilmente scompare per dei periodi di tempo, non necessariamente lunghi, provocando angoscia in Patrick che teme non faccia più ritorno. Ma lui ritorna sempre.

Sulla nostra strada c'è un centro abitato, mi viene da ridere, abitato da chi?Da fantasmi ormai! Comunque troveremo forse qualcosa da mettere sotto i denti e un buon letto per dormire. Davanti a noi c'è un'ampia scelta di case, con giardino o senza, signorili o dimesse, ma tutte tristemente vuote.
Scegliamo per fermarci una piccola casa su due piani con giardino. È molto graziosa e doveva essere molto ben curata quando i suoi proprietari erano in vita. Improvvisamente mi prende la curiosità di conoscere chi abitava in quel luogo. Ci saranno pure delle foto. Su un tavolino nell'angolo vicino alla finestra ci sono dei portaritratti, ne prendo uno e per un momento la vista mi si annebbia, è Helen quella che mi sorride dalla foto. Sono ancora inebetito, dalla cucina mi giungono dei rumori, i pochi metri di corridoio mi sembrano chilometri e i miei passi sono macigni. La luce è accesa, mi affaccio. Mi devo appoggiare allo stipite, lei... sì... è lei, mi dà le spalle, si gira attirata forse dal battito del mio cuore, mi guarda e un sorriso la illumina. Dio, avevo dimenticato quanto fosse bella:
"Finalmente sei tornato a casa, vagabondo, David ti ha aspettato tanto, ma alla fine è crollato."
Balbetto: "I bambini... dove sono i bambini?" Mi guarda stupita:
"Ma cos'hai stasera? Dove vuoi che siano i bambini, a letto no!"
Mi gira la testa, mi trovo accanto Patrick che mi sorregge, insieme saliamo le scale seguendo Helen che corre senza quasi toccare i gradini, entriamo dietro di lei, mi sento svenire, non ho alcun timore a confessarlo, ho paura, di lei e dei piccoli corpi adagiati sotto le copertine. Mi devo fare forza, lascio il braccio di Patrick, e mi avvicino alla piccola culla. Rebecca dorme con i piccoli pugni chiusi, e quando le sfioro la guancia con un dito sorride nel sonno. Nel lettino vedo spuntare la massa di capelli ricci di David ho un nodo in gola, tutto è troppo perfetto, non può essere vero... non riesco a crederci! Anche io come Patrick ho seppellito Helen e i miei ragazzi, e con loro un pezzo della mia vita. È troppo, tutto mi gira, e finalmente non sento e non vedo più niente...

Non so quanto ho dormito, mi sveglio di soprassalto, il mio fedele Lupo è accanto a me. Davanti ad una finestra Patrick guarda fuori, sembra pensieroso. Mi muovo lentamente e il letto scricchiola, Patrick si gira, mi guarda. Mi passo una mano sulla fronte:
"È stato tutto un sogno vero?" Lui scuote la testa: "No."
No e basta e quel no mi pesa addosso. Mormoro:
"Dove sono loro adesso?" Lui sospira:
"E chi può dirlo, è come per Tim, sono scomparsi. Se funziona allo stesso modo, tra poco tuo figlio e tua moglie dovrebbero entrare da quella porta."
Mi alzo, ho le gambe molli, ho paura per quello che sto vivendo, ho paura di Helen, di David, di Rebecca, che possano ricomparire, ma ho paura anche che possano non tornare più. Scuotendo la testa scendo le scale, tutto è silenzio, apro la porta d'ingresso, fuori c'è la solita atmosfera cupa, il solito cielo plumbeo e adesso l'aria è umida e appiccicaticcia, ti fa incollare addosso gli abiti. Non c'è nessuno, rientro e sento in casa dei rumori noti. David esce correndo da una stanza e Helen lo insegue ridendo:
"Vieni qui, se ti acchiappo, vedi!"
David corre, ha la bocca sporca di marmellata e sua madre fa finta di infuriarsi. Non badano a me, è come se fossero in un loro mondo, mi dirigo verso la cucina, sul tavolo ci sono dei biscotti e un barattolo di marmellata aperto. Risalgo le scale e incontro Patrick che tiene in braccio il suo piccolo Tim. Dal suo sguardo vedo che è rassegnato, non gli interessa il perché di tutto questo, gli basta avere con sé suo figlio. Per me non è così, per me è sempre stato tutto maledettamente difficile, perché non mi sono mai fermato all'apparenza delle cose, ho sempre voluto scavare, scavare e andare a cercare la verità seppellita in fondo. Helen mi rimproverava spesso per questo, era uno dei principali motivi di disaccordo tra di noi. Sono perso dietro ai miei pensieri, non mi accorgo di lei che lieve mi è venuta di dietro e mi ha abbracciato teneramente. So cosa vuole, ma non so se sarò in grado di darglielo, io non so come spiegare, la sento estranea non appartenente a questo mondo grigio e umido, e se deve essere sincero mi fa anche un po' di paura. Mi guarda stupita:
"Cosa c'è che non va? Non mi vuoi più?"
Non so cosa dire. Qualche tempo fa sentirla dire una cosa del genere mi avrebbe fatto esplodere di gioia, ma adesso non ha più alcun senso, adesso non significa niente, anzi, significa che Helen non è Helen - È... Dio solo sa cos'è!

Il mio fedele Lupo è con me. Mi sembra l'unico essere normale quaggiù o perlomeno il più affidabile. È strano quello che provo, sento che non saremo soli per molto, che tra un po' arriverà qualcun altro, sperduto e distrutto come eravamo io,Patrick e Lupo. Nella mia lista non aggiungo e non considero gli altri perché per me non sono reali. Non so cosa siano, ma non sono reali.

Siamo soli io e Patrick, è uno di quei momenti in cui scompaiono tutti gli altri. Ho bisogno di parlare, di aprirmi, di confidare le mie angosce:
"Sei felice Patrick?" Esordisco a bruciapelo. Non c'è bisogno della risposta, il suo sguardo parla da solo, si sta aggrappando all'illusione che suo figlio sia ancora vivo, ma non è felice:
"Non sono stupido Mel, so benissimo che quello che sta accadendo è irreale, lo so quanto te, non riesco a dimenticare che Tim è morto e che io l'ho sepolto con queste stesse mani. Ma quando è con me è il mio Tim di quando era vivo, è lui, non lo sento diverso, e in quei momenti tutto viene cancellato, tutte le mie paure, i miei perché, conta solo il fatto che a dispetto di tutto e tutti, siamo ancora insieme. Io mi accontento Mel, non so dove vada quando sparisce, tuttavia la cosa più importante è che ritorna sempre da me. Mi basta, mi deve bastare è l'unica cosa a cui posso aggrapparmi ormai. ".
Annuisco, lo comprendo benissimo, ma a me non basta, io voglio saper se c'è qualcuno che ci sta manovrando come burattini che sta giocando con noi, con i nostri sentimenti. Un pianto improvviso ci fa scattare in piedi, da dietro un cespuglio compare una bambina in lacrime. Stupiti ci guardiamo io e Patrick, l'incubo continua, lei sarà reale o no? La guardo avrà sei, sette anni, tiene stretto a sè un orso di peluche. Mi avvicino a lei:
"Chi sei, come ti chiami?" Mi guarda impaurita, sorrido:
"Non aver paura di noi, ti vogliamo aiutare, qual è il tuo nome?" Tira su con il naso e risponde: "Irina"
"È un nome bellissimo avrei voluto metterlo a mia figlia."
Mi guarda ancora asciugandosi le lacrime, sembra essersi tranquillizzata un po'. Patrick interviene:
"Da dove vieni Irina, qual è la tua casa?"
Scuote la testa:
"Non lo so." balbetta: "Io ero nel mio letto all'Istituto, e poi mi sono svegliata e mi sono trovata in questo posto." C'è qualcosa che non quadra:
"Ma tu non stai male? Nel posto... nell'Istituto da cui vieni non c'era nessuno che stesse male?"
Fa energicamente no con la testa. Io e Patrick ci guardiamo stupiti, non capiamo, io tento un'altra domanda:
"Com'era il cielo nel posto in cui vivevi?"
Mi guarda un po' allarmata, non capisce il perché di tutte queste domande, insisto:
"Com'era il cielo?" indico verso l'alto:
"C'era questa nube che copriva tutti?" Mi guarda ancora stupita:
"Quando pioveva sì, ma quando c'era il sole il cielo era azzurro."
Un tremito mi prende, mi chino su di lei:
"Da dove vieni dunque bambina?"
Si mette a piangere:
"Dall'Istituto, io ero nel mio letto all'Istituto!" "La prendo in braccio e sconvolto la stringo a me:" Scusami, scusami se sono stato brusco, tu non c'entri niente, scusami. La guardo ancora, ha una camicia addosso e si stringe l'orso al petto, l'orso è l'unico collegamento con il mondo che ha appena lasciato e si aggrappa ad esso come ad un'ancora di salvezza.
Le tendo una mano:
"Vieni andiamo in casa, hai bisogno di vestiti, di scarpe, vediamo se riusciamo a trovare qualcosa." Dopo averla vestita, le preparo qualcosa da mangiare, è affamata, poi mentre lei è alle prese con la sua colazione, raggiungo Patrick che sta guardando fuori dalla finestra. Non si gira neppure; continuando a guardare fuori mi dice:
"Cosa ne pensi di questa storia?"
Scuoto la testa:
"Ho le idee confuse, non riesco a capire cosa stia succedendo. Mi ero rassegnato alla morte di mia moglie e dei miei bambini, e ora eccoli di nuovo qui, come se non fosse mai successo nulla, come se non ci fosse stata quella maledetta infezione che si è portata via l'intero genere umano. Come se non fosse mai comparsa quella nube! Ed ora questa bambina che dice di venire da un posto in cui tutto è normale, il cielo è grigio quando piove e azzurro quando c'è il sole. Che significa, cosa ci sta succedendo?" Patrick alza le spalle:
"Non lo chiedere a me, dammi retta Mel se non vogliamo diventare pazzi, evitiamo di porci tutte queste domande."
Mi batto i pugni sulla testa:
"Vorrei tanto riuscirci, ma non posso, devo scoprire perché avviene tutto questo."
In un attimo ho preso la mia decisione:
"Io rimarrò ancora qualche giorno, poi andrò via, se tu vuoi rimanere Patrick, sei libero di farlo, rimani pure con tuo figlio. Io devo andare, sono molte le cose da scoprire..."
Mi interrompo un attimo, un pensiero attraversa veloce la mia mente, strano! Prima non mi ero posto questo problema. Riprendo a parlare:
"Patrick come ti spieghi che lungo la strada, nelle case, non ci siamo mai imbattuti in un cadavere?" Lui mi sembra colpito, sta riflettendo:
"È vero, hai ragione tu!" Il suo sguardo brilla: "Io ho un vago ricordo di tutto ciò che è accaduto, ricordo la malattia di mio figlio e ricordo di averlo seppellito, ma è strano è come se fosse successo ad un'altra persona, non a me." Passeggia per la stanza: "E se ci fossimo immaginati tutto? Se non fosse accaduto nulla? Se fossimo stati vittime di un'allucinazione?"
Quello che mi sta dicendo mi arriva da lontano, io sono perso, perso dietro a quello che sto vedendo. Lentamente, indicando la cucina dove Irina sta seduta, dico:
"Patrick, se tutto quello che è successo era un'allucinazione, quello che sta accadendo ora di là in cucina, come lo definisci?"
Stupito si gira e crolla a sedere su una sedia: Irina è ancora seduta al tavolo in cucina, ma non è più sola, sta chiacchierando con un coniglio bianco e con una graziosa bambina bionda. Sento la sua vocina, Irina si rivolge a lei chiamandola Alice e al coniglio, chiamandolo Bianconiglio. Non ci posso credere, non ci posso credere, so benissimo chi sono quei due, sono usciti pari pari da un libro di favole, e Alice, la dolce Alice come. si troverà in questo paese delle meraviglie?
Mi rivolgo a Patrick:
"Pensi ancora che non dobbiamo porci domande? Tutto questo ti sembra normale?"
Lui scuote con vigore la testa. Io continuo:
"Ti sembra normale che adesso in cucina non ci sia solo Irina con le sue fantasie, ma ci siano anche tuo figlio, i miei bambini, la mia Helen. Fino ad un secondo fa non c'era nessuno!" Ripeto "Vuoi ancora che non ci poniamo domande?"
Di nuovo scuote la testa con veemenza. Non riesco a fermarmi, cammino avanti e indietro, sono convinto di quello che sto dicendo:
"Qualcuno o qualcosa ci sta manovrando, ci sta facendo vedere forse quello che inconsciamente noi vorremmo vedere. Sta giocando con i nostri sentimenti. È così Patrick, sono sicuro che è così!"
Lui è pensieroso, se è spaventato non lo dà certo a vedere. Io invece sono nello sconforto più nero, non so più di chi mi posso fidare, forse neanche di Lupo. Lo guardo mentre gioca con Tim e con David, e penso ciò che non avrei mai voluto pensare: se fosse un cane normale si sarebbe già accorto che quei bambini non sono bambini reali e che il Bianconiglio e Alice non esistono realmente, ma chi sono dunque? E chi siamo noi? Non so più neanche questo. Provo a interrogarmi, a penetrare nel mio intimo. Fino a poco tempo fa non avevo dubbi, ero sicuro che l'epidemia e in seguito la morte di tutti coloro che avevo conosciuto, fosse avvenuta realmente. Avevo seppellito i miei cari, e quando ero andato via, all'inizio avevo visto molti che stavano male. Per questo me ne ero andato, perché mi sentivo in colpa, nei loro occhi leggevo un disperato - Perché? - A parte questo, io non avevo mai visto durante il mio cammino dei morti. Perché? Con un'epidemia di quella portata i corpi dovevano essere ad ogni angolo di strada.
David mi distoglie dai miei pensieri, mi corre incontro ridendo ed io soprappensiero lo prendo e lo stringo a me.
Dovrei far finta di niente, avere il coraggio di non soffermarmi su tutte le cose strane che vedo, di godermi soltanto mia moglie e i bambini e perché no, anche Alice e il suo Bianconiglio.
In ogni caso Irina è reale, non è come Tim, e David e Rebecca.
Lei sì che è reale, e la bambina bionda e il coniglio sono solo materializzazioni della sua fantasia, per sentirsi meno sola in un mondo estraneo, per non soffrire!
Patrick mi viene vicino: "Allora hai veramente deciso, veramente vuoi andartene?"
Lo ascolto appena, seguo i miei pensieri, poi d'improvviso capisco:
"Patrick, devi venire con me e dobbiamo portare anche Irina."
Mi guarda smarrito:
"Ma... Tim, i tuoi bambini e Helen?"
"Se ho ragione io, e credo di sì, ce li troveremo accanto ovunque andremo. Credo che siamo noi i responsabili di tutto questo, siamo noi che li materializziamo, aiutati non so da chi.
Mi hai sentito Patrick?" Lui mi guarda come se non capisse, io continuo scuotendolo:
"Siamo noi che per alleviare il nostro dolore, la nostra solitudine, li abbiamo creati, così come Irina ha voluto per compagni Alice e il Bianconiglio. La povera Irina, che non ha nessuno al mondo, non ha trovato di meglio che farsi consolare dai personaggi della sua fiaba preferita."
Ormai sono partito con la mie deduzioni:
"E vuoi sapere un'altra cosa, credo anche che questa nuvola, questo clima, questo posto non siano reali, credo siano stati costruiti ad arte proprio per noi. Per questo dobbiamo andare via, voglio scoprire quanto è vasto questo mondo."
Patrick ha un'aria sconsolata, mi affretto a rassicurarlo:
"Se non sarà così, se ho sbagliato, torneremo qui, te lo prometto!"

CONTINUA... leggete la: Seconda e ultima parte


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