La sindrome del laureato
di Andrea Bellizzi

 

Aspettando la sposa

A Giorgio Fidelesi piacevano i luoghi silenziosi e solenni. Le biblioteche, i musei, le chiese gli davano una rassicurante sensazione di dignità.
La chiesa che stava guardando adesso, per esempio, circondata dal verde di un borghetto e situata sopra una base candida alta diversi metri, gli piaceva da morire. Gli piaceva la parete frontale con due scalinate separate e opposte, che portavano ad un piccolo spiazzo di raccolta, di fronte all'ingresso della chiesa; gli piaceva affacciarsi da quello spiazzo, al di sopra dell'ampio giardino sottostante; gli piaceva ascoltare il cinguettìo degli uccellini e il fruscìo di sottofondo delle foglie smosse e delle auto di passaggio oltre la cinta di protezione.
Le mura coperte di rampicanti separavano il borghetto dalla volgarità della strada comunale; il venticello del pomeriggio attenuava il fastidio del colletto stretto della sua camicia da sposo.
Che spettacolo di armonia e di bellezza della natura! Valeva la pena di stare al mondo, quando lo spirito poteva ritemprarsi in questi rifugi costruiti in nome della dignità dell'uomo.
Giorgio inspirò, pronto all'avvicinarsi del momento più importante della sua vita. Si girò verso il portone aperto della chiesa e si avviò con animo leggero e pieno di fiducia.
Soltanto sotto l'ombra del portale antico, il piede destro dentro l'edificio fresco e consacrato, avvertì le note della musica moderna, ritmata, rock.

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Il suo matrimonio. Il suo santo, serio e degno matrimonio.
Si potrebbe dire che aveva atteso questo evento da una vita: ben prima di conoscere la stessa sposa. Fin da quando era bambino e lo portavano a vedere i matrimoni di zii, parenti alla lontana e amici di famiglia vari.
Dal basso della sua statura di bambino, era un'esperienza quasi magica visitare quei luoghi da gigante. Mentre attraversare i lunghissimi corridoi al centro di ogni chiesa e osservava le navate irraggiungibili e intarsiate, provava a misurare a mente gli enormi spazi vuoti e le colonne prodigiose, sentendo un senso di piacevole vertigine e timore.
Niente però era paragonabile all'arrivo della sposa, circondata dall'attenzione generale: entrava in ogni chiesa emergendo dalla luce esterna, bianca di grazia e soffice di passi silenziosi. Sebbene Giorgio fosse soltanto un bimbino ignaro, pur tuttavia già contemplava la bianca sposa con un sorriso esagerato. Nell'intimo più riservato del suo cuore e dei suoi sensi, pensava a quanto doveva essere meraviglioso, dormire accanto a quel batuffolo di pelle morbida e di stoffa profumata.

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«Si può sapere che cosa state combinando?», chiese col tono di voce più basso e pieno di rimprovero che gli riuscì di manifestare.
«Bello, eh? Sono gli U2, album "The joshua three". Pensa che figurone che faresti, con una musica così!»
Giorgio guardò suo fratello Luca con controllata disapprovazione. «Lo so benissimo cos'è. Ma ti ricordo che siamo in chiesa, per la precisione la chiesa del mio matrimonio, e non mi pare che fosse questa la musica che avevo scelto per la cerimonia.»
«Mamma mia... Stai tranquillo. Stavamo solo facendo delle prove», osservò Luca. «Ho messo gli U2 per vedere come funziona l'acustica. Tanto non è ancora arrivato nessuno.»
Un tipo con gli occhialetti tondi e i capelli un po' troppo spettinati, amico di Luca e anche lui musicista, annuì.
Giorgio si guardò intorno e intercettò lo sguardo sospettoso del custode, sacrestano o che cos'altro era. Stava pulendo in terra con la scopa, sul lato destro dell'altare, mentre il fioraio stava sistemando un telo di stoffa sopra la terza fila dei sedili, dando le spalle a tutti loro.
«Non siamo soli», scandì con calma Giorgio. «E ricorda sempre che ci troviamo in una chiesa.»
«Come sei vecchio», rimarcò il fratello scuotendo la testa con compassione, ma Giorgio non gli diede retta e aggiunse: «Fai le tue prove con la musica che ho scelto io, per piacere, e tanto per la cronaca una canzone che si intitola "Whit or without you" , non mi sembra di grande augurio.»
Luca sbuffò, scosse la mano in segno di disapprovazione, però impugnò il violino che tanto affascinava Giorgio, mentre l'amico con gli occhialetti tondi si affrettò a soffiare dentro un flauto dolce con aria molto attenta e professionale. L'ultimo musicista, il più importante, la "voce" del terzetto, dal viso tondo e liscio e dall'aspetto anonimo e curato, si limitò a spostare il peso del suo corpo da un piede all'altro, con lo sguardo del tutto privo d'espressione.
«Dio», pensò con vivida preoccupazione il promesso sposo, «è nelle mani di questi indifferenti, tutto il romanticismo del mio matrimonio?»
Rispose alla sua domanda l'attacco morbido del flauto dolce e del violino, e poi, con molta calma, la voce piena di sentimento e amore continuò.
«Una furtiiiva lagrimaaa,
negli occhi suooo-i spuntò...
Quelle festooo-se giooo-vaniii,
invi-idiaa-ar sembrò.
Che più cercaaaa-ndo io vo,
che più cercando io vooo,
m'aaama, si, m'aaama-a lo veeedo,
lo veee-e-do!»
Che dire: forse più s'invecchia e più si diventa sensibili e sentimentali. Comunque, per tutto il tempo in cui le note si sparsero nell'aria chiusa che li circondava, Giorgio avvertì un familiare brivido di commozione nella schiena. Un formicolìo di nervi sottopelle e di estasi, un desiderio di pianto e baci di passione che sparì di colpo quando Luca domandò: «Soddisfatto, adesso, fratellino?», con il sorriso del potere stampato sul volto giovanile.
Il suonatore di clarinetto lo guardò con aria speranzosa; il cantante dei sublimi versi aveva invece un'espressione vuota.
«Si, va molto meglio», ammise Giorgio, impressionato e deluso allo stesso tempo; quindi si voltò per andare a parlare con il fioraio, che ormai stava arredando anche la sesta fila.

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«Buongiorno. Lei è il signor Di Salvo, vero?», chiese Giorgio, porgendo la mano destra per salutare. «Ci siamo visti due settimane fa.»
«Buongiorno, signor Graziani.» Il fioraio ricambiò la stretta con un sorriso carico di simpatia. «Ho sentito la musica che ha scelto. "Una furtiva lagrima" di Donizetti, un brano molto bello.»
«Si, molto. A me piace molto, almeno, anche se mio fratello dice che ci vorrebbe roba più giovanile.»
«Non gli dia retta, signor Graziani. Questa musica è ancora il massimo, per far venire i brividi nella schiena.»
«Si, la penso così anch'io. Ma siamo rimasti in pochi», concordò lo sposo, colpito dalla coincidenza dell'osservazione con le sue sensazioni di poco prima. «Vedo che ha già sistemato un sacco di teli.»
«Si. Ho quasi finito.» Il fioraio indicò le prime file dei sedili. «Sono ventuno teli coprisedili in tutto, come avevamo concordato.»
«Bene. E poi, cosa è rimasto da fare?»
Il fioraio indicò vari punti della chiesa, che aveva già arredato. «La guida è sistemata, i fiori anche. Mi manca solo il tappeto sull'altare, le quattro sedie per i testimoni e i due pouf per lei e per la sposa.» Il signor Di Salvo sorrise. «Auguri.»
Auguri? Già, auguri per il matrimonio. «Grazie. La ringrazio», disse Giorgio. Strinse la mano al signor Di Salvo sorridendo automaticamente, e un po' in imbarazzo aggiunse: «Vado un momento fuori.»
Giorgio si allontanò con passo lesto, chiedendosi perché dovesse sentirsi imbarazzato con tale facilità. Non c'era motivo o meglio non c'era motivo in genere, eppure gli capitava in continuazione.
Si mordicchiò l'interno delle labbra in modo impercettibile, recuperando un passo controllato. In questo caso, ecco, qualche motivo c'era.
In primo luogo il fatto di essere lo sposo, e come tale con il diritto conclamato di essere nervoso per tradizione. In secondo luogo la faccenda spinosa di Dustin Hoffman... che faceva irruzione urlando come un pazzo, rovinando il suo matrimonio e la sua vita.

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Lo vedeva molto chiaramente, con quei ridicoli capelli a caschetto da adolescente, mentre agitava una gigantesca croce a mo' di alabarda. Del tutto incongruo, del tutto inopportuno. Del tutto assurdo ed improbabile, per quanto lo riguardava, eppure un fantasma persistente, ad onta di ogni valutazione razionale. Il fantasma di un film del '67.
Per l'esattezza si trattava del film "Il Laureato", che fece la fortuna di Dustin Hoffman, dell'Alfa Romeo Duetto e dei cantanti Simon & Garfunkel, ma non di Giorgio Fidelesi.
Nel film il protagonista, Benjamin, è un giovane laureato che non sa che cosa fare nel futuro; così succede che viene adescato dalla signora Robinson, che invece lo sa molto bene. Lei ha il doppio degli anni del ragazzo e il doppio di senso pratico e cinismo; per questo quando lui conosce una coetanea dolce e timida se ne innamora subito, ricambiato.
L'inconveniente è che la ragazza è Elaine, la figlia della signora Robinson, e che quest'ultima la prende molto male. Pur di tenere la sua figliola lontana dall'amante, rivela tutto a tutti e Benjamin perde la ragazza e anche la stima generale.
È un grosso guaio, ma il giovanotto non demorde e insiste. Quando viene a sapere che Elaine si sposerà con un altro uomo, salta sulla sua Duetto e corre per impedire il matrimonio, arrivando però dopo che lei ha già detto "sì".
La reazione di Benjamin è quella di ribellarsi, urlando e battendo i pugni sopra una vetrata per la frustrazione. Poiché c'è parecchia gente che è venuta pensando di assistere soltanto a una cerimonia, i genitori della sposa e il giovane marito si arrabbiano moltissimo, in modo così evidente che Elaine ne ha improvvisamente orrore.
"Ben!", grida la sposa già pentita, e a Benjamin non serve altro per agire: decide di farsi largo con la forza e nella foga atterra il padre della sposa e dà una testata in pancia anche allo sposo.
È qui che, in una sequenza mitica, sfrutta una grossa croce in legno per tenere tutti quanti a bada; usando poi la stessa croce come un paletto, blocca le porte della chiesa alle sue spalle.
Il film finisce con Benjamin ed Elaine che riescono a salire al volo sopra una corriera di passaggio: lei col vestito candido da sposa e lui con gli abiti in cattivo stato.
Mentre in quei tempi ormai lontani le orecchiabili canzoni di Simon & Garfunkel finivano di deliziare gli spettatori in sala, contenti per la coppia in salvo, soltanto Giorgio - lui soltanto - si era immedesimato nei due mariti bistrattati.
Potenza del cinema e di un'abile regia: per mezzo film il protagonista aveva fornicato con la moglie di un amico di famiglia e per l'altra metà si era buttato sulla figlia più giovane e carina, eppure tutto il pubblico lo aveva approvato senza esitazioni, ignorando il fatto che era piombato in una chiesa urlando - cavolo! - e che aveva strappato la ragazza ad un poveraccio, per di più roteando una santa croce.
Un'ingiustizia, secondo Giorgio, visto che alla fine del film il protagonista non sembrava nemmeno soddisfatto: il suo sorriso si spegneva inesorabilmente, lasciando il dubbio che si fosse stancato già. Una violenza, quell'irruzione nell'attimo più sereno di una cerimonia, che aveva gettato un'ombra di minaccia su qualsiasi futuro matrimonio.
Per questo Dustin Hoffman gli era diventato odioso, e il suo sospetto che in quell'attore piccolo e nasuto ci fosse qualcosa di marcio e pericoloso si era rafforzato guardando altri film come "Cane di paglia", "Lenny" e "Billy Bathgate".
A tutto ciò pensava Giorgio, come altre volte prima, affacciato alla balconata della chiesa. La cosa nuova è che stavolta si trattava del suo, di matrimonio; e che la sposa aveva avuto un precedente amore molto travolgente, di cui sapeva ancora troppo poco.

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«A cosa stai pensando? Ti vedo preoccupato.»
«Uh? Oh, a niente d'importante.» Giorgio tirò un'ultima boccata dalla Marlboro e spense la sigaretta sulla pietra rugosa del davanzale.
«Ti è venuta strizza, eh? Ti stai rendendo conto, sì, che stai per dire addio alla tua libertà?» Luca lo guardò con aria seria, ma solo per due secondi; poi gli venne da ridere e gli diede una gran manata sulle spalle. «Tranquillizzati, che poteva andare molto peggio. Ti ricordi Serena, sì, che palle che era? Anche abbastanza bruttarella, senza i suoi tacchi a spillo e il reggiseno rinforzato... Almeno Liliana ha un sedere rotondo come un mandolino», a Luca venne da ridere di nuovo, «e questa ti assicuro che è una buona qualità!»
«La prima osservazione intelligente che ti sento dire da almeno un paio d'anni», osservò Giorgio. «Chissà, forse a forza di frequentarmi stai imparando finalmente qualche cosa.
Ti vedi ancora con quella tipa con gli airbag davanti?»
Luca fece una smorfia disgustata. «Vanessa? No, è roba vecchia, ormai. E poi con quel nome e con quel davanzale esagerato, Cristo santo, rischiavo di passare per un pappone!»
«Oh! Fai attenzione col frasario. Ricorda sempre che siamo a due passi da una chiesa.»
«A due passi, ma fuori. Che avresti una sigaretta anche per me?»
Giorgio ci pensò sopra per un momento. A dire il vero "pensava sopra" a tutto quello che faceva. «Tieni, ti do il pacchetto intero», disse, «così non rischio di puzzare troppo di fumo.»
«Io lo trovo eccitante, l'odore del fumo.»
«Perché ce ne hai il cervello pieno. Ormai non lo senti neanche più.»
Luca prese il pacchetto delle sigarette e ne accese una con molto calma, come faceva Giorgio quando gli veniva voglia di fumare. Ecco: un po' in questi gesti senza fretta, sembrava meno differente da suo fratello.
«E con la faccenda del "laureato" come va?»
Giorgio si irrigidì, seccato di dover parlare della sua fissazione. «Bene, benone. Era soltanto un film di trent'anni fa, a rivederlo oggi sarebbe ridicolo. Certe cose succedono soltanto nei vecchi film.»
Luca sbuffò con aria di saggezza. «Beh, mica tanto, poi. Mi hanno raccontato delle storie, i fotografi che abbiamo preso, che sono più incredibili del tuo vecchio film. A un matrimonio dove lo sposo era un testimone di Geova, per esempio...»
Giorgiò tagliò corto. «Non lo voglio sapere.»
«Ma aspetta, senti: è una storia davvero spassosa.»
«Sarà spassosa quanto vuoi, ma non la voglio sapere. Piuttosto, hai notizie di Davide e la mamma?»
«No. Che notizie devo avere?»
Giorgio si spazientì. «Hanno telefonato? Sono per strada? Hanno trovato traffico e hanno capito dov'è la chiesa?»
«A me non hanno telefonato. Vuol dire che va tutto bene, no? Altrimenti si sarebbero fatti vivi. Lo sai com'è fatta la mamma: se c'erano problemi ci avrebbe bombardato di telefonate.»
«So anche com'è fatto Davide. Quello non telefona neanche se gli spari.»
Luca alzò le spalle, con assoluta indifferenza. «Embè? Deve guidare la macchina: lascia che pensi a quello. Tanto vedrai che qui ci arriva di sicuro.»
Giorgio alzò le spalle, scettico. «Sarà.»

**

La prima macchina degli invitati, una Ford Mondeo SW, entrò nel cortile della chiesa, seguita a ruota da una Renault Scenic.
«È arrivato zio Renato e anche zio Giovanni, credo», disse Giorgio, sollevato dal fatto che cominciasse ad arrivare qualcuno.
Luca sorrise e buttò la sigaretta in terra. «Vedrai che la prima cosa che dice zio Renato sarà: "Auguri e figli maschi!"»
«Già.»
Le quattro porte della Mondeo si aprirono quasi contemporaneamente, e zio Renato, zia Clara e i figli Giacomo e Filippo scesero rumorosamente dalla vettura.
«Fa caldo», si lamentò zia Clara, per prima cosa.
«Ma no, è solo perché stavamo con l'aria condizionata», la rassicurò zio Renato. Poi sollevò gli occhi a guardare suo nipote Giorgio, e sventolando il braccio destro gridò: «Auguri allo sposo e figli maschi!», ridendo pieno di buonumore.
«Che ti avevo detto?», gongolò Luca.
«Ciao, zio», si limitò a dire Giorgio, cercando di alzare il minimo possibile la voce.
Dalla Scenic scese invece con calma zio Giovanni, con la sua nuova compagna, Caterina. Zia Teresa ormai si era trasferita a Viterbo e non stava per niente bene.
«Non credo che verrà a vedere le mie nozze», pensò con un filo di tristezza Giorgio; incontrare la troppo giovane compagna dell'ex marito, non avrebbe certo giovato alla sua salute.
Zio Giovanni si limitò a salutarlo con la mano e Giorgio fece altrettanto, mentre i passeggeri delle due macchine si scambiavano baci ed abbracci di circostanza.
«Quanti anni avrà meno di zio Giovanni, Caterina?», chiese Luca.
«Troppi», rispose Giorgio, senza esitazioni.
Il fratello valutò la donna con attenzione. «Secondo me, una ventina buona.»
«Appunto. Troppi», ribadì con un certo astio Giorgio, al quale quella donna non piaceva.
Luca lo guardò con aria schifata. «Ma sei proprio antico, sai?»
«Ne riparleremo quando ti sposerai una rumena minorenne, finirai in prigione e lei si consolerà con uno stallone slavo molto più giovane di te.»
«Come fai a sapere che frequento una rumena minorenne?», chiese con tono preoccupato Luca, ma quando Giorgio lo guardò perplesso aggiunse: «Sto scherzando», sorridendo con irritante soddisfazione.

**

«Tanti auguri, Giorgio. Mamma mia come stai bene!», disse zia Clara, abbracciandolo e baciandolo su entrambe le guance ben sbarbate.
«Profumi come il negozio di parrucchiere dove va tua zia», lo prese in giro zio Renato, dopo averlo avvolto con le braccia lunghe e ossute e averlo strizzato con energia. «Però mi piace. Dovresti vedere che belle sciampiste, che ci sono!»
«Renato! Giorgio si deve sposare fra molto poco», lo rimproverò zia Clara.
«E allora? Per adesso è ancora scapolo, e poi gli occhi gli rimarranno anche da sposato, mica se li dovrà tappare!»
«Che razza di discorsi. Tu non gli dare retta, signorino!»
«Certamente. Stai tranquilla, zia.»
Lo salutarono anche i suoi cugini Giacomo e Filippo. Nonostante i capelli corti e i modi misurati, a Giorgio davano l'impressione di due freddi esattori della malavita, pronti a romperti le ginocchia se non eri in regola con i pagamenti.
«Tanti auguri, Giorgio», disse per primo Giacomo, mentre Filippo aspetta il suo turno con le braccia distese lungo i fianchi.
«Tanti auguri, Giorgio», disse per secondo Filippo, con il sorriso che in un film di mafia sottintendeva una condanna a morte.
E venne il turno anche di suo zio Giovanni.
«Beh, giovanotto, è arrivata l'ora.»
«Già.»
Lo zio Giovanni aveva il volto già abbronzato e i capelli accuratamente pettinati all'indietro. Portava un completo blu dal taglio sportiveggiante, e una cravatta con i pallini rossi come il triangolo del fazzoletto che gli sporgeva dal taschino.
Strinse la mano dello sposo con la destra e mentre la stringeva aggiunse sopra anche la sinistra, preso da una un'improvvisa commozione. «Allora cerca di fare meglio del sottoscritto, eh? Comportati bene. Tanti auguri.»
Giorgio non si aspettava tanto. Cercò di ricambiare con tutto l'affetto che poteva. «Grazie zio.»
«Auguri, Giorgio», disse semplicemente Caterina, dandogli un bacetto di circostanza profumato sopra la guancia più vicina. Il suo vestito da frequentatrice di salotti bene, stretto nei punti giusti e scollato quanto era necessario, le calzava il corpo come un guanto, facendola sembrare una vedova pronti a rifarsi una nuova vita, con la migliore offerta sul mercato.
Cominciava ad arrivare altra gente. Nel giardino del borghetto entrarono un'Opel Astra, una Fiat Punto e una Lancia Dedra.
«Che ore sono?», chiese Giorgio al fratello, anche se aveva un orologio d'oro.
«Le cinque e trentacinque», rispose Luca.
Mancavano ancora venticinque minuti.
«Tu hai fatto le prove, va tutto bene con la musica, gli strumenti...»
Luca annuì tranquillo. «Tutto a posto.»
Bene. È tutto sotto controllo, si ripeté mentalmente Giorgio. Un'occhiata agli addobbi, però, non ci stava male. «Vado a vedere se il fioraio ha finito», comunicò al fratello. «Senti, come vedi arrivare Davide... vienimi a chiamare, prima che entrino in chiesa.»
Luca sorrise in modo affabile. «Va bene. Io sono qui, se ti serve qualche cosa.»

**

Dentro la chiesa, zio Renato e zio Giovanni si erano già seduti nelle panche sul lato destro, mentre il signor Di Salvo non si vedeva più. Le sedie degli sposi e dei testimoni comunque sembravano sistemate e di fronte all'altare era stato disteso un tappeto aggiuntivo di decoro.
Mancava solo il prete, ma gli avevano spiegato che di solito arrivava cinque minuti prima della cerimonia. Giorgio guardò il suo orologio d'oro: ossia tra un quarto d'ora.
«Signor Graziani...»
Giorgio si girò aspettandosi di vedere il prete.
«Ha visto gli addobbi? C'è qualcosa che non la convince?»
Era il fioraio, che vedendolo vicino alle sedie degli sposi si era preoccupato.
«No, mi sembra che vada tutto benissimo. Lei ha sistemato ogni cosa, vero?»
«Si, signor Graziani. Ho preparato tutto come stabilito, non si preoccupi. Vada tranquillamente a salutare la gente che sta arrivando.»
La parte della chiesa dedicata al pubblico, effettivamente si stava riempiendo di persone.
Il signor Di Salvo guardava Giorgio sorridendo.
«Si vede molto che sono nervoso?», chiese lo sposo, ed il fioraio allargò ancora di più il suo sorriso. «Abbastanza. Ma doveva vedere me, al mio matrimonio!»
Anche Giorgio sorrise, rinfrancato, mentre i primi amici più intraprendenti si stavano avvicinando per salutare.
«Ciao, Giorgio. Tanti auguri», disse Pierluigi, porgendogli una mano. Michele invece fu più espansivo: non si accontentò di stringergli la mano, ma volle abbracciarlo e stringerlo con forza.
«Tanti, tanti, tanti auguri. Per te e Liliana», disse con gli occhi che luccicavano in modo preoccupante.
«Grazie, Michele», ringraziò Giorgio sentendosi immediatamente meno nervoso. Il fatto che l'amico fosse così agitato, in qualche modo aveva ridimensionato la sua apprensione.
Poteva fronteggiare le affettuosità di tutti quanti, ora. E in dieci minuti un sacco di gente gli fece gli auguri e lo salutò.

**

«Giorgio, è arrivato Davide con la mamma», lo avvertì come d'accordo Luca, mentre stava chiacchierando amabilmente con una coppia di amici di Liliana.
Giorgio allungò istintivamente il collo in alto, per vedere le loro teste tra gli invitati. «Dove sono? Non sono ancora entrati, no?»
«Sono arrivati adesso con la macchina. Ti conviene uscire subito, se vuoi entrare dentro insieme alla mamma.»
Giorgio annuì. «Si, giusto. Andiamo.»
Il protocollo del matrimonio classico prevedeva che lo sposo entrasse qualche minuto prima dell'inizio della cerimonia, accompagnato dalla madre alla sua sinistra. Non che fosse una cosa indispensabile, ma se si riusciva a farlo, beh, tanto meglio.
Giorgio si affacciò di nuovo alla balconata. Dalla Ford Fiesta verde metallizzato di suo fratello Davide, pulita e lucida come se fosse nuova, era scesa solo sua madre; Davide stava ancora sistemando il parasole in tinta con la carrozzeria, in modo da proteggere il meglio possibile dal sole forte e caldo il cruscotto e l'abitacolo della vettura.
Giorgio scese i sedici gradini della scalinata per andargli incontro, insieme a Luca. Stavano salendo anche degli altri invitati, che lo sposo salutò con rapide e cordiali strette di mano.
«Giorgio!»
La voce di sua madre aveva dentro, come avveniva spesso, tutte le potenzialità dell'emozione umana, dalla rabbia alla contentezza, dalla protesta alla più completa approvazione.
Giorgio si limitò a dire: «Mamma...», aspettando che fosse più chiaro cosa rischiava.
«Come stai bene, con questo vestito!»
«Grazie, mamma.»
«Però la cravatta non mi piace. È piccola piccola, sembra che ti manca qualche cosa. Non era meglio una cravatta lunga, come quella che porta tuo fratello?»
«È un cravattino, mamma. I cravattini si portano tutti così.»
La madre l'osservò per niente convinta. «E poi ti sei tagliato i capelli troppo corti. Ti fanno un viso piccolino.»
La voce di Davide portò un po' di tregua alle critiche sul suo aspetto. «Ciao Giorgio. Tanti auguri.»
«Grazie, Davide.»
I due fratelli si abbracciarono quasi con cautela.
«Come è andato, il viaggio? Tutto bene?», s'informo lo sposo.
«Si, abbastanza bene. Non abbiamo trovato un traffico esagerato.»
«Mi sento le ossa rotte», si lamentò la loro madre. «Non si arrivava mai. Secondo me abbiamo fatto un'altra strada. Non mi ricordo che ci voleva tanto, per arrivare a Roma!»
«Abbiamo fatto la strada che facciamo sempre, mamma. Ci mettiamo sempre un'ora e tre quarti, per arrivare», precisò Davide, facendo un grave errore.
«Non era la stessa strada. A una certo punto ho visto dei palazzi grandi che non avevo visto mai.» L'anziana donna si prese un attimo di pausa, per preparare meglio la sua arringa. «E poi c'era una salita che non finiva mai, a un certo punto. Noi una salita così non l'abbiamo fatta mai!»
Davide si risentì immediatamente. «Quale salita lunga? Di quale salita lunga parli?»
Anche la donna si risentì. «Quando abbiamo superato quei palazzi dei mobili. Dove vendono i mobili che costano di meno.»
Giorgio tentò di dargli un taglio. «Dai, mamma, non è importante. L'importante è che siete arrivati qui.»
«Ho fatto la strada che facciamo sempre», ribadì comunque Davide, già incupito in viso.
Luca, che finora era rimasto zitto, disse: «Ciao mamma, ciao fratellino», abbracciando prima la madre e poi il fratello, che si affrettò a portare via sottobraccio.
«Non si può dire niente. È sempre nervoso.» Si lamentò la signora anziana, passando dalla stizza al dispiacere.
«Va be', mamma, dai. Adesso pensiamo al mio matrimonio, no?»
Sua madre lo guardò con occhi improvvisamente lacrimosi.
«Se ci fosse stato anche tuo padre... Ti sei deciso così tardi, figlio mio!»
«Papà è morto da più di dieci anni, mamma.»
«Eh, e se tu ti sposavi prima, forse tuo padre nemmeno moriva.»
Giorgio pensò con rassegnazione: «Andiamo bene...»

**

Luca e Davide, che avevano il passo più veloce, entrarono per primi, con gli ultimi invitati. Giorgio e sua madre entrarono per ultimi assoluti, lei stretta al suo braccio come una damigella, come la tradizione richiedeva.
Giorgio attraversò il corridoio centrale della chiesa con animo diverso da quand'era ragazzino. La volta non gli sembrava così distante, ora, né gli sembravano così sconfinati gli spazi circostanti. E tutta quella gente che l'osservava, non gli ispirava alcuna sicurezza. Il passo di sua madre era troppo corto, e lui si sentiva fuori tempo.
Fu un vero sollievo liberarsi dalla stretta della madre, raggiunto il primo banco sulla destra, e salire l'altare con i testimoni.
Un sollievo piuttosto breve: mancava qualche cosa.
«Il prete non è arrivato ancora», gli sussurrò suo fratello Luca.
Giorgio guardò l'aiutante del sacerdote, bianco vestito.
«E l'aiutante cosa dice?»
Luca alzò le spalle, in segno d'impotenza. «Ha detto che sarà in ritardo per qualche contrattempo. Forse ha trovato traffico. Adesso arriva.»
Giorgio guardò l'orologio d'oro. «Sono le sei e trentuno.»
Luca annuì. «Ha detto anche che bisogna fermare la sposa, se dovesse arrivare prima.»
Giorgio guardò l'aitante del sacerdote, che annuì per confermare.
«Che vuol dire, fermarla?», chiese lo sposo, sentendo crescere l'allarme.
«Se il prete non c'è, la sposa non può entrare. Non può arrivare fino all'altare e non trovare nulla: bisogna fermarla prima.»
L'allarme salì alle stelle. «E tu che stai a fare, qui? Sono le sei e trentadue, potrebbe arrivare da un momento all'altro!» La voce di Giorgio si fece improvvisamente dura. «Vai fuori a bloccarla.»
Luca si fece più vicino. «Ci ho già mandato qualcuno, non ti preoccupare.»
Giorgio si sentì un pochino meglio, ma soltanto un poco.
«Chi ci hai mandato?»
«Maurizio e Aniceto.»
Giorgio aggrottò la fronte, perplesso.
«Il flauto dolce e il cantante», chiarì Luca.
La fronte di Giorgio restò aggrottata. «Aniceto?»
Luca annuì, impassibile. «La voce. Ha un nome greco, vuol dire "invincibile".»
Giorgio non riusciva a distendere la fronte. «Invincibile?»
Luca annuì più volte, in segno di approvazione. «È un nome che porta bene.»
L'altro testimone, il fratello di Liliana, Enrico, avvicinò la testa quasi calva alla loro. «Non si può telefonare, a questo prete?»
«Io il numero non ce l'ho», ammise Giorgio, sentendosi in difetto. In realtà non si era portato dietro neanche il telefonino.
Luca fece cenno col capo in direzione dell'assistente del sacerdote. «Mi sa che ce l'ha il suo aiutante. Adesso glielo chiedo.»
Stavolta fu Giorgio ad annuire. Non osava guardare l'orologio, per non lasciare trasparire alla massa degli invitati la sua preoccupazione.
La testa del fratello di Liliana si avvicinò di nuovo. «Che situazione, strana, eh? Ma adesso arriverà, questo prete. Sono già le sei e quarantadue...»
Giorgio stava cercando di sorridere, con il sorriso noncurante di chi non ha problemi gravi. Però non poteva vedersi dal di fuori e aveva la netta sensazione di una paresi in atto, intorno agli angoli della bocca e all'interno della mascella, ma non poteva far altro che continuare a stendere le labbra.
Ciò di cui si rendeva bene conto, invece, è che un sacco di teste erano girate in direzione dell'ingresso della chiesa, in attesa di una sposa che non arrivava ancora.
«È tradizione che la sposa si faccia attendere», si ripeté più volte Giorgio, per rassicurarsi almeno un po'; ma quell'attesa quanto poteva durare ancora? Lui aveva l'impressione che la gente si agitasse già.
«Tuo fratello ha in mano il telefonino», lo informò puntualmente Enrico, mentre Luca stava componendo un numero sul cellulare e faceva segno che andava tutto bene.
Con l'apparecchio appoggiato all'orecchio destro, il fratello di Giorgio si stava allontanando di qualche passo, evidentemente per parlare con più discrezione.
«Adesso sapremo che succede», sentenziò Enrico con tono di condanna. Aveva il modo di fare di un impresario delle pompe funebri, e come tante altre volte Giorgio si stupì di quanto fosse diverso da Liliana.
In molti, adesso, aspettavano l'esito della telefonata che stava facendo Luca. Avevano intuito che fosse determinante, ma siccome dava le spalle a tutti, nessuno era in grado di capire se stesse andando bene oppure male.
Dal portone aperto della chiesa, camminando sul fianco destro della chiesa e bene attento a non incrociare lo sguardo con nessuno, intanto si stava avvicinando il flauto dolce.

Seconda e ultima parte

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