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In un suo celebre discorso Agnon diceva: "in verità, io sono nato a Gerusalemme, ma i romani hanno invaso la Giudea e hanno spinto la mia culla fino in Galizia, in Polonia." "Questo vale per tutti i bambini ebrei e particolarmente per quelli degli shtetlach, villaggi vibranti e malinconici nell'Europa orientale e centrale, dove gli ebrei in fuga avevano trovato rifugio nel lontano 1500. Poveri villaggi, che vivevano di un'agricoltura misera e primitiva. La maggior parte degli ebrei svolgeva l'attività di negoziante, ciabattino, sarto per vestiti usati, fornitore povero di poveri acquirenti, si arabbattava in tanti mestieri diversi." Chassidim e mistici, gente che per più di mille anni ebbe in tutta Europa, dall'Italia ai vigneti del Reno, alle povere cittadine della Russia, sperdute nei misteriosi boschi di betulle... un immenso territorio dove cercare e vagabondare. Cercavano un luogo che prometteva calma, dove poter studiare la torà, servire con decoro il loro Dio, e formare una normale comunità umana caratterizzata dalla benevolenza e dalla bontà" (Lacci d'amore di Haim Be'er).
Purtroppo al tempo di Ivan III gli ebrei non godevano della simpatia del popolo russo, erano guardati con diffidenza e su di loro circolavano strane voci, frutto del pregiudizio e dell'ignoranza. Si diceva che era gente malefica, vile, che allontanava il popolo da Cristo, causa di mali, al punto che furono messi al bando. Fu assegnata loro la cosidetta "zona di residenza", provvedimento che durò fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Alla fine del '700 la Russia si ritrovò ad ospitare circa metà dell'intera popolazione ebraica del mondo. I gruppi che vivevano nei territori polacchi, diventati russi, furono i più conservatori ed ortodossi, talmudisti e chassidim. Parlavano lo yiddish, un misto di tedesco ed ebraico, il che li rendeva ancora più sospetti alle popolazioni locali che non comprendevano il loro dialetto, oltre a certe usanze da loro praticate, tra le quali quella di circondare il villaggio con una spessa corda nei giorni rituali, per impedire che la giornata del sabato venisse
turbata. Usanza che attirava su di loro molti sospetti. La condizione dell'ebreo in Russia era molto difficile e precaria. Lo zar Nicola I era convinto che gli ebrei bevessero il sangue dei cristiani, che fossero spie e contrabbandieri, e quindi il trattamento degli ebrei diventava sempre più duro, soprattutto quando c'erano le accuse di omicidio rituale che dava luogo a pogroms di estrema violenza. Quando nel 1888 alla stazione di Borki si verificò una sciagura ferroviaria in cui fu coinvolto Alessandro III e la sua famiglia, vennero ancora accusati gli ebrei, si ebbe una stretta di vite nei loro confronti, furono cacciati dalle città per inviarli nelle zone di residenza e quindi nel rigido inverno russo moltissimi disgraziati ebrei riempirono le stazioni, cacciati e privati dei loro beni, in terre lontane, di cui ignoravano persino l'esistenza.
Tra il 1895 e il 19OO ci fu un peggioramento dovuto anche ad un regime politico oscurantista e reazionario, a Mosca c'era proprio la caccia all'uomo e chi trovava un ebreo aveva diritto ad una taglia.
Profonde fratture e ferite si erano formate all' interno dei villaggi ebrei, conflitti fra generazioni spaccavano l'unità familiare, i figli non sopportavano più la povertà e la violenza. Erano anni duri, i pogroms, grazie al nuovo ministro Pleve, acerrimo nemico degli ebrei, avevano raggiunto una frequenza e una ferocia inaudita, veri bagni di sangue, e i giovani decidevano di fuggire da una vita incerta e insostenibile e a prendere la strada dell'America. Il mito americano li affascinavano, ma ignoravano quante incognite presentava l'emigrazione e come sarebbe stata dura la vita in America. Emigrare significava mettersi nelle mani dei contrabbandieri, come ci racconta J.Roth in tanti dei suoi bellissimi romanzi Significava trovare tantissimi ostacoli, una volta arrivati in un mondo dove bisognava lottare aspramente.
Emarginazione, sradicamento, nostalgia per il villaggio lontano, dove le partenze avevano creato lacerazioni terribili, pensiamo al Giobbe di Roth, ma anche al Chiamalo sonno di Henry Roth, che ci narrano come ai dolori fisici patiti sotto gli zar, subentravano i conflitti interiori, i dubbi, le crisi d'identità. Era tutto così incomprensibile, "il grigio mondo di pietra" li annientava, anime semplici, abituate alle immense lande della Russia.
Sempre in quegli anni nasceva il movimento sionista, nei territori dell'est fu fondato il primo partito operaio ebreo. Nel 1904 lo zar Nicola II mise fuori legge il sionismo, perché movimento sovversivo. Contro il partito operaio ebreo furono scatenate le milizie dei Cento Neri, corpi segreti, usati come controrivoluzionari e ancora gli ebrei diventarono il capro espiatorio, accusati i suoi intellettuali di ogni male possibile. Altri pogroms, a cui parteciparono anche polizia e soldati. Ebrei e rivoluzione ormai erano legati a doppio filo.
E proprio da quelle regioni ai margini del grande impero austro-ungarico doveva diffondersi una letteratura nuova nei temi e nella lingua costituita da racconti su gente umile, legata alle tradizioni, anacronistica e cocciuta. La lingua è lo yjddish, la lingua popolana che viene elevata a dignità letteraria, una lingua che serviva solo per parlare in casa, come un dialetto, parlata esclusivamente dagli ebrei orientali, ancorati saldamente al loro passato, osservanti e nemici del nuovo. Oggetto di riso e di disprezzo da parte degli ebrei assimilati, delle città, gli ebrei illuminati che parlavano la lingua del paese in cui vivevano, studiavano per emanciparsi dai retaggi dei padri, convinti di essere accettati alla pari dal paese in cui vivevano e occupavano cariche importanti. Ma inconsapevoli che un tragico destino li attendeva. E, mentre la loro vita sociale procedeva splendidamente, si preparava il disastro. Dopo il 1808 anche nell'Europa centrale, occidentale, le cose cambiarono e l'ebreo cominciò a sentirsi "un uomo nella strada, un ebreo in casa".
L'autore di quella rivoluzione letteraria fu Shalom Aleichem, che fondò anche un annuario di letteratura "Di yiddishe Foksbibliotek", che fu un punto di svolta assai significativo nella storia della letteratura yiddish moderna. A quella rivista collaboravano molti scrittori, come Mendele Moicher Sfurim, il nonno della nuova letteratura, I.L.Peretz e altri.
Shalom Aleichem, pseudonimo di Shalom Rabinowitz, nasce a Perijslav nel 1859, una piccola cittadina dell'Ucraina, in una famiglia colta e benestante che in seguito si trasferirà a Voronko, modello per lo shtetl da Sholom chiamato Kasrilevke, in cui saranno ambientati tutti o quasi, i suoi racconti. Gli muore la madre e il padre, che lo aveva sempre stimolato alla lettura e allo studio, si risposa con una vedova con cinque figli, in tutto i figli diventano undici e Sholom vede cambiare la sua vita in peggio, perseguitato da una matrigna manesca e rissosa. A diciotto anni se ne va da casa e trova lavoro come precettore di una ragazzina di 13 anni, che vive in una tenuta vicino a Kiev. Si sposerà in seguito proprio con questa ragazzina, che gli starà accanto per tutta la vita nella buona e nella cattiva sorte.
Erede della grande fortuna del suocero, sprovveduto negli affari, cui dedica pochissimo tempo, riprende la vecchia passione per la scrittura e finirà con il disastro economico. Costretto a fuggire, inseguito dai creditori, si rifugia a Odessa e, grazie alla moglie che consegue un diploma di dentista che assicura un reddito, la famiglia riprende fiato e Shalom può dedicarsi totalmente alla scrittura "qual è il mio scopo nello scrivere? ...uno scrittore desidera scrivere perché se non gli piacesse scrivere non sarebbe uno scrittore."
Fra il 1887 e il 1890 compone i primi tre romanzi, oltre a numerosi racconti brevi ed alcuni atti unici, aveva una grande passione per la recitazione.
Nel '94 pubblica Tevje il lattivendolo: uno splendido romanzo in forma di monologo in cui esprime la sua filosofia di vita, il suo modo di rapportarsi a Dio e agli uomini. Racconto tragico e comico, come tutto ciò che Aleichem scrive, di un estremo realismo, che riflette le contraddizioni di un mondo che va mutando rapidissimamente, dove i giovani sognano il progresso, l'America.
Comincia ad essere conosciuto, a guadagnare e durante gli anni che vanno dal 1900 al 1906 abbandona il suo lavoro alla Borsa di Kiev, che gli era stato assai prezioso perché gli aveva permesso di venir a contatto con una miriade di persone e situazioni diverse, materiale per le sue storie. Si dedica esclusivamente a scrivere, collabora a diversi giornali, jiddish, tra cui Der Jid, organo del movimento sionista, entrando così attivamente nel modo degli intellettuali. In questo stesso periodo scrive i racconti di Kasrilevke, che rappresenta il tipico shtetl, "sconvolgente e vibrante di bellezza e di fede, con le sue case di studio e le sue officine, i suoi folli e i suoi principi, i suoi mendicanti silenziosi e i suoi facchini chiassosi" con la sua ricchezza umana e religiosa, la semplicità dell'ebraismo orientale e il suo anacronismo "dove il sogno e la sete di Gerusalemme ci aiutavano a sopravvivere". E proprio l'incapacità dei suoi personaggi, umili, che non sanno capire di vivere fuori dal tempo suscita il riso, con la nostalgia di un mondo che non c'è più. Un riso amaro, che cela una tristissima realtà:miseria, fame, fatica in cui si dibattono questi poveri diavoli sprovveduti nella lotta per la sopravvivenza, in questo povero villaggio che vive in gravi ristrettezze. Una comunità in cui serpeggia il malcontento dei giovani, che prendono le distanze dai padri e vogliono rompere con il passato, hanno lo sguardo rivolto non più a Oriente, ma a Occidente. C'è in atto un processo di disgregazione di grandi proporzioni che sfocerà con la ribellione aperta dei figli e la loro fuga.
Tutti i suoi racconti sono scritti per strada, le strade che si animavano nei giorni di mercato, le misere viuzze de vagabondi, che egli immortala per noi, tutta una folla vociante, variopinta, becerona. Le strade, ancora strade fangose, attraversate da frettolosi chassidim con i loro caffettani e le case di legno e su tutto una tale malinconia.
A lui piaceva il contatto con la gente, la sua gente, i suoi ebrei, di cui fu il cantore, con cui comunicava, a cui dava coraggio con le sue storie buffe, ma profondamente amare, un modo per divertire e interrompere l'angoscia del futuro.
Racconti più parlati che scritti, che nascono spontaneamente, spesso al momento e sono pieni di sproloqui, chiacchere, implorazioni. Sono racconti viventi, ogni personaggio parla per proprio conto ed Sholom butta giù, in piedi, di corsa, su un quadernetto che si portava sempre dietro. A casa aveva un leggio, fatto fare apposta, con un foro per la candela. Trascorreva ore a quel leggìo e la figlia lo ricorda con i bei capelli fluenti sulle spalle, il pince-nez sugli occhi celesti, perso dietro le sue creature.
I pogroms del 1905 lo costringono ad espatriare in America, dopo un anno di peregrinazioni per l'Europa, perché emigrare era diventata un'impresa difficile e rischiosa.
Ritornerà in Russia e per mantenere la famiglia partecipa a recitals, a letture pubbliche dei suoi racconti, a vere e proprie interpretazioni dei suoi personaggi, evidenziando la sua grande passione per il teatro. Colpito dalla tubercolosi, si trasferisce a Nervi, ma continua a scrivere. Tra il 1909 e il 1911 scrive il Cantico dei Cantici, Stelle vaganti, Marienbad e Motti, il figlio del cantore dove chiaramente è raccontato, attraverso le vicende del piccolo Motti la fine dell'ebraismo orientale.
Nel 1913 Sholom comincia a scrivere il romanzo autobiografico, che non riuscirà a concludere e i Racconti ferroviari, sette racconti in cui i protagonisti sono personaggi come sempre umili, reali, ingenui, incapaci di fronteggiare il nuovo che irrompe nelle loro vite e crea l'incomunicabilità e la sofferenza fra le generazioni.
Allo scoppio della prima guerra mondiale si stabilisce in Danimarca, un paese esemplare per la solidarietà che dimostrò nei confronti degli ebrei. Il re di Danimarca annunciò la sua intenzione di portare la stella gialla per solidarietà con un popolo così perseguitato e nel 1943 salvò tutti gli ebrei che si trovavano nel suo regno, inviandoli in Svezia (Elie Wiesel da Credere o non credere).
Tornerà negli Stati Uniti. Muore il 13 maggio 1916 nel Bronx, pianto dai suoi tantissimi, affezionati lettori.
La sua eredità verrà raccolta da altri scrittori, tra i quali ha un posto di rilievo il grande, sublime narratore di storie ebraiche che è stato Singer, nativo di Radzymin, in Polonia.
Della stessa autrice in questa biblioteca:
Emanuel Carnevali
Elias Canetti
Henry Roth
Joseph Roth
Bruno Schulz
Per saperne di più: Shalom Aleichem su Wikipedia