NOTA: per situazioni e linguaggio, questo racconto è adatto a un pubblico adulto

 

In vita, era stato enorme ma scarsamente minaccioso; i suoi duecentocinquanta chili erano stati tutto grasso e niente muscoli.
Gli era sempre stato difficile muoversi. Ma adesso era difficile quasi per chiunque muoversi. I loro muscoli, i tendini, le ossa, erano tutti molli come budino, molli come putrefazione.
Ma lui era il più grosso.
Invece di cacciare con il branco, lui, cacciava rimanendo indietro. Aspettando che intrappolassero una vittima e facendosi avanti solo allora per partecipare all'uccisione. Gli altri del branco non sembravano mai notare ciò che lui faceva. Non lottavano mai contro di lui mentre li buttava da una parte con la sua mole gonfia. Avevano occhi solo per la carne, e cadevano nel luogo dove venivano spinti, mentre lui si chinava sul trogolo scarlatto alla ricerca dei pezzi migliori.
Aveva sempre avuto un debole per i pezzi migliori, anche quando era vivo. Li aveva amati nei suoi libri e li aveva letti e riletti parecchie volte, segnando in rosso i margini per ritrovarli più facilmente la volta seguente. Li aveva anche amati nei suoi film. In pratica non andava mai al cinema, ma questo non importava perché lui possedeva il suo videoregistratore.
Poteva starsene seduto e guardarsi infinite volte i pezzi migliori. Avanti e indietro, dentro e fuori. Su e giù. E mentre guardava, mangiava.
Tutto questo succedeva nei giorni che avevano preceduto il crollo della civiltà, prima che i morti si rialzassero per divorare i vivi. Adesso lui si trovava ancora meglio. Un tempo aveva soltanto ammirato i pezzi migliori e si era ingozzato di cibo, ma adesso aveva raggiunto lo scopo della sua esistenza. Mangiare i pezzi migliori.
Non si rendeva nemmeno conto di quanto fosse fortunato; non comprendeva che, essendo grosso e lento, evitava sempre gli scontri a fuoco e arrivava sul posto quando tutto era finito e i vivi erano stati abbattuti. I pezzi migliori arano difficili da raggiungere. Ma anche in questo era fortunato: i cacciatori più rapidi stavano ancora staccando le estremità, braccia, gambe e teste. Quando lui arrivava, mastodontico, e si apriva la strada come un bulldozer verso i pezzi migliori. A volte doveva accontentarsi di un seno o di una natica, ma quasi sempre otteneva ciò che realmente voleva.
Il suo cibo preferito sapeva di pasticcio di pesce e formaggio condito con urina, dato che nessuno aveva più il tempo di farsi il bagno.
I suoi denti giallastri erano incrostati di pelo pubico e di membrane mucose; non li spazzolava ormai più.
In vita aveva forse potuto essere portato alla discriminazione sessuale, ma quel periodo era ormai dietro le sue spalle. Adesso la sua carne erano i pezzi migliori di chiunque.
Era vergine.
Non c'era molto da fare tranne mangiare e cercare altra roba da mangiare. Un giorno entrò barcollando nella libreria "Notti di fuoco", e quasi riuscì a ricordarla. C'erano alcuni dei suoi compari, intenti a sbattere contro i muri e a gemere perché non c'era cibo nel locale. Quelli, dopo poco, se ne andarono, ma lui rimase. Raccolse una rivista. Non riusciva a leggere il titolo ma poteva vedere le immagini, e le stava ancora guardando quando uscì dal negozio e si trovò in un piccolo appartamento sul retro. Il divano sembrava comodo. Sedette per qualche minuto guardando la sua rivista, poi uscì alla ricerca di cibo, ma più tardi ci ritornò. Doveva pur andare da qualche parte. Aveva una casa.
Ogni tanto alcuni dei suoi amici lo seguivano a casa e, anche loro dovevano pur andare da qualche parte, ma dopo aver gironzolato per qualche minuto nell'appartamento. Tutti se ne andarono dopo aver capito che non lì non c'era niente da vedere e da mangiare. Nessuno riusciva a capire il perché rimaneva li. D'altronde cosa si poteva pretendere che capissero delle teste marce.
A un certo punto la carne cominciò a scarseggiare. C'erano giorni in cui sembrava non valesse neppure la pena di alzarsi dal divano. Nel giro di alcuni mesi accumulò una bella collezione di riviste e cominciò a perdere i denti. Alcune delle sue dita si staccarono.
Tuttavia, un uomo deve pur mangiare, così ogni tanto si staccava dal divano ed andava in cerca di cibo.
Tutti quelli che incontrava per strada avevano un'espressione triste. I loro ululati echeggiavano in tutta la città. Alcuni cercavano di masticarsi a vicenda, ma la carne era putrefatta e la moda non prese mai piede.
Un giorno una femmina lo seguì fino a casa. Forse credendo che lui la sapesse più lunga degli altri, visto che sembrava bene in carne.
In effetti lui era una montagna di vermi e lasciò che lei ne mangiasse qualcuno. Sempre meglio di niente.
Gli abiti della femmina erano marci e laceri, e lui notò che poteva vedere i suoi pezzi migliori. E che pezzi.
Assomigliava a una foto su di una rivista. Bè, in linea di massima. Certi istinti non muoiono mai.
Lui ebbe un'ispirazione, e si trovò con una moglie. Lei non sembrò dar molto peso alla cosa. Quando lui si staccò da lei, leggermente confuso, le lasciò dentro il pene. Non ne sentì mai la mancanza. In ogni caso era troppo frollato per mangiarselo.
Dopo di che cominciarono ad andare a caccia insieme. Il raccolto era sempre più magro. Una volta lui riuscì a staccare un boccone da una gamba, il che non costituiva la sua idea di pranzo, ma era meglio del digiuno.
Non si accorse minimamente che lei continuava ad ingrassare anche se in pratica non mangiavano quasi mai.
Un giorno lei lo portò in un supermercato. Un luogo che lei conosceva bene almeno quanto lui conosceva la libreria "Notti di fuoco".
Gli mostrò come funzionava un apriscatole. Lui non provò molto interesse e se ne infischiò del cibo, ma lei cominciò a ingozzarsi come se fosse ancora caldo e fragrante.
Naturalmente lui ignorava che presto sarebbe diventato padre.
In fondo chi sapeva di cosa era capace uno zombi?
Gli scienziati umani che li studiavano avevano ben altro a cui pensare che alla possibilità del sesso fra di loro. Gli zombi sembravano troppo impegnati a incrementare la loro gratificazione orale perché qualcuno si preoccupasse dei loro organi genitali.
Nessuno aveva più per la testa cose del genere; forse perché le loro teste spolpate erano in mezzo alle strade. Ma la femmina era incinta. Aspettava un figlio. Era un corpo che una volta si sarebbe definito pieno di vita.
La femmina cominciò a fare viaggi regolari al supermercato, tornando a casa carica di tutte le scatolette che poteva trasportare. Lui non ne capiva il motivo, ma cominciò ad andare con lei per aiutarla. Era qualcosa da fare.
I loro amici pensavano che fossero impazziti.
A dire il vero, non è che vedessero spesso i loro amici. Molti di loro stavano cadendo a pezzi, specialmente i più magri. Il decadimento era nell'aria. Parti ci corpi giacevano per le strade. Alcune si muovevano e altre no.
Essere grassi divenne di colpo una cosa alla moda: rendeva più facile restare in un pezzo solo. Massiccio era bello.
Quando finalmente giunse il gran giorno, la nascita fu poco ortodossa. Il bambino scivolò semplicemente fuori dal ventre gonfio della madre, dopo di che la femmina incontrò qualche problema negli spostamenti. Anzi, per la precisione, si spezzò in due all'altezza della vita e se fosse stata viva sarebbe morta.
Lui sistemò il troncone superiore dentro un armadio e di quando in quando gli portò del cibo.
Il bambino era una bambina, ed era umana. Quando lui se ne accorse per la prima volta, per poco non cominciò a mangiarsela, ma di colpo notò che c'era qualcosa di sbagliato. I suoi pezzi migliori non erano ancora al punto giusto per essere mangiati. La bambina non era matura.
Era una tentazione, senza alcun dubbio, ma per quanto ne sapesse lui, quello era l'ultimo cibo fresco che avrebbe mai visto. Voleva aspettare. Voleva prendersi cura di lei. Voleva uno splendido banchetto per il suo ultimo pasto. Perché lei sarebbe stata non solo matura ma anche più grossa. Magari avrebbe potuto invitare qualche amico per la festicciola.
Gli amici non attesero gli inviti. Solo pochi giorni dopo, mentre lui stava infilando del brodo di pollo concentrato nella piccola bocca rosea di sua figlia con i moscerini nelle mani, sentì la vecchia banda strascicare i piedi nella libreria, levando le voci roche in un coro famelico.
Era tipico da parte loro rovinare la sorpresa che lui teneva in serbo.
Si sentiva protettivo nei confronti della sua unica figlia, ed era sempre l'uomo più grosso della città. Chiuse la porta che conduceva alla loro casetta e vi appoggiò contro la sua enorme mole.
Naturalmente gli zombi cercarono di farla a pezzi, ma riuscirono solo a fare a pezzi loro stessi.
Le braccia e le gambe si spezzarono come fasci di spaghetti. Alcuni si allontanarono strisciando come meglio potevano, altri non si presero neppure quel disturbo. Ma nessuno riuscì ad entrare. Rimasero là fuori a decomporsi e liquefarsi.
La bambina stava benissimo. Cresceva sana e robusta mentre i giorni e le settimane e i mesi trascorrevano veloci. Questo era un bene perché suo padre diventava sempre più debole.
I foglietti si staccavano dal calendario e i pezzi si staccavano dal suo corpo. Lui stava ancora aspettando, ma la verità era che aveva aspettato troppo. Adesso era lei che apriva le scatolette e dava da mangiare a lui. I suoi denti erano scomparsi e a dire il vero non restava un granché della bocca. Ma lei ficcava allegramente tutto quello che poteva dentro quel gozzo sbavante, schiumante e spalancato.
Lui non poteva più muoversi. Era intrappolato sul divano, simile ad una montagna di pus ulceroso. Dopo cena lei gli montava in grembo e sfogliava le pagine delle sue riviste preferite, così potevano godersele insieme.
A lei piacevano quelle figure buffe, anche perché erano rosa come lei. Sapevano di vivo.
Papà era grigio e verde.
Non possiamo andare avanti così, avrebbe voluto dirle lui, ma non poteva più parlare e nemmeno pensare. Naturalmente questa non era una novità, ma lui avvertiva vagamente che la situazione gli stava sfuggendo di mano quando, una sera, lei si sedette sul suo ginocchio e ci affondò dentro fino alle ascelle. Lei rise e batté la mani divertita dallo scherzo di papà, e per tutta risposta lui emise una specie di sospiro, ma questa fu la fine.
La mattina dopo, quando lei si svegliò, papà si era sciolto sul divano riversandosi poi sul tappeto. Da principio lei pensò che lui stesse ancora scherzando, ma dopo qualche giorno decise che avrebbe dovuto affrontare la realtà. Era un po' di tempo che si poneva delle domande sul conto di papà, ma adesso non poteva più avere dubbi. Papà era storia passata.
Rimase nei paraggi ancora per un po' per averne la certezza, notò che le scorte di cibo si stavano assottigliando, pianse per qualche minuto. Poi avanzò a passi incerti verso la porta. Armata solo del suo apriscatole, uscì nuda nel mondo. C'erano ossa e pozze intorno alla porta, ma nulla si muoveva. Sarebbe sopravvissuta e forse avrebbe trovato altri come lei. Nuovi esseri umani nati da desideri morti. Magari avrebbe alloggiato vicino a qualche negozio. Forse con il tempo sarebbe rinata., dentro di lei, una nuova vita. Una nuova stirpe. Lei aveva visto i libri di suo padre e sapeva cosa fare.
Ora era sola ad affrontare quel mondo tanto strano. Diverso. Pericoloso.
Un giorno conobbe un ragazzo. Strano. Non sembrava appartenere a loro. Uscirono. S'innamorarono. La sua vita, se così si può definire, cominciava a sorriderle. Aveva perso il papà ma aveva trovato la sua metà. La sua vita. Tutto le sembrava diverso e bello. Perfino quel luogo. Anche lui, però, col passare del tempo si stava assottigliando. Allora lei prese la sua decisione. La decisione che li avrebbe uniti per sempre.
Era una giornata grigia, buia, ventosa, piovosa e cosparsa di venature misteriose e lei gli prese la mano, o per meglio dire le ossa e , con voce dolce come il miele e soave come un canto d'usignolo, gli chiese di portarla a casa sua.
Era un comunissimo palazzo di arenaria rossastra con molte finestre frantumate dal vento. Jim, così si chiamava, non le chiese di salire perché si aspettava un saluto sui gradini dell'ingresso. Ma lei lo teneva sempre per mano e adesso lo guidava su per quei gradini e oltre la porta. Lo stava portando verso sensazioni mai provate.
Il suo appartamento al terzo piano era ancora più piccolo di quello del padre. Le pareti erano grigie, ma le luci rivelarono un tesoro... vasi di fiori in tutta la stanza e incensi accesi.
Su un tavolo lei vide uno stereo e accanto una collezione di dischi. Jim, vedendola interessata si chinò facendo scricchiolare le ginocchia, ed incominciò ad esaminare i suoi gusti musicali.
Lei cominciò con Chopin, e mano a mano che il suono del pianoforte cresceva, così faceva il vento, fischiando nel corridoio e facendo tremare quei pochi vetri rimasti. Si stava creando un'atmosfera romantica ed eccitante al tempo stesso.
Alla fine del terzo disco, erano seduti fianco a fianco sul divano. Guardandosi negli occhi che cominciavano a sprizzare fuoco e desiderio.
Fuori il vento era diventato fortissimo. La pioggia andava e veniva ma il vento ed il lampi restavano. Lei si sporse in avanti con le labbra che quasi sfioravano le sue e gli occhi quasi imploranti, " mangiami," gli sussurrò. Jim rimase seduto immobile. Mangiami: l'unico modo per provare piacere in quel mondo fatto di morte. Nonostante la ragazza fosse viva, nel suo corpo circolava sangue morto ed anche lei era destinata a sciogliersi come il padre. Come tutti.
Il suo corpo nudo era già costellato di crateri ed i seni avvizziti. Il corpo del ragazzo era pallido ed emaciato e, fra le cosce il pene era un pezzo di carne grigia e inutile. Lei si allungò verso di lui. Jim s'inginocchiò accanto al suo corpo e cominciò a leccarle la pelle gelida... poi i suoi denti si misero all'opera e staccarono il primo boccone. Lei emise un gemito e rabbrividì.
Sollevò la testa e cominciò a leccargli un braccio. Poi anche i suoi denti staccarono un pezzo di carne. L'estasi percorse la spina dorsale del ragazzo come una scossa elettrica.
Si avvinghiarono l'uno all'altra, tremanti, i denti all'opera sulle braccia e sulle gambe, sulla gola e sul petto e sul viso. Sempre più veloci, mentre il vento scrollava il palazzo. Brandelli di carne caddero sul tappeto e furono subito recuperati e consumati. Lui si sentiva rimpicciolire, trasformato da uno in due. L'attimo incandescente lo aveva avviluppato e se avesse avuto lacrime sarebbero state di gioia. Questo era amore, e quella era un'amante che al tempo stesso lo desiderava intensamente e si donava a lui nello stesso modo.
I denti di lei si strinsero alla base della nuca di lui ed affondarono nella carne secca. Gli occhi di lei si chiusero mentre Jim divorava le dita restanti della mano sinistra... ed improvvisamente lei sentì una sensazione nuova. Uno zampettio intorno alle labbra. Il morso d'amore sul collo di Jim stava eruttando piccoli insetti dorati, come minuscole monete d'oro versata da una borsa. Lui lanciò un grido.
I loro corpi si intrecciavano, la carne veniva staccata a morsi. La gavazza gli staccò un orecchio, lo masticò e lo inghiottì. Un nuovo impeto di passione percorse Jim, che le morse le labbra poco per volta. Sapevano di pesche troppo mature e le fece scorrere la lingua sui denti. Si baciarono a fondo, mangiandosi a vicenda pezzi di lingua. Jim si tirò indietro ed abbassò il viso fra le sue cosce. Cominciò a divorarla, mentre lei si aggrappava alle sue spalle e urlando. Lei inarcò il corpo. Gli organi sessuali di lui erano là, testicoli simili a frutta secca. Lei spalancò la bocca, tese la lingua sbocconcellata e mostrò i denti; il suo viso senza guance, senza mento, si allungò verso l'alto... e lui ebbe un sussulto convulso e lanciò un grido che superò perfino l'ululato del vento.
Continuarono a cibarsi l'uno dell'altro come amanti esperti. Il corpo di lui continuava ad assottigliarsi. I polmoni ed il cuore di lei erano stati consumati. I loro stomaci si gonfiavano sempre di più e , quando furono vicini ad esplodere, si distesero sul tappeto cullandosi a vicenda con le braccia scheletriche.
Adesso erano una sola persona. L'uno dentro l'altro. E cos'altro poteva essere l'amore se non questo? Sentirsi dentro la persona amata.
"Ti amo", disse Jim con ciò che rimaneva della sua lingua. Lei emise un suono di assenso e si rannicchiò contro di lui.
Ad un tratto una folata di vento si insinuò nella cavità dei due corpi e li sollevò dal pavimento come aquiloni. Lei ansimò e strinse le braccia attorno la spina dorsale di Jim, come se cercasse protezione e, allo stesso tempo, lo voleva con se per sempre. Lo stesso fece lui. L'amore stava unendo esseri che tutti credevano incapaci di amare.
Il vento li scagliò contro la parete frantumando qualche ossa. Quando il vento si ritirò dall'appartamento, portò con se i due corpi. Lassù nell'aria carica di elettricità. Volarono, sollevati sempre più in alto, ossa allacciate ad altre ossa. La città scomparve sotto di loro e salirono fino alle nuvole. Conobbero una grande gioia, stavano vedendo le stelle. Le stelle degli innamorati. Quando la tempesta cessò. Un ragazzo in cerca di cibo trovò, su di un tetto, una costruzione di ossa. Saldate insieme.
In quella massa di ossa c'era una catenina d'argento con un piccolo pendaglio a forma di cuoricino. Un minuscolo cuore bianco. Era evidente che due persone erano riuscite a fuggire dal mondo dei morti e a trovare la felicità. Quella felicità che ormai nessuno di loro era più in grado di avere e di ricordare.
Ma quei due ebbero la fortuna di ricordare cosa fosse l'amore e di viverla intensamente fino in fondo. L'amore è cosi. Sofferenza ma anche felicità. Una felicità che dura per sempre. Finisco col dire che l'amore fa superare qualsiasi ostacolo perché non si è più soli. Amare ci rende immortali davanti alla morte.


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