(Storia di un curioso triangolo)

 

La storia era incominciata per caso e all'inizio l'aveva divertito. Anzi, anche gli amici avevano apprezzato l'essere messi al corrente degli sviluppi. C'è sempre modo di ridere, anche un tantino acidi, sui successi amorosi degli amici e soprattutto, sulle illusioni di chi non conosciamo nemmeno. Quella sera, in cui erano andati alla serata di canti popolari, aveva dato inizio alla faccenda. Solitamente evitavano con attenzione queste manifestazioni. Ci si trovavano donne con gonne lunghe e zingaresche, e altre con maglioni troppo lunghi, troppo larghi, troppo sbiaditi, e poi c'erano degli avanzi di Figli dei Fiori dai capelli lunghi, sporchi e arruffati, con gli occhi spenti, non si sapeva se perché mancava qualcosa o se, invece, di «qualcosa» avevano fatto un uso eccessivo. Non era un posto fatto per loro. Erano degli edonisti, apprezzavano essere sempre alla moda, un tantino palestrati, ma non troppo; era faticosa la palestra. Di capelli poi non se ne parlava proprio. Il gruppetto sosteneva che si rasavano perché così era più evidente la loro virilità. Solevano dire che alle ragazze piacevano gli uomini forti, e un cranio rasato, più evidenti di questa teoria. Nessuno ammetteva apertamente che la teoria era stata elaborata quando i capelli stessi avevano iniziato a disertare quei crani non troppo imbottiti di cervello. Quella sera Mario e i suoi compari si erano divertiti a mascherarsi da alternativi, giusto quel tanto per mimetizzarsi, ma non confondersi con la massa. Erano entrati sotto il tendone in cui si teneva il concerto e si erano guardati intorno, incuriositi e pronti ad ogni evenienza. Poi Mario aveva preso una decisione che si sarebbe rivelata vincente: «Ognuno per sé, poi ci raccontiamo tutto.» E se n'era andato velocemente. Aveva adocchiato un gruppetto di ragazze, sole senza uomini, ed aveva deciso di andare a fare il gallo nel pollaio. Non erano i suoi tipi ideali, i capelli senza forma, lunghi, lisci, sugli occhi. Niente trucco, per carità, evidentemente pensavano che si trattava di uno dei soliti modi in cui si rovina il mondo. Erano chiaramente le tipe ecologiste, pacifiste, tutte le ...iste possibili. Tra loro ce n'era una che aveva un particolare aspetto di topino ficcato nell'olio. Se ne stava un po' in disparte, ai margini, ma aveva un sorriso piuttosto dolce. Mario si decise per quella ragazza, che aveva subito ribattezzata Ottomarzo, per le ovvie implicazioni che il nome comportava. «È libero?» Stupita che un bel tipo di quella fatta le rivolgesse la parola, la ragazza alzò gli occhi. Mario, guardandoli, si pentì, quasi, se avesse avuto una coscienza, di quello che si riprometteva di fare: una conquista anche troppo facile. I suoi occhi di cerbiatta inseguita e ferita per un attimo avevano toccato una corda molto nascosta nel cuore del giovanotto, ma si era trattato solo di un attimo. «Dunque, posso sedermi o aspetti qualcuno?»
«Veramente doveva venire una mia amica, ma forse mi dà buca. Ormai è troppo in ritardo, rispetto alle sue abitudini...»
«Allora posso sedermi.» E così dicendo, fece seguire l'azione alle parole. Il concerto non era entusiasmante, le solite canzoni, i soliti slogans, ma forse perché erano le solite, appunto, anche Mario le conosceva e poteva cantarle, in coro, un occhio agli amici, dislocati in posizioni strategiche e un occhio ad Ottomarzo. La ragazza lo fissava, dimenticatasi dello spettacolo, sembrava attratta fortemente da questo bel tipo che aveva scelto lei, o meglio, la sedia accanto a lei. Il suo profumo, così virile, era molto diverso da quello che solitamente annusava nei suoi amici. Se Mario avesse potuto ascoltare i pensieri d'Ottomarzo le avrebbe risposto senza troppa fatica che almeno lui si faceva la doccia, mentre i tipi che giravano sotto quel tendone non pareva che con le docce fossero in grande confidenza. L'intervallo fu un dono di Dio, Mario stentava a credere di essere resistito tanto a lungo, ma gli occhi adoranti al suo fianco gli dissero che non tutto il tempo era andato perduto.
«Bel concerto.» Disse, giusto per attaccare discorso.
«Splendida» fu la risposta «era tanto che non sentivo un'ondata così forte di energia vitale. Sento l'onda che passa nei Chakra e li rivivifica!»
Addio, Mario pensò che aveva delle aggravanti, quella tipa, parlava di energia, di Chakra. Che facesse anche meditazione trascendentale? Non ci sarebbe stato da stupirsene, ma questo buttava per aria tutte le sue speranze per la serata. O forse no! Forse, invece, dal momento che si sentiva tanto diverso, poteva anche costituire un piatto più stuzzicante del solito riso in bianco.
«Che fai dopo il concerto?» azzardò.
Ottomarzo lo guardò con un'aria vacua, non era abituata, evidentemente, ad essere abbordata così. Mario pensò anche che un tipo come lui, e non faceva il falso modesto, non la guardava nemmeno una sciapa come quella.
«Allora?»
«Non saprei, pensavo di tornare a casa...»
«Che ne diresti di prendere qualcosa e fare due chiacchiere?»
«Va bene» disse, incerta «ma davvero due chiacchiere. Domani mi devo alzare presto.»
«Che fai?» Mario era preparato a tutto, ma si sentì cadere la mascella, quando seppe che Ottomarzo era un'insegnante. Fin qui non ci sarebbe stato niente di strano, il problema stava nel luogo dove esercitava l'insegnamento: la prigione...ed era detto tutto.
«È così gratificante vedere la voglia che ha questa gente di crescere, di riscattarsi...» gli occhi brillanti, quasi simili a quelli degli assatanati da un ideale, uno qualsiasi, tanto i risultati erano uguali. Mario dubitava fortemente di quel tipo di persone, la sua filosofia era molto più semplice e si poteva ridurre a un modo di dire molto in voga tra i soliti amici del Bar: «Son forte, son bello, sono un fotomodello!» Che sarebbe stato esattamente come dire che non gli interessavano niente degli altri, ma solo di sé stesso. Altro che ideali! Certo che quella tipa le aveva proprio tutte, a cercarla col lanternino non ne poteva trovare una più scipita, più inadeguata, più femminista, di quelle che dall'aspetto si riconoscono a distanza di chilometri, ma nemmeno più romantica e più sola. Insomma, si trattava della preda più facile fra tutte: una che dava tutto e che chiedeva in cambio solo un briciolo di attenzione.
«Interessante» l'interruppe per evitare di essere travolto dal fiume in piena di quelle chiacchiere insulse «ma come ti chiami? Non me l'hai ancora detto. Io sono Mario.» E le porse la mano.
S'interruppe, interdetta, poi, timidamente gliela strinse. «Piacere, Guendalina. Ma tutti mi chiamano Lina.. È meno impegnativo.»
Mario alzò gli occhi al cielo ed ebbe la visione di sé stesso che raccontava agli amici: «Da non crederci, quella tipa ha un nome sdolcinato, di quelli da romanzetto rosa, non contenta si fa chiamare con il diminutivo più scipito e lagnoso che potessero inventarsi.» Sai le risate. Nel frattempo si stavano alzando tutti perché il concerto era finito. Il popolo alternativo guadagnava lentamente l'uscita per sciamare in ogni dove, pronti alla prossima adunata. Con la coda dell'occhio Mario individuò gli amici, che uscivano soli com'erano arrivati. Lo videro e colsero al volo il suo segnale, non vollero disturbarlo durante la caccia.
«Allora, queste due chiacchiere?»
Ottomarzo sorrise a labbra tirate, guardandosi intorno con occhi da cerbiatta inseguita dal lupo. «Se ti va a casa ho una bottiglia di spumantino. È l'occasione per aprirla....» Quanti timidi sottintesi dietro i puntini di sospensione, quanti inviti evidenti, impossibili rifiutare. Mario rabbrividì. Era un appassionato assaggiatore di vino, lo cercava con precisa attenzione, ci spendeva anche una buona fetta delle sue entrate. Sentir parlare di spumantino aveva raggelato i suoi bollori. Magari anche dolce, una spuma di antica memoria. Tremendo, anche nel gusto Ottomarzo rivelava un'ovvietà ed un piatto asservimento ai modelli di comportamento scontati. Ma il retropensiero era un altro, tanto valeva accettare lo spumantino, pur di ottenere il resto.»
Andiamo? Sei in macchina?» Nemmeno quella aveva Ottomarzo, era molto più ecologico andare a piedi, oppure sfruttare le macchine degli altri. Per cui Mario poté fare il cavaliere sul bianco cavallo e offrirle un passaggio sulla sua spider, il moderno surrogato del cavallo bianco di un Principe Azzurro che si rispetti. E se l'auto lasciò stupita la giovane, non le impedì tuttavia di accettare il passaggio fino a casa. Tutto secondo copione: appartamentino quattro per quattro, gatto peloso ed indolente, incenso indiano a gogò, etnico in ogni dove. Ma si trattava di quisquilie. Dopo lo spumantino si apriva un mondo di attese e di speranze. E così fu.
La mattina seguente, mentre allo specchio si passava il rasoio su mento, gote e zucca, rendendosi simile ad una lucida palla da biliardo, Mario assaporava il gusto della conquista della sera prima. Soddisfatto, si recò in cucina per il sacrosanto caffè.
Il suono del telefono lo distolse dalla colazione. Evidentemente gli amici volevano conoscere i risultati della serata. Ma il telefono gli riservava una curiosa sorpresa.
«Ciao, sono io, volevo augurarti buon giorno.»
Mario era senza parole, non se l'aspettava proprio, quella vocina grigia e scialba come la sua proprietaria. Non gli sembrava di averle dato il suo numero, come diavolo aveva fatto?
«Scusa, so che non avrei dovuto, ma temevo di non rivederti più.»
Cosa stava dicendo quella patata lessa?, aveva frugato nelle sue tasche, non ci si poteva fidare davvero di nessuno... ma cosa stava dicendo?
«...Per cui, ho pensato che in fondo non era così grave, ho trovato il tuo biglietto da visita e da stamattina presto mi chiedo se chiamarti o meno... scusa, ho sbagliato. Fai conto che non ti abbia chiamato. Non avrai più mie notizie.»
Mario non aveva mai vissuto un'avventura di tal fatta e, ad essere sinceri la cosa cominciava ad intrigarlo non poco. Per cui fermò in tempo la fuga di Lina: «Frena, hai fatto bene. Nel corso degli eventi non ci eravamo scambiati i telefoni. Anche se ormai so dove abiti - aggiunse con un pizzico di ironia - Che ne dici se questa sera andiamo a cena? Dopo il tuo spumantino potremmo assaporare un altro vino che amo molto.» Ci volle poco per organizzare l'appuntamento, così Mario uscì canticchiando di casa e fregandosi le mani: e per quella sera le cose erano sistemate. Gli amici, i soliti amici del Bar, l'aspettavano ansiosi di conoscere gli sviluppi della storia. Gli aperitivi erano già sistemati in fila come tanti soldatini, a testimoniare la lunga abitudine dei quattro a questo rito. Non c'erano domande tra le abitudini c'era quella di aspettare una storia senza chiedere, senza interrompere, senza commentare. Davano per scontato che ognuno singolarmente tenesse alto l'onore del gruppo. Veri maschi, insomma, sempre sulla cresta dell'onda.
«E così hai rimorchiato una sanguisuga femminista. Complimenti!»
Ciro era sempre il primo a congratularsi, era lo storico del gruppetto e teneva l'elenco e la cronistoria di tutte le loro molteplici avventure.
«Alla cena di stasera» Giorgio alzò il calice in un brindisi muto «a proposito? Dove la porterai, per stupirla?»
«Questa volta gioco in casa. Basta concerti degli anni '70 e soprattutto niente spumantini. Era una gazzosa, non sto a dirvi che sapore disgustoso.»
Gli amici si lanciarono un'occhiata consapevole.
«Allora da Barco?»
Mario annuì, con l'aria soddisfatta e sorniona di un gatto che si è appena fatto fuori mezzo prosciutto, alla faccia della cuoca. Si salutarono battendo il cinque, uomini per età, ma ragazzini ancora per atteggiamento, vogliosi di sfide, di giochi, ancora non consapevoli che con i sentimenti non si gioca mai, perché niente è più delicato al mondo che l'anima della gente, ma questi giovanottoni ben pasciuti di muovevano come elefanti in una cristalleria. La sera giunse ben presto e con la sua rombante auto, che poco aveva a che fare con il quartiere grigio e squallidino come Lina.
«Vestiti elegante, vedrai dove ti porto.» Le aveva detto, e la poveretta aveva ubbidito, aveva sfoderato un sottanone alla zingara dal colore indefinibile e uno scialletto etnico, di non si sa bene quale paese lontano e sconosciuto ai più.
Mario sospirò, ma nello stesso tempo sentì scattare nel suo intimo quella curiosa sensazione che spinge i missionari a mettere in gioco la propria vita pur di redimere e salvare i poveri indigeni ignoranti e abbandonati. Capì subito che avrebbe continuato la storia al solo scopo di essere il suo Pigmalione; l'avrebbe rivestita, avrebbe messo mano al suo appuntamento. Soprattutto si sarebbe messo di buzzo buono per insegnarle ad apprezzare le cose buone e raffinate, altro che spumantini dolci.
Da quella sera Mario iniziò la sua opera educatrice e proprio a cena si dilungò molto sul vino, in particolare. Insomma, di tutta la faccenda, era questo ciò che l'aveva colpito e dal vino l'opera educatrice ebbe inizio.
«Che te en pare?» il bicchiere colmo di un liquido rosso scuro ruotava lentamente fra le dita.
«Guarda, sembra un granato.» Le diceva, mentre Lina si perdeva nel colore dei suoi occhi. «Annusa, lo senti, sembra proprio che si sia aperto un vaso di marmellata di ciliegie, lo senti il legno... se annusi bene riesci anche ad apprezzare il lieve aroma di pelo di volpe bagnata.»
E Lina gli annusava intorno l'aroma di dopobarba e deodorante, di cui aveva abusato erroneamente.
«Assaggia, senti come avvolge e penetra! Renditi conto di come permane il suo gusto in bocca.» E intanto la giovane schioccava la lingua, assaporando più l'idea dei suoi baci, che sarebbero arrivati entro breve tempo. Dopo quella cena ce ne furono altre, e ci furono anche colazioni, e passeggiate, e uscite anche con gli amici. Pian piano Lina e Mario erano diventati una coppia. Oddio, veramente più che coppia si trattava da parte sua di una specie di sanguisuga, non sapeva stare in piedi da sola, era come una pianta rampicante, se non si appoggiava alle forti spalle di quello che ormai era per tutti il suo unico e grande amore. Gli amici stupivano della costanza con cui Mario continuava a frequentare quella tipa e Mario stesso si stupiva con loro. C'è da dire che ormai era quasi un incubo. La mattina presto la sveglia dolcissima, e poi l'augurio di buon appetito e poi la buona notte e poi gli inviti a cenette alternative, macrobiotiche, magrebine, che costringevano Mario a una doppia cena, se non voleva morire d'inedia. Una persecuzione, per non dir di peggio. Ma non gli era nemmeno successo mai d'essere tanto ricercato e la cosa, ovviamente, non gli faceva altro che piacere, cosa per cui la relazione, se di relazione si parlava, continuava in qualche maniera. Una sera, però, Ottomarzo gli diede buca. L'aveva aspettata per quasi un'ora davanti al cinema d'essai, dove questa volta lei l'aveva trascinato, in contrapposizione a un sano film di guerra, che lui aveva proposto. Al telefono non rispondeva. Forse le era successo qualcosa, meglio andare a vedere di persona. Arrivato al condominio dove abitava Lina, si fermò per un attimo, perplesso. Non era sua abitudine fare quello che stava facendo, che quella tipetta da niente le avesse fatto una fattura, ma non ricordava di aver bevuto nessun filtro, a parte quello spumantino assurdo, il cui ricordo ancora lo faceva soffrire. Si riscosse, che idee gli frullavano in testa! Basta, era meglio suonare e togliersi ogni dubbio. Si attaccò al campanello, ma nessuno rispose. La cosa cominciava ad essere davvero preoccupante, che davvero le fosse capitato un accidente? O insomma, poteva anche degnarsi di fargli avere notizie, fu il suo primo pensiero, poi rifletté. In fondo poteva anche essere l'occasione buona per interrompere questa storia. Le ore passavano e nessuna nuova giunse agli orecchi di Mario per tutta la notte e per il giorno successivo, così, quando verso le sette s'incontrò con gli amici, davanti alle solite tartine e al solito bicchiere di Pinot bianco freddo al punto giusto, poté annunciare a tutti che le cose erano tornate al solito posto.
«Era ora, bentornato tra noi.» E alzarono i bicchieri leggermente brinati per un brindisi entusiastico.
«Festeggiamo, andiamo fuori a cena.» Disse Gianni e gli altri si dissero subito d'accordo. Ma l'uomo stabilisce e Dio poi decide autonomamente.
Squillò il cellulare e Mario seppe, ancora prima di rispondere che si trattava di Lina. Riusciva a rendere sciapo anche lo squillo del telefono, doveva avere dei poteri magici, da strega... tremate, tremate, le streghe son tornate. Della loro aggressiva sicurezza ad Ottomarzo era rimasta attaccata solo la parte magica e misteriosa, evidentemente.
«Scusami, volevo avvertirti, ma non ho fatto in tempo.» Anche la voce era lagnosa, ma perché mai si era infilato in quella storia senza senso;
«Cosa ti è successo, mi sono preoccupato.» Rispose, alzando le mani in segno di resa, mentre gli amici strizzavano l'occhio, ironizzando sulle sue debolezze.
«Sei tanto caro. Sai, ho dovuto correre all'aeroporto perché è arrivata Greta.»
«E chi diavolo mai è Greta, si può sapere?» come poteva una ragazza, sicuramente insignificante come Lina, mandare per aria tutti i suoi piani. «È la mia più cara amica, è tornata da un lungo viaggio, era da più di due mesi che non la vedevo e quando mi ha chiamato per andarla a prendere non mi sono nemmeno sognata di rifiutarmi.»
«Allora, cosa vuoi fare ora?»
«Scusami, scusami tanto, ma per oggi vorrei restare a casa. Magari domani potremmo andare a cena insieme.»
«D'accordo, mi organizzo, lo dico anche agli altri, così facciamo festa tutti insieme.»
«Ciao, allora, ci sentiamo domani.»
Mario stette in silenzio per un attimo, poi avvicinò al tavolo la sedia, prese un'aria da cospiratore e convinse gli amici a non abbandonarlo ad un simile destino. Quindi gli accordi furono presi e prenotata la cena all'Enoteca della Botte, luogo rinomato per le pappardelle al sugo di cinghiale e per un Cabernet Sauvignon morbido e avvolgente che era una vera favola. La sera seguente Mario perse più tempo del solito davanti allo specchio, voleva far colpo, far cadere dall'alto la sua avvenenza, far capire a quest'ignota Greta quanto la sua amica fosse fortunata ad averlo incontrato. Ma allo stesso tempo il piano per il distacco doveva prendere forma, doveva essere altrettanto chiaro che non si lascia per strada senza avvisarlo un tipo come lui. Soprattutto se si tratta banalmente di andare a prendere un'amica, che bastava salisse su un taxi, senza scomodare nessuno. Erano d'accordo che si sarebbero trovati tutti all'Enoteca, mentre a Mario spettava l'onere e l'onore di andare a prendere le due signore. Una piacevole sorpresa lo aspettava: dal portone uscì Ottomarzo, sempre sciatta e spettinata come il solito, ma dietro di lei... Mario fece fatica a non spalancare la bocca. E chi era quella meraviglia? Una ragazza giovane, con i capelli biondi racchiusi in due trecce infantili, gli occhioni azzurri spalancati ingenui, o forse no, sul mondo, due labbra tumide e rosate che erano una vera calamita.
«Questa è Greta, lui è Mario, te ne ho parlato, ricordi?»
«Piacere.» Con una mano languida la giovane meraviglia bionda si protendeva verso un latin lover basito. Scambiati i convenevoli di rito, i tre s'installarono in auto ed in breve giunsero al luogo dell'appuntamento. L'effetto Greta si fece sentire subito anche nel gruppetto d'amici che, lasciata in disparte senza nessun ripensamento la povera Ottomarzo, si dedicarono come un sol uomo alla bambolona maggiorenne da veramente troppo poco tempo, a quel che sembrava. Chi avesse assistito allo spettacolo si sarebbe divertito alquanto c'era un rincorrersi circolare di sguardi e di gesti, piuttosto evidente e risibile. Si perdeva la consapevolezza di chi fosse la preda e chi il cacciatore. La sera passò in un amen poi ognuno, a casa sua, ebbe modo di ripensare agli eventi e Mario ebbe un'illuminazione. Di Ottomarzo non gliene poteva importare di meno, ma quella Greta era davvero un bocconcino invitante. L'aveva fatto impazzire il brillantino incastrato nell'ombelico che occhieggiava malizioso sopra la cintura, per non parlare del minuscolo anellino d'oro alla narice. Le forme morbide ed invitanti, da donna, senza mezzi termini, contrastavano con le treccine alla Heidi... insomma, Greta era da frequentare. Una grossa pecca l'aveva anche quella meraviglia, non c'era stato verso, aveva ordinato una Coca Cola. Da non crederci, una sciropposa e frizzante Coca Cola per mandar giù le paradisiache pappardelle, che erano state ammannite loro. Peggio, molto peggio dello spumantino di Lina. Comunque da quel momento gli amici, nonostante i loro tentativi, furono lasciati in disparte. Mario fu un vero anfitrione, non c'era occasione che lasciasse perdere: cene, concerti, teatri, sembrava un pavone che fa la ruota. Ma nonostante tutto ciò, a Mario sembrava di segnare il passo, Lina carezzava lui, lui allungava il piede per stuzzicare Greta, Greta era indifferente. Uno strazio, finché un giorno non andarono alla solita osteria. Gli amici c'erano tutti, ma Mario, Ottomarzo e Greta non si sedettero con loro. Il nostro eroe voleva campo libero. Ordinarono il solito, cioè un ottimo Cabernet per Mario e per Lina, che accettava tutti i suoi consigli, e il nauseante beverone marrone e dolciastro per Greta, che non li accettava. E cominciò anche il solito gioco di mani e di piedi. Questa volta, però, gli altri erano spettatori e videro ciò che Mario non vedeva. Dietro le sue spalle, senza che se ne potesse accorgere, le due donne intrecciavano le dita, in un gesto inequivocabile. Ottomarzo aveva colpito ancora e Heidi non era l'ingenua pastorella che dava ad intendere. Gli amici sorrisero, prima, poi risero senza remore, anzi, sghignazzarono alle spalle del povero latin lover illuso.
Così va la vita, Coca Cola batte Cabernet uno a zero.


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