Il fenomeno

In Italia il fenomeno cominciò a manifestarsi durante una puntata di "Ambarabà", una trasmissione televisiva culturale di successo condotta dalla brava e bella Marcella Nobis. Durante la trasmissione personaggi politici e multiculturali enunciavano e discutevano le loro idee su qualunque tema, dalla cultura della dieta mediterranea al neo-neopositivismo. Mentre l'onorevole Cannoni stava parlando del rapporto tra amor di patria e serenità democratica, fra le labbra del medesimo si palesò una sorta di schiuma bianca e trasparente, che si raccolse all'angolo sinistro della bocca. Il volto dell'onorevole era in primo piano e questa manifestazione idrica, se pur modesta, era perfettamente visibile anche sui teleschermi. Inizialmente, chi la notò la trovò del tutto normale: pareva una semplice bava da logorrea, quella che una salivazione eccessiva fa affiorare dalle labbra di chi parla molto e con foga. Se non che la schiuma crebbe di consistenza e quantità, divenendo sempre più somigliante ad un batuffolo di bambagia o cotone che dir si voglia. Finché si staccò dalle labbra dell'onorevole, svolazzò per l'aria e calò dolcemente sul pavimento.
Chi se ne accorse trovò la cosa ridicola e non si preoccupò. Il fiocco di bambagia poteva nascere da un intervento dentistico sull'onorevole con resti eccessivi di drenaggio, da una dentiera malamente calzata con il cotone, da un difetto del video; oppure poteva essere un trucco dello stesso onorevole per farsi notare e inquadrare dalla telecamera.
Purtroppo, quando intervenne l'avvocato Olinto Scazzi - che nella foga del discorso sbavava abitualmente ma la cui saliva, se pure abbondantemente sgocciolata si asciugava senza lasciare tracce apprezzabili (salvo, raramente, qualche detrito di cibo) - il fenomeno si ripeté. Dalla bocca dell'avvocato la bava, invece di colare sulla cravatta o sul pavimento, si trasformò in un bioccolo lanoso, che si ancorò alla ricca barba dell'uomo di legge. Il quale, quasi senza rendersene conto, dette un buffetto a quel fiocco piumoso che si staccò dalla barba e scese a sostare sui pantaloni. L'avvocato s'interruppe, bevve un bicchier d'acqua, si ravviò la barba e pulì gli occhiali. Poi guardò in alto, ispezionando il soffitto, come a cercare da quale parte potesse provenire questo materiale così fuori contesto. Prese il fiocco con due dita e l'esaminò, ma, a giudicare dall'espressione immutata del volto, la cosa non doveva mostrare alcuna caratteristica allarmante. L'avvocato Scazzi la gettò sul pavimento e riprese a parlare con la grinta consueta: "Onorevole Cazzoni, pardon Cannoni, se la facesse finita con le sue stronzate...". Poi s'interruppe. Una diecina di fiocchi bianchi gli erano usciti dalla bocca ed erano dolcemente calati a terra. Insieme a quelli dell'onorevole Cannoni si stavano pian piano ammucchiando in un angolo verso il quale, probabilmente, li spingeva qualche impercettibile corrente d'aria.
Uno dei partecipanti alla trasmissione, il professor Panescuro, giornalista di Vaglia (non per le sue capacità ma in quanto collaborava al quindicinale Mugello Oggi pubblicato in quell'amena cittadina) si congratulò "con l'amico Scazzi, che oltre a tante parole dure è capace di pronunciarne di così soffici". Se non che anche lui s'interruppe. Dalla bocca gli erano usciti, uno dietro l'altro, parecchi batuffoli di misure diverse. Atterrati sul pavimento stavano anche loro scivolando con qualche incertezza verso il solito angolo della sala, quasi volessero unirsi ai compagni.
Se i partecipanti alla trasmissione, i telespettatori e i tecnici di studio non avessero visto che la bambagia era uscita proprio dalle labbra dei due personaggi, o così era parso a tutti, sia pure incredibilmente, e se fosse stata primavera, forse avrebbero potuto pensare che l'impianto di aereazione portava all'interno la lanugine dei pioppi allineati intorno all'edificio. Ma era dicembre inoltrato e i pioppi avevano da tempo perso ogni voglia di riprodursi.
Stava dunque accadendo qualcosa di estraneo e bisognava provvedere. Pertanto, anche se l'indice Auditel si era impennato, la brava e bella Marcella Nobis annunciò ai telespettatori che la trasmissione veniva interrotta per cause tecniche, del che si scusava. E mentre parlava anche dalle sue labbra carnose germinarono e si staccarono batuffoli bianchi. Ma la gente non vide altro; sullo schermo comparve la pubblicità e il pubblico fu invitato a lasciare la sala.
Il giorno dopo i quotidiani avanzavano l'ipotesi che il direttore di RAI Uno, da tempo impegnato nel rilancio della rete, fosse ricorso a qualche artificio per aumentare il numero dei telespettatori. Alcuni di questi dissero di sospettare che i batuffoli fossero usciti dal microfono di sala, che di volta in volta veniva porto a chi parlava; mentre una signora affermava che un paio di volte la brava e bella Marcella Nobis era sembrata estrarre qualche cosa dalla generosa scollatura, straordinariamente ricolma. La Nobis replicò seccata che il suo decolté era un dono della mamma, non c'era neppure un grammo di silicone, figuriamoci se ci avrebbe nascosto del cotone.

Dimensioni e conseguenze

Il fatto stava pian piano scomparendo dalla stampa quando il fenomeno si ripeté in tutt'altra sede e con altre dimensioni.
Alla camera dei deputati si stava discutendo la conversione in legge di un decreto che prevedeva una deroga al divieto di caccia dei pettirossi. Il governo era ricorso al decreto sostenendo che il tema rientrava nella categoria dei casi di necessità e urgenza, ma l'opposizione accusava il presidente del consiglio di aver ceduto alle pressioni dell'Associazione nazionale per la caccia. Peggio ancora, secondo alcuni Verdi-Lunapiena, lo stesso presidente era un appassionato dei pettirossi in padella. Nel tentativo di far scadere i termini per la conversione, verdi e radicali erano ricorsi all'ostruzionismo. L'onorevole Stradella stava parlando da tre ore del tipo di pallini da caccia che non potevano essere impiegati contro i pettirossi, quando dalla sua bocca cominciarono a uscire batuffoli di lanugine, consistenti e numerosi. In breve, ai piedi dell'onorevole, sulle sue carte e in parte sul ventre, si formarono agglomerati di questa materia, all'occhio ora simile allo zucchero filato, ora alla lanugine dei pioppi, ora al cotone idrofilo. L'onorevole, preso dalla foga oratoria e forse un po' obnubilato dalla fatica, non se n'era accorto. Fu il compagno di partito che gli sedeva a fianco a richiamarne l'attenzione su ciò che stava accadendo con una leggera gomitata e un gesto della mano. L'onorevole guardò in basso, dando così modo anche alla bambagia che aveva sul ventre di scivolare sulle carte e per terra. "Chi è stato", gridò, "vergogna! Queste goliardate mancano di rispetto al parlamento!". E mentre sbraitava un'altra diecina di batuffoloni gli uscirono dalla bocca; i primi scesero con lentezza sul pavimento, gli ultimi vi caddero con maggiore velocità. Erano indubbiamente più pesanti. "Onorevoli colleghi, non posso consentire buffonate del genere", ammonì il presidente della seduta, battendo sul tavolo con il martelletto. "Ricordate che siamo in diretta e che il paese ci sta guardando!". Ma lui stesso, parlando, emise una sfilza di batuffoli bambagiosi che caddero sotto il banco, mentre esclamazioni di meraviglia e sconcerto segnalarono un improvviso risveglio dei deputati presenti.
Il fenomeno, per quanto inspiegabile, appariva indiscutibile: dalla bocca di chi parlava uscivano batuffoli bambagiosi, simili a quelli apparsi nella trasmissione televisiva di una settimana prima. I deputati più increduli vollero verificare quanto pareva accadere con la più naturale delle riprove: si misero a pronunciare parole a caso "mamma, riforme, provocazione, dio, bipolare, cacca, ecc." Ad ogni parola un batuffolo evadeva dalla bocca con una sincronia perfetta e una decisione assai maggiore di quella mostrata dalle bambagie televisive. L'onorevole Trestelle esclamò, a scopo scientifico "cazzo, cazzo, cazzo" e tre fiocchi sostanziosi e pesanti scaturirono dalle sue labbra e caddero sul piano del banco. Esaltato dalla soddisfazione di vedere la piena riuscita dell'esperimento, Trestelle avviò una risata convulsa che interruppe d'un tratto. Si portò la mano alla bocca e non disse altro. Come tutti i colleghi anche il dissacratore Trestelle sentiva che il prodigio non era benigno ma, al contrario, era malevolo e, nella pratica, ostile.
Ormai i deputati tacevano e il presidente, "cospetto eventi inspiegabili" ritenne giusto "sospendere seduta rinviandola dopodomani". Di solito era verboso ed enfatico, ma questa volta, dopo aver cominciato con la formula di rito "Onorevoli colleghe ed onorevoli colleghi, nella mia facoltà di presidente di questa assemblea della quale mi lusingo..." portò avanti e concluse l'annuncio in modo quanto mai sintetico, eliminando articoli, congiunzioni e preposizioni. Era evidente che vedersi uscire dalla bocca batuffoli lanosi ad ogni parola lo inibiva.
Aveva appena finito che un paio di deputati, allontanatisi dall'aula per necessità impellenti, rientrarono trafelati: "bambagia ... bambagia ... è tutto pieno ...è incredibile...". Parlavano a voce alta, con eccitazione, emettendo e seminando bioccoli di lanugine.
Quelli che erano rimasti in aula per tutta la durata della seduta, ebbero così un'altra sorpresa: anche l'impiantito del grande salone entro il quale - prima, durante e dopo le sedute - amici e nemici si intrattenevano in cordialità, dispetti, contrattazioni e scambi, appariva coperto di bambagia. Già alcuni inservienti erano all'opera con scope e sacchi di plastica per cercare di eliminarne il più possibile, soprattutto quella che si era accumulata ai piedi delle porte e ne rendeva difficile l'apertura.

I giornali, la radio e la televisione dedicarono larghissimo spazio a quanto era accaduto. Un corsivista di facile spirito scrisse che se avesse visto uscire dalla bocca di un oratore dei pezzetti d'argento l'avrebbe ritenuto un fenomeno plausibile visto che, come tutti sanno, il silenzio è d'oro e la parola d'argento; un altro fece notare che finalmente si poteva davvero dire "verba volant". Tuttavia, anche nei commenti ironici e scettici traspariva una forte preoccupazione. Non era più possibile pensare a un trucco realizzato da qualche tecnico televisivo. Almeno in certe situazioni, dalla bocca di chi parlava erano usciti batuffoli di bambagia. Le ipotesi più immediate furono due: l'emissione di fiato reagiva con qualche particolare tipo di inquinamento dell'aria producendo bambagia, oppure questa proveniva dai polmoni dell'oratore, affetti da qualche nuova malattia, sempre dovuta all'inquinamento. D'altra parte nessuno di loro aveva mai accusato disturbi alle vie respiratorie e le radiografie subito fatte non mostrarono niente di sospetto. Campioni di batuffoli furono consegnati all'Istituto superiore della sanità per avere un responso attendibile sulla loro natura.
Non molti giorni dopo il fenomeno si ripeté durante un congresso di partito, iniziando appena il segretario cominciò la relazione d'apertura. Fin dai primi batuffoli che apparvero dalla sua bocca fu evidente che il partito, noto per l'efficienza con cui organizzava festival e congressi, aveva previsto quella possibilità. Alcuni addetti si misero a eliminare dal tavolo, dai fogli che il segretario leggeva, dall'apertura del microfono e dal pavimento i cascami di bambagia, a raccoglierli e a comprimerli in sacchi di plastica con il simbolo del partito. L'oratore, personaggio orgoglioso, tenace e sicuro di se, non accorciò di una parola la relazione che, come in tutti i congressi precedenti, durò più di tre ore. Però, anzichè ignorare il fenomeno, vi fece riferimento con la grinta abituale. "Non ci lasceremo intimidire", disse tra l'altro, "come forse sperano i nostri avversari, da fatti del tutto fuori contesto. Siamo certi che verranno spiegati e impediti se saremo capaci di mantenere quella coesione e quella fiducia nelle nostre ragioni mostrate fino ad oggi".
Dopo la relazione vi furono i consueti interventi, per lo più di adesione, che si distribuirono nell'arco di tre giorni, fino alla replica che chiuse il congresso. Forse sarebbe stato opportuno invitare i partecipanti a limitare al massimo il numero e la lunghezza degli interventi, ma questo avrebbe interrotto una tradizione di lunga data e fatto pensare che si intendeva approfittare della bambagia per limitare la libertà di parola dei congressisti. Fatto sta che, in quell'occasione, la produzione quotidiana di bambagia fu enorme e ogni sera fu necessario destinare alla rimozione due autocarri della nettezza urbana.
Una domenica la bambagia fece la sua prima apparizione in chiesa. Ad emetterla fu il cardinale di una grande città durante la predica che faceva abitualmente alla frequentatissima messa di mezzogiorno. A quella vista, dalla grata dietro la quale si celavano le vecchie suore del contiguo convento di clausura, giunsero flebili esclamazioni di religioso stupore: "miracolo, miracolo; è lo Spirito Santo; Monsignore, benedicite nos". Alcuni giovani dell'Azione Cattolica, che ogni domenica si allineavano eretti ai lati dell'altare, quasi picchetto d'onore all'insigne officiante, dopo una breve incertezza, si unirono alla testimonianza delle suore, gettandosi in ginocchio e gridando anch'essi "miracolo, miracolo". Da coraggiosi soldati di Cristo, intendevano cogliere qualunque occasione per dar vantaggio alla Fede. Lo scopo della loro innocua ipocrisia era dunque buono, ma il cardinale officiante, persona onesta e di buon senso, con gesto inequivocabile li invitò a tacere e rialzarsi. Malgrado la sua proverbiale serenità il prelato appariva scosso e irritato. La bambagia svolazzante per la navata aveva annullato la suggestione delle sue parole e in un batter d'occhio giunse all' "andate, la messa è finita". Dispersa dai fedeli che uscivano, un po' di lanugine si era sparsa sul sagrato, restandovi quasi come il riso gettato su gli sposi.
Dopo questo primo episodio anche la commistione tra religione e bambagia divenne frequente: non ci fu predica che non lasciasse mucchi d'ovatta sotto il pulpito o davanti all'altare. Il maggior disagio, però, l'ebbero i sacerdoti mentre confessavano:la bambagia si accumulava dentro il confessionale fino a minacciare di soffocarli. Dopo alcuni malori, le chiese che per qualche motivo non potevano installare aspiratori nei confessionali, ebbero il permesso di ricorrere alle confessioni ed assoluzioni scritte.

Ormai l'emissione di bambagia si manifestava anche durante le conversazioni normali, in pubblico e in privato. Nei bar comparvero cartelli con su scritto "Si prega di non far cadere la bambagia nelle consumazioni degli altri clienti"; nei locali più frequentati, insieme alla tazza del cappuccino, al bicchiere di birra, alla fetta di torta, veniva fornita una palettina a rete con la quale allontanare la bambagia prima che, uscita dalla bocca, si adagiasse sulla consumazione.
Negli uffici gli impiegati parlavano meno di calcio, di figli o di vestiti; i più chiacchieroni cercavano di comunicare scambiandosi bigliettini o per e-mail. Ai capi, infatti, bastava un'occhiata sotto la scrivania di un dipendente per capire quanto tempo aveva dedicato alle chiacchiere.
Per i logorroici incorreggibili la limitazione verbale provocava crisi di astinenza che cercavano di superare mugolando a bocca chiusa ciò che volevano dire. Naturalmente l'interlocutore non li capiva ma è noto che la priorità del logorroico non è farsi capire ma emettere suoni vocali; meglio dunque il mugolio del silenzio.

La necessità di non usare la voce o usarla pochissimo ridusse la partecipazione del pubblico a gare e competizioni sportive. L'impossibilità d'incitare, insultare, contestare, venire a diverbio usando liberamente i vocaboli e il tono di voce più adatti aveva tolto gran parte del loro fascino agli incontri di calcio, di basket, di rugby, di pugilato, alle corse di cavalli e di cani.
Per quanto la bambagia sia soffice e nell'immaginario collettivo abbia da sempre implicazioni rassicuranti e cordiali, adesso era divenuta una presenza ostile. Nelle famiglie, come causa di litigio la bambagia sostituì la cenere della sigaretta lasciata cadere sbadatamente per terra, le pedate delle scarpe sul pavimento appena incerato, i giornali abbandonati di qui e di là, i piatti e le stoviglie ammucchiati senza essere stati lavati. Ora, però, quale che ne fosse la causa, futile o seria, i litigi abortivano subito. Per non rischiare il soffocamento da bambagia nessuno si abbandonava alla recita sempre più infervorata di quei rosari di recriminazioni, accuse e insulti che un tempo portavano anche alle "vie di fatto". Mentre prima un familiare, un collega, un amico logorroico doveva essere sopportato, magari cercando di non ascoltarlo, ora era più facile difendersi perché la produzione di bambagia testimoniava tale difetto in modo indiscutibile e infastidiva il parlatore medesimo. Inoltre dava agli altri il diritto incontestabile d'invitarlo a tacere, senza essere accusati di scortesia o intolleranza.
In conclusione un ottimista avrebbe anche potuto dire che non tutto il male viene per nuocere.
Era ormai chiaro che il fenomeno era incontrollabile: chiunque parlasse, in qualsiasi luogo produceva bambagia, in quantità minore o maggiore, meno o più consistente. Dimensioni e consistenza dei fiocchi erano direttamente proporzionali al tono della voce: piccolissimi e quasi impalpabili se uscivano da una bocca che bisbigliava, sempre più sostanziosi se il produttore parlava ad alta voce.
Accanto ai cassonetti dell'immondizia, traboccanti, cominciarono a formarsi montagnole di bambagia che veniva portata via periodicamente, compressa in appositi contenitori. Nell'attesa bastava qualche soffio di vento per rimetterla in circolazione e moltiplicarne gli effetti. Otturava gli aspiratori per il condizionamento dell'aria, intasava i microfoni dei telefoni, sporcava i filtri dei motori e impacciava ogni ingranaggio. Nella stazione di Roma, durante la presentazione ufficiale del primo tronco PAV (Più Alta Velocità), gli uomini politici, gli esperti e i responsabili dell'azienda ferroviaria ne produssero così tanta che bloccò gli aghi degli scambi.
L'attività teatrale e cinematografica fu gravemente compromessa fin dalle prime manifestazioni del fenomeno. Qualche commedia si poteva ancora rappresentare; magari i batuffoli che uscivano dalla bocca dei personaggi strappavano una risata in più. Ma nessun dramma, nessuna tempesta di sentimenti e passioni, interpretati da attori e cantanti che sputavano cotone mentre un paio d'inservienti spazzavano di continuo il palcoscenico, riusciva a tenere avvinti gli spettatori. Di Madama Butterfly, oltre alle parti strumentali, poteva essere eseguito con successo solo il coro muto. Era invece tornato di gran moda il cinema muto e anche i nuovi film furono realizzati senza il parlato, sostituito da didascalie molto esaurienti.
Processi, interrogatori e confessioni venivano fatti per scritto, mentre si rivelò sempre più difficile tenere conferenze, dibattiti, seminari, tavole rotonde. Nelle scuole e nelle università la parte orale delle lezioni e degli esami scomparve e tutto venne fatto per scritto, con l'aiuto di computer e videoschermi.

Le ipotesi

Una ricerca compiuta dal CNR e dall'Istituto superiore di sanità mise il fenomeno sotto una luce drammatica, ipotizzando che fosse dovuto a una reazione a catena. Come tutti sanno la parola è formata da: vibrazione sonora, saliva, prodotti di scarto (per lo più detriti di cibo), significato. Secondo i sostenitori della reazione a catena le parole emesse ogni giorno per millenni da miliardi di esseri umani erano ormai troppe. Impossibilitate a disperdersi nella stratosfera a causa dell'attrazione terrestre, nel loro frenetico agitarsi si urtavano più e più volte, spezzandosi, moltiplicandosi, scontrandosi e frantumandosi nuovamente. Era dunque possibile che l'energia così sviluppata dalle collisioni, interagendo con le vibrazioni sonore, trasformasse la saliva e i prodotti di scarto in bambagia o verbagia, come venne definita sintetizzando l'espressione "bambagia verbale".
Secondo un'altra ipotesi le parole emesse dall'uomo (e dalla donna) fin dalla sua comparsa sulla terra, trattenute dalla gravità nell'atmosfera terrestre, nelle aree di maggior concentrazione avrebbero superato un livello oltre il quale ogni nuova emissione, a contatto con l'inquinamento atmosferico, funzionava da catalizzatore, trasformando in bambagia gli agenti inquinanti.
Entrambe le ipotesi erano confermate dalle medesime prove indirette.
La reazione aveva cominciato a manifestarsi nelle grandi città e nelle attività in cui un'elevata produzione verbale era la caratteristica principale: convegni, riunioni politiche, tavole rotonde, assemblee, prediche, comizi, ecc. In queste situazioni l'inquinamento era elevato e dunque congruente con l'ipotesi dell'azione catalizzante, ma avrebbe potuto essere elevata anche la frequenza delle collisioni tra i milioni di unità verbali prodotte.

Limitazioni e sanzioni

Con il passare del tempo il fenomeno aveva raggiunto dimensioni tali che i futurologi non agitarono più lo spauracchio della bomba demografica, dell'esaurimento delle risorse o dell'effetto serra, ma quello del soffocamento da verbagia. Se l'ipotesi della reazione a catena o dell'effetto catalizzatore era vera, bisognava che la gente parlasse il meno possibile per non finire soffocata dalle parole di bambagia in ambienti che potevano saturarsene. Nei paesi più colpiti dal fenomeno, come il nostro, furono promulgate disposizioni amministrative e penali per scoraggiare la sovraproduzione verbale. Tra queste, gl'incentivi al silenzio (sgravi fiscali e contributi), e il razionamento della produzione mediante la carta annonaria elettronica della parola, commisurata alle necessità di lavoro.
Il controllo del numero di parole emesse veniva effettuato mediante un chip che ogni cittadino doveva farsi inserire in un dente, a spese della ASL. Un impulso elettronico proporzionato alla lunghezza della parola pronunciata veniva trasmesso automaticamento al contatore personale del parlante, installato in uno dei tanti centri di controllo verbale del Ministero degli Interni. Quando il parlante aveva esaurito la sua disponibilità di parole, dalla centrale giungeva al chip un impulso elettrico che gli provocava una forte scossa in bocca. Era il primo avvertimento e la scossa poteva aumentare d'intensità qualora la precedente non avesse dato risultati.
Oltre a queste "multe" elettriche, per chi contravveniva alle leggi limitatrici dell'emissione verbale erano previste anche pene gravi, che potevano arrivare fino all'applicazione temporanea di una mordacchia e addirittura all'essiccazione della lingua in caso di ostinata recidività.
Ma questa è un'altra storia.


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