NOTA: per situazioni e linguaggio, questo racconto è adatto a un pubblico adulto

 

Ognuno di noi ha il suo momento. Questo pensava il grande Tom Jerry.
«L'attimo in cui brilliamo, quell'istante in cui siamo al meglio di noi stessi. Ognuno di noi possiede un sogno segreto. Nascosto. C'è chi la chiama perversione, anche se è una parola cruda. Dura. Rozza. È una perversione fare la cosa nella quale si riesce meglio, trarre piacere da quell'istante?»
Cetti annuì, osservando l'uomo più anziano attraverso il vetro del suo bicchiere di vino.
Si sarebbe risposto da solo a quella domanda stupida. Ovviamente aveva già deciso che la risposta sarebbe stata no.
Erano le chiacchiere che precedevano il morso... lei era disposta a farselo prima o no?
La cena era costata cara. Il dessert era stato costoso, ricco di cioccolato e di calorie.
Cetti lavorava da quasi nove mesi nell'ufficio Prestiti, occupandosi della ricezione clienti. Uomini più vecchi di lei la invitavano fuori.
Quando è toccato a Tom invitarla a cena, per la sera del fine settimana, lei aveva consultato la sua scheda personale, dato una scorsa alle sue cifre, poi aveva accettato.
Tutte le ragazze dell'ufficio lo facevano. Tom lavorava nel settore immobiliare e guidava una Jaguar.
La parte relativa alla cena era terminata due ore prima. Lei ora era a casa sua. Quando il reddito di un uomo supera i nove zeri, non si può parlare di violenza sessuale al primo appuntamento.
La ragazza soffriva di Herpes. Meglio tacere pensò.
Per quanto ne sapeva, lei era sicura di non essere mai finita con drogati o consumatori di droghe leggere. Poteva succedere. Certo. Prima o poi. Non esisteva nessun modo che permettesse ad uno di loro due di mettersi un preservativo sulla bocca. Erano solo baci.
Gli occhi grigi e acquosi di Tom luccicavano mentre continuava a blaterare di aberrazioni e di cavolate varie. Probabilmente era stata colpa del vino. Cetti l'aveva avvertita una mezz'ora prima, una specie di nube calda e torpida nella quale aveva cominciato a galleggiare, con la possibilità di escludere la voce di Tom pur continuando a fissare un punto dietro la sua nuca. Di annuire col capo e di produrre leggeri suoni che dimostravano il suo interesse e gli facevano credere che lei lo stesse ascoltando. Si sentiva magnificamente.
Riavvolse lentamente il nastro fino all'ultima frase che si era presa il disturbo di ricordare e partì da quella.
«Anch'io ho un desiderio nascosto». Disse lei con radioso sorriso giocherellando con una ciocca di capelli color rame. Con aria adorabile.
L'interesse dell'uomo si risvegliò di colpo, fin troppo ansioso.
«Sì? Davvero?» Si mise seduto e si sporse in avanti per invogliarla a proseguire.
Cetti giocò con lui come con un pesce attaccato all'amo.
Attraverso il tavolo trasparente lui la guardò accavallare le gambe. Lisce. Che chiedevano di essere toccate. Desiderose di bramose carezze. Il fruscio delle calze gli imporporò il viso. Il cervello di Tom era eccitato. E non solo il cervello. Cominciava già ad anticipare i tempi, pregustando l'attacco alla fortezza. Lei poteva quasi fiutare la sua eccitazione.
Cetti conservò il sorrisetto sbarazzino e leggermente intimidito con cui sapeva benissimo dove andava a parare. «Va bene. Lo dico.»
Cetti era una trentenne dal corpo snello ed esile. Una donna che aveva lottato duramente per conservare ciò che era suo e che ora non aveva nulla da esibire come risultato dei suoi sforzi all'infuori di uno stupido lavoro da deficiente.
Sopra un tavolino antico accanto al camino c'era un vaso di Iris.
La luce del fuoco ammorbidiva tutto il cristallo e il cromo scandinavo della stanza e danzava contro le finestre avvolgibili che si aprivano dal pavimento al soffitto del nido di Tom. Lui tenne gli occhi puntati su di lei. Il fuoco danzava anche nelle sue pupille.
Con gesti leziosi, Cetti addentò il delicato Iris. Masticò. Inghiottì. Sorrise.
Il viso dell'uomo si accese di piacere.
«Lo faccio fin da quando ero bambina. Un tempo pensavo che la vita del fiore si aggiungesse alla mia» disse lei.
Tom lasciò la sedia per accorciare le distanze. Divenne evidente che l'erezione lo rendeva goffo.
Gli occhi della ragazza si abbassarono per prenderne nota, perplessi, poi lei mangiò un altro fiore.
La vista della ragazza che masticava fiori era, per lui, una soave visione erotica da chiudergli la gola. La voce gli si fece roca e ripeté il nome di lei.
Ormai era pronto e lanciarsi. «Lascia che ti mostri la mia specialità. Cara Cetti. La mia aberrazione.»
Era già stata legata altre volte. Fin qui nulla di speciale.
Tom si servì di sciarpe di seta per assicurarle i polsi e le caviglie alle colonnine di mogano del letto matrimoniale. Con un lungo coltello ricurvo dal manico di ebano le apri il davanti del vestito. Fra le alture color vaniglia dei suoi seni bofonchiò promesse di indumenti ben più raffinati. Le mani persero ogni delicatezza e si fecero bramose, lacerando il collant fino alle ginocchia con gesti rapidi e brutali e annaspando per verificare se era bagnata quanto le sue fantasie. Poi la penetrò.
La ragazza cominciò a sussultare e ad avere orgasmi. Si aspettò che lui riprendesse il coltello, per sfiorarle i capezzoli con la lama tagliente come un rasoio. Invece, Tom, aprì uno scomparto nella testiera ed estrasse una maschera di gomma. Poco ci mancò che lei scoppiasse a ridere. Ma finse di protestare. La maschera le avvolse la testa come un guanto robusto, troppo stretto. Era come restare con la testa bloccata in un pullover, solo che quel materiale non era affatto poroso. I suoi polmoni provarono una leggera fitta di panico mentre la maschera le veniva calzata interamente, lasciandola respirare solamente dalle fessure per il naso e la bocca. Poi, l'uomo, riprese a muoversi dentro di lei. Questa volta con un ritmo più veloce. Si fermò solo per sigillare i buchi della maschera. La paura le sbocciò nel petto, diventando una palla di fuoco. Riuscì ad aspirare un'ultima boccata di aria prima che lui chiudesse la fessura del naso. Non poteva dirgli del suo difetto polmonare congenito. Quando il tempo era brutto , lei doveva far uso di medicinali per respirare. Per tutta la serata non si era presentato il motivo affinché lui lo sapesse. Erano stati troppo occupati a dire cavolate.
Ora non avvertiva altro che una lenta esplosione nel torace e i colpi ritmati di lui, avanti e indietro. Incominciò ad inarcarsi e a dibattersi. Quella resistenza lo eccitava sempre di più. La frizione scomparve quando lui venne dentro di lei.
Tom si diresse verso il bagno e quando ritornò vide che lei non aveva ancora cambiato posizione e che aveva smesso di respirare. A volte andava così. È il prezzo della passione. Si accorse che lei era ancora umida e in posizione, quindi lui optò per una ulteriore cavalcata. Sbuffò quando si accorse che lei era ancora viva.
Con un aahhh di piacere si rimise in azione. Adesso si sarebbe risvegliata con una voglia matta in corpo e avrebbe goduto fino a farsi saltare il suo cervellino da segretaria.
La mascella di Cetti si contorse in una posizione impossibile e morse il muso della maschera dall'interno. Una goccia del sudore di Tom cadde sul sangue che le macchiava i denti e si mescolò al vomito che le riempiva la gola. Prima che lui potesse rendersi conto di tutto, Cetti gli staccò il naso con un morso. In quel frangente pensò a quell'artico che riportava attacchi di cannibalismo e che uno scienziato aveva sostenuto che i morti sarebbero tornati in vita. Ma ora era vero. Guardava la ragazza mentre masticava il suo naso.
La gola gli si riempi della spume rosea del sangue inalato. Cerco di tirarsi indietro da quella maniaca, ma lei stringeva le sue parti basse. Urlò perché sentiva l'anello dei muscoli vaginali che aumentavano la loro pressione intorno alla circonferenza del suo pene eretto.
Più cercava di togliersi e più il suo arnese aumentava di volume. Cominciò a colpire la ragazza, mentre il suo sangue usciva dal suo viso come un fiume in piena. Ma lei non poteva sentire più nulla. Era morta. Improvvisamente libero rotolò indietro. Il sangue sgorgò rovinando il tappeto e sporcando il suo arnese.
Guardò il mozzicone della sua virilità ancora eretta svanire nel pertugio rosso fra le gambe di lei... urlò fino a quando la catatonia non ebbe il sopravvento.
La ragazza ci mise un'ora a liberarsi e mezz'ora a divorare Tom. Durante il pasto la vita abbandonò l'uomo. Ma no restava abbastanza del cadavere perché potesse alzarsi e divorare altri.
Celli riuscì a raggiungere la porta ed uscì alla ricerca di altri come lei e di pasti. Non sarebbe stata mai più bella come prima. Quello sarebbe stato il suo momento. Proprio come aveva detto Tom.
Si fuse con le ombre, la splendida figura nuda dalla pelle lattea con petali di fiori che le sfuggivano dalle labbra... ocra, malva, rosso vivo.
Ognuno di noi ha dentro di se qualcosa di buono e di malvagio. Una forza misteriosa che ci guida e ci fa seminare. Ognuno di noi, poi, raccoglie quello che il destino ci ha fatto seminare. Sta solo a noi non far uscire il Morto vivente che vive in noi.


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