Alcuni anni fa Piergiorgio Desantis, impiegato di concetto ed autore prolifico ma inedito, decise di affrontare ancora una volta il giudizio degli editori. Confortato dall'incoraggiamento di amici e parenti, inviò una copia del suo nuovo romanzo Profumo italiano a Paolo Gigli, direttore di ICS (Impiegati Che Scrivono), una collana appena lanciata dalla Eraldo Sbucciatori Editori.
Rigorosamente limitata agli autori che svolgevano lavoro d'impiegato a qualunque livello in qualsivoglia azienda pubblica o privata, ICS era un'iniziativa editoriale della quale c'era sempre stata viva esigenza. Tanto è vero che a poche settimane dall'avvio, Gigli aveva già ricevuto novecentonovantanove dattiloscritti, molti dei quali illeggibili. La sua segretaria registrò anche Profumo italiano, facendogli notare che era giusto il millesimo testò arrivato. Fu solo grazie a questa fortunata coincidenza che, anziché stivarlo in un armadio, Gigli lo appoggiò sulla scrivania. Poi si precipitò a prendere un taxi perché doveva partire per la fiera di Francoforte.
Tornato da Francoforte accorse a Bologna, dove si teneva la fiera del libro per ragazzi, poi dovette recarsi a Londra per trattare i diritti della «Civil Servants' Bestsellers», una collana analoga alla ICS. Infine, dopo un breve ritorno in ufficio, ripartì per l'annuale settimana bianca, cui non avrebbe mai rinunciato perché lo ricaricava completamente.
Purtroppo uno dei tanti bambini presenti in albergo incubava gli orecchioni, che Paolo Gigli non aveva avuto, e la settimana bianca si annerì in un mese di malattia. Dopo di che dovette precipitarsi a Roma, dove c'erano grane terribili con un importante autore della Sbucciatori Editore il cui cognome era stato sciaguratamente storpiato da Retòre a Fetóre.
Appena rientrato da Roma il suo lavoro venne momentaneamente bloccato per uno spostamento degli uffici. Fu proprio sgombrando la scrivania perché venisse portata in un'altra stanza che Gigli ritrovò il dattiloscritto del Desantis. Gli venne allora in mente che, trattandosi del millesimo testo arrivato alla collana, se non era proprio da buttare si poteva sfruttare per un po' di battage Lo mise in bella vista e dopo qualche mese, in cui fu completamente assorbito da altri testi e altri lavori divenuti nel frattempo impellenti, lo passò a un lettore professionista.
Costui, dotato di talento ma anche di infinita pigrizia, di un forte amore per il vino rosso e di una fastidiosa congiuntivite, tenne lungamente Profumo italiano sotto un piatto di noci e fichi secchi, senza neppure aprirlo. Finché un provvidenziale attacco di colite lo inchiodò per un giorno al cesso, dove, tanto per ingannare il tempo, se lo lesse tutto.
Il testo gli piacque e nel giro di due settimane, stimolato da un'adeguata quantità di Brunello di Montalcino, emise una ventina di righe di giudizio positivo che inviò al direttore di ICS, gorgogliando di sollievo.
Naturalmente questi non lo lesse subito perché era negli Stati Uniti in viaggio di aggiornamento, ma a metà settembre delibò il giudizio e scoprì che gli veniva proprio a fagiolo. Dovendo preparare con urgenza il programma per l'anno successivo, propose di corsa Profumo italiano al Direttore Generale Libri. Costui stava per cambiare azienda, con un intermezzo alle Seychelles, e approvò fulmineamente. Così che ii dieci ottobre, un venerdì pomeriggio, sette minuti prima delle cinque, Paolo Gigli chiese alla segretaria di mettersi in contatto con l'autore Piergiorgio Desantis per fissare un appuntamento.
Eravamo arrivati alla fine di una catena di casualità nella quale si allacciavano novecentonavantanove testi, alcuni viaggi, un caso di orecchioni, un trasloco, una colite, un cambio di azienda e infine, ultimo e come vedremo fatale anello, la pipì della segretaria, che obbligò la fanciulla a rinviare di sette minuti la chiamata. Fu quindi alle diciassette in punto che ella fece il primo tentativo di telefonare a Desantis, ma il numero risultava occupato. Provò inutilmente più volte finché giunse l'ora di andarsene e la ricerca venne rinviata al lunedì.

Cinque mesi dopo aver mandato il suo testo alla Sbucciatori Editore, l'autore fallito Desantis, non avendo ricevuto che risposte evasive alle timide richieste d'informazioni, aveva tirato una seconda fotocopia e l'aveva fatta pervenire alla commissione di lettura della Vellutelli Editrice, costituita da cinque esperti. Costoro, incapaci di comprendere dal titolo se si trattava di un libro di cosmesi, un testo di geografia, un romanzo, un saggio di etnologia o un libro di cucina, se lo passarono più volte l'un l'altro, sia in senso orario, sia in senso antiorario, con intervalli di due settimane tra i passaggi consecutivi, a prescindere dalle feste comandate, dai periodi di ferie e da quelli di malattia. Infine, dopo un anno impiegato nell'andirivieni senza decidere chi avrebbe dovuto giudicarlo, se lo giocarono a «Ambarabà, Ciccì, Cocco».
Perse la lettrice di geografia che lo prese sacramentando e l'infilò in un cassetto. Intervennero le feste di Natale, il morbillo dei due figli, un trasloco, una settimana bianca, una separazione coniugale, una crisi di depressione che la tenne a casa due mesi e la mandò in analisi. Quando le capitò di riscoprire il dattiloscritto, sepolto dalle bustine di zucchero che ammassava ogni giorno nel cassetto perché nel caffè metteva un dolcificante sintetico, si sentì squassare da un ennesimo senso di colpa. Non le restò che prendere due tranquillanti in più e leggerlo.
Ne fu tanto piacevolmente distratta che le si sciolse uno dei blocchi psicologici che più la tormentavano: quello intestinale. L'empito di gratitudine fu tale che la geografa decise di raccomandare il libro affinchè venisse pubblicato.
Il testo ascese gradualmente, sempre con pareri favorevoli, fino all'amministratore delegato della Vellutelli, che ne sancì la pubblicazione trasmettendo la pratica all'ufficio contratti.
Venerdì dieci ottobre, verso le quattro del pomeriggio, il capufficio impostò la scheda Desantis Piergiorgio iniziò a preparare il contratto standard per autori. L'aveva quasi pronto quando, con mossa sbadata, ci rovesciò una tazzina di caffè: ultimo anello di una casualità in cui si intrecciavano un titolo ambiguo, vari girotondi, l'imperscrutabile volontà della sorte, una psiche disastrata con relativa stitichezza, una sbadatezza, un caffè.
Fu solo alle cinque in punto che il capo dell'ufficio contratti potè telefonare al numero indicato sul dattiloscritto per chiedere all'autore alcuni dati essenziali. Fece diversi tentativi ma il numero risultava occupato, finché il segnale si trasformò in un indecifrabile ronzio.
Eravamo ormai alla fatidica soglia del fine settimana e il capufficio doveva varcarla al più presto per accompagnare moglie e figli in montagna. Così rinviò il contatto con Desantis alla settimana dopo e se ne andò.

Da quando Piergiorgio Desantis aveva lasciato una copia del suo testo anche alla Vellutelli Editrice non ne aveva saputo più niente. Aveva solo scoperto che le segretarie della commissione di lettura mutavano con una certa frequenza e che spesso erano in ferie, malate, fuori ufficio. Per di più mancavano di parola perché gli promettevano sempre che qualcuno lo avrebbe richiamato al più presto ma nessuno lo chiamava mai.
Dopo quattro mesi l'autore, quanto mai perseverante, aveva investito in una terza fotocopia del romanzo e, previa telefonata d'approccio, l'aveva consegnata personalmente alla signora Donatella Acconciatori, direttrice editoriale e comproprietaria della Spitzinger & Kronstadt, una piccola ma dinamica casa editrice che pubblicava di tutto un po'. La graziosa direttrice aveva cortesemente preso il testo e tra un convenevole e l'altro aveva giurato risposta nel giro di un mese.
Se non che, subito dopo, le era toccato dedicarsi anima e corpo alla pubblicazione di un romanzo tratto da un film, a sua volta ricavato da una commedia teatrale ispirata a una ballata irlandese originata da una leggenda vichinga. L'idea era stata del regista che si era trasformato in scrittore per l'occasione. Siccome pretendeva di montare e smontare il testo come si fosse trattato di una pellicola, la signora Acconciatori ebbe molto da fare.
Finalmente il volume vide la luce e la direttrice prese una settimana di ferie da passare alle isole Eolie. Incapace di rimanere oziosa pensò di occupare il lungo viaggio leggendo qualcuno dei dattiloscritti arrivati. Tra questi scelse quello della compagna di un uomo politico che le era stato fortemente raccomandato. Purtroppo, solo dopo averlo letto ed essercisi divertita, si accorse con raccapriccio di aver sbagliato testo: aveva perso tempo prezioso per uno sconosciuto Desantis. Comunque, passata la settimana di mare, tornò in casa editrice con l'idea che forse la sorte aveva voluto darle un suggerimento: il libro non era male e qualche soldo poteva rischiarcelo.
Senonché, durante il viaggio di ritorno le avevano rubato la borsa con i documenti personali e dovette dedicare giorni logoranti alle pratiche necessarie per riaverli. Si ricordò del romanzo desantisiano soltanto il dieci ottobre, un venerdì, verso le quattro e mezzo del pomeriggio. Chiese al segretario di chiamarle l'autore al telefono, ma giusto in quel momento l'impiegato stava preparando un sistema di tre doppie e due triple per la settimanale schedina del Totocalcio. Motivo per cui non potè telefonare che alle cinque in punto.
Purtroppo tutti i tentativi furono inutili: il numero risultava sempre occupato. Verso le sette la Spitzinger & Kronstadt serrò i battenti e la direttrice editoriale se ne andò a casa, rimandando la telefonata alla settimana successiva. Così anche questa catena di casualità - che includeva un regista-scrittore, un errore, un furto e il Totocalcio - si concludeva in modo sfavorevole per il Desantis.
Non solo, ma le tre catene confluivano nello stesso anello finale: tutti gli editori che volevano beneficiare Piergiorgio Desantis gli avevano per l'appunto telefonato nello stesso preciso istante di un venerdì sera e con lo stesso identico ritmo di ripetizione, impedendosi l'un l'altro il collegamento.
Il fenomeno delle telefonate simultanee, guidato dalle ferree routine aziendali, si ripeté il lunedì successivo: alle nove e trenta e alle dieci e trenta, subito prima del coffee-break che lo interruppe di nuovo.
La vicenda sarebbe comunque potuta andare a buon fine grazie ad altri tentativi successivi - che casualmente, giunti magari al trecentoventunesimo o settecentottantesimo non avessero coinciso - oppure mediante comunicazione scritta, qualora qualcuno avesse preso tale iniziativa. Il caso, invece, intervenne ancora una volta.
Alle dieci e quarantacinque, proprio mentre stava per dettare un telegramma destinato a Desantis, il dottor Paolo Gigli venne convocato dal nuovo direttore generale che gli chiese di togliere dal programma tre libri già approvati in favore di un gigantesco libro-strenna sulla storia della penna e del pennino. Profumo italiano, ultimo arrivato, non potè sfuggire alla soppressione.
Quasi allo stesso momento il capo ufficio contratti della Vellutelli Editrice fu colto da una colica renale. Ciò provocò un certo trambusto che fece dimenticare il contratto per Desantis. L'infermo venne portato in ospedale e rimase in malattia per un mese. Quando tornò, la Vellutelli era stata acquistata dalla «New Business Publishing» e la narrativa esclusa dalla produzione.
La colica era intervenuta proprio nel momento in cui Donatella Acconciatori della Spitzinger & Kronstadt stava per ritelefonare all'autore di Profumo italiano. Ormai avrebbe certamente potuto parlargli perché era l'unica che lo stesse cercando. Ma aveva appena toccato il primo numero quando irruppe, esuberante e fascinoso, l'avvocato Lorenzo Menicalli, che la signora trovava irresistibile.
Infatti non gli resistette: si alzò, infilò un pellicciotto sportivo e lo seguì per una colazione a Stresa. Nel corso della colazione l'avvocato deve aver fatto alla signora una proposta di grande interesse, anche se nessuno è mai riuscito a scoprire di cosa si sia trattato.
La signora aveva comunque abbandonato il ristorante, stretta al braccio del Menicalli e per due settimane non era comparsa in azienda. Dopo di che aveva cancellato dal programma Profumo italiano e lo aveva sostituito con Corpo da reato, un porno-giallo firmato da Ella Tettori Donacconci e Renzo Callimenoli, presumibilmente due pseudonomi.
Piergiorgio Desantis non seppe mai che il suo testo era stato respinto perché ben tre editori lo avevano cercato contemporaneamente. Sconfitto, senza saperlo, da un caso troppo favorevole, non fece altri tentativi, limitandosi a scrivere quanto pertinente alla sua posizione di impiegato alla Generale Detersivi S.p.A.


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